Lettera K
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Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2023-2020 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2023-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007

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Locandina della mostra Olivetti Non solo macchine da scrivere Olivetti - Non solo macchine da scrivere
16 febbraio - 02 maggio 2023
Galleria Vitrina - HIT Istituto Tecnologico di Holon (Israele)
www.archiviostoricolivetti.it

La mostra, a cura di Ivry Baumgarten, nata dalla collaborazione tra Vitrina Gallery HIT Holon Institute of Technology, Associazione Archivio Storico Olivetti e Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv, si concentra sulla storia di uno dei marchi industriali di successo del Novecento, nota soprattutto per le sue macchine da scrivere che rivoluzionarono il campo della comunicazione, del lavoro manageriale e d'ufficio. Azienda leader dell'industria tecnologica italiana, la Olivetti si è distinta per le innovazioni radicali apportate a design di prodotto, architettura e pubblicità, ma anche per aver aperto a considerazioni culturali ed estetiche ogni fase della progettazione e della produzione e per l'attenzione rivolta alle questioni sociali e ambientali in tutte le aree della sua attività.

Oltre ai prodotti iconici Olivetti, macchine per scrivere, macchine da calcolo e persino i primi computer, l'interesse della mostra si estende all'innovativo impianto pubblicitario e grafico olivettiano, attraverso numerosi manifesti, annunci e spot pubblicitari firmati dai più famosi designer italiani. Altre sezioni della mostra sono dedicate all'evoluzione del logo Olivetti, ai diversi caratteri, anche arabi ed ebraici, progettati per le macchine per scrivere, fino ai negozi storici Olivetti, in Italia e nel mondo.

Tra gli oggetti esposti troviamo, per la prima volta in Israele, alcune macchine da scrivere portatili come la MP1, la prima prodotta dall'azienda nel 1932 su progetto di Riccardo Levi e design di Aldo e Adriano Magnelli; la Studio 42 del 1935, progettata e disegnata dal gruppo di designer composto da Ottavio Luzzati, Luigi Figini, Gino Pollini e Xanti Schawinsky; e la mitica Lettera 22, progettata nel 1950 da Giuseppe Beccio e disegnata da Marcello Nizzoli, entrata nelle collezioni permanenti del MoMA di New York e premiata con il Compasso d'Oro nel 1954. Accanto alle macchine da scrivere trovano posto in mostra anche alcune macchine da calcolo, tra cui la calcolatrice elettromeccanica scrivente Divisumma 24, progettata da Natale Capellaro e disegnata da Marcello Nizzoli nel 1956, e la Summa 19, disegnata nel 1969 da Ettore Sottsass jr. e Hans von Klier, vincitrice del premio Compasso d'Oro nel 1970.

Non mancano poi i primi computer Olivetti, tra cui il famoso M24, personal computer disegnato da Ettore Sottsass jr. nel 1984, e Quaderno, computer portatile disegnato da Mario Bellini nel 1992 e vincitore nello stesso anno del premio SMAU Industrial Design. Tra i manifesti, troviamo la celeberrima pubblicità disegnata nel 1912 da Teodoro Wolf Ferrari, pittore veneziano, per il primo modello Olivetti di macchina per scrivere standard, la M1, progettata da Camillo Olivetti e presentata al pubblico nel 1911. Lo affiancano numerosi altri manifesti molto noti al pubblico, come quello realizzato nel 1935 da Xanti Schawinsky, dedicato alla macchina per scrivere portatile MP1; oppure i famosi poster pubblicitari disegnati negli anni '50 da Giovanni Pintori, dedicati alla Lettera 22.

Non mancano poi alcuni video pubblicitari che hanno come protagonista la macchina per scrivere portatile Valentine o il personal computer M24. Questa mostra è anche un'occasione per conoscere alcuni dei più famosi designer italiani, tra cui Giovanni Pintori ed Ettore Sottsass, che prestarono il loro talento all'azienda. L'incontro tra Giovanni Pintori e la Olivetti avvenne nel 1936, quando Adriano Olivetti lo invitò a partecipare alla preparazione delle tavole del Piano Regolatore della Valle d'Aosta, ideato dallo stesso Olivetti.

L'anno successivo Giovanni Pintori avrebbe iniziato a lavorare in quello che sarebbe rimasto il suo settore per tutta la durata della sua permanenza in Olivetti: l'Ufficio Tecnico della Pubblicità, di cui nel 1950 divenne direttore artistico, iniziando il periodo più fertile della sua collaborazione all'interno dell'azienda. In questa fase realizzò campagne pubblicitarie per le macchine per scrivere Lexikon 80 e Lettera 22 e per le calcolatrici Divisumma 24 e Tetractys. Il suo design e la sua comunicazione fecero il giro del mondo, comparendo anche su testate internazionali come Fortune, Graphic Design e Horizon.

Ettore Sottsass jr., architetto e designer, intellettuale e pittore, iniziò la sua collaborazione con la Olivetti nel 1958 e come primo incarico si ritrovò a dover “dare una forma” all'Elea 9000, il primo elaboratore elettronico progettato e prodotto in Italia. Dopo alcuni mesi di riflessione, Sottsass propose un design nuovo ed eccellente che venne premiato nel 1959 con il Compasso d'Oro, il primo dei tanti riconoscimenti che avrebbero ottenuto i prodotti Olivetti da lui disegnati. Per l'azienda, Sottsass, con i suoi collaboratori o associati, progettò nell'arco di vent'anni più di 50 prodotti: computer, sistemi e terminali, macchine da calcolo, telescriventi, mobili per ufficio. Una sezione speciale della mostra è dedicata infine alla città industriale e alla vita culturale e sociale dei dipendenti dell'azienda di “Ivrea città industriale del XX secolo" iscritta nel 2018 nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

La Olivetti si è distinta sempre per l'obiettivo di una fabbrica che fosse a misura d'uomo e dove l'impresa è cultura. Già nel 1909, a solo un anno dalla nascita della Società, i lavoratori potevano godere della prima mutua aziendale. Ma è tra gli anni '50 e '70 che l'articolato sistema dei servizi sociali della Olivetti raggiunge la maggiore estensione e si sviluppa in sei principali aree di intervento: assistenza maternità e infanzia (asili, colonie estive, maternità pagata), assistenza sanitaria (assistenza in fabbrica per gli infortuni, ambulatorio per lavoratori e relative famiglie), assistenza sociale (interventi in caso di ambientamento di nuovi assunti, difficoltà di tipo economico-sociale), istruzione professionale (Centro Formazione Meccanici, corsi serali, Istituto Tecnico), servizi culturali (Centro Culturale Olivetti, biblioteche di fabbrica), gestioni varie (servizi di mensa, di trasporto e per l'abitazione).

In ambito culturale, l'azienda organizzava mostre, dibattiti, concerti, spettacoli destinati ai lavoratori, ma aperti a tutta la cittadinanza. Allo stesso tempo promuoveva la pubblicazione di riviste e il restauro di alcune opere di fama internazionale (come l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci e i Cavalli della Basilica di San Marco a Venezia), organizzando poi mostre in tutto il mondo. (Comunicato di presentazione)

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Olivetti en Mexico. Diseño, comunicación, arquitectura
07 marzo (inaugurazione) - 27 aprile 2023
Facoltà di Design dell'Università Anahuac - Città del Messico
Presentazione




Dipinto a olio su faesite Senza Titolo realizzato da Saverio Rampin nel 1956 Saverio Rampin
14 marzo - 10 maggio 2023
Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net

Un percorso espositivo che presenta, per emblemi, il lavoro dell'artista veneziano dalla metà degli anni cinquanta fino al 1990. In questa concisa, ma puntuale analisi del lavoro di Saverio Rampin (Stra, 1930 - Venezia, 1992). Dai dipinti che aderiscono al periodo spazialista fino alla ricerca degli anni sessanta e settanta. Dentro a questa sua ricerca Saverio Rampin, ormai libero dall'espressionismo dei cromatismi e sempre in bilico tra la materia e il suo dissolversi, applica una svolta mirata a rivelare che l'emozione nell'arte è cosa che può anche andare disgiunta dalle regole compositive e dagli appoggi stilistici imposti dalla tradizione formale. Tale concetto finisce con l'incarnarsi nella grazia di un'immagine sfuggente, unicamente perseguita attraverso la lirica fluidità del colore e con tinte sempre più smorzate nella tenerezza di una luce affiorante. La mostra è curata da Stefano Cecchetto in collaborazione con l'Archivio Saverio Rampin e la Galleria Michela Rizzo.

Formatosi presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia, si fa presto notare nell'ambiente artistico del territorio, e partecipa dal 1948 alle collettive dell'allora attivissima Fondazione Bevilacqua La Masa. É oggi considerato uno dei maggiori esponenti dello spazialismo veneziano, nonostante Rampin non abbia mai voluto firmarne il manifesto. L'artista sviluppa negli anni Cinquanta una pittura caratterizzata da una forte valenza espressiva e si distanzia dalle iniziali esperienze di matrice cubo-futurista. In questo periodo si conferma come cifra riconoscibile la virata verso cromie accese, stese con pennellate impetuose, attestando un deciso astrattismo gestuale con l'ampia serie dei Momenti (1955-1957).

L'incontro con Virgilio Guidi nella fine del decennio porta l'artista a mutare il proprio linguaggio espressivo, orientato ora ad accogliere nuove soluzioni. Sul finire degli anni Cinquanta, infatti, Rampin matura un importante evoluzione comincia a concentrare la sua ricerca sulle possibilità vibratili del colore, pacatamente steso in composizioni geometriche; le tinte accese saranno sostituite da colori delicati e l'impeto espressivo precedente lascia spazio ad una pittura più lirica e rivolta all'interiorità. Rivela nelle opere una spiccata sensibilità poetica espressa da cromatismi raffinati e delicati, quasi impalpabili, tangibili prove della sua continua, quasi ossessiva ricerca sul colore che, come la luce, e grazie alla luce, delinea nuove realtà oltre lo spazio visibile.

Nel 1950, a soli vent'anni, è invitato alla XXV Biennale di Venezia e del 1951 è la sua prima personale, presentata da Pizzinato alla Galleria Sandri di Venezia. Nel 1955 riceve il Premio Venezia alla XLIII Collettiva della Bevilacqua La Masa e si aggiudica il Campari al Premio Burano, che ripete anche nel 1960. Del 1956 è il primo premio ex aequo con Riccardo Licata alla Bevilacqua La Masa. Nel 1958 gli viene assegnato uno studio a palazzo Carminati che terrà fino al 1961; continua a frequentare la Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo, base degli artisti spaziali e, tramite Guidi, entra in contatto con il nucleo principale degli spazialisti milanesi: Fontana, Capogrossi, Crippa e Dova.

Del 1961 è l'inizio del sodalizio con Enzo Pagani, titolare di due gallerie, che fino al 1989 gli organizza quattordici mostre personali. Nel 2006 Luca Massimo Barbero cura Saverio Rampin. Catalogo generale 1945-1981. Quest'anno si è tenuta al Museo degli Eremitani di Padova la Mostra Saverio Rampin. Tempo, spazio, luce opere 1955-1991, curata da Stefano Cecchetto e in collaborazione con l'Archivio Rampin. La Galleria Michela Rizzo collabora con l'Archivio Rampin dal 2016, e ha presentato il lavoro dell'artista in diverse mostre collettive e fiere; del 2019 è la sua prima personale organizzata negli spazi dell'ex birrificio alla GalleriaMichelaRizzo. (Comunicato stampa)

Immagine: Saverio Rampin, (dipinto senza titolo), 1956, olio su faesite




Ritratto dello scrittore Moravia realizzato dipinto da Gisberto Ceracchini nel 1928 Ritratto di Alberto Moravia realizzato da Carlo Levi nel 1930 Ritratto di Moravia realizzato da Antonio Recalcati nel 1987 Alberto Moravia
"Non so perchè non ho fatto il pittore"


07 marzo - 04 giugno 2023
GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Una mostra a cura di Luca Beatrice ed Elena Loewenthal nel contesto del progetto "Nato per narrare. Riscoprire Alberto Moravia" che la Fondazione Circolo dei lettori ha ideato e realizzato con la GAM e il Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con l'Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani editore e le Gallerie d'Italia.

La figura di Moravia, grande protagonista della vita artistica e intellettuale per larga parte del Novecento, si presta a una varietà di suggestioni che sono al cuore di una rassegna di ampio respiro: pittura, cinema, fotografia e naturalmente letteratura. Tra i molti campi di interesse che oltrepassano la letteratura, quello delle arti visive rappresenta ben più di una passione per Alberto Moravia. I primi scritti d'arte datano 1934 per arrivare al 1990, anno della sua morte. Pubblica su riviste e giornali, tra cui la torinese Gazzetta del Popolo e il Corriere della Sera, e redige testi in catalogo e prefazioni per diversi artisti. Questo interesse gli deriva in parte dall'educazione familiare.

Il padre era appassionato di pittura, la sorella Adriana Pincherle, formatasi insieme a Mafai e Scipione, sarà artista di una certa levatura nell'ambiente romano. Fin dagli anni '30, ma in particolare nel dopoguerra, artisti, scrittori, intellettuali, frequentano lo stesso ambiente e gli stessi luoghi, gli scambi sono all'ordine del giorno. In diversi romanzi l'arte compare tra le maglie delle vicende e in alcuni personaggi, come il pittore fallito Dino e il suo alter ego Balestrieri, modesto e datato, ne La Noia (1960).

Nel 2017 la casa editrice Bompiani ha raccolto, in un prezioso volume, gran parte degli scritti sull'arte di Alberto Moravia, in cui la pittura la fa da protagonista. Dagli anni '30 ai '50 Moravia segue Enrico Paulucci e Carlo Levi nel periodo dei Sei, inizia il lungo sodalizio con Renato Guttuso che durerà tutta la vita, osserva con attenzione la situazione romana, da Giuseppe Capogrossi a Mario Mafai. Nella stagione successiva, nella Roma degli anni '60, capitale dell'arte internazionale, scrive ripetutamente di Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Titina Maselli e della fotografa Elisabetta Catalano cui si deve uno dei ritratti più intensi. Ama anche Antonio Recalcati, Piero Guccione e Fabrizio Clerici.

La mostra nello spazio Wunderkammer si propone come un'ideale collezione degli artisti che lo scrittore stimava e ai quali ha dedicato la propria penna e presenta circa 30 opere provenienti dalla Casa Museo Alberto Moravia di Roma oltre che da raccolte private e da un cospicuo nucleo di dipinti e disegni conservati alla GAM. Ne emerge un interessante ritratto dell'arte italiana attraverso la letteratura, non sempre in linea con le tendenze dominanti o le mode. Le opere scelte per l'esposizione sono infatti affiancate da frammenti di testi tratti perlopiù dal volume di Alberto Moravia Non so perché non ho fatto il pittore a cura di Alessandra Grandelis, Milano, Bompiani, 2017 da cui la mostra prende il titolo e che evocano il rapporto di stima e molto spesso di amicizia con gli autori delle opere presentate. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale che raccoglie le immagini delle opere in mostra e i saggi dei curatori.

Gli artisti in mostra: Gisberto Ceracchini, Carlo Levi, Enrico Paulucci, Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Giuseppe Capogrossi, Mario Mafai, Renato Birolli, Onofrio Martinelli, Fabrizio Clerici, Leonor Fini, Alberto Ziveri, Mino Maccari, Mario Lattes, Antonio Recalcati, Adriana Pincherle, Sergio Vacchi, Piero Guccione, Giosetta Fioroni, Carlo Guarienti, Titina Maselli, Mario Schifano, Elisabetta Catalano.

Alberto Moravia non è uno scrittore attuale, nel senso che non fa adagiare sulle comodità di una pura sovrapposizione di tempi e condizioni politiche, sociali, culturali. Tutta la sua opera esige una sorta di "destabilizzazione" emotiva e mentale, un esercizio di confronto, nel tempo e nello spazio. È anzi uno scrittore "scomodo", capace come nessun altro di mettere in luce i punti oscuri dell'animo umano, quelle ambiguità che chiunque di noi fatica a riconoscere e ammettere. Nessuno può, ad esempio, sentirsi del tutto estraneo a tutto quello che è e fa il suo "conformista". In un modo o nell'altro, tutta la sua opera pone il lettore o lo spettatore in una posizione più difficile e delicata di quanto non immaginasse prima di incontrare Moravia, la sua opera, il suo modo di guardare al mondo.

I suoi romanzi e racconti sono sempre un mondo, in realtà: Moravia osserva, anzi legge il corpo femminile come fosse un universo. E al tempo stesso lo "sente" e lo fa sentire al suo lettore, alla sua lettrice. Ha una capacità straordinaria di estrarre sensazioni dalla sfumatura di una luce dietro una tenda: le sue descrizioni di luoghi sono talvolta impressionanti, per la forza e la delicatezza che portano con sé. Ma c'è sempre nella sua scrittura una attenzione profonda al reale: è tanto visionario quanto realistico. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Gisberto Ceracchini, Ritratto dello scrittore Moravia, 1928
2. Carlo Levi, Ritratto di A. Moravia, 1930
3. Antonio Recalcati, Ritratto di Moravia, 1987

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Zavattini e i Maestri del Novecento | "A tutti i pittori ho chiesto l'autoritratto"
07 maggio - 08 settembre 2013
Pinacoteca di Brera
Presentazione




Locandina della mostra fotografica Bianca e l'album di Mirella Bianca e l'album di Mirella
"Il nome e la fotografia"


18 marzo (inaugurazione) - 02 aprile 2023
Casa Caprari Maritan - Celeseo di Sant'Angelo di Piove di Sacco (Padova)

- Il nome e la fotografia
Mostra a cura di Giampaolo Romagnosi - mignon

Che il pensiero andasse subito a mia nonna Bianca dopo l'invito ad esporre a Casa Maritan è stato del tutto naturale. Questo antico edificio risalente alla seconda metà del secolo XVI e passato di proprietà più volte, soprattutto come "casa domenicale" di patrizi Veneziani, all'inizio del ventesimo secolo diviene proprietà della famiglia locale dei Maritan. Oggi di proprietà del Comune di Sant'Angelo di Piove di Sacco, la casa è una eccellente sede per attività culturali. Qui Bianca Maritan (1908-1994) ha passato i suoi primi anni di vita per poi sposarsi con Natale Lando (1907-1999) e passare il resto della sua vita in via Chiusa a Sant'Angelo di Piove di Sacco.

Piuttosto che ad una mostra personale ho pensato di dedicarmi ad un progetto sulla fotografia di famiglia; se in un primo momento sembrava un ambito troppo limitato, privato e ampiamente indagato, ho invece scoperto, man mano che ci lavoravo, molti elementi antropologici e culturali interessanti da proporre come modello di rapporto tra le immagini fotografiche e una famiglia veneta del '900. Di mia nonna da giovane restano pochissime fotografie; la sua memoria, come era in uso un tempo, si è però tramandata nel nome Bianca, che viene dato a mia mamma Mirella Bianca Lando (1940-2017) nata dopo Licia (1935) e Vinicio (1937-2022) che, trasferitosi a Torino negli anni '50, darà il nome Bianca alla sua prima figlia, Bianca Lando (1968) dopo Claudio (1964) e Antonio (1967).

Il nome in questo caso ha una funzione sociale molto simile a quello della fotografia di famiglia nel serbare ricordi legati alla storia familiare, come lo sono anche i soprannomi che vengono dati ai diversi ceppi di famiglie con lo stesso cognome per distinguersi gli uni dagli altri. I Lando della famiglia di mio nonno materno sono detti "i ciodo" (chiodo), mentre i Romagnosi di mio padre sono i "Mati Stianeo" (Matti Stivanello); soprannomi il cui significato denota parentele, caratterizzando nello specifico le storie delle rispettive famiglie.

L'album di fotografie di mia madre diventa il contenitore da cui prendere a campione una serie di immagini che narrano di una famiglia che in questo caso è la mia, ma nella quale, a mio modesto parere, si potranno riconoscere tantissime persone; soprattutto questo album può essere testimonianza di un modo costruttivo di usufruire del mezzo fotografico. Prima di riportare di seguito alcuni stralci da libri sul ema, voglio portare l'attenzione su come può cambiare il modo di osservare le fotografie se non si tiene conto delle ragioni per cui sono state fatte; proprio l'immagine che apre questo libro ritrae mia nonna Bianca con Licia, Vinicio e Mirella, al centro della composizione, e che ha appena compiuto due anni.

Per me è sempre stata una fotografia molto bella perché rivedo mia mamma da bambina ed è come un regalo che mi viene dal passato; ma quando è stata scattata, alla fine del 1942, quella foto ha permesso a mio nonno, partito da circa due anni in guerra, di ammirare per la prima volta la propria figlia. Credo che l'album di famiglia, fino a tutto il '900, sia stato un ottimo strumento per dirci "cosa ci rende umani" e per favorire la costruzione di un futuro migliore; come tale andrebbe analizzato e proposto cercando tra l'altro di trasferirne le caratteristiche positive alle tecnologie moderne Non mi avventuro sul ruolo della fotografia familiare di oggi, ma questo progetto mi è particolarmente caro e spero sia di aiuto per sviluppi futuri. (Comunicato stampa)

___ Presentazione di altre mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Giuseppe Umberto Cavaliere. "Corrispondenze"
Barbara Frigerio Gallery - Milano
Presentazione

Ugo Mulas. "L'operazione fotografica"
29 marzo - 06 agosto 2023
Le Stanze della Fotografia - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
Presentazione

Man Ray. Opere 1912-1975
11 marzo - 09 luglio 2023
Palazzo Ducale - Genova
Presentazione

Aaron Schuman. "Sonata"
10 marzo (inaugurazione) - 22 aprile 2023
Micamera - Milano
Presentazione

Vivian Maier. "Shadows and Mirrors"
23 marzo - 11 giugno 2023
Palazzo Sarcinelli - Conegliano
Presentazione

Ivano Mercanzin. Orizzonte libero
26 febbraio - 02 aprile 2023
Eremo di Santa Caterina del Sasso - Leggiuno (Varese)
Presentazione

Emilio Scanavino. Luce e Materia
06 marzo - 23 aprile 2023
Archivio Scanavino - Milano
Presentazione

Maria Vittoria Backhaus. I miei racconti di fotografia oltre la moda
31 marzo - 11 giugno 2023
Castello di Casale Monferrato
Presentazione

Eve Arnold. L'opera, 1950-1980
25 febbraio - 04 giugno 2023
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
Presentazione

Andrea Tonellotto. This Must Be The Place
12 gennaio (inaugurazione) - 25 marzo 2023
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
Presentazione

Pietre | Roma ChilometroZero
18 gennaio - fine febbraio 2023
Leica Store - Roma
Presentazione

Nino Migliori. L'arte di ritrarre gli artisti. Ritratti di artisti di un maestro della fotografia italiana
15 ottobre 2022 - 10 aprile 2023
Reggia di Colorno (Parma)
Presentazione

URBAN Photo Awards 2022
03 ottobre - 04 novembre 2022
Biblioteca statale Stelio Crise - Trieste
Presentazione

Francesca Galliani - Empty New York
Barbara Frigerio Contemporary Art
Presentazione




Disegno a pastello colorato realizzato da Riccardo Garolla Riccardo Garolla
"Segreto Abissale"


18 marzo (inaugurazione) - 29 aprile 2023
Galleria Ghiggini 1822 - Varese
www.ghiggini.com

Le figure a pastello colorato di Riccardo Garolla sono inquiete, ma sensibili, imperturbabili, ma emotive, catalizzano l'attenzione dello spettatore attraverso sguardi magnetici e invitano a esplorare i pensieri e le emozioni più nascoste. Un costante equilibrio tra mito, sogno e realtà è la formula di cui si compongono le illustrazioni che popolano l'immaginario di Riccardo Garolla; in mostra una selezione di disegni e di sculture realizzate in argilla rossa.

"Il buio chiama la luce e l'altezza lo sprofondo. Coesiste il basso con l'alto e la tenebra con il fuoco. Un principio, questo, che ha risonanza col divino, eppure è umano, se si pensa al nostro essere miscuglio di carne e pensiero". Tratto dal testo introduttivo alla mostra dal titolo "Nell'abissale altezza" di Francesca Garolla, autrice. (Comunicato di presentazione)




Dipinto ad acrilico su tela di cm 150x100 denominato Sfondo 3 realizzato da Francesco Tricarico nel 2023 Dipinto ad acrilico su tela di cm. 200x170 denominato Tre realizzato da Francesco Tricarico nel 2023 Francesco Tricarico
Live painting
"Don't stop the paint"


14-29 marzo 2023
Fabbrica Eos Gallery - Milano
www.fabbricaeos.it

Francesco Tricarico, artista visivo, cantante, cantautore e musicista italiano, dipingerà, dal vivo alcune opere che saranno incluse nell'esposizione personale "Don't stop the paint". A differenza di quanto si possa supporre dalla sua lunga e importante carriera nella musica, la pittura è stata la prima forma di espressione artistica per Tricarico. Un'urgenza di pittura che si manifesta anche nel suo linguaggio e nel suo approccio, caratterizzato da continue sovrapposizioni di strati di segni e colore. La live painting, propedeutica alla mostra, consentirà al pubblico di scoprire la pratica artistica di Tricarico dalla parete vetrata, ma anche di entrare in Galleria per conoscere l'artista e partecipare attivamente. «L'Arte immagina e crea il futuro, dichiara Francesco Tricarico. E ora, oggi più che mai prima c'è bisogno di Arte».

Francesco Tricarico è un cantautore italiano. Nel settembre del 2000 esce il primo singolo "Io sono Francesco", che sale al primo posto nella classifica italiana dei singoli più venduti e viene premiato col Disco di Platino. Nel 2002 pubblica il suo primo album, "Tricarico", a cui seguono altri album di successo tra cui "Giglio" (2008) - che contiene il brano "Vita Tranquilla" con cui al Festival di Sanremo 2008 ha vinto il premio della critica Mia Martini - "Il bosco delle fragole" (2009), "Invulnerabile" (2013), e "Da chi non te l'aspetti - prima parte" (2016).

Ad aprile 2019 esce il singolo "Abbracciami fortissimo", che anticipa il nuovo album "Amore dillo senza ridere ma non troppo seriamente" (2021). Nel 2009 pubblica il suo primo libro, "Semplicemente ho dimenticato un elefante nel taschino", e nel 2019 "Palla persa. Una favola d'amore". Tricarico, nel corso della sua carriera, ha scritto brani per molti grandi artisti, tra cui Andriano Celentano, Zucchero, Gianni Morandi, Malika. Per la sua opera pittorica, collabora dal 2016 con la Galleria Fabbrica Eos di Giancarlo Pedrazzini. (Comunicato CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Francesco Tricarico, Sfondo 3, 2023, acrilico su tela cm. 150x100
2. Francesco Tricarico, Tre, 2023, acrilico su tela cm. 200x170




Dipinto denominato Squarci temporali realizzato da Alberto Besson nel 2020 Dipinto di cm 80x80 denominato Ninfee verdi realizzato da Chiara Mazzotti nel 2020 Fotografia astratta e psichedelica stampata su perpex di cm 51x47 realizzata da Leopoldo Bon nel 2014denominata Un Incognito ma Finito Scultura in ferro di cm 35x15x60 denominata Archeologia realizzata da Rinaldo Degradi Besson | Bon | Degradi | Mazzotti
10 marzo (inaugurazione) - 20 marzo 2023
Muef Art Gallery - Roma

Quattro mostre "personali a confronto" del secondo ciclo dell'omonimo progetto curato da Virgilio Patarini in collaborazione con Francesco Giulio Farachi e Roberta Sole e organizzato dalla Vi.P. Gallery - Zamenhof Art. In questo secondo ciclo di mostre in programma, le opere di quattro artisti: uno scultore, un fotografo, una pittrice e un artista visivo, ovvero i milanesi Rinaldo Degradi e Chiara Mazzotti, il triestino Leopoldo Bon e il cremasco Alberto Besson.

- Alberto Besson
"Paesaggi spezzati"

In mostra una dozzina di lavori dell'artista cremasco, in cui la superficie del quadro viene scomposta da una serie più o meno fitta e sciamante di forme geometriche irregolari colorate e inquiete che scompongono e ricompongono la visione come in un caleidoscopio. A tratti si può intuire una vaga e lontana matrice figurativa e paesaggistica dietro queste giocose e squillanti composizioni astratte, altre volte invece il puro gioco di forme e colori prevale e proietta il fruitore in mondi di astratta contemplazione estetica. (V.P.)

- Leopoldo Bon
"Sinfonie visive"

Delle opere fotografiche dell'artista triestino Leopoldo Bon, si presentano in questa esposizione romana una serie di "Sinfonie" di forme, luce e colori, opere astratte e psichedeliche che travalicano i confini di ciò che comunemente si intende per fotografia. Qui la macchina fotografica viene utilizzata per catturare liquide esplosioni di luce che si scompongono in forme variopinte e che l'artista poi stampa su supporti dalle forme curvilinee, ovoidali e irregolari che esaltano ulteriormente la visionarietà di questo originalissimo approccio. (V.P.)

- Rinaldo Degradi
"Geometrie dello spirito"

Degradi è uno scultore che ama sperimentare forme e materiali, dalla terracotta al bronzo, dall'alluminio al ferro e all'acciaio, pur mantenendo rigore ed essenzialità nella composizione al limite dell'ascetismo. Egli nelle sue opere esprime una tensione spirituale che trascende le linee geometriche che caratterizzano molte delle sue sculture per proiettarci in una sorta di iperuranio in cui forme geometriche e formule matematiche ci svelano la cifra e l'incanto in grado di collegare il visibile con l'invisibile, la razionalità con l'emozione, l'umano col divino, il materiale con lo spirituale. (V.P.)

- Chiara Mazzotti
"Acqua e foglie"

L'arte di Chiara Mazzotti oscilla tra una figurazione essenziale e un'astrazione informale magmatica ed evocativa. In alcuni quadri c'è un recupero evidente di uno stratificato retaggio della migliore figurazione italiana degli ultimi cento cinquant'anni: dai macchiaioli ai chiaristi, fino ai cosiddetti "ultimi naturalisti", tra sintesi formale al limite dell'evanescenza e pastosità aggettante della materia pittorica trattata con decisi e al tempo stesso inquieti colpi di spatola. In altre opere troviamo lo spunto narrativo, figurativo, ridursi a mero punto di partenza per avventurarsi in territori di pura esplorazione astratta, informe ed informale, liquida memoria su cui galleggiano le cose come pura materia sensibile, come foglie sull'acqua. (V.P.) (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Alberto Besson, Squarci temporali, 2020
2. Chiara Mazzotti, Ninfee verdi, cm 80x80, 2020
3. Leopoldo Bon, Un incognito ma finito, fotografia stampata su perpex cm 51x47, 2014
4. Rinaldo Degradi, Archeologia, ferro cm 35x15x60




Dipinto a olio su tela di cm 160x120 denominato Cannot Turn Back the Clock realizzato da Hannu Palosuo nel 2022 in una foto di Giorgio Benni Dipinto a olio su tela di cm 60x80 denominato When Tomorrow Comes realizzato da Hannu Palosuo nel 2020 in una foto di Giorgio Benni Dipinto a olio su tela di cm 120x160 denominato Cannot Turn Back the Clock realizzato da Hannu Palosuo nel 2023 Hannu Palosuo
"In My Mind"


10 marzo - 13 aprile 2023
Galleria Carta Bianca - Catania
www.galleriacartabianca.it

Esposte una ventina di opere tra le più significative dell'artista finlandese, presente ben quattro volte alla Biennale di Venezia (2022, 2009, 2011 e 2013). Hannu Palosuo (Helsinki, 1966) ha studiato Storia dell'Arte alla Sapienza e, sempre a Roma, si è laureato all'Accademia di Belle Arti per poi trasferirsi definitivamente nella capitale dove oggi vive e lavora pur non trascurando connessioni e rapporti con il suo paese di origine, sia realizzando in Finlandia numerose e importanti mostre in Musei e prestigiose gallerie, sia portandosi dietro nel suo immaginario pittorico il fascino delle atmosfere nordeuropee.

Come scrive Luca Beatrice, in un testo che accompagnava una personale realizzata qualche anno fa a Torino: I frames di Palosuo, che si tratti di rose, gigli, tulipani, giovani donne solitarie, uomini in abiti eleganti, sono al crocevia tra fotografia e cinema, tra teatralità scenografica e pittura pura. Nella conoscenza della tecnica Palosuo ha pochi rivali. La sua ricerca mira al raggiungimento di un equilibrio alchemico tra soggetto e trattamento materico. È questo il movente di una pittura che, nel ripetersi, appare sempre diversa.

Nel ciclo Cannot Turn Back the Clock Hannu Palosuo realizza dei dipinti cancellando i volti delle persone ritratte con un gesto dolce, di nessuna violenza, anzi quasi a tutela di un riconoscimento caratteriale ed espressivo. Le sue cancellazioni gentili sembrano alludere al processo di omologazione che pervade la società contemporanea che cerca di annullare le differenze che però restano marcate nello stile e nella posa dei protagonisti. Quasi uno specchio su tela da cui viene fortemente stimolata una riflessione più ampia su quel che resta di ogni vita e su quello che può valere di più nella memoria, se i gesti compiuti o le fattezze del viso. Una memoria, sottolineata da un'ombra decisa, che comunque rimane protagonista, anche se al di fuori di una classica riconoscibilità.

Hannu Palosuo vanta numerose esperienze di lavoro artistico in Europa e in paesi come Brasile, Argentina, Uruguay, Estonia, Giordania, Cina e Giappone. Oltre alle partecipazioni alla Biennale di Venezia già sopra citate, è presente al Cairo Biennale nel 2010 ed al Curitiba Biennale nel 2017 e 2019. Tra le mostre in spazi pubblici ed istituzionali si segnalano le personali 2022 Didrichsen Art Museum, Helsinki, Finland; 2019 MAB - Museu de Arte de Blumenau, Brazil; 2018 Macro Roma; 2016 National Museum of Finland; 2013 Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e Reial Cercle Artistic de Barcelona, Spagna; 2006 Herbergenmuseum, München, Germania. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Hannu Palosuo, Cannot Turn Back the Clock, 2022, olio su tela, cm 160x120, foto Giorgio Benni
2. Hannu Palosuo, When Tomorrow Comes, 2020, olio su tela, cm 60 x 80, foto Giorgio Benni
3. Hannu Palosuo, Cannot Turn Back the Clock, 2023, olio su tela, cm 120 x 160, foto Hannu Palosuo




Fotografia realizzata da Giuseppe Umberto Cavaliere Giuseppe Umberto Cavaliere
"Corrispondenze"


Barbara Frigerio Gallery - Milano
www.barbarafrigeriogallery.com/artisti/giuseppe-umberto-cavaliere

Le fotografie di Cavaliere sono il frutto di una ricerca di forme primordiali nel reale quotidiano; l'autore è attratto dal lato emozionale che esse trasmettono, svincolate dal significato che l'oggetto stesso ricopre. Queste forme primitive sono interessanti per la forza del loro simbolismo e per il loro equilibrio. Vi è in questo una componente surreale che unita al silenzio di fondo che sembra regnare in queste immagini ci conduce ad una visione quasi metafisica.

Oltre alla personale lettura della realtà, le fotografie di Cavaliere sono accomunate da una ricerca di equilibrio compositivo e senso estetico. L'autore utilizza esclusivamente la pellicola in bianco e nero; le stampe, sempre di dimensioni contenute, sono tutte realizzate a mano su carta ai sali d'argento. (Comunicato di presentazione)




Locandina della mostra alla Galleria Wikiarte con opere di Romeo Altafini e Nicola Nunziati Romeo Altafini | Nicola Nunziati
11 marzo (inaugurazione) - 23 marzo 2023
Galleria d'Arte Contemporanea Wikiarte - Bologna
www.wikiarte.com

L'arte come punto di convergenza tra mente ed occhio attraverso il gesto; deriva del cuore che prende forma e sostanza, meglio ancora alimento del sottile sentire che infrange lo schema figurativo per vibrare di pura, personale espressività. Sempre segno, spiegato nella singolarità dei soggetti ritratti, popolar-correnti come un meme, o testimoni di un mondo fantastico, figli entrambi dell'immaginario e frutto del vivere contemporaneo.

Paesaggi dell'anima, se non liquide combinazioni cromatiche, nella cui impronta informale leggervi l'importanza del segno quale unico ed intimo veicolo d'espressione. Acquerelli, su tela o cartone le opere del chioggiotto Romeo Altafini: tinte morbide e dinamici interventi, catartici nel gesto che, tradotto in immagine ed impresso al supporto, narrano il variare della pennellata come le sottili linee, che fendono l'intero con metodica alternanza e dedizione.

Vocazione eclettica, eco comune della professionalità in campo medico al pari dell'artista, Altafini, al seguito creativo di Toni Vedù, rivisita in chiave personale il valore dell'atto pittorico, affermando il primato dell'astrazione sull'inevitabile filtro che vela la realtà allorché diviene sua rappresentazione. Ne completano il profilo l'antico legame con l'associazione 'Pittori in Acqua', la creazione di manufatti, dai rilievi in plastica dipinta o con inserti industriali, delineando e sottolineando la duttilità della creazione artistica quale prima essenza di un libero sentire.

Da Gnoli, Adami e Botero, tra cui spicca Picasso quale elemento fondante della sua crescita artistica, Nicola Nunziati trae fonte in termini di forma, luce e cromie impiegate, tracciando un percorso d'impronta cubista che riconduce a figure di oggetti e soggetti contemporanei. La rappresentazione che ne segue, sospinta da un forte orientamento alla ricerca, pur sempre scandito dalla centralità del colore, descrive l'attualità del meme come la figura del cavaliere oscuro. Per contrappasso, frutto entrambi di una profonda interazione e percezione del contesto circostante: i primi, a rifletterne l'etimologia greca del termine, per cui un'idea, uno stile se non un'immagine si diffondono, tramite i media come attraverso le relazioni, diventando popolari.

Ed il secondo, dalle idee di Finger e Kane, come un tuffo tra i ricordi più vivi d'infanzia e contrapposto alla cupa bivalenza che ne anima l'operato, seguendo una lettura dove oltre l'azione e l'immaginario, ritrovare l'uomo, ferito nell'anima in tenera e giovane età; la stessa, in cui Nunziati ha colto l'essenza comunicativa del segno e del tratto. (Testo critico e presentazione: Pietro Franca)




Fotografia scattata da Ugo Mulas denomina denominata Le Opere degli Artisti Pop trasportate in Laguna presentata alla XXXII Esposizione Biennale Internazionale d'Arte Venezia del 1964 Ugo Mulas
"L'operazione fotografica"


29 marzo - 06 agosto 2023
Le Stanze della Fotografia - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia

La mostra, presentata in occasione dell'inaugurazione del nuovo centro dedicato alla fotografia, Le Stanze della Fotografia - iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini - è stata realizzata in collaborazione con l'Archivio Ugo Mulas e curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, direttore dell'archivio. Per onorare il 50° anniversario della morte di Ugo Mulas, un'ampia ed esaustiva retrospettiva con oltre 300 immagini, tra cui fotografie mai esposte prima, documenti, libri, pubblicazioni e film, offrono una sintesi capace di offrire una lettura che si apre alle diverse esperienze affrontate da Ugo Mulas, fotografo trasversale a tutti i generi precostituiti e capace di indagare i diversi temi che lo hanno portato a diventare una delle figure più importanti della fotografia internazionale del secondo dopoguerra. (Comunicato Galleria Lia Rumma)

Immagine:
Ugo Mulas, Le opere degli artisti pop trasportate in Laguna. XXXII Esposizione Biennale Internazionale d'Arte Venezia, 1964




Autoritratto di Gino Galli Gino Galli (1893-1944)
La riscoperta di un pittore tra Futurismo e Ritorno all'ordine


10 marzo - 06 maggio 2023
MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell'Università La Sapienza di Roma
www.museolaboratorioartecontemporanea.it

Allievo prediletto di Giacomo Balla, tra gli esponenti storici del Futurismo già dal 1914, autore e firmatario di importanti testi teorici, condirettore della rivista «Roma Futurista» (con Balla, Giuseppe Bottai e Enrico Rocca) e protagonista, nel 1919 e nel 1921, di due mostre personali presso la Casa d'arte Bragaglia di Roma, una delle più importanti gallerie dell'epoca. Nonostante tutto questo, Galli è stato fino a oggi un artista quasi del tutto ignoto anche alla storiografia sul Futurismo, salvo rare citazioni e non di rado errate, a partire dalla data di morte (quasi ovunque posticipata di dieci anni).

L'esposizione, la prima in assoluto dedicata a Galli a più di cento anni di distanza dalle due personali alla Casa d'Arte Bragaglia e a quasi ottanta anni dalla morte, prova a ricostruirne il cammino: pittore solitario, tormentato, omosessuale, appassionato di occultismo... Si tratta dunque della riscoperta di un protagonista controverso, ma di primo piano, dell'arte del Novecento, di cui sono presentati circa cinquanta dipinti - dagli esordi prefuturisti agli anni Quaranta - provenienti da collezioni private ad eccezione di tre opere (una dalla Galleria Nazionale d'arte Moderna e Contemporanea e due dalla Fondazione Brescia Musei) unitamente a documenti originali. Tutti materiali inediti, salvo rare eccezioni.

La mostra - di impianto scientifico, ma con suggestivi elementi di narrazione - affronta anche il nodo della "sparizione" di Galli dopo un esordio folgorante che lo vide protagonista di primo piano nei ranghi dell'avanguardia futurista. Viene infatti esposta anche la sua produzione degli anni Venti, Trenta e Quaranta, durante i quali l'artista aderirà agli stilemi del "Ritorno all'ordine" e soprattutto a un Realismo magico carico di simbologie, dando vita a opere - ritratti, paesaggi, nature morte - di grande originalità e intenso cromatismo. Specifica del pittore anche la produzione di quadri di soggetto erotico, eccezionalmente di grandi dimensioni (cosa rara nella storia dell'arte), di cui si presenteranno alcuni esemplari.

Mostra a cura di Edoardo Sassi, giornalista del Corriere della Sera e Giulia Tulino, assegnista di ricerca (Sapienza Università di Roma), realizzata con il coordinamento scientifico di Ilaria Schiaffini, docente di Storia dell'arte contemporanea e direttrice del MLAC. Il catalogo, edito da De Luca Edizione d'arte, a cura di Edoardo Sassi e Giulia Tulino, con una introduzione di Ilaria Schiaffini e una prefazione di Claudia Salaris presenta i contributi critici di: Giancarlo Carpi (Accademia di Belle Arti Sanremo), Antonella Pesola (Archivi Gerardo Dottori - Perugia), Enrico Bittoto (studioso e collezionista), Tommaso Mozzati (Università degli Studi di Perugia), Massimo Rossi Ruben, Simona Magrelli e Claudio Carbonaro (Studio di restauro e conservazione opere d'arte), Claudio Falcucci (studio M.I.D.A. - Metodologie di Indagine per la Diagnostica Artistica) e apparati di Alessandro Sarlo. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)

Immagine:
Autoritratto di Gino Galli




Dipinto ad acrilico su tela di cm 80x80 denominato Là dove la Parola nutre realizzato da Claudio Mario Feruglio nel 2020 Claudio Mario Feruglio
"Del silenzio e della luce"


13 marzo - 02 maggio 2023
Palazzo del Consiglio regionale - Trieste
Presentazione

«Ho sempre cercato di dipingere - dice di sè il maestro - non dal vero, ma l'incontro del mio pensiero con la verità. La mia pittura è una forma di preghiera, un andare oltre le cose del mondo. Forse neppure io mi rendo conto di quanto di meravigliosamente bello sta avvenendo in me quando dipingo. Un dono di grazia! Spero di essere riuscito a cogliere con le mie pitture almeno qualche briciola di infinito. Mi auguro che chi osserverà i miei quadri possa vivere questa esperienza, lasciandosi ammaestrare dalla luce del silenzio. Abbiamo bisogno di un'arte di valori che contribuisca a diffondere la cultura della bellezza. Una bellezza interrogante che scuota dal torpore le coscienze e le indirizzi verso la vera luce.»




Dipinto in acrilico su tela di cm 80x100 denominato Vita Nova realizzato da Marialuisa Sabato Dipinto in acrilico su tela di cm.200x100 denominato Inno alla gioia realizzato da Marialuisa Sabato Dipinto in acrilico su tela di cm 100x80 denominato Assolo realizzato da Marialuisa Sabato Marialuisa Sabato
"Vita Nova"


11 marzo (inaugurazione) - 23 marzo 2023
Galleria Arianna Sartori - Mantova
info@ariannasartori.191.it


- Vita Nova: pagine e memorie di un racconto intimo
Dipinti di Marialuisa Sabato


di Gianfranco Ferlisi

Ci sono motivi profondi che inducono gli artisti di ogni stagione del mondo a riattualizzare e tematizzare rimembranze dantesche. Per questo Marialuisa Sabato intitola la mostra "Vita Nova". Ma se l'impetuosa dolcezza delle rime dantesche esplorava il campo fenomenico dell'amore e di una felice rinascita alla vita, l'artista si sofferma a esplorare la sinfonia del trascorrere delle stagioni e di un risveglio alla vita: un percorso interiore che sottintende i legami simbolici fra primavera e rifioritura spirituale, fra primavera e fecondità, fra primavera e femminilità: emerge con forza in tutte le opere un'innata predisposizione alla visionarietà e al fabulistico, che permette di sfogliare le pagine del suo mondo. È così che le tele si caricano di intime memorie, lasciando scorrere un flusso immaginifico che trascende il momento presente e trasmette un senso ultra-temporale e poetico.

È come se l'artista volesse arrivare ad un'arte del cuore, finalizzata a suggerire e a moltiplicare il significato dell'opera sottintendendone messaggi nascosti. È certo che i suoi soggetti riferiscono e sviluppano un amore per Franz Marc, grande protagonista dell'arte di inizio Novecento. In un'evocazione dell'opera di Marc gli animali di Marialuisa Sabato sembrano ridestarsi, tornando ad essere protagonisti della pittura. Diventano metafora di innocenza, di slancio vitale e di autenticità, di rivelazione della purezza della natura. Per questo nei suoi quadri Marialuisa Sabato assume il punto di vista e la visione del mondo delle sue creature umanizzate, mentre il colore con cui rappresenta il loro mondo si allontana dalla raffigurazione della realtà per assumere valenze simboliche.

Nelle opere dell'artista abita una dimensione fantastica, che riesce a comporre, con la felice solitudine dei suoi animali, situazioni cariche di significati inattesi, allegorici e astratti: sono comunque i significanti specifici a creare un linguaggio originale e diverso, dove per significante si intende quell'intreccio di strumenti espressivi che è in grado di produrre, di volta in volta, significati diversi. Luce, colore, spazi, e struttura delle immagini: l'artista realizza una contaminazione felice, per liberare, su una strada fiabesca, le diverse potenzialità creative.

Il colloquio con Franz Marc ci rammenta che l'arte è dialogo, al di là della dimensione temporale, culturale e geografica, e che si nutre, come in un racconto scritto, di linguaggi già vissuti. E allora, per tornare alle sue tele e per capirne la peculiarità, ecco emergere, sulla loro delicata superficie, i segni di un linguaggio pieno di poesia e di isolamento elegiaco: una specie di canto contemporaneamente privato e allusivo, solitario e scoperto, complesso e immediato. Come Franz Marc anche l'autrice chiede di rimanere "estranea al mondo" e lontana dall'arte ufficiale della contemporaneità: per lei è importante, soprattutto, il sedimento delle componenti immaginative, quello che la vita non è in grado di spiegare e che la banalità della comunicazione quotidiana non riesce a trasmettere.

Per questo nelle sue opere, evocative della primavera, ogni elemento si offre come un sogno, che ci porta in un universo rarefatto e intimo. E anche se il processo che ha prodotto questi sogni origina sempre dall'osservazione del quotidiano, la realtà smarrisce presto i suoi contorni per restituire il miracolo immaginifico della pittura. Marialuisa Sabato trasforma dunque, grazie all'atto creativo, elementi che registrano l'osservazione puntuale della natura nel transito verso la stagione più bella, quando e dove i cieli sfuggono ai capricci del clima, o rinverdiscono le fronde degli alberi, o riprende la vita paga degli animali immersi in un colloquio di silenzi e di intermittenze emotive.

È la metafora di un viaggio poetico, una fantasia in cui sono impresse le tracce incantate di un'eterna fanciullezza, luoghi azzurri dell'anima in cui svolazzano colibrì e martin pescatori. Osservo "Inno alla gioia", dove l'impianto cromatico si accende di un imprevisto rosso e dove le corrispondenze accennano a una donna dolcissima che parla di alberi che si animano: un crescendo della dimensione onirica da cui emergono le giacenze affettive e i sentimenti più sinceri. In "Vita Nova" (una sublime e recentissima tela del 2023) anche l'artista rinasce con un corpo floreale: come una ninfa di antica memoria si ridesta ora alla vita, mentre la materia della pittura si rapprende tra celesti blu e viola, che luccicano come cieli privi di nuvole, come azzurri mediterranei di giorni sereni.

La materia che si rinsecca, che sfuma e si sfrangia come un'onda interiore si relaziona con "L'incontro" oppure con l'"Assolo" di un cervo a primavera. E non sembri irriverente evocare, come colonna sonora di questi estatici scorci di natura e di primavera, la suggestione dei versi di Riccardo Cocciante: "Io rinascerò | cervo a primavera | oppure diverrò | gabbiano da scogliera | senza più niente da scordare | senza domande più da fare [...] e mi trasformerò in qualcuno | che non può più fallire | una pernice di montagna | che vola eppur non sogna | in una foglia o una castagna...".

E la stessa musicalità appartiene a "La danza del vento", che mostra blu notturni e voli di eterni migratori tra tracce cromatiche delicatissime: punteggiatura di frammenti narrativi che rimandano ai nessi occulti tra gli elementi incontaminati della terra. Arte e intuizione, sapienza pittorica, stato di grazia e intensità emozionale: l'artista libera così la sua vocazione a superare la rappresentabilità del reale, ad andare oltre la barriera della concretezza, a darci una visione del mondo che, proprio perché assolutamente intima e privata, chiede risposte emotivamente segrete e private. Dal concetto di felice rinascita eravamo partiti e allo stesso concetto siamo dunque ora approdati.

Il percorso artistico di Marialuisa Sabato si è dipanato veramente in una Nuova Vita, che si snoda in uno scenario lieve e leggiadro, pieno di sogni e di universi multiformi e multicolori. La dolce rimembranza della poesia dantesca è diventata momento d'arte, strumento emozionale di immedesimazione e di meraviglia, capace di arrivare, più che allo sguardo e alla mente, al cuore.

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Marialuisa Sabato si diploma in Pittura nel 1994 presso l'Accademia Belle Arti di Bari. Scrive ed illustra libri per bambini e ragazzi ed espone le sue opere (mostre personali e collettive) in Italia (Roma, Milano, Torino, Venezia, Bologna, Udine, Napoli, Salerno Monza, Ferrara, Reggio Emilia, Cremona, Pisa, Vercelli, Matera, Sanremo, Carrara, Taormina... e molte altre), e all'estero a New York, Londra, Basilea, Stoccarda, Berlino, in Giappone, a Innsbruck e, recentemente, al Museo Nazionale di Zenjanin in Serbia. La mostra "Vita Nova" è curata da Arianna Sartori.

Tra le sedi espositive più importanti: il Palazzo dei Duchi di Santo Stefano a Taormina; il Palazzo Fruscione a Salerno; il Museo Casa Natale di Cesare Pavese (CN); il Museo dei Campionissimi di Novi Ligure (AL); il Museo di Storia Naturale di Tirana; la Fondazione Marazza di Borgomanero (NO), dove è stata invitata ad esporre le sue opere ed è stata premiata due volte con le sue filastrocche; il Palagio di Parte Guelfa a Firenze; Il Palazzo Ducale a Genova; l'Auditorium Diocesano della Vallisa e la Chiesa di Santa Teresa dei Maschi a Bari.

Alcune sue opere sono in permanenza nel Museo di Cuccaro Monferrato (AL), dedicato a Cristoforo Colombo, nel Museo d'Arte contemporanea di Orsara (FG), nel Museo Sartori di Mantova (collezione Adalberto Sartori), nella Casa Museo Sartori di Castel d'Ario (MN) e nel MACO Museum di Veroli (FR). (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Marialuisa Sabato, Vita Nova, acrilico su tela cm.80x100
2. Marialuisa Sabato, Inno alla gioia, acrilico su tela cm.200x100
3. Marialuisa Sabato, Assolo, acrilico su tela cm.100x80

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Artisti Italiani 2022
Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea a cura Arianna Sartori

Presentazione

Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione
Presentazione




Locandina della mostra Olivetti en Mexico Olivetti en Mexico. Diseño, comunicación, arquitectura
07 marzo (inaugurazione) - 27 aprile 2023
Facoltà di Design dell'Università Anahuac - Città del Messico
www.archiviostoricolivetti.it

La mostra illustra la dimensione concreta della politica culturale e industriale di Olivetti in America Latina (Messico, Brasile, Argentina, Colombia), con particolare attenzione al ruolo della società nella diffusione della cultura del progetto in Messico. Il titolo della mostra, infatti, evoca l'azione del "fare" e del "produrre", ma anche il saper pragmaticamente "comunicare" le qualità estetiche e tecnologiche dei prodotti realizzati da Olivetti, azienda italiana fondata più di 110 anni fa ad Ivrea, diventata nel 2018 Patrimonio Mondiale UNESCO come "Ivrea, città industriale del XX secolo". Mostra a cura dell'architetto Pier Paolo Peruccio del Politecnico di Torino e allestita dall'architetto Alessandro Colombo, con l'assistenza museografica di Lilian Gonzalez.

La mostra si compone di tre sezioni:

- I 110 anni di storia dell'Olivetti, con particolare attenzione al suo progetto industriale e sociale: macchine da scrivere, calcolatrici, informatica, grafica, pubblicità e comunicazione; ma anche servizi sociali per i lavoratori, riviste, editoriali, progetti culturali, piani urbanistici.

- Gli anni Cinquanta e Sessanta, con l'arrivo dei primi computer e le prime riflessioni sulla sostenibilità ambientale e sul futuro del pianeta (Peccei, direttore generale dell'Olivetti dal 1964 al 1967, fu il fondatore del Club di Roma). Sono gli anni di ELEA 9000 e del primo personal computer, Programma 101.

- Il ruolo della Olivetti in Messico (presente dal 1949), dove negli anni '60 apre tre stabilimenti (Apizaco, Tepeaca, Toluca) e si specializza nella produzione di macchine da scrivere. Nel 1968, in occasione delle Olimpiadi, Olivetti (facendo tesoro delle positive esperienze delle Olimpiadi del 1960 e del 1964) riceve l'incarico di allestire l'intero sistema mediatico dell'evento, dalla progettazione architettonica dei 19 centri stampa alla progettazione degli arredi, la progettazione del materiale promozionale e la campagna pubblicitaria dell'evento. Olivetti si è anche occupata di fornire tutte le attrezzature tecnologiche (macchine da scrivere, calcolatrici, telefoni, telegrafi, telex) e molti materiali grafici che sono stati integrati nell'identità globale delle Olimpiadi messicane.

Il 7 marzo prevista una tavola rotonda dal titolo "Comportamento, Sostenibilità, Benessere Sociale: Olivetti in Messico e le Olimpiadi del 1968". L'Associazione Archivio Storico Olivetti ha contribuito alla realizzazione della mostra fornendo materiali storici inseriti nel percorso espositivo. (Comunicato stampa)




Dipinto a olio su tela di cm_50x70 denominato Tigre con cerbiatti realizzato da Antonio Ligabue nel 1960-61 Autoritratto di Antonio Ligabue dipinto a olio su faesite di cm 275x18 realizzato nel 1956 Dipinto a olio su faesite di cm 265x32 denominato Sciacallo con paesaggio realizzato da Antonio Ligabue nel 1956 Antonio Ligabue
Terra: luogo d'origine, campo di lavoro, scenografia di una impresa


18 marzo (inaugurazione) - 12 aprile 2023
Galleria de' Bonis - Reggio Emilia
www.galleriadebonis.com

La Galleria de' Bonis, al culmine di un lungo e selettivo lavoro di ricerca, presenta la sua prima mostra monografica dedicata ad Antonio Ligabue. Quindici opere ad olio per un nuovo progetto espositivo che celebra il grande artista e la sua terra, indagando il suo viscerale legame con la natura. A differenza di altri pittori, Ligabue non sembra osservare la natura per riportarla in modo descrittivo, ma sembra dichiarare pittoricamente la propria appartenenza ad essa, raccontandola dall'interno. Le opere esposte, infatti, sono scene di genere che narrano il lavoro nei campi, animate da contadini, solidi e massicci, come i cavalli da tiro che hanno al fianco, stanchi, al rientro da una giornata spesa a lavorare la terra, ma sereni: "...e intanto riede alla sua parca mensa, fischiando, il zappatore, e seco pensa al dì del suo riposo..." (Giacomo Leopardi).

La scelta della Galleria de' Bonis spazia tra la terra natia del grande pittore, la Svizzera, riconoscibile in paesini caratteristici e in castelli che sembrano uscire da una fiaba, e la terra che lo ha accolto, la pianura padana, con i suoi campi e la sua tipica vegetazione. La meraviglia non si ferma qui: lo sguardo libero e indagatore di Ligabue continua a volare oltre e si posa, allo stesso modo, sulla semplicità di una lumachina alla quale dedica una piccola tela, ma anche sull'esotismo di una tigre feroce e di uno sciacallo, per finire attratto dal sul suo stesso viso, che ritrae in un quanto mai sintetico, ma geniale, autoritratto.

Un nucleo della mostra è infine dedicato a dipinti che rappresentano cani, una raccolta unica nel suo genere. Questa sezione comprende opere del I°, II° e III° periodo, abbracciando l'intera produzione dell'artista. Dai dipinti si affacciano vivaci cani da caccia, un cagnolino sperduto nei campi, un altro accanto ad un cavallo da corsa e infine un piccolo cane nero, stanco, che rientra dal lavoro insieme al suo padrone. Ogni quadro è un racconto perfetto, una scenografia magistralmente eseguita, in cui tutti i dettagli, anche i più minuti, come la piccola cicogna adagiata su un comignolo, recitano una parte sublime.

Ligabue si incanta di fronte ad insetti, fili d'erba e animali, ma anche dinnanzi ad un viso umano, con lo stesso stupore ammirato di chi è immerso completamente nella natura e non ha ricevuto un'educazione tradizionale. «Pochi altri artisti - conclude il gallerista Stanislao de' Bonis - riescono a farci vedere il mondo con questi occhi, e questo è un valore senza prezzo». La mostra è accompagnata da un catalogo con introduzione di Sergio Negri. (Comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Ligabue, Tigre con cerbiatti, 1960-61, III periodo, olio su tela cm 50x70
2. Autoritratto di Antonio Ligabue, 1956, III periodo, olio su faesite cm 275x18
3. Antonio Ligabue, Sciacallo con paesaggio, 1956, III periodo, olio su faesite cm 265x32




Fotografia denominata Glass Tears realizzata da Man Ray nel 1976, foto di Renato Ghiazza Man Ray. Opere 1912-1975
11 marzo - 09 luglio 2023
Palazzo Ducale - Genova

La mostra rende omaggio al lavoro del grande maestro Emmanuel Radnitzky (Filadelfia, 1890 - Parigi, 1976), in arte Man Ray, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore e regista d'avanguardia. La mostra - curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola - raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e film: il percorso espositivo è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile per tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.

La volontà dell'artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all'ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l'aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell'ignoto». La mostra si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.

Un viaggio che comincia - nella prima sezione - con una serie di autoritratti dell'artista, nei quali già si ritrova quell'idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità. Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell'arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell'ambiente artistico.

La seconda sezione della mostra - "New York" - racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l'artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l'amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell'avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento.

È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell'arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l'idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile.

La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla "scoperta della luce". Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall'intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell'evasione dell'artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l'anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d'oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone.

Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell'epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell'artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d'Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque.

Nella "Ville Lumière", Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell'arte e della cultura. È così che l'artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile.

La mostra prosegue con le sezioni "Corpo surrealista" e "Corpo, ritratto e nudo". Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell'artista esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l'heure de l'observatoire - Les Amoureux, con le labbra di Lee Miller ingigantite che volano sopra il paesaggio, un'altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carriera, per giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità.

Un punto cardine nella storia del movimento è l'Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all'interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins (1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell'avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all'Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute couture da modelle femminili, tra cui la compagna dell'epoca Ady Fidelin.

In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l'erotismo e l'amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell'autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività. Il 1940 segna l'anno del ritorno di Man Ray in America - prima a New York e successivamente a Los Angeles -, un ritorno causato dall'impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti.

Nella sezione "Los Angeles/Paris" vengono indagati gli anni in cui l'artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).

La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell'arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l'arte, con infinita ironia e intelligenza. La mostra evidenzia l'originalità, le innovazioni e i contributi dell'artista nell'evoluzione e nell'ideazione anche del cinema d'avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali - tra le altre - Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L'Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929).

Il catalogo, edito da Dario Cimorelli Editore, contiene la riproduzione di circa 150 opere, i saggi dei due curatori e un saggio di Matteo Fochessati dedicato al fondamentale rapporto tra Man Ray e l'editoria d'arte: si tratta di una delle tante particolarità della mostra, nella quale sono esposti alcuni dei preziosi volumi composti da Man Ray insieme ai compagni di strada surrealisti, tra cui i celebri e scandalosi Facile e 1929, realizzati con i poeti e amici Paul Eluard, Benjamin Peret e Louis Aragon. (Comunicato Massimo Sorci - Ufficio stampa Palazzo Ducale)

Immagine:
Man Ray, Glass Tears, 1976, Photo by Renato Ghiazza




Locandina della mostra L'arte della moda L'arte della moda
L'età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968


18 marzo - 02 luglio 2023
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostremuseisandomenico.it

Tintoretto, William Hamilton, George Romney, Francesco Hayez, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, James Tissot, Giovanni Boldini, Vittorio Corcos, Henry Matisse, Josef Hoffmann, Giacomo Balla, Piet Mondrian, Umberto Boccioni, Giorgio de Chirico, Damien Hirst insieme con Charles Frederick Worth, Ventura, Mariano Fortuny, Paul Poiret, Salvatore Ferragamo, Coco Chanel, Germana Marucelli, Valentino Garavani e Pierpaolo Piccioli, Giorgio Armani, Christian Dior di John Galliano, Gucci, Prada, Tom Ford, Cristobal Balenciaga, Yohij Yamamoto: sono soltanto alcuni dei 100 artisti e dei 50 stilisti e couturier protagonisti della mostra.

Diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Enrico Colle, Fabiana Giacomotti e Fernando Mazzocca, l'esposizione è dedicata all'affascinante rapporto fra arte e moda. Il periodo preso in considerazione attraversa tre secoli: dall'Ancien Régime al secondo Novecento. Un racconto unico. Un percorso espositivo di confronti che comprende oltre 300 opere, tra quadri, sculture, accessori, abiti d'epoca e contemporanei. L'esposizione forlivese, la prima del suo genere, somiglia a un vero e proprio kolossal.

Le opere, che a partire dal Settecento attraversano la Rivoluzione francese, il Romanticismo, la Macchia, l'Impressionismo, il Simbolismo e tutte le Avanguardie novecentesche fino a oggi, identificano un rapporto tra arte e moda dove l'arte rispecchia, crea e si fa moda e la moda appartiene definitivamente alle arti. La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula e promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Come cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo

Tra le opere esposte Ritratto dell'avvocato Carlo Manna (1907) di Umberto Boccioni, Ritratto di Emiliana Concha de Ossa (1888) di Giovanni Boldini, Grande composizione A con nero, rosso, grigio giallo e blu (1919) di Piet Mondrian, Donna e anemoni (1920-1921) di Henry Matisse a cui fanno da contrappunto due completi ricamati di Giorgio Armani, il Panciotto di Marinetti (1923 - 1924) di Fortunato Depero, la Camicia Orlando (A/I 2001-02) di Gianfranco Ferré, il Delphos in seta con sopravveste in velluto (1920 circa) di Mariano Fortuny in dialogo con una Kore di tipo Eleusi della fine del II secolo, l'Abito da giorno "Linea Assira" (1961) di Germana Marucelli e un abito da sera inedito di Elsa Schiaparelli.

Accompagnato dal catalogo edito da Dario Cimorelli Edizioni, il progetto espositivo, curato dall'architetto Alessandro Lucchi, si è avvalso della preziosa collaborazione dei più importanti musei d'arte, degli archivi, dei musei e maison di moda. L'esposizione forlivese porta in Italia capolavori provenienti da importanti istituzioni museali internazionali quali, tra gli altri, il Musée d'Orsay di Parigi, la Galleria Belvedere di Vienna, il Musée d'Art et d'Histoire di Ginevra, la Klimt Foundation e il MAK- Museum of Applied Arts, di Vienna, la Galerie Neue Meister di Dresda, Le Domaine de Trianon | Château de Versailles, il Kunstmuseum de l'Aia, il Museum National di Cracovia, il Castello Reale di Varsavia. Prestigiosi anche i prestiti degli abiti e degli accessori provenienti da fondamentali case di moda.

Ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e il Museo Civico San Domenico, la mostra è frutto del lavoro del prestigioso comitato scientifico presieduto ad honorem da Antonio Paolucci e composto da Marco Antonio Bazzocchi, Silvia Casagrande, Simona Di Marco, Fabriano Fabbri, Mario Finazzi, Gioia Mori, Francesco Parisi, Paola Refice, Giorgio Restelli, Stefania Ricci, Ines Richter, Chiara Squarcina, Ulisse Tramonti. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Aaron Schuman
"Sonata"


10 marzo (inaugurazione) - 22 aprile 2023
Micamera - Milano
www.micamera.com

Sonata è un ampio corpo di lavoro composto da immagini realizzate da Aaron Schuman in Italia nell'arco di quattro anni. Presentato inizialmente in un volume monografico edito nel 2022 dagli inglesi di MACK, acclamato dalla critica, trae ispirazione da Viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe (1786-1788) e ricerca quelle che Goethe definiva le "impressioni dei sensi". Come Goethe nei suoi viaggi in terra italiana, Schuman cerca risposte alle stesse riflessioni introspettive: "L'esenziale si è, che io prendo di bel nuovo interessamento alle cose di questo mondo; che io cerco di bel nuovo di esercitare il mio spirito di osservazione, per quanto i miei lumi e le mie cognizioni lo consentono; che la mia vista è pronta ad afferrare rapidamente quanto si offre allo sguardo; e che il mio animo può di bel nuovo esercitare le sue facoltà, le quali erano rimaste oppresse ed irrigidite."

Sonata non cerca di cogliere e raccontare la realtà oggettiva; piuttosto, la filtra consapevolmente, rileggendola attraverso i miti, le idealizzazioni, le fascinazioni e le fantasie associate al nostro paese e a ciò che ha rappresentato nell'immaginario degli innumerevoli viaggiatori che lo hanno visitato nel corso dei secoli. Schuman stesso. prima con i suoi genitori, poi con la moglie e i figli - ha sviluppato fin dall'infanzia un legame viscerale, quasi primordiale, con l'Italia; un legame che è certamente, evidentemente quello di uno straniero, ma che è comunque forte, intuitivo, profondamente sincero e personale. Con Sonata, Schuman ci invita a esplorare un'Italia tanto simbolica quanto reale: intrisa dell'euforia e del terrore, dell'armonia e della dissonanza delle sue eredità culturali e storiche, eppure sempre nuova, rinvigorente e risonante nelle sue suggestioni sensoriali e psicologiche.

Micamera presenta una mostra e un'installazione site-specific di Sonata, concepita e realizzata in collaborazione con l'artista stesso. Oltre alle bellissime stampe, l'esposizione includerà anche una selezione di oggetti provenienti dalla collezione personale di Schuman, fotografie ed ephimera che hanno imperniato questo lavoro, e dialogherà con una selezione curata di libri dagli scaffali di Micamera.

Aaron Schuman è fotografo, scrittore e curatore. È autore di diverse monografie acclamate dalla critica, tra cui Sonata (MACK, 2022), Slant (MACK, 2019) e Folk (NB Books, 2016). che sono state citate regolarmente da numerosi fotografi, critici e pubblicazioni nelle liste e nelle recensioni annuali dei "Migliori libri fotografici dell'anno", tra cui The Guardian, Time, Internazionale, The New York Times, American Suburb X, Photoeye, Photobookstore Magazine e Deadbeat Club Press, e sono state inserite nella longlist del Deutsche Börse Photography Prize. Oltre a sviluppare progetti fotografici propri, Schuman ha scritto testi per molte pubblicazioni. Collabora regolarmente con varie riviste. Schuman è stato anche fondatore e curatore editoriale della rivista SeeSaw Magazine (2004-2014) ed è attualmente direttore del programma di fotografia del master presso la University of the West of England (UWE Bristol). (Comunicato stampa)




Opera di Serse nella mostra Bianchi e Neri Serse. Bianchi e Neri
22 aprile (inaugurazione ore 11) - 11 giugno 2023
Reggia di Colorno (Parma)

Un racconto in bianco e nero di Serse. Sono "paesaggi dell'anima" quelli che l'artista triestino propone in questa mostra. Offrendo un percorso attraverso quei paesaggi, dalla natura incontaminata fino all'architettura che li abita e ne interpreta il senso. La mostra ed il catalogo (edito da Gruppo Spaggiari) sono a cura di Didi Bozzini. "I disegni di Serse - scrive il curatore - non sono gli esercizi di un virtuoso iperrealista, ma le pagine di un racconto. Da leggere, da "ascoltare con gli occhi", come se fossero i fogli del diario di un calligrafo. Oppure, le annotazioni minuziose di una fenomenologia dello sguardo. O ancora, i versi di un poema romanticamente ispirato alla sublimità della natura. Una scrittura di pietra, di luce e d'acqua, che parla della mente, dell'occhio e della mano. Un racconto con una sola voce narrante, diversi scenari e più strati di significato".

"La superficie monocroma è invariabilmente in bianco e nero. Screziata dalla vibrazione delle tonalità di grigio che il chiaroscuro genera tra il bagliore e la tenebra, in un'apparente assenza di colore. Solo apparente, perché in realtà quelle nuances di perla o d'antracite sono veri e propri colori, i colori del pensiero. Cioè le sfumature della riflessione con cui l'artista tramuta le cose prima in idee e poi in figure. Perché, come ricordava Annibale Carracci, "disegnare è pensare con le mani".

"Lo strumento di lavoro privilegiato, pressoché unico, è la matita di grafite. Prolungamento minerale della mano, che deposita sul foglio bianco le tracce della propria fatica. I sedimenti di un tempo lungo, meditativo, in cui il fare assume la forma di una liturgia laica. Ripetuta all'infinito, fino all'incantesimo. Fino all'apparizione di un'immagine della realtà, che sembra una fotografia, ma è un disegno. Il disegno di una fotografia".

Dice Serse: "Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la distingue e che ci attraversa lasciando in noi indelebili i segni della sua grandezza. I paesaggi che disegno non rinviano ad alcunché di esterno, ma a quella "immensità interiore" così cara alla poetica romantica. Sono dunque paesaggi dell'anima". Il fulcro della pratica artistica di Serse (San Polo di Piave, 1952) è il disegno a grafite su carta. Dalla grafite di Serse nasce una delle più intense rivisitazioni del tema-paesaggio nell'arte contemporanea: mari, superfici acquatiche, riflessi vegetali sull'acqua, cieli nuvolosi, alte montagne, boschi innevati e spazi naturali privi di figure umane e trasformati da luce e ombra. Per Serse, la tecnica della grafite "consente sia di compiere il gesto tautologico del disegno, sia di realizzare un'opera che non mente sulla sua natura di puro disegno". (Estratto da comununicato ufficio stampa Studio Esseci)




Vivian Maier
"Shadows and Mirrors"


23 marzo - 11 giugno 2023
Palazzo Sarcinelli - Conegliano

La mostra, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano. "Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa", così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell'artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell'obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.

La mostra ripercorre l'opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell'artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante. Vivian Maier fotografò per più di quarant'anni, a partire dai primi anni '50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce.

Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l'hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.

L'allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell'autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni '50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata Shadow (l'ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L'ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea.

È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il Reflection (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l'artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l'idea di auto-rappresentazione. L'autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l'invisibile, il riconoscibile e l'irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi.

Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l'immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al Mirros (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l'artista affronta il proprio sguardo.

"La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa", scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un'icona della storia della fotografia. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Mostre in Italia di Vivian Maier




Locandina mostra dedicata a Vittore Carpaccio Vittore Carpaccio
Dipinti e disegni


18 marzo - 18 giugno 2023
Palazzo Ducale - Venezia

In mostra sono riunite soprattutto opere oggi in musei e collezioni internazionali, oppure in chiese degli antichi territori della Serenissima, dalla Lombardia all'Istria e alla Dalmazia: opere che illustrano compiutamente la varietà e l'altezza della pittura di Carpaccio, seguendone anche l'evoluzione; fino al capitolo conclusivo della sua carriera, tra secondo e terzo decennio del Cinquecento, quando l'arte del maturo maestro, pur rimanendo colta e suggestiva, pare non tenere il passo delle novità tematiche e tecniche introdotte da Giorgione. La curatela del progetto è stata affidata a Peter Humfrey, riconosciuto specialista del pittore e del suo contesto, con Andrea Bellieni, curatore dei Musei Civici di Venezia, e Gretchen Hirschauer, curatrice della pittura italiana e spagnola alla National Gallery of Art di Washington.

Carpaccio (1465 ca. - 1525 o 1526) era anche un disegnatore superlativo: dal notevole corpus dei suoi disegni - il maggiore pervenuto a noi di un pittore veneziano del suo tempo - in mostra sono presenti numerosi studi su carta, spesso straordinari di per sé, che spaziano da rapidi schizzi compositivi d'insieme ad accurati studi preparatori di teste e pose. La mostra al Ducale propone ben 70 opere dell'artista, di cui 42 dipinti e 28 disegni, sei dei quali sono recto / verso, per cui le opere da ammirare nel complesso salgono a 76.

"Questa mostra - evidenzia Andrea Bellieni - nasce dall'esigenza di guardare con occhi nuovi a questo grande pittore, soprattutto alla luce di recenti restauri rivelatori e della scoperta di significativi inediti: una preziosa opportunità per la Storia dell'Arte, ma anche per il pubblico, di fronte alla pittura di irresistibile fascino di un tale 'antico maestro' ". La mostra è stata l'occasione per sviluppare la collaborazione tra Fondazione Musei Civici di Venezia e Istituto Italiano di Tecnologia che rappresenta l'eccellenza della ricerca italiana nell'ambito della conservazione e dello studio del patrimonio culturale, potenziata anche dalla partnership con AerariumChain.

Carpaccio formò e alimentò la sua arte nella tradizione pittorica veneziana dei Bellini, dei Vivarini, nonché di altre influenti personalità e tendenze, come la lezione dei toscani, dei ferraresi, di Antonello da Messina, dei tedeschi (Dürer) e dei 'primitivi' fiamminghi. Ne derivò una personalità subito originale e autonoma, soprattutto attratta dai particolari di flora, fauna e paesaggio, di architettura, arredo e decorazione, di abbigliamento ed esotismo. Il tutto composto con estro che spazia dal giocoso al teatrale, dell'aneddoto alla satira, ma giungendo anche a supremi vertici di poesia, psicologismo, drammaticità e profondità spirituale.

Grazie a questi molteplici 'registi' personali - per i quali Carpaccio fu di fatto l'inventore della pittura europea cosiddetta 'di genere' - egli fu soprattutto un insuperato 'raccontatore di storie'; infatti, fu sempre celebrato soprattutto per i suoi cicli, serie coordinate di tele (teleri) che tramandano articolati racconti sacri: quasi cinematografici, perfettamente 'sceneggiati' nella loro eloquente narrazione visiva popolare, furono realizzati per le sale di riunione di confraternite religiose laicali, a Venezia dette scuole.

"Tali opere basilari di Carpaccio - alcune rimaste a Venezia, ma altre esulate all'inizio nel secolo XIX in musei italiani e internazionali - sono troppo grandi e fragili per essere condotte in mostra (solo si è potuto riunire integralmente il ciclo smembrato della Scuola del Albanesi). Ma il visitatore potrà facilmente ritrovare in città tali essenziali capolavori; in particolare l'unico ciclo rimasto nella sede originaria, nella Scuola di Giorgio degli Schiavoni, anche grazie all'ingresso ridotto che la Scuola riconosce ai visitatori del Ducale", evidenzia Mariacristina Gribaudi, Presidente di Fondazione MUVE. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Locandina della mostra dedicata a Fausto Melotti Fausto Melotti
"La ceramica"


25 marzo - 25 giugno 2023
Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti (Complesso monumentale di San Micheletto) - Lucca
www.fondazioneragghianti.it

Nel 1948 Carlo Ludovico Ragghianti scrive un saggio nel catalogo della mostra Handicraft as a fine art in Italy a cura di Bruno Munari, ospitata alla House of Italian Handicraft a New York. Tra le opere esposte anche i vasi in ceramica di Fausto Melotti, che insieme alle opere di Afro, Casorati, Consagra, de Pisis, Fontana, Fornasetti, Guttuso, Morandi e molti altri, volevano dimostrare come in Italia la produzione delle cosiddette arti applicate fosse da considerarsi a tutti gli effetti fine art.

Per ricordare quel primo incontro, nel ventennale dell'edizione del Catalogo generale della ceramica di Fausto Melotti la Fondazione Ragghianti organizza la mostra a cura di Ilaria Bernardi, un viaggio tra le opere di un protagonista assoluto del rinnovamento artistico italiano del Novecento. Scultore, pittore, disegnatore e poeta, Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986) è stato un raffinato ceramista e, dal secondo dopoguerra sino ai primi anni Sessanta, in questa tecnica ha trovato uno strumento di invenzione e trasformazione della sua scultura. Realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti e il MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, la mostra si svilupperà in quattro sezioni.

La prima inserisce e storicizza la produzione ceramica di Melotti nella sua vita e della sua attività, attraverso una cronologia illustrata che dalla nascita nel 1901 giunge alla sua scomparsa nel 1986. La cronologia sarà accompagnata da teche per accogliere importanti documenti del suo archivio legati specificatamente alla produzione in ceramica, tra cui tre suoi quaderni mai esposti finora. La seconda sezione sarà dedicata alle più note tipologie di sculture in ceramica concepite dall'artista: dalle ceramiche a carattere sacro ai bassorilievi, dagli animali alle figure femminili, dai cosiddetti Onu fino ai Teatrini. Tra le opere esposte anche la preziosa Lettera a Fontana (1944), esposta nel 1950 alla Biennale di Venezia.

Nella terza sezione il video In prima persona. Pittori e scultori. Fausto Melotti (1984), di Antonia Mulas, include l'unica intervista in cui l'artista, analizzando il proprio percorso e la sua concezione dell'arte, parli della ceramica. Anticipata da un focus sui multiformi vasi realizzati dall'artista, l'ultima parte del percorso della mostra include differenti tipologie di ceramiche - coppe, tazzine, lampade, piatti - che, anche se ispirate a oggetti d'uso quotidiano, sono state concepite dall'artista svincolandole dalla loro funzione e rendendole vere e proprie sculture.

Accanto alle opere di Melotti saranno esposte quelle di importanti artisti e designer con cui direttamente o indirettamente ebbe contatti, concesse in prestito dal MIC di Faenza, che conserva la raccolta di arte ceramica più grande al mondo: da Giacomo Balla a Lucio Fontana, da Leoncillo ad Arturo Martini, da Enzo Mari a Bruno Munari, e ancora Gio Ponti, Emilio Scanavino, Ettore Sottsass e molti altri.

La mostra sarà accompagnata da un libro-catalogo pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull'arte, con le riproduzioni di tutte le opere esposte, documenti e materiali d'epoca e i saggi di Ilaria Bernardi, curatrice della mostra; Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Fausto Melotti; e Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e con una prefazione del direttore della Fondazione Ragghianti, Paolo Bolpagni. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Mauro Staccioli
"Scultura come pensiero che trasforma"


09 marzo (inaugurazione) - 04 maggio 2023
Galleria A arte Invernizzi - Milano
www.aarteinvernizzi.it

Mostra personale di Mauro Staccioli, a distanza di dieci anni dalla sua ultima mostra personale nei medesimi spazi, e a cinque dalla scomparsa dell'artista. Mauro Staccioli (Volterra, 1937 - Milano, 2018) è uno dei più importanti scultori italiani del XX secolo, ampiamente riconosciuto a livello internazionale. Dagli inizi degli anni Settanta ha realizzato in tutto il mondo (in forma temporanea o permanente) centinaia di quelle che egli ha definito le sue "sculture intervento": grandi installazioni a scala ambientale, la cui genesi è direttamente legata al luogo di realizzazione, e ne modifica a sua volta le coordinate fisiche e ideali, facendo dell'opera non una forma auto-referente, ma una presenza attiva e in dialogo con il contesto. Segni attraverso i decenni e i cambiamenti del mondo, luogo dopo luogo, anno dopo anno, in una mappatura che va da Volterra a Milano, dalla Biennale di Venezia a Documenta di Kassel, da Monaco di Baviera a Bruxelles, da San Diego a Seoul, da Tel Hai a Quito.

L'esposizione presenta alcune sculture in vari materiali caratteristici del suo linguaggio scultoreo (come cemento, ferro, acciao corten) e una selezione di opere su carta che ne delineano le coordinate di relazione con i luoghi. Costante è infatti l'attenzione di Staccioli, dalla fase ideativa, a quella progettuale, e poi in quella realizzativa, a un confronto significante con il luogo, lo spazio e le forme e identità preesistenti che lo abitano: componente distintiva e originale delle sue "sculture intervento", che innestandosi con la loro dialogante autonomia e alterità, contribuiscono in ogni circostanza a scrivere una nuova storia dei luoghi in cui si collocano.

Il percorso espositivo prende avvio da un lavoro del 1976, in cemento e ferro, che si incontra entrando: un'opera emblematica della prima fase della sua attività, in cui la punta in ferro che fuoriesce dal cemento ha la duplice valenza di attrazione e repulsione: sono anni in cui Staccioli è tra i pionieri di una scultura che esce dagli spazi consueti del museo e della galleria per entrare a fare parte del tessuto urbano, del territorio, agendo con la propria presenza in un luogo, sia fisico, sia sociale.

Al piano superiore si trovano tre serie di lavori in acciaio corten: forme plastiche che richiamano celebri opere realizzate in spazi pubblici e in relazione al contesto, come le "scultura intervento" ideate per l'inaugurazione del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci e quella per il villaggio Olimpico di Seoul, costituite da un arco rovesciato, l'opera a mezzaluna concepita per il Fridericianum di Kassel nel 1988 e oggi riconfigurata su progetto dell'autore nelle collezioni Intesa Sanpaolo - Gallerie d'Italia di Milano, e infine l'ellisse che richiama l'intervento Primi passi realizzato a Volterra nel 2009.

Nell'ultima sala al piano superiore sono invece esposti i progetti in corten per il ciclo "Forme perdute", forme a base circolare realizzate su grande scala per la sua mostra personale tenutasi nel 2012 negli spazi della galleria A arte Invernizzi e oggi esposte in permanenza al Museo d'Arte Contemporanea all'Aperto di Morterone, dove è visitabile anche Tondi, un'altra sua "scultura intervento" cui si legano alcuni dei disegni in mostra.

Al piano inferiore sono presentate sei sculture appartenenti al ciclo "Sbarra e cemento" progettate negli anni Settanta, che creano un dialogo inatteso con le colonne dello spazio espositivo. Questi lavori appartengono al periodo germinale del suo fare artistico e sono caratterizzati dalla stessa energia intrinseca, che si percepisce in tutte le opere di Staccioli su scala ambientale, che permette loro di entrare in relazione con lo spazio circostante. Con la loro fisicità materiale si inseriscono nell'ambiente dandogli una nuova prospettiva, e invitando lo spettatore ad attraversarlo in modo rinnovato e consapevole. In occasione della mostra verrà pubblicata una monografia bilingue con un saggio di Francesca Pola e corredato da materiale iconografico e bibliografico che ripercorre il lavoro realizzato da Staccioli nel corso dei venticinque anni di collaborazione con A arte Invernizzi, sia presso la galleria che in spazi pubblici e privati. (Comunicato stampa)




Opera artistica di Mauro Ghiglione Mauro Ghiglione
"Approssimazione infinita"


02 marzo (inaugurazione) - 02 maggio 2023
Spazio Unimedia - Genova

Solo per approssimazione infinita possiamo cogliere la veridicità e l'estetica di ogni cosa, come se la descrizione non potesse esaurire l'oggetto, mancando dell'emozione che suscita, e allo stesso tempo il suo valore soggettivo difettasse di sincerità. Nella personale di Mauro Ghiglione, la perfezione della forma si presta a molteplici letture e significati, e si unisce a precisi riferimenti contenutistici di tipo concettuale, invitando ogni visitatore alla riflessione individuale. La mostra è a cura di Caterina Gualco

La mostra di Mauuro Ghiglione, che torna dopo tre anni con una personale nel nuovo Spazio Unimedia, presenta lavori d'arte contemporanea con netti riferimenti all'arte concettuale. Le opere in mostra sono state realizzate con uso ineccepibile della forma, con le quali l'artista esplora l'interazione tra la forma stessa ed il suo contenuto ed il cui risultato, come lui stesso scrive in catalogo: [...] può essere tutto e il suo contrario, alla ricerca di una minima dilatazione, un'opera che, paradossalmente, può perfino non esistere a condizione che qualcuno la racconti.

Ghiglione gioca quindi con la forma che ritiene al contempo: elemento plastico, mezzo espressivo e concetto, e nella sua ricerca persegue un equilibrio dinamico tra le diverse tecniche espressive utilizzate, incoraggiando una relazione tra le strutture formali e l'ambiente circostante. Il risultato è una mostra con lavori che sfidano le convenzioni dell'arte concettuale e sottolineano da un lato la importanza della forma come mezzo espressivo ed evocativo, dall'altro il pensiero radicale sintetizzato in concetto, incoraggiando così la riflessione quale fosse unica modalità di rappresentazione.

Il visitatore ha l'opportunità di esplorare tale relazione e di riflettere sui limiti della rappresentazione visiva in modo tale che, per utilizzare ancora parole dell'autore: [...] il momento descrittivo e il momento espositivo/valutativo sono connessi in un rapporto di sinergia tale da rendere inutile qualunque tentativo di catturare un aspetto del significato indipendentemente dall'altro. E' disponibile un catalogo con testi, riflessioni ed osservazioni dell'autore - edito da Sagep - Genova. (Comunicato stampa)




Opera di pittura acrilica su pannello listellare di abete denominata Linea chiara su campo verde particolare realizzata da Nicoletta Borroni nel 2023 Nicoletta Borroni
"Pittura Plastica"


04-31 marzo 2023
Galleria Monopoli - Milano

Mostra a cura di Alberto Barranco di Valdivieso, naturale prosecuzione della precedente esposizione, "Shapes and Forms", presentata da Flaminio Gualdoni. La nuova mostra, arricchita di ulteriori sviluppi tematici ed estetici a definire maggiormente il percorso artistico di Nicoletta Borroni, è l'estrema sintesi della percezione dinamica di oggetti a struttura geometrica tridimensionale dipinti ad aerografo attraversati da linee orizzontali bianche che innervano ogni singola forma raccordandola con le altre e strutturando l'immagine corale. L'apparente semplicità delle strutture nasconde una genesi di grande complessità e tensione creativa. Opere essenziali nel progetto di pensiero e di forma che evidenziano la ricerca assoluta di un tutto armonico nell'equilibrio perfetto tra volume e superficie, tra geometria pura e toni cromatici.

La poetica dell'artista possiede la consapevolezza che l'emozione suscitata nel fruitore non può prescindere dal dialogo dinamico che le opere instaurano tra loro e con lo spazio che occupano e influenzano. Le nuove opere geometriche del ciclo "Linea Chiara", formate da molteplici pezzi che si completano perfettamente nella loro struttura ad incastri, sono espressione del pensiero razionale dell'artista che si riflette sul significato di spazio pensato e spazio fisico. Un riferimento, quello all'architettura, per nulla casuale e marginale nell'arte di Nicoletta Borroni, che guarda con attenzione a figure come Louis Kahn, fra le più importanti nell'architettura del XX secolo.

Tutte realizzate con pannelli listellari di abete preparati da artigiani su disegno progettuale dell'artista stessa, le opere sono realizzate con la posatura del colore tramite sgocciolamento con l'aerografo posizionato parallelo al piano, partendo dalle tinte più chiare per arrivare a quelle più scure, così da permettere di vedere le velature cromatiche sottostanti.

Alberto Barranco di Valdivieso: "Pittura dunque, certamente pittura, seppur con l'assistenza dell'aerografo sapientemente manovrato dall'artista il cui gesto è pensato e sperimentato appositamente per creare particolari tessiture di colore secondo passaggi sovrapposti restituendo un effetto ambiguo a tutto il volume, sospeso tra la pietra e la spugna, che in qualche modo perturba la nostra percezione e sublima la dinamica di un oggetto che vibra tra la sua dimensione fisica compatta di oggetto categorico e la nostra frammentata dimensione psichica-percettiva".

Il titolo stesso della mostra "Pittura Plastica" - come sottolinea lo stesso Barranco - vuole evidenziare il perfetto connubio tra pittura e volume di un nuovo gruppo di esperienze che il curatore e critico individua come particolare espressione di alcuni artisti post-minimalisti che usano la pittura come parte integrante della costruzione spaziale e dell'articolazione dialettica dell'opera.

Nicoletta Borroni compie studi artistici e si diploma in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Brera con Giuseppe Maraniello. È quest'ultimo che la indirizza presso lo studio di Rodolfo Aricò stante una innata similitudine nella ricerca pittorica, per entrambi caratterizzata da telai sagomati di matrice architettonica. Con il maestro intraprende una proficua collaborazione fino alla scomparsa di lui. Nel medesimo periodo avvia una lunga e felice collaborazione con lo studio dello scultore e scenografo Franco Cheli.

Lo studio è punto di riferimento per gli artisti operanti nel contesto milanese quali Andrea Cascella, Rodolfo Aricò, Pietro Consagra, Giuliana Balice, Diego Esposito e Giacomo Benevelli. Tale vivace e dinamico ambiente le offrirà l'occasione per sviluppare un adeguato approccio a nuove tecniche pittoriche, stimolato dal fertile dialogo sul fare arte. Questa eredità artistica ed umana le consentirà di proseguire l'attività con un proprio studio di pittura nella città di Legnano, luogo in cui attualmente vive e lavora. Nel maggio 2022 espone a Milano presso la Galleria Monopoli con la personale "Shapes and Forms" curata da Flaminio Gualdoni. (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)

Immagine:
Nicoletta Borroni, Linea chiara su campo verde particolare, 2023, pittura acrilica su pannello listellare di abete




Opera di Anselm Kiefer denominata Voglio vedere le mie montagne Anselm Kiefer
"Voglio vedere le mie montagne"
für Giovanni Segantini


12 febbraio (inaugurazione ore 12.30-18.00) - 29 aprile 2023
Galleria Lia Rumma - Napoli
www.liarumma.it

Il titolo della nuova serie di dipinti presentati in mostra, ripreso dalle parole pronunciate dall'artista Giovanni Segantini poco prima di morire, rimanda anche ad un'opera di Joseph Beuys, che Kiefer incontra negli anni di formazione all'Accademia di Düsseldorf. Ma per Kiefer: "Il titolo spesso non è la spiegazione dell'immagine, ma è piuttosto un'allusione". Al pari di molte altre sue opere, ispirate a versi di poeti amati, a mitologie e leggende di ogni cultura e latitudine, e perciò ricche di suggestioni e risonanze liriche ed epiche, in questo caso l'artista dà vita ad un poetico e struggente paesaggio di cime e di vette che trascendono quelle tanto amate dal pittore simbolista Segantini. Catene montuose viste come luoghi ideali ma anche minacciosi, testimoni di una natura turbolenta e in continuo movimento, dipinta a sensazione per stratificazioni di colore e umore.

Per Kiefer, che procede come un vate-alchimista alla continua ricerca di nuove forme da contrapporre all'esistente, cercando così di ridisegnare ogni volta un nuovo ordine del mondo, l'atto creativo è sempre un processo in trasformazione, un non finito su cui ritornare. Più che le "montagne" dipinte da Segantini, è importante quello che si svolge tra loro o al di fuori delle tele perché, come racconta l'artista tedesco: "L'arte è come un percorso sulla cresta di una montagna, si può cadere a ogni istante da una parte o dall'altra".

Nelle grandi tele esposte negli spazi della galleria viene rappresentato un potente e spiazzante paesaggio. Sulla superficie pittorica Kiefer si avvale della scrittura quale "parola poetica" che si muove libera - in questo caso spesso ricorre e si rincorre Voglio vedere le mie montagne - für Giovanni Segantini - al di sopra delle vette scure e terrose, colpite da una luce crepuscolare o notturna. Ma la scrittura, sempre di suo pugno, svolge una funzione ambigua offrendo dell'immagine una chiave di lettura a volte inattesa, come nel caso di Die Windsbraut (La sposa del vento), che riporta su di un paesaggio roccioso spazzato dal vento il titolo di un quadro famoso di Oskar Kokoschka che raffigura l'artista abbracciato alla sua amata Alma Mahler, come travolti da una burrasca. Un'opera creata probabilmente dopo un viaggio verso Napoli, nell'aprile 1913, quando la coppia fu sorpresa da una violenta tempesta.

Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945) dal 2007 vive e lavora in Francia, a Parigi e a Croissy. Dopo gli studi in legge e lingue e letterature romanze, si è dedicato interamente all'arte. Ha frequentato l'Accademia di Belle Arti a Fribourg-im-Brisgau, poi a Karlsuhe, mantenendosi sempre in contatto con Joseph Beuys. Le opere di Kiefer sono state esposte e collezionate nei più importanti musei del mondo. Nel 2004 ha realizzato I Sette Palazzi Celesti, la sua prima opera permanente in Italia, all'Hangar Bicocca di Milano, progetto curato da Lia Rumma. Nel 2007 è diventato il primo artista a cui il Louvre ha commissionato un'opera permanente. Lo stesso anno, ha inaugurato Monumenta, la serie di mostre del Grand Palais a Parigi, con installazioni in omaggio ai poeti Paul Celan e Ingeborg Bachmann.

Kiefer ha ricevuto il Praemium Imperiale a Tokyo nel 1999 e nel 2008 il Peace Prize of the German Book Trade. Nel 2010 gli è stata assegnata la Cattedra di Creazione Artistica nel prestigioso Collège de France a Parigi, dove ha tenuto le 9 lezioni intitolate: L'arte sopravviverà alle sue rovine. Nel 2014 la Royal Academy di Londra ha dedicato a Kiefer la sua prima retrospettiva nel Regno Unito. Nel 2015 la Bibliothèque Nationale de France e il Centre Pompidou hanno presentato una grande retrospettiva dei suoi libri, dipinti e installazioni. Nel 2022 è allestita nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale di Venezia l'installazione Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce, un ciclo di dipinti ispirati ai versi del poeta veneziano Andrea Emo. (Comunicato stampa)

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Andreas Schulze: Guardando e ascoltando
Dipinti di panorami e sculture in ceramica dal viaggio in Sicilia dell'artista tedesco


28 giugno - 17 agosto 2013
Galleria Sprüth Magers - Londra
Presentazione




Opera a tempera su carta di cm 21x15x7 denominata Figura Femminile realizzata da Adriana Bisi Fabbri nel 1912 Adriana Bisi Fabbri
Precorrere i tempi


02 marzo (inaugurazione) - 01 aprile 2023
Galleria Artespressione - Milano

Mostra, curata da Matteo Pacini, con testo di Luigi Sansone, dedicata alla grande pittrice, illustratrice, caricaturista del secolo scorso e ne mette in luce la complessità, l'ironia e l'eclettismo. Con questa esposizione di importante profilo artistico e culturale la galleria milanese effettua e approfondisce una ricerca su alcune correnti artistiche tra Ottocento e Novecento dando il via ad un ciclo di eventi dedicati ad alcune personalità di grande spessore che, per motivi diversi, sono poco conosciute al grande pubblico. Si ammirano preziose opere su carta di medio e piccolo formato che mettono in luce la poetica di Adriana Bisi Fabbri incentrata su ritratti, curiosi autoritratti, caricature, bozzetti, manifesti e figurini di moda. I lavori raccontano la carriera artistica di una donna che ha saputo precorrere i tempi e ha colto con maestria stati d'animo e sentimenti, che evidenziano il suo essere anticipatrice di un nuovo modo di vivere la femminilità.

"Questa mostra - afferma Matteo Pacini - rappresenta l'occasione per restituire alla figura di una grande artista del Novecento, non sufficientemente ricordata nel tempo, la luce che merita la complessità del suo lavoro, l'ironia e l'eclettismo di una produzione ampia e brillante arrivata ai giorni nostri con una fama sicuramente inferiore al dovuto".

Protagonista di una vita travagliata, Adriana Bisi Fabbri, si è fatta strada in un'epoca maschilista e grazie al suo talento innato oltre a una raffinata intelligenza, oggi rappresenta il modello di una donna libera, indipendente, capace di cambiare il suo destino. La sua feconda creatività e la passione per la sperimentazione la portano ad essere protagonista di differenti scelte espressive, infatti in mostra si trovano suggestive opere a olio, pastello, tempera, acquerello, matita, china, sanguigna e tecnica mista che l'hanno consacrata tra gli esponenti del movimento degli "ardimentosi". Da sempre aperta alla modernità e alle novità intuisce e interpreta con anticipo i linguaggi dei movimenti che animano l'arte italiana, dal divisionismo al futurismo e in Europa la secessione e l'espressionismo.

La rassegna riporta alla luce la sfaccettata produzione di un'artista che ci ha lasciato una moltitudine di opere intime, "delicate e familiari", come nota Luigi Sansone, in cui "il suo forte legame con la famiglia è una costante fonte d'ispirazione per ritrarre il marito e i figli Marco e Riccardo in una varietà di atteggiamenti come nei disegni Giannetto Bisi e Adriana mentre leggono, 1906 c., Giannetto Bisi mentre legge, 1906 c., nei quali coglie le espressioni psicologicamente più intense e tipiche del loro vivere". Oltre a questo genere di opere in mostra si possono ammirare ricercati modelli per abiti alla moda come Studio per abito del 1911, ma anche pungenti caricature come L'alpino o Il dio dei tedeschi oltre a profondi ed enigmatici ritratti e autoritratti che, grazie al tratto ricercato e ai sapienti chiaroscuri fanno emergere dalla carta volti con una forza espressiva sorprendente.

Adriana Bisi Fabbri (1881-1918) nasce a Ferrara dove frequenta la scuola del pittore Nicola Laurenti e conosce il futuro marito e giornalista Giannetto Bisi. Si trasferisce a Padova, ospite di sua zia Cecilia Forlani, madre di Umberto Boccioni; successivamente a Milano, dove compie studi di pittura e arricchisce la propria formazione da autodidatta frequentando gli studi di Gaetano Previati e Luigi Conconi. Nel 1908 esordisce con due disegni alla Seconda Esposizione Quadriennale di Torino. Nel 1911 partecipa alla mostra internazionale di umorismo organizzata al Castello di Rivoli ed è premiata con la medaglia di bronzo; nello stesso anno è invitata alla Prima Esposizione d'Arte Libera organizzata a Milano da Umberto Boccioni con altri futuristi e inaugura a Roma la sua prima personale nelle sale del Lyceum di Palazzo Torlonia.

Durante il soggiorno nella capitale incontra i futuristi Luciano Folgore e Giacomo Balla. Nel 1913 Adriana Bisi Fabbri partecipa all'Esposizione d'arte umoristica di Bergamo, per la quale disegna la cartolina e il grande manifesto. Nel 1914, su invito di Leonardo Dudreville, aderisce ed espone con il gruppo Nuove Tendenze. Durante il primo conflitto mondiale molti sui disegni a sfondo politico sono pubblicati sul giornale "Il Popolo d'Italia"; collabora inoltre con "La Domenica Illustrata" ed esegue figurini per la casa di moda fondata da Domenico Ventura. Nel 1918 per questioni di salute si traferisce a Travedona, Varese, presso l'amica Teresa Tallone Somarè, figlia del noto pittore Cesare Tallone, ma le sue condizioni peggiorano e il 29 maggio 1918 muore lasciando una significativa eredità artistica e culturale.(Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)

Immagine:
Adriana Bisi Fabbri, Figura femminile, 1912, tempera su carta cm 21x15x7




Locandina della mostra Floating Space con dipinti di Dario Maglionico Dario Maglionico
"Floating Space"


07 marzo (inaugurazione) - 05 aprile 2023
Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea - Milano
www.colomboarte.com

Mostra personale che coincide con la pubblicazione della monografia Dario Maglionico. Dove abita il tempo sospeso, un percorso che attraversa i dieci anni di pittura dell'artista napoletano. Il volume, promosso dalla VAF-Stiftung e edito da Manfredi Edizioni, è parte della Collana giovani artisti alla soglia del nuovo millennio. L'opera di Maglionico si origina da un'estemporanea documentazione visiva di luoghi e situazioni che sono poi trasposti su tela con una pittura dettagliata e minuziosa. Le impressioni che l'artista ricava dall'osservazione degli ambienti a lui familiari, arricchiscono di particolari la composizione complessiva delle opere e dei diversi scenari. Le stanze che Maglionico rielabora su tela, non sono mai solamente un mero sfondo per le svariate azioni che vi hanno luogo, bensì portano le reminiscenze e sono testimoni di eventi che si svolgono in una temporalità non lineare.

Nel ciclo delle Reificazioni lo spazio arriva ad assumere una dimensione del tutto atemporale, ed è occupato fisicamente da corpi sospesi che coesistono simultaneamente in un passato e un presente che si confondono tra loro. L'intenzione di Maglionico, è quella di mettere in discussione l'infallibilità della percezione umana, dipingendo immagini sincroniche che aprono una serie di infinite possibilità in termini di punti di vista e interpretazione di una singola impressione. L'interesse di Maglionico nei confronti del tema della percezione si evolve assieme alla sua pittura, giungendo alla creazione di uno spazio del ricordo che si fa sempre più complesso e stratificato.

L'elaborazione di un modello 3D dell'appartamento che accoglie le tracce dei personaggi che lo abitano, permette una moltiplicazione e una sovrapposizione dei punti di vista, che si espandono oltre i confini della singola tela. Oltre lo spazio, anche il tempo - fissato in un attimo di sospensione - si dilata permeando le tele e riunendole entro un'unica narrazione. In questo nuovo ciclo di Reificazioni, Maglionico si interessa all'unicità dell'esperienza del singolo spettatore, data dalle associazioni e dalle percezioni individuali che pure hanno origine dalla una medesima storia visiva di cui Maglionico stesso ci mette a parte.

Il titolo Floating Space è un richiamo alla teoria che attribuisce allo spazio-tempo - il tessuto fondamentale che regge l'universo - le qualità di un liquido con una viscosità bassissima, cioè di un superfluido. Come afferma Ted Jacobson, professore emerito del Dipartimento di Fisica dell'Università del Maryland "l'acqua è fatta di unità discrete, singole molecole che interagiscono tra loro secondo le leggi della meccanica quantistica; ma l'acqua liquida appare un continuo, fluido, trasparente e rifrangente. [...] Queste sono tutte le proprietà emergenti che non possono essere trovate nelle singole molecole, anche se, in ultima analisi, derivano da esse." Floating vuol dire galleggiante ma anche mobile, quindi dinamico, mutevole. Come un fluido, un liquido, che si adatta e prende la forma di chi l'osserva.

In occasione dell'apertura della mostra, verrà presentata la monografia Dario Maglionico. Dove abita il tempo sospeso, quinto volume della Collana giovani artisti alla soglia del nuovo millennio, promossa dalla VAF-Stiftung e edita da Manfredi Edizioni. Interverranno alla presentazione della monografia Serena Redaelli, membro del Consiglio Artistico della VAF-Stiftung, l'autrice Nicoletta Colombo, il Dott. Volker Feierabend, fondatore della VAF-Stiftung e ideatore della collana, assieme all'artista. (Comunicato stampa)




Dipinto realizzato da Alan Gattamorta nella mostra Antieroici Alan Gattamorta
"Antieroici"


19 febbraio - 23 aprile 2023
www.alangattamorta.it

Sul sito antologico il pittore Alan Gattamorta presenterà una rassegna di 20 acrilici su carta, titolata. "Al posto di antieroici avrei preferito titolare più antieroici del solito ma, più antieroici del solito è piuttosto lungo, e nel sito non ci stava. In ogni caso, quell'antieroico non definisce la mia poetica ma la circoscrive soltanto. Infatti, li dentro, di anti non ce n'è nemmeno mezzo." (Alan Gattamorta)




Copertina del numero di giugno, luglio e agosto 2021 del mensile d'arte Archivio Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione

___ANNO XXXV
N. 3 - Marzo 2023
N. 2 - Febbraio 2023
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___Anno XXXIV
N. 10 - Dicembre 2022
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Fotografia di Ivano Mercanzin Fotografia di Ivano Mercanzin nella mostra Orizzonte libero Ivano Mercanzin
"Orizzonte libero"


26 febbraio - 02 aprile 2023
Eremo di Santa Caterina del Sasso - Leggiuno (Varese)
www.eremosantacaterina.it | Locandina della mostra

Mostra fotografica di Ivano Mercanzin, curata da Un Quadro di Te A.p.s. in collaborazione con Giulia Pozzi, collaboratrice della Società che ha in gestione l'Eremo. L'esposizione è inserita nella programmazione del festival Filosofarti, giunto alla sua XIX edizione. La mostra consiste nell'esposizione degli scatti realizzati dal fotografo vicentino lo scorso mese di dicembre 2022 che ha saputo catturare nelle sue fotografie l'anima dell'Eremo, del lago sul quale si affaccia, delle persone che lo abitano e anche di quelle che lo visitano. Un dualismo concreto e ideale che si propone come limite del luogo, ma anche come la sua più grande forza e risorsa.

La mostra segue, quindi, il tema chiave Limite/Illimite che guida gli eventi coordinati da Filosofarti. L'artista, ispirato da questo spunto, lo ha rielaborato a livello personale, indagando l'aspetto introspettivo delle figure immortalate, quello storico degli edifici e quello naturale della riva scoscesa del Lago Maggiore. Le opere si pongono come testimoni delle relazioni umane, dei moti dell'animo e dei rapporti tra le persone e l'ambiente.

L'esposizione è collocata nel programma di iniziative promosse dal festival Filosofarti il quale crea una rete di eventi di diverso carattere accomunati dal desiderio di avvicinare il pubblico alla filosofia e all'arte nelle sue varie sfaccettature, permettendo ai visitatori di confrontarsi con realtà diverse e sviluppare un pensiero filosofico e critico. La mostra offre una selezione di foto che accompagneranno i turisti durante la visita, svelando loro anche alcuni momenti della vita dei membri della Fraternità Francescana di Betania che nel complesso conducono la loro vita consacrata alla preghiera.

Ivano Mercanzin studia disegno e pittura con il maestro Vincenzo Ursoleo, partecipa a concorsi di poesia ricevendo premi e menzioni. La lettura di autori classici e contemporanei accompagnano il suo percorso e lo studio dell'arte completa la sua formazione. Ha collaborato con diversi autori per accompagnare i loro testi con le sue fotografie: "L'anima fotografata" con Tania Piazza, "Lio Piccolo" con Lino Roncali, "Solo Amore" e "Il viaggio necessario" con Raffaele Luise.

Fondata nel 2020, Un Quadro di Te è un'associazione di promozione sociale che si occupa di garantire servizi di curatela a 360°, operando a livello nazionale. L'obiettivo di Un Quadro di Te A.p.s. è quello di creare per ogni artista o ente culturale un progetto che soddisfi i requisiti e le esigenze dei clienti.

È un luogo dal fascino antico l'Eremo di Santa Caterina, in cui natura, arte e storia si fondono alla roccia del Sasso Ballaro cui è aggrappato, come silenzioso guardiano delle acque del Lago Maggiore. La leggenda ne vuole l'origine sul finire del XII secolo, col naufragio dell'avido mercante Alberto Besozzi che trova la salvezza, per intercessione della Santa d'Egitto, nel luogo in cui vivrà da eremita. Nei secoli si sono avvicendati i domenicani, i frati di Sant'Ambrogio ad Nemus e poi i carmelitani. Dopo la soppressione attorno al 1770 e quasi due secoli di abbandono è stata la Provincia di Varese, proprietaria del luogo, a farlo rinascere unendo l'anima museale a quella religiosa grazie alla Fraternità Francescana di Betania che oggi lo abita. (Estratto da comunicato stampa)




Disegno a pennarello su carta di cm 30x42 denominato Future garden realizzato da Stefano Chiassai nel 2022 Stefano Chiassai
"Oltre il lockdown. Disegni, tessuti, colori"


05 marzo - 04 aprile 2023
ADI Design Museum - Compasso d'Oro - Milano
www.adidesignmuseum.org

Le opere dalle linee e colori vivaci del fashion designer Stefano Chiassai sono esposte nella mostra multidisciplinare a cura di Paola Maddaluno. Una galleria di pensieri e frammenti di vita quotidiana racconta, con linguaggi diversi, alcuni dei momenti più significativi della pandemia, un taccuino privato colmo di personaggi, emozioni e voglia di libertà, custode di relazioni e di slancio verso la rinascita.

L'esposizione, presenta una prima sezione composta da numerosi disegni a pennarello realizzati durante i giorni di lockdown. Personaggi inventati, animali parlanti, folletti e oggetti fluttuanti sono solo alcuni dei soggetti che Chiassai utilizza per commentare i fatti quotidiani; attraverso l'inesauribile energia della fantasia, l'artista muta la preoccupazione in un'opportunità per smarrirsi in una bellezza sconfinata. Nella seconda parte della mostra il mondo di figure, corpi e parole raccolto su carta si mescola con la pluralità creativa del fashion design e si trasforma in una inedita installazione immersiva.

Collocata in un'ampia stanza che offre una grande parete tappezzata da un tessuto disegnato appositamente per la mostra e presentato in anteprima, l'opera si compone di 17 arazzi eseguiti a telaio Jacquard, abiti ed originali elementi di design, quali sedute, tavoli, che riprendono il motivo del tessuto riprodotto su materiali diversi. Tutti questi elementi diventano emblema di un meccanismo che ha convertito la negatività in un percorso orientato al futuro e volto a una ripartenza comune per raggiungere nuove mete.

A tre anni esatti dal primo disegno, le opere esposte in ordine cronologico sono una testimonianza dei sentimenti e delle paure che hanno coinvolto tutto il mondo; a partire da "Parole al Buio. Bla, Bla Bla, apriamo la bocca per parlare di cose positive" datato 8 marzo 2020, Chiassai narra con immagini affollate, colme di dettagli e simboli una quotidianità fatta di contraddizioni, parole, testimonianze e aspettative. "Prigionieri in casa. I nostri Cuori sconfiggeranno il Mostro" racconta le settimane dell'isolamento con un turbinio di cuori, virus, porte chiuse e occhi, "Ritorno alle porte aperte. Con Disciplina, Speranza, ma anche tante incognite" fa rivivere i primi giorni di riaperture attraverso parole come futuro, lavoro, speranza e immagini di negozi e persone.

Il viaggio tra i disegni si conclude con l'opera del 31 dicembre 2020 in cui il vecchio anno, negativo e nero, si scontra con la luminosità e i colori del nuovo anno, augurando il ritorno ad una piena normalità a una rinascita. Diverse opere esposte sono raccolte nel volume "Diario di un lockdown. 8 marzo 2020 - 31 agosto 2021" edito da Silvana Editoriale nel 2021 oltre a essere incluse nel progetto espositivo ed editoriale "Aria italiana" curato da Gianfranco Maraniello, Alberto Salvadori e Vincenzo Trione.

Stefano Chiassai si forma all'istituto d'arte di Firenze. Nel 1980 crea il suo marchio "Stefano Chiassai" e qualche anno dopo, nel 1985, insieme alla moglie Alessandra, fonda la "SCS Studio Chiassai". Nel 1987 la sua idea di moda rappresenta lo stile italiano alla Biennale Giovanile di Barcellona; dal 1988 al 2000 è docente di "Menswear Fashion Design" al Polimoda di Firenze. Nel 1994 chiude il suo marchio e si concentra sulle consulenze stilistiche e di tendenze per numerosi brand di lusso. Diversi i volumi pubblicati: nel 2016 Caosordinato e nel 2018 Ritmoemotivo entrambi editi da Nuova Libra; nel 2020 Bluetailoring e nel 2021 Diario di un lockdown. 8 marzo 2020 - 31 agosto 2021 editi da Silvana Editoriale. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)

Immagine:
Stefano Chiassai, Future garden, 2022, pennarello su carta cm 30x42, collezione privata




Emilio Scanavino. Luce e Materia
06 marzo - 23 aprile 2023 (ingresso libero e visita su prenotazione)
Archivio Scanavino - Milano
www.archivioscanavino.it

Inaugurato lo scorso anno in occasione del centenario della nascita dell'artista, l'Archivio Scanavino torna ad accogliere il pubblico nei suoi spazi con la mostra dedicata alla produzione fotografica dell'artista. L'inaugurazione della mostra avverrà in occasione di Milano MuseoCity, con tre giorni di apertura straordinaria, venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 marzo. Una selezione di scatti fotografici di Emilio Scanavino (1922-1986) realizzati negli anni Sessanta: immagini caratterizzate da inquadrature ravvicinate, che ritraggono particolari, tracce, elementi isolati su sfondi sconfinati e indefiniti, mostrando un'alfabetizzazione dei soggetti che vengono replicati più volte, con riprese diverse.

Pittore e scultore di origini genovesi, Scanavino è considerato uno dei protagonisti della generazione dell'informale e del movimento spazialista che si affermano in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La ricerca artistica di Scanavino cerca di definire un nuovo alfabeto, una nuova lingua composta da segni grafici e plastici, fisiologici e tangibili, organici e astratti. Con questa mostra sarà possibile scoprire come, con la macchina fotografica, l'artista abbia "catturato la vita", in emozioni, racconti e rivelazioni prodotte dalla luce.

Emilio Scanavino nasce a Genova nel 1922, dove dopo il liceo artistico si dedica sin da subito alla pittura, inaugurando nel 1942 la sua prima mostra personale con opere di matrice espressionista. Dopo un inizio figurativo, la pittura di Scanavino diventa sempre più vicina alle caratteristiche del postcubismo, con una graduale sintetizzazione delle forme fino alla loro dissoluzione. Dopo i soggiorni a Milano, Parigi e Londra, nel 1950 lavora con Tullio Mazzotti alla sua Manifattura ceramica ad Albisola insieme a Lucio Fontana, Sebastian Matta, Guillame Corneille, Asger Jorn, Wilfredo Lam, Gianni Dova, Roberto Crippa, Enrico Baj. Nello stesso anno, espone alla XXV Biennale di Venezia e riceve ex-aequo il Primo Premio alla V Mostra regionale genovese.

Negli anni successivi si avvicinò al gruppo milanese degli spazialisti esponendo nella Galleria del Naviglio di Venezia il primo Ambiente spaziale di Fontana. Nel 1954 espone ancora alla Biennale di Venezia dove parteciperà nuovamente nel 1958, vincendo il Premio Prampolini, nel 1960, con una sala personale e nel 1966, anno in cui consegue anche il Premio Pininfarina. Continua negli anni seguenti la sua attività espositiva internazionale che lo vede partecipare a diverse mostre a Londra, Parigi, Milano, Tokio, Città del Messico, etc.

Nel 1971, in occasione dell'invito per la XI Biennale di San Paolo del Brasile, insieme allo scultore Alik Cavaliere per Biennale di San Paolo del Brasile, crea la grande opera dedicata ai martiri per la libertà, ma non viene esposta per intervento delle autorità consolari che la censurano per il soggetto "di natura politica e quindi extra artistica". Oggi l'opera è esposta al Museo della Permanente di Milano. Nel 1973 la Kunsthalle di Darmstadt presenta una sua vasta mostra antologica che, viene riproposta a Venezia a Palazzo Grassi e poi a Milano a palazzo Reale, nel 1974. Nel 1975 Partecipa alla X Quadriennale di Roma e l'anno successivo inizia la collaborazione a Milano con Giorgio Marconi. Alterna la sua attività tra l'Italia e Parigi, che è costretto a lasciare per motivi di salute alla fine degli anni '70. Vive e lavora tra Milano e Calice Ligure fino alla sua scomparsa nel 1986. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Maria Vittoria Backhaus
"I miei racconti di fotografia oltre la moda"


31 marzo - 11 giugno 2023
Castello di Casale Monferrato

Antologica, frutto di una ricerca in un archivio articolato dove gli anni di progettazione editoriale si alternano a un incessante studio personale e le immagini rispecchiano interpretazioni nuove e controcorrente realizzate per la Moda, il Design e la Ritrattistica, con una produzione di "Still life"" e di Costruzioni artistiche. A sfilare nelle Sale del Secondo piano del Castello di Casale Monferrato sarà una galleria caleidoscopica di immagini, curata da Luciano Bobba e Angelo Ferrillo con la direzione artistica di Mariateresa Cerretelli per scoprire la creatività dell'autrice a tutto tondo.

Animata da un'attenzione quasi maniacale per l'estetica e per la finezza delle fotografie e sempre un passo avanti rispetto alla classicità delle immagini imperanti nelle riviste patinate o nelle campagne pubblicitarie dagli anni '70 a oggi, l'artista/fotografa si colloca a pieno titolo tra i nomi di punta della fotografia italiana. Con una rilettura inedita di un archivio sterminato e ricchissimo, la mostra prende in esame i vari temi che compongono la multiforme genialità di Maria Vittoria Backhaus che si è espressa soprattutto in ambito editoriale, nelle pubblicità e in un suo percorso personale attraverso un'osservazione e una messa a fuoco di una società in evoluzione continua.

"La creatività artistica ci unisce e per me studiare la mostra con Maria Vittoria passo dopo passo è come seguire la linea parallela di uno scambio naturale e spontaneo senza barriere in un fluire di pensiero e di accordi estetici profondi e immediati che derivano dalla comune passione per l'arte fotografica" afferma il curatore Luciano Bobba. Una girandola di bianco e nero e di colore che rappresenta lo specchio di un'iconografia senza confini, dove Backhaus si muove a suo agio e rivela anche uno studio approfondito sull'uso delle diverse macchine fotografiche di cui si serve.

"Ho lavorato - afferma l'autrice - con tutti i formati possibili delle macchine fotografiche analogiche, dal formato Leica ai grandi formati con il soffietto sotto il panno nero 20 x 25. Stavano tutte in un grande armadio nel mio studio. Mi piacevano anche come oggetti, così le ho anche ritratte. Ho dovuto imparare tutte le diverse tecniche per poterle usare, acquisite ma dimenticate al momento dello scatto per concentrarmi sul racconto della fotografia".

I temi portanti di un racconto sempre in progress si susseguono nelle sale del Secondo piano mettendo in risalto la moda, gli accessori, gli still-life, il design, la natura, le statuine, i collages e le composizioni scenografiche costruite con miniature di edifici e pupazzetti. Più di quarant'anni di fotografia dove i reportage e i ritratti trovano spazio e si completano con racconti dedicati tra i quali spiccano gli abitanti di Filicudi, l'isola amata dalla fotografa e, più di recente, Rocchetta Tanaro e la sua gente monferrina.

Il co-curatore Angelo Ferrillo conosce da molto tempo Maria Vittoria Backhaus e la sua narrazione fotografica: "Immaginifico. È l'aggettivo che mi ha pervaso la prima volta che ho avuto la fortuna di vedere il lavoro di Maria Vittoria. Conoscendola poi a fondo, vivendo la produzione e approfondendo il suo pensiero, mi sono reso conto di quanto la sua fotografia si muova in equilibrio tra visione, creatività e metodo". È una mostra che rende omaggio a una mente estrosa con una vena artistica inarrestabile, tutta dedicata al linguaggio della fotografia. Il Middle MonFest 2023 si estenderà con "Fotografia in vetrina" nella Sala Marescalchi. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Astrattismo e Informale nella collezione Olivetti e nella collezione civica
11 febbraio (inaugurazione) - 26 marzo 2023
Museo Civico P.A. Garda - Ivrea
www.museogardaivrea.it

Il percorso espositivo presenta un articolato panorama dei nuovi linguaggi dell'arte emersi in Italia dagli anni cinquanta ai primi anni novanta del Novecento. Oltre 90 opere d'arte astratta e informale presenti nella collezione Olivetti dialogano con le opere coeve della collezione civica. Una collezione aziendale e una collezione pubblica, nate con modalità e scopi diversi ma che talvolta convergono su alcuni artisti.

La mostra trae avvio con opere di Picabia, Balla e Kandiskij e Mirò, con rimandi al futurismo e alle radici variegate dell'astrattismo. L'Astrattismo, nelle sue varie forme, rifugge dalla rappresentazione della realtà fenomenica, e lascia spazio alla fenomenologia dell'inconscio, ai simboli dello spirito, negando o stravolgendone le forme, esplorando nuove relazioni tra immagine e realtà, in una direzione più lirica da una parte e più geometrica dall'altra. Nel dopoguerra, artisti tra cui Wols, suggestionati dalle ricerche della psicoanalisi, dall'indagine surrealista dell'automatismo e dalla filosofia esistenzialista, cominciano a perseguire sistematicamente la negazione della forma come entità chiaramente definita, disegnata e progettata, per far emergere, invece, gli impulsi individuali più inconsapevoli.

Nasce l'arte informale che non vuole infatti rappresentare forme e fenomeni esterni. Alla centralità della forma l'artista preferisce dunque la centralità della materia. Non solo materia, ma poi anche segno e gesto sono i capisaldi dell'arte informale e prevalgono in maniera diversa a seconda dell'artista. Il percorso espositivo non ha la presunzione di poter illustrare l'evoluzione sfaccettata e variegata dei vari movimenti e gruppi che si sviluppano a partire dal dopoguerra e sino alla soglia degli anni novanta del Novecento, semmai di portare alla luce e mettere in evidenza le scelte consapevoli o talvolta la casualità che ha determinato l'acquisto o la donazione di alcune opere significative.

Negli anni del dopoguerra mette a fuoco la figura di Spazzapan a Torino, astretteggiante ma mai astratto nel senso puro del termine. L'artista definiva la sua arte un "rabesco misto con l'espressione" e nelle sue "composizioni geometriche" prevale ancora, il più delle volte, l'elemento iconico (gatti, cavalli, santoni o meccanismi di ruote e di raggi). Nel panorama italiano sono di fondamentale importanza per dare visibilità alle novità e alle nuove tendenze artistiche le mostre e, per il formarsi della collezione Olivetti, viene messa in evidenza l'importanza di quella di Prato del 1955 Sessanta maestri del prossimo trentennio, organizzata da Carlo Ludovico Ragghianti, in cui esposero artisti come Redento Bontadi, Enzo Brunori, Piero Dorazio, Mario Lattes, Alvaro Monnini, Mattia Moreni, Emilio Scanavino, Sergio Vacchi, le cui opere è possibile ammirare in esposizione.

Alla seconda metà degli anni cinquanta risalgono anche le opere di Eva Fischer, Ennio Morlotti e Tancredi Parmeggiani. Rifocalizzando l'attenzione sui movimenti torinesi, in mostra si trovano opere di Annibale Biglione e Filippo Scroppo che furono tra i fondatori del Movimento Arte Concreta a Torino. Gli anni sessanta trovano rappresentazione in opere di artisti di tendenze molto diverse tra cui Ettore Fico, Piero Ruggeri e Giorgio Ramella. Non mancano collegamenti con una visuale allargata e più internazionale attraverso le personalità di Pierre Alechinsky e Hans Hartung. Espressioni di artisti piemontesi quali Mauro Maulini a artisti internazionali come Walter Ballmer, Gabino Amadeo e Pedro Coronel sono sprazzi di diverse ricerche artistiche coeve ma molto diverse fra loro che caratterizzano gli anni settanta. Un nucleo di opere di Tony Arch che costituiscono un'importante donazione al museo civico eporediese e ci conducono alla soglia degli anni duemila. (Estratto da comunicato stampa)




Eve Arnold
L'opera, 1950-1980


25 febbraio - 04 giugno 2023
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to

Per intendere la sua importanza nella storia della fotografia, è sufficiente ricordare che Eve Arnold è stata la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. Determinazione, curiosità e, soprattutto, la volontà di fuggire da qualsiasi stereotipo o facile categorizzazione le hanno permesso di produrre un corpus eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo ai reportage d'inchiesta dove ha affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico di ieri e di oggi.

L'esposizione, curata da Monica Poggi e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte fino ad ora, e presenta l'opera completa della fotografa a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati all'età di 85 anni, alla fine del secolo. Le opere selezionate affrontano temi e questioni come il razzismo negli Stati Uniti, l'emancipazione femminile, l'interazione fra le differenti culture del mondo. Anche se la sua fama planetaria è senza dubbio legata ai numerosi servizi sui set di film indimenticabili, dove ha ritratto le grandi star del periodo da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crawford a Orson Welles.

«Metaforicamente parlando - ha affermato Robert Capa - il suo lavoro cade a metà fra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate». Ed è proprio un servizio dedicato all'attrice tedesca, ottenuto quasi casualmente, ad accendere i riflettori sul suo talento, dandole accesso al mondo dello spettacolo. Gli scatti più noti sono quelli che hanno come soggetto Marilyn Monroe, con la quale stringe un vero e proprio sodalizio artistico dopo che la diva nel 1954 la avvicina a una festa dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?».

Il rapporto con Marilyn fa nascere immagini passate alla storia soprattutto per aver raccontato la personalità dell'attrice celata dietro alla facciata da diva. Eve Arnold dimostra una straordinaria capacità di entrare in sintonia con i propri soggetti, abbattendo barriere e reticenze, anche attraverso gli iconici ritratti a personaggi come Joan Crawford, che si fa immortalare durante infiniti rituali di bellezza, o Malcolm X, che le concede di seguirlo a distanza ravvicinata durante i più importanti raduni dei Black Muslims e del quale realizza un ritratto che diviene subito una vera e propria icona.

Proprio le immagini del controverso leader trovano posto in mostra insieme ai diversi servizi dedicati da Eve Arnold alla comunità nera e alle rivendicazioni degli afroamericani che negli anni Cinquanta stavano prendendo piede in tutti gli Stati Uniti. Il suo primo lavoro è, infatti, un reportage dai toni densi e fumosi dedicato alle numerose sfilate di moda di Harlem, organizzate nella totale indifferenza del mondo della moda bianca. Realizzato come esercitazione per un corso alla New School for Social Research di New York tenuto dal celebre Art Director di "Harper's Bazaar", Alexey Brodovitch, il progetto la trasforma in pochissimo tempo in una delle autrici più richieste da giornali e magazine internazionali.

Questi scatti sono rivoluzionari sia per la scelta del soggetto che per lo stile: uscendo dall'estetica patinata dei magazine del periodo, Arnold racconta i momenti spontanei dietro le quinte, l'attesa prima dello spettacolo, l'impazienza del pubblico. Il lavoro è realizzato in situazioni di scarsa luminosità e, non volendo utilizzare il flash, Eve Arnold passa ore in camera oscura per esaltare l'atmosfera intima degli ambienti, ponendo le basi del suo particolare stile dove la teatralità di un'illuminazione naturale e la vicinanza emotiva ai soggetti sono imprescindibili. Il servizio è considerato troppo scandaloso per i giornali americani, tanto da venire pubblicato nel 1951 dal londinese "Picture Post" e poi da diverse riviste europee.

A questo seguiranno numerosi altri reportages da tutto il mondo, come quelli realizzati in Cina nel 1979 e l'imponente progetto sull'uso del velo in Medio Oriente, avviato dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a togliere il velo per entrare nella modernità: luoghi e temi in grado di aprire dibattiti anche sull'oggi.

La carriera di Arnold è a tutti gli effetti un inno all'emancipazione femminile. I suoi soggetti sono nella maggior parte dei casi donne: lavoratrici, madri, bambine, dive, suore, modelle, studentesse, immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare. Questo principio la guida anche nelle fotografie più intime e delicate, come quelle realizzate nei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo, soggetto a cui ritorna costantemente per esorcizzare il dolore subito con la perdita di un figlio avvenuta nel 1959.

La scelta e la disposizione delle immagini in mostra è finalizzata a restituire la ricchezza dell'opera di questa autrice, sottolineata anche attraverso numerosi documenti d'archivio, testi, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la scoperta di una vera e propria leggenda della fotografia. L'esposizione è accompagnata dal catalogo "Eve Arnold", edito dalla nuova casa editrice Dario Cimorelli editore. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)





Anton Giulio Onofri
"Non mi troverai"


17 febbraio (inaugurazione) - 31 marzo 2023
Fondazione Mudima - Milano
www.mudima.net

Dopo la mostra alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma, la Fondazione Mudima presenta un racconto fotografico di Anton Giulio Onofri, accompagnato da un intervento di Gian Maria Tosatti e dal video Il mio cuore è vuoto come uno specchio - Episodio di Odessa, del 2020, un progetto articolato che assorbe completamente l'attuale ricerca artistica di Tosatti. La mostra, a cura di Davide Di Maggio, propone le 24 immagini della serie fotografica Casa di Gian Maria a Napoli, (2020) che abbinata a una corrispondenza epistolare tra il fotografo e l'artista, traccia un ritratto in absentia di Gian Maria Tosatti, attraverso un'esplorazione singolare e poetica del suo spazio domestico.

Nell'autunno 2020, tra una quarantena e l'altra, Anton Giulio Onofri è passato un paio di volte per Napoli, invitato a sostare in casa di Gian Maria Tosatti, cui è legato da un sodalizio intellettuale che dura da più di 12 anni. Ma in quei mesi l'artista andava e veniva senza preavviso dall'Ucraina, dove, a Odessa, stava allestendo un episodio del suo progetto Il mio cuore è vuoto come uno specchio, perciò i due non sono riusciti a incontrarsi. Onofri ha così approfittato dell'occasione per aggirarsi tra le stanze dell'appartamento, alla ricerca delle tracce dell'amico.

Opere in lavorazione nello studio o appese alle pareti, una fitta libreria, apparecchiature obsolete, fiori e piante, attrezzi, le stoviglie in cucina, gli amati gatti: il suo obiettivo fotografico ha indagato ogni dettaglio per individuare le inquietudini di Gian Maria Tosatti nel cruciale passaggio dei suoi 40 anni, ma anche per restituire l'intensità magnetica delle sue opere sullo sfondo di una Napoli costantemente "nell'aria". Dalle foto è poi scaturito tra i due amici un dialogo intimo, quasi una confessione, che ha trovato voce in uno scambio epistolare dove emergono i molteplici riferimenti letterari, artistici e cinematografici ad ampio raggio condivisi da entrambi: una convergenza di interessi che è anche e soprattutto, un incontro tra due sensibilità.

In occasione dell'opening della mostra, sarà presentato un numero speciale monografico della rivista "La scuola delle cose", edito da Associazione Lyceum - Scuola delle cose, dedicato a Gian Maria Tosatti, con interviste, scritti ed interventi di: Claudia Serantoni, Gian Maria Tosatti, Lóránd Hegyi, Davide Di Maggio e Nicolas Martino. Gian Maria Tosatti inaugurerà la sua mostra personale, Now/here, all'Hangar Bicocca di Milano il prossimo 23 febbraio 2023, a cura di Vicente Todolì. (Comunicato stampa)




Opera artistica di Susanne Kutter Susanne Kutter
"I Must Sleep, Please!"


09 marzo (inagurazione) - 05 maggio 2023
MAAB Gallery - Milano
www.maabgallery.com

Il nuovo lavoro di Susanne Kutter, pensato e realizzato appositamente per lo spazio milanese della galleria, si svolge come un'unica installazione intorno al tema della precarietà della visione. Cosa ci spinge da bambini a separare noi e il mondo? Quando e come cominciamo a distinguere l'altro da sé? In che modo nell'età adulta riviviamo quella iniziale indistinzione dei primi mesi di vita? La creatività artistica è uno di questi momenti, in cui il gioco tra soggetto e oggetto appare fuso e coeso. Ma è anche nella precarietà del vivere che ci circonda che l'artista ritrova quel filo originario. Le strutture precarie dei senza tetto, i rifugi da loro costruiti in cui si riparano, il loro vedere senza essere visti, la loro condizione umana permette all'artista tedesca di elaborare un percorso che dall'installazione coinvolge la fotografia e l'assemblage.

Il lavoro della Kutter mostra anche in questo caso una forma di resistenza alla vetrinizzazione, andando oltre l'apparenza della presentazione, destabilizzando le aspettative e aprendo a fertili inquietudini interpretative che coinvolgono lo spettatore. Partendo dall'ambivalenza delle convenzioni del vedere l'arte di Susanne Kutter si fa segno della differenza, analizzando anche, con ammiccante malizia e tagliente ironia, concetti architettonici e soluzioni spaziali identificate come dispositivi di controllo o veicoli di autoritarismo. Attraverso questo lavoro l'artista mette in questione i codici di comportamento individuali e collettivi, tra intimità psicologiche, processi di distorsione dei media ed eccentricità interpretative. (Comunicato stampa)




Opere artistiche di Mirco Marchelli in esposizione nella mostra Voci in capitolo Mirco Marchelli. Voci in capitolo
12 febbraio (inaugurazione) - 02 luglio 2023
Fondazione Biscozzi | Rimbaud - Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Mostra dedicata all'artista e compositore Mirco Marchelli, a cura di Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, quarto appuntamento espositivo dell'istituzione fondata nel 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud con l'intento di promuovere l'arte moderna e contemporanea attraverso un programma di mostre che ha visto sin qui come protagonisti Angelo Savelli (L'artista del bianco, 2021), Salvatore Sava (L'altra scultura, 2022) e Grazia Varisco (Sensibilità percettive, 2022-2023). La mostra, promossa e prodotta dalla Fondazione Biscozzi | Rimbaud, ha il patrocinio del Comune di Lecce.

Mirco Marchelli (Novi Ligure, 1963) è sia un artista visivo, sia un compositore, e ha realizzato ad hoc per la Fondazione Biscozzi | Rimbaud un brano in tre parti - corrispettivi di altrettanti madrigali moderni - a sei voci miste, su testi del poeta genovese Edoardo Sanguineti (1930-2010), diffuso come tappeto musicale nelle tre sale espositive, in stretta connessione con un ciclo unitario di diciotto opere polimateriche, tutte di eguali dimensioni, suddivise in tre gruppi da sei (uno per ogni sala). L'intervento di Marchelli s'intitola, con l'ironia sua tipica, Voci in capitolo, in un gioco di rimandi che va dal madrigalista e compositore polifonico tardo cinquecentesco Gesualdo da Venosa (Venosa, 1566 - Gesualdo, 1613) alla contemporaneità.

Secondo il curatore e direttore tecnico-scientifico della Fondazione Paolo Bolpagni, "la mostra è l'estrinsecazione e la testimonianza di una vera e propria opera d'arte totale, di suprema grazia e arguzia". Mirco Marchelli parte dalla musica, all'inizio praticata nelle vesti d'interprete, poi portata avanti - come attività parallela, complementare e integrata a quella di artista visivo - nell'àmbito della composizione, con una libertà e un'originalità fuori dal comune. Considerarlo separando tali aspetti, o ignorandone l'uno o l'altro, sminuisce la forza di un pensiero estetico sfaccettato ma coerente.

E allo stesso modo sarebbe limitante far leva soltanto sull'innegabile attrattiva del personaggio, della sua esistenza appartata, modellata con delicatezza e cura pazienti, della casa dell'Alto Monferrato in cui egli, semplicemente vivendo, applica agli spazi, alle atmosfere, ai gesti la misura di un ideale mite, tenace e gentile. Una delle chiavi interpretative potrebbe essere quella della nostalgia, imperniata sul fascino polveroso delle "vecchie cose" che spesso rappresentano gli ingredienti di cui Mirco Marchelli si serve per creare i propri oggetti: pezzi di legno, di tessuto o di ceramica, vecchi fogli di ibri e quaderni, magari poi rivestiti di uno strato di cera che li eterna e trasfigura. Concrezioni della memoria, quindi; ma prive della patina melanconica che il termine "nostalgia" implica generalmente.

Marchelli infatti ridà vita e significato a questi materiali, mette a frutto le loro "risonanze" e le storie di cui sono espressione per dire qualcosa di nuovo; non si limita a evocare ricordi, ma suscita suggestioni tutt'altro che ripiegate in un vagheggiamento del passato. Nel suo estro combinatorio leggiamo il piacere e la soddisfazione di mescolare, impastare e manipolare per produrre una risultante inaspettata, dove i "sapori" delle singole componenti, scelte con estrema attenzione, si colgono ancora, ed emanano aromi e retrogusti penetranti, ma si fondono in inedita associazione, superiore alla mera somma delle parti. La mostra è corredata da un catalogo trilingue (in italiano, francese e inglese) a cura di Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, pubblicato da Dario Cimorelli Editore. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Ritratto di Victoria Stoian durante la realizzazione di un opera artistica Victoria Stoian
"La Moldava"


16 febbraio (inaugurazione) - 08 aprile 2023
Galleria Peola Simondi - Torino
www.peolasimondi.com

La ricerca di Victoria Stoian si esprime in un linguaggio pittorico ricco di forme e segni di natura astratta, con i quali traduce la sua esperienza del reale. Stilizzazioni, come le definisce l'artista, che affiorano dall'inconscio, attingono alla memoria e al suo procedere per frammenti, dando vita a un personale codice visivo. In esso si intrecciano dettagli di luoghi e di cose, punti di vista, sensazioni e stati d'animo, dove convivono gioiosi ricordi d'infanzia e il dramma dei conflitti bellici. Ampie campiture dai colori tenui sono attraversate da stesure a volte rarefatte altre più dense, che nascondono ciò che già era tracciato e depositano sulla superficie forme minute, a tratti simili a qualcosa che conosciamo, tratteggi, profili, punteggiature imprevedibili nell'andamento e nella morfologia.

Una sorta di psicogeografia, poiché inerente luoghi e paesaggi, che sono da sempre al centro della sua ricerca, ma con il ritmo di un racconto che procede per strati e continue variazioni, di quadro in quadro. In occasione della sua terza personale alla Galleria Peola Simondi, a cura di Francesca Comisso, Victoria Stoian ha concepito la mostra come un progetto unitario cadenzato in tappe, che dall'ingresso conducono all'ultima sala, dominata da un grande intervento pittorico site-specific realizzato direttamente sulla superficie muraria, in due settimane di lavoro costante e immersivo. Il titolo della mostra è La Moldava, in riferimento al famoso brano scritto dal compositore ceco Bedrich Smetana nel 1874, il più noto dei sei poemi sinfonici che compongono Ma vlast, in italiano La mia patria.

In piena adesione al clima culturale romantico, la sinfonia celebra infatti l'identità nazionale ceca e la sua rinascita nell'impero austriaco, attraverso il richiamo al paesaggio percorso dalla Moldava, il più grande fiume della Boemia, evocato da pittorici timbri sonori. Cresciuta a Chisinau, in Moldavia, Victoria Stoian ha già intitolato a un fiume, il Nistru (Dnestr), il suo monumentale progetto pittorico Nistru Confines: avviato nel 2018, si compone di ormai oltre 400 opere che ripercorrono la lunghezza del fiume, assunto a confine della Transnistria quando nel 1990 questa regione secessionista confinante con l'Ucraina si è autoproclamata indipendente.

Il paesaggio evocato da Stoian è dunque un territorio geopolitico, luogo comune di ogni discorso sull'identità, che diviene sottotesto alla "vita delle forme" che abitano ciascuna sua tela, inscrivendo nella preziosa stratificazione pittorica questioni drammatiche come l'esilio, la migrazione, le guerre, che dall'infanzia dell'artista giungono alla tragica realtà dei nostri giorni, in Ucraina e altrove. Già nei suoi primi cicli pittorici, il paesaggio era rappresentato in condizioni di alterazione, causata da eventi naturali come i cambiamenti termici (Recea Project, 2014) o i devastanti sommovimenti sismici (Codri Earthquake, 2013-2017) che avevano lasciato il segno sulla terra quanto nella memoria collettiva. Come dire che l'instabilità - che i suoi quadri esprimono nei frequenti sbilanciamenti generati dalla concentrazione di segni in aree liminali e aeree - è una condizione dovuta sia alla costante trasformazione della materia che al nostro modo di abitare il mondo, di fare diventare "patria" ogni porzione di spazio.

Proprio alla natura ambivalente del confine, che separa e genera chiusura, ma crea anche un senso di protezione, come osserva l'artista, è dedicato questo ciclo di lavori. Il paesaggio come paese, come casa, idealizzato nei ricordi giovanili, si unisce al tema dell'identità declinata nelle figure diasporiche della straniera e dell'esule: la moldava. Il grande dipinto sul soffitto diviene così il luogo di un'apertura, una sorta di affaccio verso uno spazio immenso, immaginifico, come quando da bambina, sdraiata sotto gli alberi, osservava il cielo incorniciato "dall'abbraccio degli alberi". A quell'immagine si aggiungono frammenti di altre immagini, di cose viste o vissute, e l'intera mostra, come il poema sinfonico di Smetana, sembra seguire il fluire del fiume verso il mare. (Francesca Comisso)




Dipinto a olio su tavola cm 60x40 denominato Andy realizzato da Fabrizio Vatta nel 2023, foto realizzata da Nino Esposto Fabrizio Vatta
"Hommage à la peinture"


23 febbraio (inaugurazione) - 20 marzo 2023
Agostino Art Gallery - Milano
www.agostinoartgallery.it

Mostra di Fabrizio Vatta, artista veneto allievo di Emilio Vedova, la cui ricerca muove al confine tra realismo ed espressionismo, attraverso un gesto vibrante che prima costruisce e poi nega la figura. In mostra, a cura da Cinzia Lampariello Ranzi, una selezione di opere recenti ad olio su tela e su tavola, alcune delle quali di grandi dimensioni. Fulcro del lavoro di Fabrizio Vatta, è la figura umana, ritratta nell'atto di compiere azioni quotidiane o inserita in situazioni più complesse. Lo spazio rappresentato, tuttavia, non è mai uno spazio fisico, ma mentale, capace di suggerire riflessioni che vanno oltre la superficie della pittura, sfociando nella sfera personale e collettiva.

Tra le opere esposte si segnalano, in particolare, "L'isola di Geremy", una grande tela pervasa dal sentimento di speranza del protagonista, e "L'ombra sott'acqua", in cui è evidente il senso di smarrimento dell'uomo contemporaneo. Presente in mostra anche una serie di dipinti caratterizzati da una visione dall'alto, come se i soggetti ritratti fossero spiati da un drone. Chiude il progetto, un omaggio ad Andy Warhol, il più grande voyeur della cultura americana, che osserva e registra la messa in scena della pittura.

«I ricercati tagli fotografici delle composizioni - scrive il critico d'arte Gaetano Salerno - conferiscono immediata credibilità e drammaticità a queste immagini che comunque non cessano di alludere al fantastico e all'onirico; il colore forma e deforma, individua e cancella. In questo binomio realizzativo, disegnare una traccia per poi occultarla trasmette l'essenza sfaccettata della vita: assorbire un dato reale, una suggestione fisica per poi esploderla nella materia che ne amplifica esponenzialmente il sentimento di base, ammantando ogni angolo della sfera visibile della sua essenza con pasta cromatica fluida e dinamica, scrive la teologia di un mondo occulto in divenire in cui esserci, figurare, rappresentata la sola antitesi al nichilismo».

Fabrizio Vatta nasce nel 1956 a Mestre. Si diploma in Pittura con Emilio Vedova. L'esperienza con il Maestro sarà determinante per buona parte del suo percorso artistico: il gesto pittorico, la pennellata dinamica e la velocità di esecuzione rimarranno le costanti del suo lavoro pur restando fedele al suo essere pittore di figura. Le prime esposizioni e i concorsi risalgono all'inizio degli anni '80, dopo uno studio assiduo della pittura antica. Affronta principalmente il tema del ritratto con una serie di omaggi ai grandi personaggi della cultura del '900, tra i quali Alberto Moravia, al quale donerà un'opera.

Partecipa a sette edizioni della collettiva presso la Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia, conseguendo in due occasioni il premio acquisto, e successivamente viene invitato ad esporre presso Lewers Art Gallery di Penrith e a Sidney, in Australia, con una selezione di giovani artisti veneziani. Nei primi anni '90 entra in contatto con storici galleristi veneziani come Renato Cardazzo e Luciano Ravagnan. Nei primi anni del nuovo millennio lavora su grandi superfici che gli permettono un gesto più libero e dinamico. Nel contempo prosegue la partecipazione a esposizioni collettive e personali, impegnandosi anche nella didattica dell'arte.

Sue opere sono presenti in numerosi sedi pubbliche e collezioni private. Nel 2016 la casa editrice Black Wolf Edition pubblica una sua importante monografia con 150 opere realizzate tra il 1982 e il 2016. Nel 2022 vengono allestite sue mostre personali negli spazi della Galleria Arte Spazio Tempo di Venezia e di Villa Albrizzi Marini a S. Zenone degli Ezzelini (Treviso). (Estratto da comunicato stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagine:
Fabrizio Vatta, Andy, olio su tavola cm. 60x40, 2023, foto realizzata da Nino Esposto




Ileana Ruggeri
"Riverberi"


11 febbraio - 10 aprile 2023
Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna - Venezia

La recente donazione di tre acquerelli di Ileana Ruggeri al Comune di Venezia per le collezioni di Ca' Pesaro è occasione per una piccola ma preziosa rassegna della produzione recente dell'artista, articolata in due sale al primo piano del Museo. Il focus, oltre che sulle opere donate da Ileana Ruggeri al Comune di Venezia per le collezioni di Ca' Pesaro, è incentrato su un'esposizione omaggio di opere rappresentative del lavoro dell'artista veneziana, che svolge da tempo una ricerca pittorica ai confini dell'astrazione sui riflessi di luce di Venezia e dell'acqua della sua laguna. Le atmosfere dei riflessi della laguna e le infinite sfumature del colore che caratterizzano la qualità artistica di Ruggeri emergono attraverso una raffinata selezione di opere su carta, dove si esprime lo sguardo interiore, poetico e onirico, dell'artista.

"Non appare fuori luogo l'inserzione del lavoro di Ruggeri, con una progetto quasi site specific, alla fine del percorso della collezione permanente di Ca' Pesaro; anzi, l'ampia selezione di acquerelli e alcuni significativi lavori pittorici realizzati dall'artista sembrano quasi chiudere il cerchio che si apre all'inizio del percorso espositivo con le sale dedicate alla grande stagione capesarina. Le opere di Ruggeri permettono di suggerire chiudere un cerchio e allo stesso tempo di aprire nuove suggestioni sulla materia, inafferrabile, della laguna veneziana e sulla complessa rappresentazione della città più cangiante della modernità", anticipa Elisabetta Barisoni, curatrice della mostra e Responsabile di Ca' Pesaro.

Il cerchio che si chiude è quello con gli infiniti riferimenti cromatici e poetici alla grande stagione della pittura capesarina e alle visioni dei riverberi di Moggioli, Semeghini, Valeri, Rossi, solo per dire di alcuni. Le atmosfere dei riflessi della laguna e le infinite sfumature del colore hanno una lunga storia di ricerca che attraversa le avanguardie di inizio '900 e caratterizzano la qualità artistica di Ruggeri, che ne diventa moderna interprete. Sono visioni che emergono non solo nei paesaggi e nelle acque descritte con blu e verdi sapientemente dosati, ma anche nei bagliori del rosso, dell'arancio, del grigio che squarciano il cielo vibratile della laguna veneziana.

Nelle pitture ad olio emergono riverberi dell'architettura veneziana, edifici che paiono quasi emergere dalle atmosfere magiche della città o che in esse sembrano sprofondare, in un continuo gioco tra memoria e presente, tra dato reale e percorso visivo della mente. La capacità costruttiva e architettonica delle suggestioni di Ruggeri si esprime compitamente nella costruzione a dittici e trittici e nella vibrante descrizione dei paesaggi cittadini, come il mercato di Rialto e San Giorgio, o della vasta laguna delle Barene, cara alla tradizione del '900 veneziano. La mostra, nata dalla volontà di presentare al pubblico una nuova donazione, diventa quindi occasione per offrire un rinnovato e appassionato sguardo su Venezia, quasi un'ode d'amore alla poesia della natura e dell'architettura della città.

"L'attività di mecenatismo e di incremento delle collezioni del Comune di Venezia per la Galleria Internazionale d'Arte Moderna attraverso lasciti e donazioni ha contribuito, negli anni, ad un continuo arricchimento delle raccolte e alla creazione di nuclei coerenti nel Museo", sottolinea la Presidente di Fondazione Muve Mariacristina Gribaudi. Che aggiunge: "il focus dedicato a Ileana Ruggeri prende avvio dalle opere donate dall'artista, mantovana di origine ma veneziana per formazione e carriera. Sono esposti i delicati acquerelli recentemente entrati nelle collezioni della Galleria Internazionale d'Arte Moderna insieme ad un olio già pervenuto per le raccolte di Palazzo Fortuny, a comporre una mostra omaggio alla sua produzione più recente". (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Locandina della mostra sub "sub"
18 febbraio (inaugurazione) - 14 maggio 2023
MACTE - Museo di Arte Contemporanea di Termoli - Termoli (Campobasso)
www.fondazionemacte.com

Betty Danon, Antonio Dias, Jorge Eduardo Eielson, Hsiao Chin, Tomás Maldonado, Roberto Sebastián Matta, Carmengloria Morales, Hidetoshi Nagasawa, e Joaquín Roca-Rey sono tutti artisti nati in Asia o in Sud America; nel secondo dopoguerra hanno trascorso soggiorni più o meno lunghi in Italia e, in alcuni casi, vi ci sono definitivamente trasferiti. Il MACTE presenta un originale progetto espositivo che, attraverso le opere di questi artisti e artiste, propone uno sguardo inedito su posizioni tangenti la scena dell'arte italiana, considerate a torto periferiche rispetto alle influenze europee e statunitensi, e apre al dialogo con esperienze radicate in altre geografie.

La mostra nasce da due anni di ricerca di D'Aurizio, invitato nel 2020 dalla appena nominata direttrice Caterina Riva, a concepire una mostra per il museo che tenesse conto della sua posizione geografica e della sua collezione legata al Premio Termoli. "Sub" ipotizza che le ricerche dei nove artisti e artiste invitati, anche laddove siano legate alla tradizione artistica occidentale, abbiano radici lontane, in culture visive emerse alla periferia del mondo globalizzato. Affiliati a importanti movimenti culturali quali l'Arte Concreta, l'Arte Povera, il Femminismo, le Nuove Tendenze, la Pittura Analitica, e il Design Radicale, questi artisti sono stati raramente riconosciuti per i contributi che vi hanno apportato. Le loro opere hanno scosso i fondamenti teorici dell'arte moderna e contemporanea italiana rivelandone l'impostazione eurocentrica.

Il titolo della mostra evoca una dimensione sotterranea, con riferimento diretto alla posizione marginale a cui molti di questi artisti e artiste sono stati relegati dalle politiche culturali del sistema dell'arte italiano. Tuttavia, la mostra considera la "sotterraneità" come una condizione che può essere stimolo e motore della creazione artistica, un indice delle peculiari esperienze storico-biografiche e geo-politiche degli artisti e artiste invitati. Nelle ricerche degli artisti esposti le topografie dell'arte italiana si espandono e stratificano: arrivano a includere terre d'origine a Sud dell'equatore, si intrecciano alle politiche culturali del Terzomondismo e dei movimenti di decolonizzazione, investono riflessioni sulla condizione di subalternità rispetto a un passato di colonialismo politico e a un presente segnato dalla struttura coloniale del potere, abbracciano preoccupazioni politiche, estetiche e spirituali spesso estranee alle conversazioni dominanti nella società italiana dell'epoca.

La mostra prevede una serie di appuntamenti di approfondimento, a partire da un tour speciale in compagnia del curatore Michele D'Aurizio in occasione dell'inaugurazione della mostra sabato 18 febbraio. Domenica 19 febbraio alle ore 17 invece, è in programma il seminario Altre storie dell'arte italiana nell'era globale incentrato sulle prospettive di ricerca, lavoro e ricostruzione storico-artistiche portate avanti dalla ricercatrice Lara Demori e curatrice Lucrezia Cippitelli che vi partecipano insieme al curatore.

Michele D'Aurizio è curatore, critico, e dottorando in storia dell'arte presso la University of California a Berkeley. I suoi studi esplorano la storia sociale dell'arte moderna e contemporanea in Italia e nel mondo; la storia dell'architettura moderna, del disegno industriale, e dell'artigianato; e le tradizioni teoriche del marxismo e della filosofia della tecnologia. Ha studiato al Politecnico di Milano e alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) a Milano. È stato editor della rivista d'arte contemporanea Flash Art (2014-18) e co-curatore della 16ª Quadriennale d'Arte (2016). È fondatore dello spazio progetto Gasconade a Milano. (Comunicato stampa ufficio stampa Lara Facco P&C)




Locandina della mostra Salto nel vuoto Salto nel vuoto
Arte al di là della materia


03 febbraio - 28 maggio 2023
GAMeC Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea - Bergamo
www.gamec.it

Terzo e conclusivo capitolo del progetto espositivo pluriennale ideato da Lorenzo Giusti per la GAMeC di Bergamo, dedicato alla materia nell'arte del XX e del XXI secolo. Avviata nel 2018 con la mostra Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile e proseguita nel 2021 con Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Salto nel vuoto chiude la Trilogia della Materia esplorando il tema della smaterializzazione e creando un racconto trasversale che evidenzia le connessioni esistenti tra le indagini sul vuoto - intraprese dai primi movimenti dell'avanguardia storica e sviluppate dai gruppi sperimentali del secondo dopoguerra -, le ricerche sul flusso risalenti agli anni della prima informatizzazione e l'utilizzo di nuovi linguaggi e realtà simulate nell'epoca post-digitale.

La mostra, a cura di Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta, presenta i lavori di alcuni grandi protagonisti e protagoniste della storia dell'arte del XX secolo e pionieri dell'arte digitale insieme ad autrici e autori delle generazioni più recenti, grazie ai prestiti di importanti istituzioni internazionali e di collezioni private. Nello specifico, Salto nel vuoto rivolge lo sguardo a quegli artisti e artiste che, in tempi diversi, hanno indagato la dimensione del vuoto negandola nella sostanza o identificandola quale mera dimensione ideale, o il cui lavoro si è rivelato in grado di riflettere i cambiamenti epocali nella percezione della dimensione materiale, introdotti dall'emergere dei paradigmi del software e dell'informatizzazione, così come dalla rivoluzione digitale e dalla sua sistematizzazione.

La mostra si articola in tre sezioni tematiche - Vuoto, Flusso e Simulazione - che inquadrano altrettante modalità di messa a fuoco, rappresentazione ed espressione dei principi della smaterializzazione, e si snoda in un percorso esperienziale che sollecita la percezione dello spettatore da un punto di vista visivo e corporeo.

- Vuoto

La prima sezione è dedicata alla rappresentazione del vuoto come spazio immateriale. Una dimensione forzatamente negata, continuamente smentita e fondamentalmente contraddetta dalla materialità stessa dell'opera d'arte. Accoglie una serie di lavori di artiste e artisti che, in tempi diversi, hanno operato, soprattutto in pittura, attraverso i principi della riduzione estrema, del minimo contrasto e dell'impercettibile, raccontando il vuoto come una dimensione immaginativa, ideale o concettuale. Contraddistinte dalla presenza dominante del bianco, nelle prime sale il percorso espositivo si snoda tra le estroflessioni di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani, i fogli in plastica trasparente perforati a cadenza regolare di Dadamaino, le composizioni minimaliste di Jean Degottex e Aiko Miyawaki fino alle sperimentazioni con la luce e lo spazio di Ann Veronica Janssens. I lavori di artisti e artiste del primo e del secondo Novecento sono posti in dialogo con opere recenti di alcuni tra i più significativi protagonisti dell'arte internazionale degli ultimi anni.

- Flusso

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta alcune mostre storiche hanno interpretato sviluppi come la smaterializzazione dell'arte, l'avvento di opere-sistema e opere-processo, l'ampliamento dei linguaggi come conseguenza della crescente informatizzazione della società, dell'avvento dell'elaborazione dei dati e delle piattaforme globali di comunicazione, affiancando per la prima volta opere d'arte contemporanea, dispositivi tecnologici e i primi esempi di new media art. Proseguendo idealmente questa linea di ricerca, la sezione Flusso presenta una selezione di opere di epoche diverse, dalle avanguardie storiche ai giorni nostri, testimoni del radicale impatto dell'informatizzazione e delle reti digitali sulla percezione della realtà materiale.

Le dimensioni indagate sono quelle della materialità non-atomica dei dati, del bit come unità minima dell'informazione, del pixel come unità minima dell'immagine digitalizzata, del software come processo che può o meno generare un output sensibile. La sezione rende dunque conto della complessa maniera di esistere dell'arte nel cosiddetto "Informational Milieu". Le sale ospitano lavori di precursori come Giacomo Balla, Umberto Boccioni, František Kupka, Pablo Picasso; opere che introducono al dinamismo percettivo dell'Arte Programmata e di Fluxus insieme ad altri lavori degli anni Sessanta e Settanta che rappresentano sistemi complessi e basati su processi, istruzioni e programmi - da Agnes Martin a Roman Opalka, da Vera Molnár a Lillian F. Schwartz - accanto a numerose opere recenti di artiste e artisti internazionali.

- Simulazione

L'età dell'informazione ha vaporizzato la realtà in una serie di esperienze relazionali, comunicative e mediali, in cui la materia di cui è fatto il reale si sublima nell'intangibilità del "virtuale". Vissuto inizialmente come una dimensione radicalmente altra, accessibile solo attraverso un temporaneo abbandono della realtà reso possibile da specifiche tecnologie immersive - analogiche come i panorami o digitali come i caschi di realtà simulata - il virtuale è andato progressivamente identificandosi con la realtà stessa, a mano a mano che le nostre relazioni ed esperienze venivano facilitate da schermi, dispositivi e reti di comunicazione.

La terza sezione si concentra quindi sullo snodo tra reale e virtuale, in un percorso cronologicamente altalenante che pone in dialogo opere che indagano criticamente l'impatto delle simulazioni sul nostro modo di percepire la realtà concreta - Lynn Hershman Leeson e Seth Price, tra gli altri - con altre che, attraverso il mezzo pittorico, ne amplificano la percezione creando potenti illusioni visive - Richard Estes, Duane Hanson, René Magritte -; e altre ancora che costruiscono realtà alternative convincenti e immersive, mediate o meno dall'uso di dispositivi tecnologici di realtà virtuale e realtà aumentata, in un percorso che procede da lavori pionieristici a opere recenti, da Rebecca Allen a John Gerrard, da Jon Rafman a Timur Si-Qin.

Per Salto nel vuoto, i MSHR (Brenna Murphy e Birch Cooper) presentano una nuova installazione della serie Nested Landscapes (2017- in corso), che esplora e potenzia livelli diversi di immersività e di fruizione che si manifestano, intenzionalmente o meno, ogni volta che si presenta la realtà virtuale in uno spazio pubblico. Nelle sue installazioni, MSHR crea infatti sistemi complessi radicati nella cibernetica e nella teoria dell'informazione, che intersecano diversi processi di feedback tra ambiente e spettatore, e che attivano quest'ultimo come protagonista di un esperimento che estende la realtà percepita sollecitando al contempo, attraverso la realtà virtuale, la riattivazione di forme di pensiero creativo e mind wandering connesse a quello che le neuroscienze chiamano DMN (Default Mode Network), normalmente compromesse dalla distrazione indotta dai dispositivi e dai flussi di informazione digitali.

Sulla linea delle pubblicazioni che hanno accompagnato le precedenti mostre della Trilogia, il catalogo di Salto nel vuoto - edito da Officina Libraria e GAMeC Books con progetto grafico di Studio Temp - sarà costituito dai testi dei curatori Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta e da approfondimenti sulle opere in mostra affidati a storici dell'arte italiani e internazionali.

L'introduzione di ciascuna sezione del catalogo è affidata a un testo di carattere scientifico, inedito in lingua italiana, ritenuto di particolare importanza per lo sviluppo del progetto espositivo: Karen Barad per la sezione dedicata al Vuoto, Luciano Floridi per la sezione dedicata al Flusso e Myron W. Krueger per la sezione dedicata alla Simulazione. Chiude il volume la ripubblicazione di un saggio di Italo Calvino, derivato da una conferenza del 1967 intitolata Cibernetica e fantasmi, in cui lo scrittore descrive la letteratura come processo combinatorio, soffermandosi sull'impatto della teoria dell'informazione sulla letteratura, sulla creazione e sulla nostra visione del mondo, sulla fine dell'autore, sul rapporto uomo-macchina, e su quella che allora non veniva ancora chiamata intelligenza artificiale.

Artisti in mostra:

Josef Albers, Agostino Bonalumi, Regina Cassolo Bracchi, Enrico Castellani, Dadamaino, Jean Degottex, Aleksandra Domanovic, Ann Veronica Janssens, Yayoi Kusama, Francesco Lo Savio, Scott Lyall, Fabio Mauri, Aiko Miyawaki, Andrés Ramírez Gaviria, Antoine Schmitt, Gerhard von Graevenitz.

Carla Accardi, Cory Arcangel, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Maurizio Bolognini, Paolo Cirio, John F. Simon Jr., Channa Horwitz, Ryoji Ikeda, Vladan Joler, František Kupka, Sol LeWitt, Mark Lombardi, Agnes Martin, Eva e Franco Mattes, Vera Molnár, Roman Opalka, Trevor Paglen, Pablo Picasso, Casey Reas, Evan Roth, Lillian F. Schwartz, Hito Steyerl, Addie Wagenknecht. Arte Programmata 1962: Gruppo T [Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco] Gruppo N [Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi], Getulio Alviani, Enzo Mari, Bruno Munari. Fluxus [Nanni Balestrini, John Cage, Robert Filliou, Alison Knowles, Yoko Ono, Nam June Paik, Mieko Shiomi].

Rebecca Allen, Gazira Babeli, Petra Cortright, Constant Dullaart, Richard Estes, John Gerrard, Elisa Giardina Papa, Duane Hanson, Lynn Hershman Leeson, Agnieszka Kurant, JODI, René Magritte, MSHR, Katja Novitskova, Seth Price, Jon Rafman, Rachel Rossin, Manuel Rossner, Jeffrey Shaw, Timur Si-Qin, Ai Weiwei. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

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Dadamaino. Gli anni '80 e '90, l'infinito silenzio del segno
Presentazione mostra e catalogo (Galleria Cortina, giugno-luglio 2014)




Costas Varotsos
Passi e memorie


15 gennaio (inaugurazione) - 30 settembre 2023
Museo delle Trame Mediterranee - Baglio Di Stefano, Gibellina (Trapani)
www.fondazionemerz.org

La Fondazione Orestiadi, in collaborazione con la Fondazione Merz, in occasione della ricorrenza del devastante terremoto del Belìce del 1968, presenta due opere degli artisti Costas Varotsos (Grecia) e Gianfranco Anastasio (Sicilia). In particolare l'opera di Varotsos Spirale, 1991-98, già esposta da aprile a novembre 2022 presso il Parco Archeologico di Segesta nella mostra Nella natura come nella mente, curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi.

La spirale è un elemento che intreccia energia e natura, forma ripetuta e potenziata dal vetro che riflette e rifrange la luce. L'opera di Varotsos nella purezza dei materiali e nella loro potenza, nell'articolazione di cerchi, cicli vitali che si susseguono, è sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l'Universo. La grande spirale con la sua armatura in ferro e l'anima in vetro apre un dialogo tra i materiali ed elementi naturali quali: la luce, trasparenza, energia, movimento, tempo, equilibrio. La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura. L'artista, utilizzando la trasparenza del vetro per portare lo sguardo del visitatore oltre l'opera, stabilisce un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere. (Comunicato stampa)




Dipinto di presentazione della mostra Cabinet al Mact di Bellinzona CABINET: OPERE DAL DEPOSITO
Serge Brignoni / Carlo Cotti / Felice Filippini / Max Huber


14 gennaio (inaugurazione) - 09 aprile 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
www.cacticino.net

Una selezione di opere di quattro artisti operanti anche sul territorio, provenienti da collezioni private; Serge Brignoni, Carlo Cotti, Felice Filippini e Max Huber. Si tratta di una mostra collaterale a EXI[S]T, che mira al confronto tra contesti e periodi storici diversi, in equilibrio tra tradizione e rinnovamento; tra "l'ambiente" della pittura e la ricerca dettata dalle nuove avanguardie, che permeavano l'Europa nel primo 1900.

Quattro artisti di origine ticinese o che avevano scelto il Ticino, come metà per lo sviluppo della loro pratica artistica, seguendo l'invito di una terra aspra e avara, ma anche simbiotica e limbica all'interno di un panorama europeo dominato dalle guerre, e che ha visto il Ticino come luogo d'accoglienza di molte grandi personalità dell'Europa d'inizio secolo, alla ricerca di una utopia esistenziale: quando ancora si poteva vivere o morire di arte e di visione. (Mario Casanova - Bellinzona, 18 dicembre 2022)

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EXI[S]T. SUBLIMAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ.
Stefania Beretta / Pier Giorgio De Pinto / Parapluie / Nina Staehli

14 gennaio (inaugurazione) - 09 aprile 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
Presentazione




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




EXI[S]T. SUBLIMAZIONE DELLA FUNZIONALITÀ.
Stefania Beretta / Pier Giorgio De Pinto / Parapluie / Nina Staehli


14 gennaio (inaugurazione) - 09 aprile 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
www.cacticino.net

Parallelamente a Cabinet: Opere dalla Collezione, il MACT/CACT presenta 4 artisti, che operano anche sul territorio ticinese. Exi[s]t. Sublimazione della funzionalità vi si contrappone, demarcando quella linea di separazione tra la tradizione principalmente pittorica dell'epoca, e le nuove attitudini, che vano via via delineandosi nella società tutta, dal duchampismo in poi. Per gli artisti, il confronto con il soggetto e l'analisi del sé dentro la trama sociale diventa più che mai fondamentale e prioritario, che se le quattro proposte per questa mostra già appartengono a quella penultima generazione, che vede nella caduta delle grandi certezze lo spunto e l'elemento di lavoro.

Cercare di rifare tutto con relativa convinzione, al di là di ideologie e avanguardie, sembra essere uno dei motori dell'arte post-contemporanea: e vani sono per noi anche i tentativi volti alla ricerca spasmodica di ridefinire stilemi collettivi entro un determinato contesto della produzione artistica. Se da un lato, nel difficile e rischioso passaggio a una società politica incerta, la logica repubblicana sembra avere perso il suo splendore finora capace di riflettere obiettivamente giustizia e ingiustizia sociale - per esempio -, dall'altro, l'arte cerca di recuperare lentamente la sua dimensione di motore del pensiero libero, sciolto da logiche di mercato, per quanto il denaro sia ancora e soprattutto fondamentale nell'ambito delle discipline artistiche o filosofiche.

Nell'estenuante scivolare verso una società del controllo, della corruzione e della corruttibilità, qual è il senso e l'utilità dell'arte e della cultura in generale? Riesce ancora l'arte oggi a incarnare una funzione politico-sociale collettiva? Esiste una collettività in grado di coesistere, coagularsi e sostenersi? (Mario Casanova - Bellinzona, 18 dicembre 2022)




Andrea Tonellotto
This Must Be The Place


12 gennaio (inaugurazione) - 25 marzo 2023
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Mostra personale dedicata al fotografo italiano Andrea Tonellotto (Padova, 1974). Accompagnata dal testo critico di Rebecca Delmenico, l'esposizione attraverso la raccolta di più di quaranta lavori fra polaroid singole e mosaici riunisce la produzione più recente dell'artista italiano dedicata al tema urbano.

Come spiega il testo di Rebecca Delmenico "davanti alle fotografie di Andrea Tonellotto cessa qualsiasi pretesa di incasellare in una logica il metodo dell'artista, il quale segue nient'altro che il proprio sentire, restituendo tramite queste immagini una narrazione atmosferica che lo vede tornare più volte, in tempi diversi, in luoghi verso cui nutre una fascinazione per ritrovare e cristallizzare quei sapori e quelle suggestioni che permangono immutati, una continuità che persiste oltre il cambiamento nell'inevitabile scorrere dei giorni".

La critica sottolinea la modalità di ricerca dell'artista padovano, che per costruire i suoi mosaici di Polaroid si reca più volte sugli stessi luoghi allo scopo di ritrovarvi suggestioni atmosferiche, realtà emozionali e prospettive di volta in volta differenti, capaci di racchiudere una visione su un luogo, che è la dilatazione di un momento poetico. Come sottolinea Delmenico, la forma mosaico, in cui le singole immagini compongono una forma più ampia, per Tonellotto è lo strumento linguistico fondamentale: Tonellotto coglie connessioni tra luoghi e sentimenti e le polaroid, singole e in composizione, ne sono la prova: esse sono in grado di rievocare sinfonie emozionali perché è in quella dimensione, in cui un istante si dilata e il tempo come categoria cessa di esistere, che abita l'anima dei luoghi in assonanza con quella dello stesso artista.

Alla base del suo lavoro c'è un'ispirazione emozionale molto forte, cui segue una fase costruttiva di natura razionale: prosegue Delmenico, Tonellotto, nel perlustrare questi spazi urbani a distanza di giorni, mesi o addirittura anni, riconosce istantaneamente quei segnali che balzano al suo occhio, come un colore, un motivo, un gioco di luce, e subito li immortala, ma sarà solo al termine del lungo processo di raccolta delle immagini che all'artista si palesano quelle connessioni che danno vita a composizioni in cui l'artista ritrova per primo sé stesso. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra Roma ChilometroZero Pietre | Roma ChilometroZero
Nicoletta Leni Di Ruocco e Massimiliano Pugliese


18 gennaio - fine febbraio 2023
Leica Store - Roma

Quindici fotografi romani scelti da 5 selezionatori tra oltre 200 candidati per interpretare la città: questo è Roma ChilometroZero, progetto di Leica Camera Italia in collaborazione con Contrasto, nato con l'obiettivo di trovare nuovi talenti e nuovi sguardi per i 15 municipi di Roma, attraverso l'uso di una fotocamera Leica. Roma ChilometroZero è un metodo di indagine alternativa della capitale, una raccolta di punti di vista differenti, spesso lontani dall'immaginario consueto e condiviso, dai percorsi più usuali. Un'occasione di scoperta e riscoperta del territorio, grazie all'impegno di Leica nella ricerca di nuovi fotografi in grado di interpretare uno dei luoghi più antichi e osservati. Un incontro tra due leggende: la città eterna e la fotocamera più iconica al mondo.

A ciascun fotografo è stato assegnato un municipio di riferimento. Una zona da conoscere, mappare, immortalare in un mese di lavoro e approfondimento, potendo scegliere, a seconda delle sue esigenze, tra le fotocamere che Leica ha messo a disposizione: Q2, la compatta full frame che unisce eccezionali prestazioni con resistenza ed eleganza; Q2 Monochrom, la versione monocromatica, ideale per gli amanti della fotografia in bianco e nero; M11, una leggenda oggi reinventata che combina l'esperienza unica del telemetro con le più avanzate e sofisticate soluzioni tecnologiche; SL2, solida e resistente, ammiraglia del sistema mirrorless professionale Leica e SL2-S, fotocamera velocissima che, grazie alle due modalità di ripresa separate per foto e video, permette un'esperienza incomparabile e intuitiva. Strumenti diversi proposti da Leica per leggere e trascrivere visioni e sensibilità nuove.

Gli esperti di fotografia e arte Simona Antonacci, Maurizio Beucci, Simona Ghizzoni, Francesca Marani, Alessandra Mauro, dopo aver selezionato i fotografi, hanno il compito di accompagnarli passo dopo passo in questo percorso, in questo viaggio, per la definizione di un tema, di una chiave interpretativa di ciascun municipio, che potrà essere condivisa con il pubblico grazie alle mostre presso Leica Store Roma. Il 18 gennaio 2023 inaugura "Pietre" di Nicoletta Leni Di Ruocco e Massimiliano Pugliese, che segue la prima mostra di Gianni "Gianorso" Rauso, Velaria, e riavvia l'attività espositiva del 2023 di Leica Camera Italia. Una raccolta di oltre 20 immagini realizzate con Leica SL raccontano il Municipio 1, tra Pantheon e Foro Romano. Una narrazione notturna, silenziosa, monumentale non priva di sorprese. Una Roma deserta, o quasi. (Comunicato stampa)




Nino Migliori. L'arte di ritrarre gli artisti
Ritratti di artisti di un maestro della fotografia italiana


15 ottobre 2022 - 10 aprile 2023
Reggia di Colorno (Parma)

La mostra è la special guest della edizione '22 di "Colornophotolife", l'annuale festival di fotografia accolto dalla Reggia che fu di Maria Luigia d'Austria, a Colorno nel parmense. La monografica di Migliori conferma la vocazione della Reggia a connotarsi come sede di grandi eventi fotografici, sulla scia delle mostra qui riservate a Michael Kenna, Ferdinando Scianna e Carla Cerati. Di Nino Migliori si possono ammirare 86 opere inedite, quasi tutte ritratti di artisti da lui frequentati, realizzate tra gli anni Cinquanta ed oggi, che consentono di ripercorrere, attraverso le diverse tecniche adottate, le ricerche e le esplorazioni del mezzo fotografico condotte nel corso di oltre settant'anni di attività. L'esposizione, a cura di Sandro Parmiggiani, con la direzione di Antonella Balestrazzi, è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese).

Cinque le sezioni: i ritratti in bianco e nero, avviati negli anni '50, quando Migliori è a Venezia e frequenta la casa di Peggy Guggenheim, e sviluppati fino agli anni recenti; le immagini a colori nelle quali spesso opera una dislocazione dei piani e talvolta ritaglia le immagini e le ricolloca nello spazio; le sequenze di immagini tratte dal mezzo televisivo e concepite come fotogrammi in divenire; le grandi "trasfigurazioni" (100x100 cm) a colori in cui Migliori interviene "pittoricamente" sull'immagine; i ritratti recenti in bianco e nero "a lume di fiammifero", che applicano alcune sue ricognizioni condotte su sculture "a lume di candela".

Molti sono i protagonisti della scena artistica che i visitatori della mostra riconosceranno attraverso i loro ritratti: tra gli altri, Enrico Baj, Vasco Bendini, Agenore Fabbri, Gianfranco Pardi, Guido Strazza, Sergio Vacchi, Luciano De Vita, Salvatore Fiume, Virgilio Guidi, Piero Manai, Man Ray, Luciano Minguzzi, Zoran Music, Luigi Ontani, Robert Rauschenberg, Ferdinando Scianna, Tancredi Parmeggiani, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Lamberto Vitali, Andy Warhol, Wolfango, Italo Zannier; Antonio Gades, Bruno Saetti, Lucio Saffaro, Alberto Sughi, Emilio Tadini; Eugenio Montale, Gian Maria Volonté, Giovanni Romagnoli e Franco Gentilini; Karel Appel, Enzo Mari, Fausto Melotti, Tonino Guerra, Pompilio Mandelli, Marisa Merz, Bruno Munari, Fabrizio Plessi, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo; Mario Botta, Ugo Nespolo, Elisabetta Sgarbi.

"Davanti alle fotografie di Nino Migliori occorre ricordare -evidenzia il Curatore, Sandro Parmiggiani - che con lui nulla deve essere dato per scontato: la macchina fotografica, la pellicola (e ora il supporto digitale), le carte su cui vengono stampate le immagini non sono asservite a una funzione prestabilita, ma essa può sempre essere ridefinita ed esplorata in nuove direzioni.

Migliori è stato, fin dal 1948, uno strenuo indagatore delle possibilità offerte dal mezzo, dai procedimenti tecnici e dai materiali della fotografia; oltre a essere autore di splendide fotografie neorealiste - molti ricordano l'icona de "Il Tuffatore", 1951 -, lui si è cimentato con le bruciature sulla pellicola e sulla celluloide, con esperienze su carta e su vetro, con le fotografie di muri e di manifesti, con la ricerca della "faccia nascosta" delle polaroid, con le recenti esperienze con caleidoscopi di diverse dimensioni (due dei ritratti in mostra sono realizzati con questa tecnica): inesauste ricerche e verifiche alimentate dalle visioni e dagli esperimenti che questa sorta di artista-fotografo-sciamano ha condotto nel suo viaggio dentro la fotografia.

Sarebbe dunque limitativa la definizione di "fotografo", non avendo mai Migliori concepito il mezzo fotografico come mero strumento di conformità agli statuti e ai canoni della fotografia - "una immagine che fissa il reale, in un momento del suo divenire" -, ma qualcosa che poteva permettergli di avvicinarsi a certe visioni che da sempre lo hanno intrigato.

Basta pensare alle esperienze condotte a partire dal 2006, quando decise di fotografare lo Zooforo, l'impressionante bestiario medievale scolpito da Benedetto Antelami sul Battistero del Duomo di Parma, immaginando di restituirne la visione notturna che ne potevano avere gli abitanti della città, e i suoi visitatori, passando accanto alla torre ottagonale e scoprendone, alla luce delle torce, le forme fantastiche che si snodavano lungo il suo perimetro, ricreando nella notte, con opportune coperture, un buio profondo e avvicinando e muovendo lentamente una candela alle formelle, fino a scoprirne il volto segreto. Da quell'esperienza sono nati cicli in cui Migliori ha fotografato nell'assenza di luce monumenti e sculture, e ha eseguito ritratti di persone nel buio assoluto, con i loro volti illuminati dalla luce di un fiammifero, come documentano alcune fotografie della mostra di Colorno.

Nino Migliori (Bologna, 1926) inizia a fotografare nel 1948, alternando la fotografia neorealista e formalista alle sperimentazioni e alle ricerche, sulla base di tecniche inventate e affinate da lui stesso, che lo conducono a espressioni spesso affini alle vicende della pittura (quali l'informale) e alle esperienze concettuali. Negli anni Cinquanta, amico di Tancredi e di Emilio Vedova, frequenta la casa di Peggy Guggenheim a Venezia, mentre a Bologna si lega ad artisti quali Vasco Bendini, Vittorio Mascalchi, Luciano Leonardi. Nel 1977 il CSAC (Centro studi e archivio della comunicazione) dell'Università di Parma gli dedica la sua prima grande mostra antologica, curata dal suo fondatore, Arturo Carlo Quintavalle; dal 1978 Migliori è docente di Storia della Fotografia al Corso di Perfezionamento di Storia dell'Arte dell'Università di Parma; allo CSAC dona negli anni un corpus consistente di opere.

Nel 1979 tiene un memorabile corso nell'ambito della manifestazione "Venezia 79 La fotografia", sotto il patrocinio dell'Unesco e dell'International Center of Photography di New York, avente come programma le sperimentazioni off-camera. Nel 1982 Migliori dà vita ad Abrecal - Gruppo Ricerca Percezione Globale (1982-1991), che si rivolge soprattutto ai giovani e che si riallaccia alla poetica futurista nel senso di rottura degli schemi precostituiti e della libertà di espressione: il nome è infatti l'inverso di "Lacerba". Dagli anni Settanta dirige workshops, e si dedica con frequenza alla didattica in scuole di vario ordine e grado e in istituzioni museali. Nel 2016 l'artista dà vita alla "Fondazione Nino Migliori". (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Locandina della mostra su Leonardo da Vinci L'ingegno di Leonardo. Le macchine
26 novembre 2022 - 01 maggio 2023
Palazzo dei Consoli - Gubbio
www.palazzodeiconsoli.it

La mostra è curata da Gabriele Niccolai, titolare del Museo Leonardo da Vinci di Firenze da cui provengono gli oltre 50 modelli esposti, fedelmente ricostruiti a mano. In mostra i modelli di macchine militari, di ingegneria civile e idraulica, accanto a studi per il volo umano ed oggetti curiosi, pronti a meravigliare visitatori di ogni età che potranno in autonomia azionarli e scoprire il funzionamento. Alcune ricostruzioni di macchine leonardesche si possono ammirare anche in suggestivi spazi esterni del centro storico di Gubbio.

Leonardo da Vinci fu un pioniere nella ricerca e negli studi della tecnologia. Con le sue idee ha saputo coniugare in maniera mirabile l'attività artistica e l'attività scientifica, applicando le sue conoscenze di meccanica ad opere di ingegneria civile e militare e dedicandosi con passione agli studi di anatomia, biologia, matematica e fisica. La famiglia fiorentina Niccolai, a partire dal 1960, ha deciso di dare vita alle macchine disegnate da Leonardo nei suoi Codici, unendo il sapere artigiano alla ricerca accademica.

Leonardo ha disegnato i progetti di alcune delle più importanti innovazioni nella storia dell'ingegneria. Nella mostra a Palazzo dei Consoli si potranno ammirare oltre 50 modelli in scala di varie dimensioni, fedelmente ricostruiti a mano utilizzando i materiali dell'epoca cioè legno, cotone, ottone, ferro e corde. Sono opera di Carlo Niccolai prima e del figlio Gabriele oggi, titolare del Museo delle Macchine di Leonardo di Firenze. Si tratta di macchine militari, di ingegneria civile e idraulica, accanto a studi per il volo umano ed oggetti curiosi. Si possono ammirare, tra gli altri: l'odometro, il girarrosto a vapore, il primo modello di carro armato, il ponte arcuato di tipo militare, il cannone navale, la scala mobile, il robot, il riflettore e ancora l'elica, il deltaplano e il paracadute.

Sono parte di una prestigiosa collezione che conta oltre 400 modelli unici, ricostruiti in oltre 50 anni di ricerche e lavorazioni artigianali. Si tratta attualmente della collezione più grande dedicata alle macchine di Leonardo da Vinci ed è richiesta per esposizioni in tutto il mondo che hanno toccato, tra gli altri, Stati Uniti, Brasile, Corea del Sud e Giappone, curate da Niccolai srl e Teknoart Firenze. La mostra di Gubbio è la seconda tappa di un grande tour itinerante che proseguirà per i prossimi dieci anni.

Nella mostra a Gubbio i visitatori diventano protagonisti attivi: possono, infatti, azionare in modo autonomo le macchine attraverso il movimento di maniglie e manovelle così da scoprirne il facile funzionamento. Accanto ad ogni macchina è visibile l'immagine della pagina del codice che riporta il disegno tecnico eseguito da Leonardo, utilizzata per la ricostruzione fedele del modello, insieme ad un'accurata descrizione. I suoi manoscritti testimoniano, infatti, gli esperimenti compiuti, dalle soluzioni ideate per risolvere problemi pratici del tempo alle intuizioni per possibilità future.

Pochissimi dei progetti di Leonardo sono arrivati alla costruzione, tanto da essere ritenuti da alcuni studiosi solo oggetti di fantasia. Ci sono documentazioni e prove, invece, che ne realizzò diversi, come il contatore d'acqua di cui è presente il modello in mostra, costruito per Villa Rucellai a Firenze. Verso il 1510 il padrone di casa chiese a Leonardo un disegno per un macchinario capace di calcolare l'acqua da erogare nel suo giardino botanico. Altri non era che una ruota dispensatrice di acqua a ritmo costante: oggi la conosciamo grazie ad un disegno, riprodotto sull'originale di Leonardo, da Benvenuto Della Volpaia, abile costruttore di orologi e altri meccanismi per la misurazione. (Estratto da comunicato stampa)




Moltiplicare Dividendo
03 dicembre (inaugurazione) - 23 aprile 2023
CollAge - Collection Storage - Todi

Una selezione di lavori degli anni '70 - '90 di autori diversi, da Carla Accardi a Mario Ceroli, da Enrico Castellani a Piero Dorazio, da Sol Lewitt a Mario Schifano, per continuare con Agostino Bonalumi, Christo, Hans Hartung e Urs Lüthi. Una mostra di sole grafiche che, a differenza del confronto generazionale da sempre centrale nei progetti di Matteo Boetti, si concentra su un gruppo di maestri più storicizzati che si sono ampiamente dedicati a questo tipo di produzione artistica.

Con un omaggio alla filosofia artistica di Alighiero Boetti, l'idea di questa esposizione richiama, fin dal titolo, un gioco matematico basato sulle qualità del dividere e del moltiplicare insite nella natura stessa dei multipli. Un processo artistico di riproduzione dell'opera d'arte ribadito dal susseguirsi di edizioni e tirature quale azione di moltiplicazione tipica di questo procedimento creativo. Moltiplicare Dividendo fa parte di una serie di mostre diffuse che continueranno fino all'estate 2023, organizzate per festeggiare i 30 anni di attività di Matteo Boetti. (Comunicato stampa)




Opera di Andy Warhol che ritrae Marilyn Monroe esposta in una parete della sala, fotografia realizzata da Giovanni Daniotti Ritratto di Andy Warhol, fotografia realizzata da Giovanni Daniotti Opere di Andy Warhol che ritraggono il barattolo della zuppa Campbell's e Marilyn Monroe, fotografia realizzata da Giovanni Daniotti Andy Warhol
La pubblicità della forma


22 ottobre 2022 - 26 marzo 2023
Fabbrica del Vapore - Milano

Con oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni - dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all'ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro - la spettacolare mostra Andy Warhol curata da Achille Bonito Oliva. Un viaggio nell'universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno maggiormente innovato la storia dell'arte mondiale. "Warhol - afferma Bonito Oliva - è il Raffaello della società di massa americana che dà superficie ad ogni profondità dell'immagine rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un'inedita classicità nella sua trasformazione estetica. Così la pubblicità della forma crea l'epifania, cioè l'apparizione, dell'immagine".

Una esposizione con più di 300 opere, per la maggior opere uniche. Molte provenienti dall'Estate Andy Warhol, due di Keith Haring e di altre prestigiose collezioni private. "Dai disegni degli anni 50 alle icone Liz, Jackie, Marilyn, Mao, Flowers, Mick Jagger ai ritratti ed ai suoi progetti personali come il fashion - dichiara Edoardo Falcioni - sono presenti tele, carte, sete, latte con le famose ed uniche Polaroid, per arrivare agli acetati unici che fanno parte della seconda fase del suo lavoro altrettanto importante".

Andrew Warhola, classe 1928, originario di Pittsburgh, dopo la laurea nel 1949 si trasferisce a New York, trasforma il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei primi anni '60 è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New Yorker, Vogue e Glamour. L'intuizione che lo renderà celebre e ricco è quella di ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella mente del pubblico. Thirty Are Better Than One, la sua prima Monna Lisa ripetuta ben trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d'arte, viene trasformata in una opera di tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. In Green Coca-Cola Bottles - scrive Falcioni nel suo testo per il catalogo - comprendiamo immediatamente che per l'artista è proprio la quantità a prevalere sull'originalità del soggetto raffigurato: è infatti ripetendo la stessa immagine che egli riesce a portare e mettere in scena il panorama consumistico nel mondo dell'arte: compito dell'artista non è più creare, ma riprodurre".

Per far questo Warhol adotta una speciale tecnica di serializzazione, con l'ausilio di un impianto serigrafico, che facilita la realizzazione delle opere e riduce notevolmente i tempi di produzione. Su grosse tele riproduce moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori: usando immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali o immagini di impatto come incidenti stradali o sedie elettrice, riesce a svuotarle del significato originario. L'arte deve essere "consumata" come qualsiasi altro prodotto. La tecnica della serigrafia viene usata da Warhol già nel 1962 per realizzare la serie Campbell's Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell's, esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles.

Lo stesso fa con i ritratti delle celebrità dell'epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito, Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l'imperatrice iraniana Farah Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer. Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventa un imperativo a conferma del proprio status sociale.

Emblematica la Gold Marilyn Monroe, conservata al MoMA di New York: una delle donne più affascinanti della storia moderna americana viene qui rappresentata su uno sfondo oro, esattamente come si trattasse di una tavola del Trecento raffigurante la Madonna. La critica all'inizio stronca questi lavori, non comprendendone l'originalità né la volontà di Warhol di comunicare l'idea della ripetizione e dell'abbondanza del prodotto, in linea con la filosofia consumistica dell'epoca. La sua opera viene vista come un oltraggio all'Espressionismo Astratto, movimento artistico allora dominante negli Usa. Lo stesso celebre gallerista Leo Castelli all'inizio non comprende la genialità innovativa del lavoro di Warhol e cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua scuderia.

In realtà aderendo alla cultura di massa e portandola nel mondo concettuale dell'arte figurativa, Warhol ha esaltato la patria del consumismo e tutto quanto gli Stati Uniti hanno simboleggiato dal dopo guerra sino agli anni '80. "Il vero colpo di genio attraverso cui l'artista riuscì a valorizzare definitivamente gli anni '60 e le nuove forme di comunicazione di massa - leggiamo ancora nel testo di Falcioni - furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati.

Queste vennero realizzate da una falegnameria e i bordi vennero serigrafati da Warhol e i suoi assistenti come le etichette originali. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto, celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia dell'arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: "che cos'è l'arte?". Questo interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere d'arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un determinato contesto storico, in questo caso gli anni '60 assieme alle sue innumerevoli novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete

L'evento che rese queste opere tra le più celebri dell'intera storia dell'arte fu la personale dell'artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste sculture furono disposte all'interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra all'altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria d'arte". E' visitando questa mostra che Leo Castelli si ricrede e comprende l'attualità dell'operazione di Warhol, arruolando nella sua scuderia. Da questo momento la carriera di Warhol ha una vera e propria deflagrazione. Nasce la celebre The Factory, originariamente al 231 East 47th Street, dove innumerevoli assistenti creano a ritmo frenetico le sue opere in serie: quadri, film, cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. E dove Warhol accoglie attori, musicisti, scrittori, tutto il mondo creativo newyorchese, creando i primi film come i The Velvet Uderground & Nico, per cui realizza anche la copertina del celebre LP.

Qui sono realizzati molti altri film che mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo, sorta di quadri proiettati su una parete bianca e gli Screen Test, ritratti filmati di personaggi in visita alla Factory, ripresi, allo scopo di entrare nella loro intimità, con una camera fissa senza muoversi per tre minuti su un fondo nero. Nella Factory viene realizzato inoltre il magazine Interview con in copertina, per ciascun numero, il personaggio del momento. E sono prodotte altre celebri copertine per Time e Playboy. Molte altre Factory seguiranno in diverse parti della città, laboratori dei tantissimi progetti ideati senza sosta dal poliedrico artista.

Nel frattempo è nata una nuova generazione di artisti come Basquiat, Haring, Scharf che considerano Warhol il loro padre spirituale: accogliendoli nella sua cerchia Warhol ne assorbisce dinamismo e creatività. Riesce così a rinnovarsi nuovamente, ideando le ultime sperimentazioni iconiche come il celeberrimo Dollar Sign, emblema del rampantismo economico di quegli anni, abbandonando l'uso della serigrafia e dedicandosi, reinterpretando in chiave pop alcuni riferimenti artistici del passato, alla pittura pura.

La mostra milanese vuole documentare questo avvincente percorso: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni '60. Esposte quasi tutte opere uniche come tele, serigrafie su seta, cotone e carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali - i primi NFT della storia -, la BMW Art Car dipinta da Warhol con il video in cui la realizzò, la ricostruzione fedele della prima Factory e una parte multimediale con proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali.

Andy Warhol muore nel 1987 per una infezione alla cistifellea. Le sue icone, i suoi personaggi, i suoi soggetti sono riprodotti ovunque, in tutto il mondo, su vestiti, matite, posters, piatti, zaini. Ha anticipato i social network e la globalizzazione degli anni Duemila, ha cambiato per sempre la storia dell'arte, è ancora attualissimo e amato da un pubblico trasversale. La mostra rappresenta una occasione imperdibile per godere della sua arte unica, coraggiosa, innovativa e traboccante di idee. (Comunicato ufficio stampa Lucia Crespi)




Il Manifesto del bar Giamaica Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica - 65° anniversario
www.archivioalbertozilocchi.com

L'Archivio Alberto Zilocchi festeggia il 65° anniversario del "Manifesto del bar Giamaica", documento nel quale otto giovani artisti (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga e Alberto Zilocchi), in un momento di impeto, annunciano l'arrivo della pittura d'avanguardia in occasione della Mostra dei Giovani Artisti organizzata all'interno del bar Giamaica in via Brera 32 a Milano il 9 novembre 1957. Attraverso i suoi canali social e sul canale Youtube dell'Archivio Alberto Zilocchi a partire dal 9 novembre 2022 un video predisposto per l'occasione dal titolo "65° anniversario Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica".

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"Attualmente, a Milano, il Premio S. Fedele è l'unica rassegna che si dice pensosa di promuovere e segnalare l'attività dei giovani pittori. Ma in realtà il Premio S. Fedele esclude e respinge le nuove posizioni e tendenze della giovane pittura italiana, e ripiega piuttosto sui frutti di uno squallido artigianato tradizionalista, privo di interesse e consistenza. Si presenta così ai critici un panorama falsato, per ragioni che trasparentemente nulla hanno a che fare con l'arte e restringe il campo alla produzione più conformista.

Sono da giustificare quindi i critici che hanno scritto, forse in buona fede, sulla decadenza delle forme di pittura non descrittiva e sull'assoluta mancanza di pittura d'avanguardia. Noi esponiamo in un Bar, ma non per questo la nostra mostra è meno valida. Con essa e con questo manifesto noi vogliamo affermare la nostra inequivocabile presenza nel mondo dell'Arte e della Cultura, contro tutti coloro che intendono soffocarla in certe falsate e poco culturali Rassegne d'arte". (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga, Alberto Zilocchi - Milano, 9 novembre 1957)

Alberto Zilocchi nasce a Bergamo nel 1931. Agli inizi anni '50 parte per Parigi per frequentare dei corsi della nuova pittura europea e lì conosce Piero Manzoni. Verso la metà degli anni '50 frequenta l'avanguardia di Milano e i giovani pittori che si riuniscono al Bar Giamaica di Brera a Milano, a due passi dall'Accademia. Nel 1957 firma con Piero Manzoni, Ettore Sordini, Angelo Verga, Aldo Calvi, Guido Biasi, Antonio Recalcati e Silvio Pasotti il Manifesto del Bar Giamaica, in cui annunciano l'arrivo della nuova pittura d'avanguardia.

Nel 1959 Alberto Zilocchi partecipò alla prima mostra collettiva - e seconda mostra in termini temporali della Galleria - della galleria Azimut fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani in via Clerici 12 a Brera, inaugurata il 22 Dicembre 1959 e terminata il 3 Gennaio 1960 accanto ad altri artisti come Manzoni, Anceschi, Boriani, Castellani, Colombo, Dadamaino, Devecchi, Mari e Massironi. In questo periodo Zilocchi collabora, tra gli altri, con Lucio Fontana, con il quale esporrà sempre nel 1959 alla Galleria della Torre di Bergamo e diventa uno dei principali artisti animatori del Gruppo Bergamo.

Negli anni '70 Zilocchi partecipa a diverse esposizioni in tutta Europa e nel 1972 diventa uno di principali animatori con altri artisti europei del Centro internazionale di Studi d'Arte Costruttiva (Internationaler Arbeitskreis für Konstruktive Gestaltung - IAFKG), gruppo di lavoro che opererà con mostre, simposi e commenti critici in tutta Europa sino al 1988.

I lavori più conosciuti di Albero sono la serie dei Rilievi, opere monocrome caratterizzate da estroflessioni sulla superficie, tutte in rigoroso ed esclusivo colore monocromo bianco acrilico opaco su supporti - tavole o telai realizzati dallo stesso artista, opere molto spesso quadrate come opere singole, oppure concepiti in serie, dando vita ad una rappresentazione tridimensionale dello spazio composta da linee geometriche di luce ed ombre che si ispessiscono e poi infine sfumano sino ad annullarsi sulla superficie piana del quadro, prodotti sino a tutti gli anni '70, mentre negli anni '80 Zilocchi avvia il nuovo ciclo delle Linee, carte o tele applicate su tavole (molto spesso quadrate), nelle quali il bianco di fondo è solcato da tratti neri di spessore e frequenza variabili.

In ogni composizione un rigido schema geometrico di partenza viene poi rotto dall'artista secondo un'anomalia introdotta da un elemento casuale: il lancio di un dado o un'estrazione a sorte (ad esempio una pagina dell'elenco telefonico) determinano l'aumento di lunghezza delle righe o il loro spessore. «Il caso ha molta più fantasia di noi» amava ripetere Zilocchi. Muore nel 1991 a Bergamo. Durante la sua vita ha esposto in oltre 100 mostre personali e collettive, soprattutto nel nord Europa (Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Inghilterra). (Comunicato Archivio Alberto Zilocchi)




locandina della mostra Ri-Materializzazione del Linguaggio 1978-2022 Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022
01 ottobre 2022 (inaugurazione) - 03 giugno 2023
Fondazione Antonio Dalle Nogare - Bolzano
www.fondazioneantoniodallenogare.com

La mostra Materializzazione del linguaggio, curata dall'artista e poetessa Mirella Bentivoglio, fu inaugurata il 20 settembre 1978 presso i Magazzini del Sale, nell'ambito della XXXVIII Biennale di Venezia. Nella sua molteplicità di immagini e parole, di pratiche individuali e collettive, essa comprendeva le ricerche verbo-visuali di 90 artiste e poetesse internazionali che, raccontando il "rapporto fra la donna e il linguaggio", materializzavano un linguaggio inteso come modalità di comunicazione non condizionata, incorporando un'espressione identitaria trasgressiva, al contempo poetica e critica, di radicale rifiuto del linguaggio patriarcale.

Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022 - in cui è presentata un'ampia selezione delle opere originariamente esposte, insieme ad altre coeve e a materiali di documentazione - si propone come il primo tentativo di ricostruzione filologica di una mostra divenuta nel frattempo un punto di riferimento per le ricerche artistiche femminili e femministe, ma anche come la riattivazione contemporanea delle sue istanze storiche. Ispirato alle opere stesse, l'allestimento parte dalla matrice dell'alfabeto quale grado zero del linguaggio, e dal rapporto opera/documento, mostra/libro, muro/vetrina, invitandoci a continuare a reinventare il linguaggio che ci è stato imposto, così da poterci riappropriare del modo più autentico e personale in cui desideriamo esprimerci e comunicare.

La mostra, a cura di Cristiana Perrella, Andrea Viliani con Vittoria Pavesi e allestimento Matilde Cassani Studio, è presentata in occasione del centenario della nascita di Mirella Bentivoglio (Klagenfurt am Wörthersee, 1922 - Roma, 2017). Il linguaggio della mostra originaria sarà periodicamente e progressivamente ri-materializzato dagli interventi di tre artiste contemporanee - Monica Bonvicini (Venezia, 1965), BRACHA (Bracha L. Ettinger, Tel Aviv, 1948) e Nora Turato (Zagabria, 1991) - e attraverso una pluralità di eventi, sia digitali che dal vivo. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Viaggio in Italia XXI - Lo sguardo sull'altro
27 ottobre 2022 (inaugurazione) - 09 aprile 2023
Museo Casa di Goethe - Roma
www.casadigoethe.it

Mostra a cura di Ludovico Pratesi, una sorta di viaggio fra le opere di otto artisti appartenenti a diverse generazioni, accomunati dal lavoro tra l'Italia e la Germania: Francesco Arena, Guido Casaretto, Johanna Diehl, Esra Ersen, Silvia Giambrone, Benedikt Hipp, Christian Jankowski, Alessandro Piangiamore. Con questa mostra si inaugura la direzione del nuovo direttore insediatosi lo scorso aprile Gregor H. Lersch, che così commenta: "Viaggio in Italia XXI prende spunto dal Viaggio in Italia di Goethe e pone la questione del significato del viaggio nel nostro presente. L'Italia è da sempre un luogo in cui molti viaggiatori, oggi spesso anche migranti, si confrontano con una realtà diversa dalle loro aspettative. L'appartamento di via del Corso dove Goethe viveva con altri artisti diventa quindi un luogo di dialogo tra l'arte realizzata in Italia e in Germania. A ognuno degli artisti il curatore ha chiesto di rispondere con un'unica opera alla domanda: come ti relazioni con l'altro?

Il tema del rapporto con l'altro è infatti diventato cruciale e scottante, in un tempo dove l'emergenza sembra essersi trasformata in allucinante normalità, in una Europa in cui ci si trova ad affrontare tematiche complesse come la questione dei migranti, la diversità di genere, il cambiamento climatico, l'affermazione delle identità delle minoranze o le limitazioni di libertà dovute alle pandemie. Lo sguardo sull'altro diventa il filo rosso di una narrazione sospesa tra impegno ed evocazione, denuncia o metafora, per offrire ai visitatori una serie di riflessioni sul presente attraversato da tensioni contraddittorie, che gli artisti riescono a interpretare in maniera complessa e spesso lungimirante.

"L'Italia del XXI Secolo è parte dell'Europa, e ne condivide le problematiche e le contraddizioni. In un'epoca dove il rapporto con l'altro è sempre più complesso, gli artisti in mostra raccontano con le loro opere punti di vista differenti, attraverso linguaggi espressivi che vanno dal video alla pittura, dalla scultura alla fotografia" spiega il curatore Ludovico Pratesi. Attraverso 34 opere la mostra gioca sull'incrocio degli sguardi degli otto artisti coinvolti. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Busto di Sekhmet al Museo Civico Archeologico di Bologna Sekhmet, la Potente
Una leonessa in città


07 luglio 2021 - 31 dicembre 2023
Museo Civico Archeologico - Bologna
www.museibologna.it/archeologico

Progetto espositivo a cura di Daniela Picchi. L'iniziativa è resa possibile dalla generosa collaborazione con cui il Museo Egizio di Torino ha concesso in prestito uno dei suoi capolavori più rappresentativi: una statua colossale di Sekhmet, materializzazione terrestre della temibile divinità egizia con testa di leonessa e corpo di donna, di cui il museo torinese conserva una delle più grandi collezioni al di fuori dell'Egitto, composta da 21 esemplari.

Divinità dalla natura ambivalente, al contempo di potenza devastatrice e dispensatrice di prosperità, Sekhmet, ovvero "la Potente", venne raffigurata in varie centinaia di statue per volere di Amenhotep III, uno dei faraoni più noti della XVIII dinastia (1388-1351 a.C.), per adornare il recinto del suo "Tempio dei Milioni di Anni" a Tebe Ovest. Alcuni studiosi ipotizzano che il gigantesco gruppo scultoreo fosse composto da due gruppi di 365 statue, una in posizione stante e una assisa per ogni giorno dell'anno, così da creare una vera e propria "litania di pietra", con la quale il faraone voleva pacificare Sekhmet tramite un rituale quotidiano. La regolarità dei riti in suo onore servivano infatti a placarne l'ira distruttrice che la caratterizzava quale signora del caos, della guerra e delle epidemie, trasformandola in una divinità benevola e protettrice degli uomini.

Nella collezione egizia del Museo Civico Archeologico di Bologna è presente il busto di una di queste sculture che - grazie al confronto con la Sekhmet seduta in trono proveniente dal Museo Egizio di Torino - potrà così riacquistare, almeno idealmente, la propria integrità creando una proficua occasione di confronto e ricerca scientifica. La statua sarà esposta nell'atrio monumentale di Palazzo Galvani e andrà ad arricchire un importante repertorio di materiali lapidei, sia di proprietà civica, tra i quali un raro busto in marmo di Nerone, sia di proprietà statale, che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara ha depositato presso il museo.

Dall'alto dei suoi 2,13 metri di altezza, Sekhmet potrà così accogliere il pubblico e introdurlo alla visita della collezione egizia, continuando a svolgere quella funzione protettrice per la quale era stata commissionata da Amenhotep III mentre, al suo cospetto, il visitatore potrà rivivere la stessa emozione che il sacerdote dell'antico Egitto doveva provare quando entrava nel cortile del Tempio per pronunciare il nome della "Potente" e invocarla nelle sue preghiere per placarla e propiziare ogni estate la fertile esondazione delle acque del Nilo.

Il pantheon egizio conta numerose divinità femminili associate al culto solare e una di queste è Sekhmet, il cui nome significa "la Potente". La temibile dea era considerata dagli Egizi l'Occhio del Sole, emblema del potere divino che tutto vede, la Furia nel mondo degli dei, che si erge sotto sembianze di serpente Ureo anche sulla fronte dei sovrani, proteggendoli.

Come racconta il Mito della Vacca Celeste, attestato per la prima volta durante il regno del faraone Tutankamun (1333-1323 a.C.), il demiurgo Ra aveva inviato Sekhmet sulla terra per punire gli uomini in rivolta contro gli dei. La leonessa, inebriata dall'odore del sangue, avrebbe annientato l'intero genere umano se Ra non fosse intervenuto nuovamente, su suggerimento del dio della saggezza Thot, facendo versare in un lago una grande quantità di birra colorata con ocra rossa. Attratta dal colore e pensando si trattasse di sangue, la dea ne bevve sino ad ubriacarsi, dimenticandosi del precedente odio verso gli uomini e trasformandosi in Hathor, il principio femminile creativo, al quale era associato anche l'arrivo della piena del Nilo in Alto Egitto. Tale trasformazione non sorprende se si considerano le divinità egizie come manifestazioni diverse di un più ampio concetto di divino.

La pericolosa e furente Sekhmet, oltre a poter inviare sulla terra pestilenze e malattie, adeguatamente adorata, era anche in grado di prevenirle e guarirle, tanto da avere un sacerdozio, quello dei "puri sacerdoti di Sekhmet", dedito alla cura delle vittime colpite da afflizioni invisibili e apparentemente divine come la peste (definita anche "l'anno di Sekhmet").

La manifestazione di culto più eclatante nei confronti di questa divinità leontocefala si deve al faraone Amenhotep III (1388-1351 a.C.), che, in occasione del suo giubileo, la celebrazione del trentesimo anno di regno, trasformò le litanie innalzate per placare Sekhmet negli ultimi cinque giorni di ogni anno, i Giorni dei Demoni, in una impressionante litania di pietra, facendo scolpire oltre 700 sculture rappresentanti la dea in posizione stante e assisa in trono. Per quanto le statue siano state rinvenute in diverse aree templari tebane (numerose nel Tempio di Mut a Karnak, Tebe Est), molti studiosi ritengono che la loro collocazione originaria fosse Kom el-Hattan, il "Tempio dei Milioni di Anni" di Amenhotep III a Tebe Ovest, e in particolare il cortile solare al suo interno. In tale maniera il sovrano si garantiva la protezione della dea in terra e partecipava del periplo divino del sole del quale Sekhmet era una manifestazione. (Estratto da comunicato ufficio stampa Istituzione Bologna Musei)




L'Archivio di Arnaldo Pomodoro è online
www.arnaldopomodoro.it

Dopo la preview del film sperimentale Arnaldo Pomodoro makes a sphere (1968), in occasione della Notte degli Archivi 2021, dal 9 giugno è online l'Archivio di Arnaldo Pomodoro: un portale web, gratuitamente accessibile, con cui la Fondazione Arnaldo Pomodoro mette a disposizione del più vasto pubblico - dal ricercatore al semplice appassionato - un importante nucleo di materiali conservati nell'archivio dell'artista, fonte di informazione e approfondimento sulla vita e sull'opera del Maestro, così come su un tratto della storia artistica e culturale del Novecento.

Fin dall'inizio del suo percorso artistico nei primi anni Cinquanta, Arnaldo Pomodoro comincia a raccogliere minuziosamente tutti i materiali utili a documentare la sua attività. Sono fotografie, cataloghi di mostre, riviste e ritagli stampa, ma anche lettere, film d'artista, manifesti... una documentazione molto varia, che testimonia, oltre alla sua produzione artistica, i rapporti di amicizia e di lavoro di Pomodoro con altri artisti, critici e istituzioni. L'archivio ha uno sviluppo di circa una sessantina di metri lineari ed è suddiviso in sei sezioni distinte in base alla tipologia dei materiali. (Estratto da comunicato Ufficio Stampa Lara Facco P&C)




Progetto #ZACentrale
www.fondazionemerz.org

Siglato l'accordo con cui il Comune di Palermo affida per tre anni alla Fondazione Merz la gestione della ZAC - Zisa Zona Arti Contemporanee col compito di realizzare un innovativo progetto interdisciplinare. Il progetto denominato #ZACentrale è un innovativo e ambizioso piano interdisciplinare d'interventi culturali destinato a coinvolgere l'intera città, per il quale la Fondazione Merz - al termine della selezione di cui all'avviso pubblico approvato con D.D. 6154 del 01.07.2020 - è stata individuata quale "operatore culturale idoneo" per la produzione di progetti culturali finalizzati alla "promozione, conoscenza e diffusione dell'Arte Contemporanea negli spazi del Padiglione ZAC".

Il progetto "ZACentrale" si svolgerà in tre anni presso lo spazio ZAC e sarà articolato con diverse attività interdisciplinari che comprenderanno: mostre, concerti, spettacoli teatrali e di danza, attività formative ai più diversi livelli; incontri, dibattiti, conferenze da svolgersi anche in partenariato con le altre realtà dei Cantieri Culturali alla Zisa, nonché interventi documentari, azioni di incubatore creativo e la creazione di una biblioteca specialistica dedicata all'arte contemporanea per la quale è prevista una donazione di 300 volumi da parte della Fondazione. Il progetto corona una storia di intensi rapporti tra la Fondazione Merz e la Sicilia. Sono infatti ben 17 le mostre, gli eventi e i progetti che hanno impegnato la Fondazione a Palermo e in Sicilia dal 2014 al 2019. (Comunicato stampa)




Luigi Ghirri
The Marazzi Years 1975-1985

www.ghirri.marazzi.it

Un nucleo quasi totalmente inedito di fotografie, frutto della collaborazione tra Ghirri e Marazzi e conservate per decenni negli archivi dell'azienda emiliana, protagonista oggi di un libro, un focus ai Musei Civici di Reggio Emilia e un sito dedicato. Luigi Ghirri (Scandiano - Reggio Emilia, 1943) si trasferisce a pochi chilometri di distanza, negli spazi del Collegio San Carlo di Sassuolo, nella frazione di Braida, un grande edificio neoclassico adattato ad abitazione per gli sfollati. Dal Collegio, ogni mattina, la maggior parte delle donne e degli uomini prende la bici e va a lavorare nelle fabbriche di ceramica vicine. Una di queste era la Marazzi, fondata a Sassuolo nel 1935 da Filippo Marazzi.

In questo territorio tra Modena e Reggio Emilia, dove il fotografo fa sempre ritorno e che vede la nascita di tanti dei suoi progetti seminali, Luigi Ghirri incontra Marazzi per la prima volta. È il 1975 quando Ghirri varca le soglie dell'azienda: è in una fase di crescita e sperimentazione che lo porterà nel 1979 alla prima grande mostra personale a Parma. Marazzi è un'azienda leader nel settore della ceramica grazie al brevetto della monocottura, ha aperto filiali in Francia e Spagna, fa disegnare le sue piastrelle da artisti e stilisti e di lì a poco inaugurerà un laboratorio di ricerca, il Crogiòlo, in cui artisti, designer, fotografi, architetti sono liberi di sperimentare. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021- Gemeni Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - SPIRAL - Ph E. Liggera Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - Ph E. Liggera Odyssey Collection, la new dishes line di Andrea Branciforti per Orolavico
Il design incontra il cinema d'autore e il linguaggio flat della video-animazione


www.orolavico.com

Odyssey Collection - collezione di sottopiatti (15 pezzi in totale) disegnata da Andrea Branciforti, architetto, designer, docente e attualmente Presidente ADI Sicilia, per Orolavico, azienda specializzata nella lavorazione della pietra lavica - unisce il design contemporaneo al linguaggio del cinema e dell'illustrazione per un progetto totalmente Made in Sicily che trae ispirazione dal celebre film di Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio.

Semplicità, eleganza e contemporaneità sono le parole chiave della nuova linea di sottopiatti - Odyssey Collection - disegnata da Andrea Branciforti per Orolavico e della video-animazione realizzata da Adriano Di Mauro per raccontare questo progetto. Non è di certo la prima volta che il marketing sceglie il codice espressivo dell'arte visiva per mettere in contatto e far dialogare tra loro azienda/prodotto e pubblico. Geometrie piatte e bidimensionali, spazi netti e definiti, colori brillanti contraddistinguono lo stile dei piatti e del video: caratteristiche queste che li rendono immediatamente riconoscibili, insieme alla materia prima di cui sono fatti, la pietra lavica, e le tecniche di lavorazione utilizzate che tendono a rispettare e tutelare l'ambiente.

Orolavico, pur essendo una giovane e dinamica realtà siciliana nata nel 2015 dall'esperienza di manager e artigiani che, in poco tempo, hanno realizzato soluzioni di indoor e outdoor design  in pietra lavica e in cotto, ha da subito capito e sostenuto l'importanza della collaborazione con designer, architetti e artisti sia per quanto riguarda la progettazione delle collezioni che per la comunicazione delle stesse online e offline.

«Think to future. Think to nature è così che - spiega Giuseppe Mondera, Ceo di Orolavico - abbiamo pensato di sintetizzare la logica eco-sostenibile che sta alla base delle nostre scelte aziendali. Pensiamo, progettiamo, pianifichiamo e agiamo cercando di rispettare l'ambiente e le persone, pur non perdendo di vista anche i margini di profitto, indispensabili per alimentare il ciclo produttivo. Fare impresa, oggi, non vuol dire solo avere una buona idea, il giusto know how e reperire il capitale necessario, ma avere una prospettiva molto più ampia in termini di tempo e di qualità della vita tourt court.

Noi, ad esempio, siamo partiti dal nostro"petrolio", dal nostro"oro nero", ossia, dalla pietra lavica, da qui anche la scelta del nostro nome - Orolavico - sia perché è presente in ingenti quantità in Sicilia, sia perché, nelle varie interpretazioni che ne diamo (rivestimenti, top da cucina, piatti, pareti ventilate, ecc.), vogliamo rispettare e valorizzare una sua peculiarità unica e inimitabile, ossia, l'essere parte dell'Etna, vulcano riconosciuto come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco nel 2017. Altro aspetto cui teniamo molto è la collaborazione con designer e architetti che sappiano interpretare la materia prima in chiave estetica e funzionale. Odyssey Collection di Andrea Branciforti inaugura non solo la nostra prima linea di piatti in pietra lavica, ma anche questo filone di ricerca e produzione che declina insieme design contemporaneo ed eco-sostenibilità. Quando parlo di ricerca, visionarietà, collaborazione e customizzazione del prodotto, penso proprio a questi piccoli dettagli che fanno davvero la differenza».

Odyssey Collection si compone di sei micro-collezioni - Gemeni, Hal, Odyssey, Spyral, Space, Nebula - ispirate al film 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. Le sue nuance non sono presenti nelle più note scale dei colori (Ral e Pantone) perché ottenute con un procedimento di laboratorio eco-sostenibile che consente di realizzare la paletta colori da un solo vetro di base. Questa peculiarità, unita alle caratteristiche tecniche della materia prima, rendono l'intera collezione una sintesi perfetta del design contemporaneo in cui bellezza, eco-sostenibilità e funzionalità hanno pari importanza.

«Un'immagine entra a far parte della nostra esperienza visiva - dichiara il designer Andrea Branciforti - e spesso influenza inconsciamente le nostre azioni. Con questa collezione - Odyssey Collection - porto a tavola una materia antica, la pietra lavica, che a prescindere dalla lavorazione che subisce custodisce raccoglie e racconta il viaggio fatto dal magma fino alla sua trasformazione in pietra. Ispirata al film 2001: Odissea nello spazio del grande maestro Stanley Kubrick, la collezione rappresenta sei visioni materiche dell'universo onirico. Le decorazioni s'ispirano al Supercomputer Hal, al Discovery One e alle visioni dell'universo. Il film di Kubrick riesce a parlare contemporaneamente del passato, del presente e del futuro dell'umanità, ponendo interrogativi e riflessioni sulla vita al di fuori della Terra.

Credo soprattutto che Kubrick ci inviti ad avere una nuova consapevolezza del rapporto che lega l'uomo, la terra e l'universo, tematica questa, ancora oggi molto attuale. ll 1968, anno di uscita del film, è stato un anno di grandi rotture, di cambiamenti e di profonde riflessioni. Si fa strada una nuova sensibilità sul design sostenibile. Vengono pubblicate le prime foto del globo terrestre visto dalla luna che porta l'umanità ad un nuovo senso di appartenenza senza più confini fisici specifici e limitanti. Nasce una nuova umanità e una nuova consapevolezza delle tecnologie che, ben presto, entreranno e s'imporranno nelle nostre vite. Qualche anno più tardi, non a caso, uscirà Starman, brano musicale scritto da David Bowie. Questo il pensiero che attraversa la collezione».

Il video-animazione della campagna di lancio della Odyssey Collection è stato realizzato dal giovane artista e illustratore Adriano Di Mauro che ha interpretato con un linguaggio flat e visionario le suggestioni raccontate da Branciforti in merito al film di Kubrick. Le scene sono ambientate tra l'Universo e la Terra, precisamente in Sicilia, dove il protagonista - un astronauta-scimmia-uomo nuovo - avrà modo di conoscere la collezione di sottopiatti di Branciforti e lo street food isolano prima di essere"risucchiato" dall'occhio di Hal che lo trasporterà in un mondo altro non meglio definito, dove tutto può ancora succedere. (Ufficio Stampa Orolavico - Valentina Barbagallo)




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Audrey Hepburn rappresentata in un disegno nella locandina del film Colazione da Tiffany "Opere in Vetrina"
Paci contemporary gallery - Brescia
www.pacicontemporary.com/shop-online_cinema

- Colazione da Tiffany

Una pagina interamente dedicata ad un'esclusiva selezione di scatti vintage tratti dai set cinematografici delle pellicole più famose del XX secolo tra cui Colazione da Tiffany, Caccia al Ladro, Per qualche dollaro in più, Frankenstein Junior, Matrix, Superman. Colazione da Tiffany è la pellicola che ha portato al successo internazionale l'attrice britannica Audrey Hepburn. Il film, distribuito nell'anno 1961 e diretto dal regista statunitense Blake Edwards, è considerato uno dei più famosi del cinema del Novecento.

Nella pellicola Audrey Hepburn indossa il mitico tubino nero firmato Givenchy diventato icona del cinema. Per il film sono stati realizzati tre abiti uguali, uno dei quali è stato venduto all'asta per oltre 600 mila euro nel 2006. Il secondo abito, sempre disegnato da Givenchy, è un altro tubino nero (corto) in seta lavorata fino al ginocchio dove è svasato e decorato con una fila di piume, insieme al quale Audrey indossa lunghi guanti neri, un ampio cappello con un nastro di seta color crema e scarpe di coccodrillo.

Per consentire le riprese, la gioielleria Tiffany & Co. aprì eccezionalmente i battenti domenica 2 ottobre in modo che alcune scene del film potessero essere girate nel negozio sulla Quinta Strada a Manhattan. Finite le riprese Audrey si prestò ad un servizio fotografico per la gioielleria durante il quale le fu fatto indossare il preziosissimo diamante giallo più grande del mondo, dal taglio cuscino a 82 faccette di 128,54 carati. Per l'occasione, fu creato appositamente un gioiello per valorizzarlo: la collana Ribbon Rosette in oro e diamanti bianchi, con al centro il diamante giallo.

Era il 1961 quando Audrey Hepburn, nei panni della protagonista Holly Golightly, fumava da uno storico bocchino da cui spuntava una sigaretta accesa, trasformando questa azione in un gesto di estrema eleganza. Audrey Hepburn con questa lunga sigaretta è subito diventata una vera e propria icona di stile. Numerosi curiosi seguirono il ciak della celebre scena in cui Holly fa shopping insieme a Paul.

Ciò innervosì Audrey Hepburn che sbagliò diverse battute e fu costretta a ripetere la scena più volte. Colazione da Tiffany è una commedia sentimentale, ricca di stile e ironia in cui trionfa la figura di Holly, una donna fragile e un'autentica icona di stile che, pur essendo alla ricerca di un ricco uomo da sposare, alla fine cede ai sentimenti e si lega allo scrittore squattrinato. Ecco una battuta pronunciata proprio da Paul (George Peppard): "vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora... (...) tu ti consideri uno spirito libero un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai... finirai sempre per imbatterti in te stessa!".

L'autore del romanzo da cui è stato tratto il film, Truman Capote, voleva Marilyn Monroe nella parte della protagonista, ma l'agente dell'attrice Lee Strasberg le suggerì di rifiutare perché non avrebbe giovato alla sua carriera, indirizzandola verso altri film. Più tardi anche un'altra celebrità dell'epoca, Kim Novak, rifiutò il ruolo. Il successo del film al botteghino fu straordinario. Candidato a 5 premi Oscar, ne vinse 2: miglior colonna sonora e miglior canzone (Moon River). La stessa Audrey ottenne una nomination agli Oscar come "miglior attrice protagonista" ma fu battuta da Sophia Loren che trionfò grazie alla strepitosa interpretazione in La Ciociara, pellicola del 1960 di Vittorio De Sica. (Comunicato di presentazione da Paci contemporary gallery)




Locandina di presentazione del catalogo interattivo della mostra Materie Prime Artisti italiani contemporanei tra terra e luce Materie Prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce
Catalogo interattivo e multimediale


www.ferrarinarte.it/antologie/senigallia/materie_prime.html

Dopo il successo nel 2019 alla Rocca Roveresca di Senigallia (Ancona) con l'esposizione "Materie prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce", a cura di Giorgio Bonomi, Francesco Tedeschi e Matteo Galbiati, e la presentazione del catalogo Silvana Editoriale al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito di un incontro moderato da Gianluigi Colin, la Galleria FerrarinArte di Legnago (Verona) rilascia una nuova edizione del volume, completamente interattiva e multimediale, per rivivere la straordinaria esperienza della mostra attraverso le parole degli artisti e dei curatori.

Il libro, sfogliabile liberamente e gratuitamente online, si arricchisce con contenuti inediti, videointerviste e approfondimenti dedicati alla poetica dei quindici artisti coinvolti - Carlo Bernardini, Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Franco Mazzucchelli, Nunzio, Paola Pezzi, Pino Pinelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino, Paolo Scirpa, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini e Grazia Varisco - appartenenti a diverse generazioni, ma accomunati da curricula di altissimo livello e dal lavoro condotto con e sulla materia. (Estratto da comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)




La poesia Tape Mark 1 in mostra ___ Tape Mark 1: Poesia Informatica

L'importanza della Storia | Nanni Balestrini

Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net

Tape Mark 1 è una poesia di Nanni Balestrini che risale al 1961, frutto di una collaborazione virtuosa tra Autore e Tecnologia, in questo caso rappresentata da uno dei primi calcolatori IBM. Balestrini, in quell'occasione, predispone tre brevi testi di Michihito Hachiya - di Paul Goldwin (autore di cui si mette in dubbio l'esistenza) e di Lao Tse - e, attraverso l'assegnazione di alcuni codici e di poche regole, lascia al computer l'onere e l'onore di procedere alla stesura della poesia, attraverso un causale sistema di combinazioni. Nel mondo solo quattro - cinque persone stavano contemporaneamente lavorando a esperimenti simili e questo testo è considerato da molti come il primo esempio di poesia informatica.

La natura di grande innovatore e sperimentatore, che caratterizzerà tutta la carriera di Balestrini, si rivela già in quel momento. L'arte della combinazione sarà fondamentale in tutta la poetica di Balestrini, interessato a 'lasciare scaturire un movimento da connessioni imprevedibili' per superare, in questo modo, 'l'aggregazione statica di energie diverse'. Nel 1961, concepisce anche il progetto di un romanzo, Tristano, da riprodurre in un numero illimitato di esemplari, una copia unica e originale per individuo, ma le idee corrono più veloci della tecnologia e Feltrinelli riuscì a pubblicarne, nel 1966, un solo esemplare. Le tecniche di stampa di allora, infatti, non ne consentirono la realizzazione e ci vollero 40 anni e l'avvento della stampa digitale per portare a compimento quell'avvenieristico progetto.

Stiamo inoltrandoci nelle sperimentazioni linguistiche di Balestrini ma, in realtà, quello che è interessante per noi fare emergere qui, è quanto stretto fosse il rapporto tra le varie discipline in cui Nanni si cimentava. E come gli fosse consono collegare la ricerca letteraria e poetica con quella artistica visiva e teatrale performativa. Infatti, Tape Mark 1 nel 2017 diventa un'opera visiva che aprirà la grande retrospettiva allo ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe. Da Tristano scaturisce invece Tristanoil, il film più lungo del mondo, ottenuto grazie al software ideato da Vittorio Pellegrineschi, che approderà niente meno che a Documenta 13, curata quell'anno da Carolyn Christov-Bakargiev. E sarà proprio questa predisposizione di Balestrini verso una 'poesia fatta di impulsi, che andava a rompere la linearità tipografica, a fargli venire l'idea di ritagliare titoli di giornali e farne dei collages'. (...) (Estratto da comunicato della Galleria Michela Rizzo)




Busto femminile in basanite risalente al periodo dell'imperatore Claudio Busto femminile in basanite nella Sezione romana del Museo "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

E' ritornato, dopo otto anni di assenza, l'atteso busto femminile in basanite, importante testimonianza del passato romano della Calabria. Si tratta del busto femminile in basanite, risalente ad età Claudia (41-54 d.C.), rinvenuto nelle vicinanze di Vibo Valentia Marina durante la realizzazione della ferrovia e la costruzione di limitrofe abitazioni di campagna. Il contesto di rinvenimento è da riferire ad un'importante villa suburbana e lo scavo, che ha permesso di definirne meglio le caratteristiche, è avvenuto a più riprese fra il 1894 e la prima metà del '900.

L'opera è di ottima fattura, caratterizzata da una raffinata tecnica di esecuzione e da una perfetta resa della capigliatura, acconciata come prevedeva la moda dell'epoca, che ha consentito di datare la statua al principato di Claudio, imperatore dal 41 al 54 d.C. Al momento del ritrovamento si propose l'identificazione con Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, tuttavia tale ipotesi venne accantonata nei decenni successivi per la mancanza di confronti iconografici convincenti.

La scultura era stata concessa con prestito di lunga durata nel 2012 al Princeton University Art Museum e a seguito dell'impegno della Direzione Generale Musei e del Segretariato Generale del Ministero per i Beni Culturali e il Turismo, è rientrata al Museo "Vito Capialbi" dove sarà esposta nella sezione romana. L'emergenza sanitaria attuale, che ha portato alla chiusura dei Musei, non consente nell'immediato, una adeguata valorizzazione dell'importante reperto; l'esposizione è pertanto rinviata alla riapertura del Museo e sarà occasione di riflessione scientifica attraverso l'organizzazione di una tavola rotonda sul tema della scultura romana, con l'augurio di poterne consentire in seguito, una migliore fruizione grazie anche al supporto delle nuove tecnologie con applicativo digitale. (Comunicato stampa)

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Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


La notizia che nei giorni scorsi, presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)




Donazioni alla Galleria Nazionale di Cosenza

La Galleria Nazionale di Cosenza acquisisce a pieno titolo nelle sue collezioni sei interessanti sculture provenienti dalle collezioni della famiglia Bilotti. Incrementano da oggi il patrimonio del museo, illustrando importanti segmenti dell'arte italiana del Novecento, le seguenti sculture Cavallo e cavaliere con berretto frigio di Giorgio de Chirico, Portatrice di fiaccola di Emilio Greco, Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai, Onice e Solida di Pietro Consagra, Gigantea di Mimmo Rotella.

Le sculture sono già presenti nel museo ed esposte in via definitiva, ad esclusione della Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai che sarà presentata a conclusione degli interventi di manutenzione e restauro di cui necessita. La donazione fa seguito alle altre che recentemente hanno concluso il loro iter. Sono infatti entrate a far parte delle collezioni museali anche le opere Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni, donata da Roberto Bilotti Ruggi d'Aragona, e Natura donata dall'artista cosentino Giulio Telarico, già in esposizione rispettivamente nella sezione grafica dedicata all'artista futurista e nella sezione di Arte Contemporanea.

Il Polo Museale e la Galleria Nazionale di Cosenza hanno frattanto avviato le procedure finalizzate all'acquisizione in comodato d'uso gratuito di cinque disegni di Umberto Boccioni; i disegni a conclusione dell'iter andranno ulteriormente ad arricchire la sezione grafica dedicata al maestro del Futurismo. Le acquisizioni portate a felice conclusione e quelle in programma sono frutto di intese e accordi che rientrano fra gli obiettivi che il Polo Museale della Calabria e la Galleria Nazionale si sono posti per promuovere relazioni proficue con il territorio, accrescere, valorizzare il patrimonio d'arte e cultura e favorirne la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa)




Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali

Wislawa Szymborska L'anno di Wislawa Szymborska in Italia
Rappresentazione teatrale, 26 marzo - 09 settembre 2023
Mostra, 15 giugno - 03 settembre 2023

Wislawa Szymborska (1923-2012) è una rock star della poesia, i suoi libri sono veri e propri best seller. Citata in canzoni e film, di lei hanno scritto e raccontato in tanti, da Woody Allen a Umberto Eco, da Roberto Saviano a Roberto Vecchioni, che le ha dedicato una canzone. Il suo nome è tanto difficile da pronunciare, quanto è facile entrare nelle sue poesie, seguendo un pensiero libero, vivace, allegro, lucido, che descrive i fatti piccoli e grandi che rendono unica ogni giornata "rimettendo al mondo le parole", come ha dichiarato Roberto Saviano spiegando come le sue poesie lo abbiamo soccorso nei momenti più difficili.

L'interesse e la conoscenza di Sergio Maifredi per la cultura polacca risalgono al suo rapporto con Pietro Marchesani (1942-2011), lo studioso che con la traduzione dell'opera omnia pubblicata da Adelphi ha fatto conoscere Wislawa Szymborska in Italia. Docente di Lingua e Letteratura polacca all'Università di Genova, con questa nomina ha inaugurato una cattedra che fino a quel momento non esisteva, diventando un punto di riferimento per generazioni di studiosi, fra cui Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli, docenti di Slavistica rispettivamente all'Università Alma Mater di Bologna e La Sapienza di Roma. Genova ha un ruolo centrale nella diffusione della poesia di Wislawa Szymborska in Italia.

La poetessa polacca, Premio Nobel per la Letteratura 1996, nella memorabile conferenza del 2009 a Bologna, rivolgendosi a Pietro Marchesani disse: "Senza di te, in Italia non esisterei". Il rapporto di collaborazione si trasformò presto in amicizia e nel 2005 Szymborska venne in visita all'Università di Genova. Marchesani ha aperto le porte sul mondo polacco a Sergio Maifredi, che da allora non lo ha mai abbandonato. Regista residente al Teatr Nowy di Poznan in Polonia dal 2005 al 2014, nel 2009 ha curato la mostra Polonia 1989-2009 Tutto il Teatro in un manifesto e nel 2012 gli è stata conferita la medaglia di Bene Merito da parte della Ministero degli Esteri della Repubblica di Polonia per il suo impegno nella diffusione della cultura polacca in Italia.

A cento anni dalla nascita di Wislawa Szymborska, Sergio Maifredi dedica alla poetessa polacca premio Nobel per la letteratura nel 1996 lo spettacolo "Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore. Poesie, lettere e altre cianfrusaglie di Wislawa Szymborska". La voce di Szymborska è stata affidata a un'attrice che mette da sempre la sua arte al servizio dei versi, Maddalena Crippa. Al suo fianco Andrea Nicolini. Michele Sganga è autore delle musiche che esegue dal vivo in scena. L'evento apre un progetto ideato e diretto dallo stesso Maifredi - conoscitore profondo della cultura polacca - che culminerà nella mostra monografica "Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere".

Lo spettacolo propone un percorso suggestivo di parole, musica, immagini e emozioni attraverso poesie note e alcune assolutamente inedite anche in Polonia, e scoperte recentemente negli archivi, oltre a materiali della grande poetessa ancora inediti in Italia, come la corrispondenza con il suo grande amore, Kornel Filipowicz. Amore e morte, il rapporto distaccato e partecipe con il suo tempo, la riservatezza e la notorietà seguita alla "tragedia di Stoccolma", come i suoi amici chiamavano il Nobel, sono gli estremi fra cui si dipana il racconto poetico di una vita vissuta in perenne equilibrio fra incanto e disperazione. Spettacolo e mostra fanno parte del "2023, Anno di Wislawa Szymborska", le celebrazioni ufficiali dedicate al centenario della nascita della grande poetessa polacca proclamate dal Senato della Repubblica di Polonia.

"Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore" - titolo tratto dalla poesia "Ogni caso" - debutta in prima nazionale lunedì 27 marzo al Teatro Vittoria di Roma, preceduto dall'anteprima del 26 marzo al Teatro Boni di Acquapendente (VT), e seguito dal tour al Teatro Litta di Milano (4 aprile), al 29° Festival internazionale di poesia di Genova (17 giugno), alla 76ª Estate Fiesolana di Fiesole - Firenze (9 settembre). Lo spettacolo nasce da un'idea e con la collaborazione di Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli, docenti di Lingua e Letteratura Polacca rispettivamente all'Università di Bologna e alla Sapienza di Roma. È prodotto da Teatro Pubblico Ligure in coproduzione con Istituto Adam Mickiewicz di Varsavia, con il patrocinio della Fondazione Wislawa Szymborska di Cracovia, in collaborazione con l'Istituto Polacco di Roma.

Il 15 giugno, al Museo d'arte contemporanea Villa Croce di Genova si potrà visitare fino al 3 settembre la mostra monografica "Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere", curata da Sergio Maifredi e allestita dallo scenografo Michal Jandura, con la consulenza e collaborazione scientifica di Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli. È prodotta da Comune di Genova e Teatro Pubblico Ligure, in coproduzione con l'Istituto Adam Mickiewicz di Varsavia, con il patrocinio della Fondazione Wislawa Szymborska di Cracovia, in collaborazione con l'Istituto Polacco di Roma e con il Goethe-Institut Genua, istituzione che diffonde nel mondo la cultura della Germania, fra le prime nazioni a riconoscere il valore di Szymborska con l'assegnazione del Premio Goethe nel 1991.

La mostra è sostenuta da IREN. Comprende 85 collage eseguiti dalla poetessa e provenienti da collezionisti privati, fra cui Jaroslav Mikolajewski, poeta e scrittore. Sono le persone a cui Wislawa Szymborska li donava in occasioni delle feste, veri e propri collanti d'amicizia che permettono di seguire i suoi percorsi creativi, affini nel linguaggio visuale come nella scrittura. I collage saranno esposti in mostra e alcuni saranno riprodotti a tutta parete, un'immagine esplosa che abbraccerà gli spettatori nell'allestimento scenografico e immersivo di Jandura.

Il percorso sarà punteggiato da 100 massime di Wislawa Szymborska, estratte dalla sue poesie. Anche Woody Allen sarà virtualmente presente: Szymborska gli ha donato uno dei suoi collage e la regista Katarzyna Kolenda-Zaleska ha ripreso il momento della consegna inserita nel film "La vita a volte è sopportabile. Ritratto ironico di Wislawa Szymborska". Szymborska". Ilcommento di Woody Allen nel ricevere il collage per lui creato da Wislawa Szymborska è stato: "Questo non è come quelle stupide statuette che ricevo per i miei film". Vedremo l'estratto che unisce una star hollywoodiana alla rockstar della poesia. Inoltre, si potranno vedere documenti, fotografie, il taccuino con gli appunti da cui nascevano le poesie, un libro inglese illustrato in età giovanile da Wislawa Szymborska, una rarità. La mostra sarà successivamente allestita a Bologna e Milano. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Logo del Cartoons On The Bay International Festival of Animation Transmedia and Meta-Arts Ari Folman in una fotografia scattata da Elise Toide Il regista Ari Folman Premio alla Carriera 2023 di 'Cartoons On The Bay - International Festival of Animation, Transmedia and Meta-Arts'

Pescara, 31 maggio - 04 giugno 2023

Il regista, sceneggiatore e compositore israeliano Ari Folman riceverà il Premio alla Carriera della 27a edizione di 'Cartoons On The Bay - International Festival of Animation, Transmedia and Meta-Arts', evento promosso dalla Rai e organizzato da Rai Com.

Ari Folman (Haifa, 1962) frequenta la Tel Aviv Film School e nel 1991 scrive e dirige, con Ori Sivan, Comfortably Numb, documentario che racconta un viaggio notturno a Tel Aviv durante gli attacchi iracheni della Prima Guerra del Golfo, vincendo il Premio Ophir dell'Accademia israeliana del cinema e il Jerusalem Film Festival come Miglior Documentario. Nel 1996 esordisce nel cinema di finzione scrivendo e dirigendo (sempre con Ori Sivan) Clara Hakedosha, che apre la sezione Panorama al Festival di Berlino e vince 6 Premi Ophir, tra cui Miglior Film e Miglior Regista, oltre al Premio Speciale della Giuria al Festival di Karlovy Vary.

Nel 2001 scrive e dirige Made in Israel, vincendo altri due Premi Ophir. Tra il 2002 e il 2004 scrive per la tv israeliana per la serie Betipul (In Treatment). Nel 2008 scrive, dirige e produce il documentario animato Valzer con Bashir, presentato al Festival di Cannes, che vince nel 2009 il Golden Globe per il miglior film straniero e viene nominato al Premio Oscar per il miglior film straniero. Il film vince oltre 26 premi in tutto il mondo, tra cui il Premio Miglior Regista Documentari al Directors Guild of America, 6 Premi Ophir, tra cui Miglior Film, Regista e Sceneggiatura.

Nel 2013 dirige The Congress, girato in tecnica mista, live action e animazione in rotoscope, che ha per protagonista Robin Wright, che interpreta una versione fittizia di se stessa, oltre ad Harvey Keitel. Il film, presentato come film d'apertura della Quinzaine des réalisateurs al Festival di Cannes, vince il Premio come Miglior Film d'Animazione agli EFA - European Film Award. Nel 2021 scrive e dirige Anna Frank e il diario segreto, adattamento animato del Diario di Anna Frank.

Tema dell'anno di Cartoons On The Bay sarà "Reale, Irreale, Virtuale. Mondi immaginati e mondi immaginari. Tra utopia, opportunità e alienazione. La sospensione dell'incredulità tecnologica". Il Festival, diretto da Roberto Genovesi assegnerà a giugno tre nuovi Pulcinella Award che guardano al futuro e alla capacità di innovazione del settore: Premio Transmedia (al brand in grado di portare gli spettatori su diverse piattaforme grazie alle sue capacità narrative), Premio Meta (al brand in grado di immergere lo spettatore in un ambiente digitale affascinante, stimolante e sicuro). (Estratto da comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)




Locandina del ciclo di conferenze di quattro scrittrici del Novecento "Chi mi ha fatto così forte?"
03-31 marzo 2023
Villa Bassi - Abano Terme (Padova)

Quattro incontri dedicati a scrittrici del Novecento che attraverso il loro coraggio e la loro determinazione hanno ealizzato se stesse e il loro talento lasciandoci a testimonianza inesauribili opere che non smettono di interrogarci. Il progetto è realizzato da Librati La Libreria delle donne di Padova e condotto da Claudia Brigato, la partecipazione è gratuita e dà la possibilità di visitare la mostra Elliot Erwitt al costo ridotto di 9 euro.

Programma degli incontri

- 03 marzo 2023, ore 19.00, Sibilla Aleramo
- 17 marzo, ore 19.00, Karen Blixen
- 24 marzo, ore 19.00, Marina Cvetaeva
- 31 marzo, ore 19.00, Anais Nin




Kultur Ensemble Palermo
Goethe-Institut Palermo


Presentazione

Kultur Ensemble è il programma culturale franco-tedesco di Palermo. Inaugurato il 14 giugno 2021, a seguito del "Trattato di cooperazione e integrazione franco-tedesca", ovvero "Trattato di Aquisgrana". Il nuovo bando di Kultur Ensemble è aperto fino al 28 febbraio 2023 ed è dedicato esclusivamente ad artisti/e e ricercatrici/ori di età inferiore ai 30 anni che svolgeranno la loro residenza nel periodo compreso tra settembre 2023 e dicembre 2023. Buona candidatura!

- Le artiste

Lea Letzel crea spazi, situazioni e installazioni musicali, performance e opere video che vengono mostrate sia nella "scatola nera" del teatro sia nel "cubo bianco" dell'arte visiva. Ha completato i suoi studi presso l'Istituto di Studi Teatrali Applicati di Gießen con un progetto in collaborazione con l'International Ensemble Modern Academy.

Yolenn Farges è un'artista multidisciplinare francese. Laureata nel 2020 presso le Beaux-Arts de Nantes, vive e lavora tra Marsiglia e Belle-île-en-mer. Tra lunghe escursioni e immersioni subacquee, va alla ricerca di materiali da cogliere, segreti e aneddoti da raccontare attraverso le sue creazioni. (Comunicato stampa Goethe-Institut Palermo)




Anemos - Il Vento

* Film presentato in anteprima Regionale il 26 gennaio 2023 al Cinema Spadaro di Acireale (Sicilia)

- 06 febbraio 2023, Nuovo Cinema Aquila - Roma, ore 20.45, presenti il regista, Sebastiano Somma ed il produttore Matteo Cichero
- 08 febbraio, Cinema La Compagnia - Firenze, ore 20.45, presenti il regista, Vincent Riotta, Pino Donaggio ed il produttore Matteo Cichero

Scritto e diretto da Fabrizio Guarducci (Italia, 2022, durata: 75'), prodotto e distribuito da Fair Play, Anemos - Il Vento, liberamente tratto dal romanzo 'Theoria' dello stesso Guarducci, edito da Lorenzo De' Medici Press, ha un cast internazionale composto da Vincent Riotta, Marc Fiorini, Alessio Di Clemente, Giorgia Wurth, con la partecipazione straordinaria di Sebastiano Somma. Si avvale delle musiche originali firmate dal Maestro Pino Donaggio, il montaggio di Paolo Marzoni, la direzione della fotografia di Stefano Spiti, le scenografie di Ester Musatti ed i costumi di Gabriella Ferrera.

Il film - in cui il vento (Anemos) è metafora del Divino, che si sente ma non si può vedere - racconta il rapporto tra gli uomini e il senso del divino: dai miti greci al Cristianesimo, fino ai giorni nostri. Grazie a personaggi noti, anche se non esplicitamente menzionati, come Platone, Pitagora, San Benedetto e Gesù, lo spettatore ripercorre i momenti della Storia in cui il vento diventa portatore di un messaggio di spiritualità, per cercare di dare una risposta alle domande che l'Uomo si chiede da millenni. La narrazione parte dalle esigenze di una madre di rispondere ai dubbi del figlio sul mistero della vita, che ci fanno considerare alcuni personaggi che, nel corso della Storia, hanno avuto lo stesso dilemma: la ricerca del divino al di fuori di ogni risposta dogmatica.

Durante il percorso si evidenziano le esperienze individuali di filosofi, monaci, profeti, mistici, fino ad arrivare a quelli che si sono più avvicinati ad una risposta certa: i Catari, perché la ricerca del Divino era un fatto sociale e non individuale e questo si rifletteva su una società giusta ed egualitaria in cui tutti i beni erano in comune. L'anello di congiunzione è Benedetto da Norcia che ha lasciato la comunità religiosa per ritirarsi umilmente in una grotta, per distaccarsi e cercare quella scintilla divina, che poi ha condiviso con tutti i suoi seguaci. "Il film vuole aiutare ad indicare un percorso interiore che purtroppo non si fa più, in quanto la scintilla divina dell'Uomo è sotterrata da un individualismo materialista che l'ha soffocata. Da qui una pressante esigenza di ritirarsi e cercare le risposte seppellite dentro di noi". (Fabrizio Guarducci)

"Anemos - Il vento è un film girato prevalentemente nella splendida Sicilia, ricca di luoghi straordinari, magici e colmi di storia, l'obiettivo delle nostre produzioni è valorizzare la bellezza dell'Italia, offrendo allo spettatore alcune location uniche, dalla Sicilia alla Calabria, dalla Tuscia alla Toscana: le Gole dell'Alcantara, l'Orecchio di Dionisio, il Parco del Plemmirio, l'Etna, la Valle dei Templi, l'Arco Magno, l'Abbazia di San Giusto, e molte altre. Guarducci pone al centro del film un messaggio di spiritualità, che muove le emozioni dentro allo spettatore, e come per il suo primo film "Mare di Grano" riesce a promuovere con estro e originalità il nostro territorio nel mondo." (Matteo Cichero, coproduttore del film)

"Per chi è appassionato di natura in generale, succede spesso, trovandosi a contatto di particolari scenari e singolari condizioni, di percepire un'energetica "presenza" spirituale, qualcosa di sublime e di elevato, che va oltre i semplici canoni di giudizio estetico, questo "vitale" elemento è il vento. Le location siciliane scelte per girare questo film, conducono il popolo in cammino con il suo Dio, sostenuti dall'alito esistenziale per la loro "pregrinatio animae". Grazie a Fabrizio Guarducci per questo film, una grande opportunità per la mia Sicilia, anche in ambito didattico, auspico che le istituzioni si adoperino alla promozione e divulgazione." (Carmelo Nicoloso location manager del film) (Comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)

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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
ed. Antonio Vallardi Editore
Recensione di Ninni Radicini




VIII Premio Vittorio Frosini in Informatica Giuridica e Diritto dell'Informatica

Presentazione

La Rivista Il diritto dell'informazione e dell'informatica, unitamente con la famiglia Frosini, promuove l'ottavo premio dedicato alla memoria di Vittorio Frosini e destinato a una tesi di dottorato in informatica giuridica e diritto dell'informatica presentata in una istituzione universitaria italiana o dell'Unione Europea in una delle seguenti lingue: italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco.

Il Premio intende rendere omaggio alla memoria di Vittorio Frosini, ricordando il Suo contributo di fondatore della informatica giuridica in Italia, attraverso la Sua pionieristica opera Cibernetica, diritto e società, del 1968, e poi in numerosissimi studi nell'arco di oltre trent'anni. La tesi di dottorato dovra essere stata, già discussa, oppure presentata in via definitiva, negli anni 2021-2022-2023. Una parte della tesi premiata potrà essere pubblicata sulla Rivista Il diritto dell'informazione e dell'informatica. Entro il 31 marzo 2023 i concorrenti dovranno inviare una copia della loro tesi, insieme con un breve curriculum della loro attività di ricerca. (Estratto da comunicato di presentazione)




Locandina della rassegna cinematografica Germania a colori Germania a colori
Diversità e inclusione nel cinema tedesco


25 gennaio - 19 aprile 2023 (ogni mercoledì alle ore 19:30, tranne il 12 aprile)
Sala Wenders del Goethe-Institut Palermo (Cantieri Culturali alla Zisa)
www.goethe.de/palermo

Il Goethe-Institut Palermo presenta una rassegna di film che valorizzano temi e autori spesso tenuti ai margini. La rassegna è inserita nell'ambito del consueto cineclub in lingua tedesca "la deutsche vita" proposto da anni dal Goethe-Institut Palermo. Vedrà la partecipazione di una nuova generazione di registi tedeschi che racconteranno storie diverse sotto l'unica bandiera dell'inclusività. Tutti i film saranno in versione originale con sottotitoli italiani e l'ingresso è libero.

"Questa rassegna cinematografica rappresenta un'occasione per scoprire la diversità e l'inclusione attraverso le lenti del cinema tedesco. Siamo lieti di offrire al nostro pubblico un'esperienza coinvolgente attraverso opere cinematografiche non distribuite in Italia, che ci aiuterà a comprendere meglio il punto di vista dell'altro e a promuovere l'empatia e la comprensione reciproca" afferma la direttrice del Goethe-Institut Palermo, Heidi Sciacchitano.

Come scriveva Goethe "L'occhio ha bisogno del colore come ha bisogno della luce". Mai come oggi tanti colori e tanti sguardi diversi hanno attraversato l'Europa e il cinema resta un mezzo privilegiato per trasformarli in nuove storie e nuovi protagonisti. La rassegna si apre con il film Reise nach Jerusalem The Chairs Game, diretto dalla regista italiana Lucia Chiarla. Il film, uscito in Germania nel 2018, è una commedia agrodolce che racconta la storia di Alice, una donna che, a causa della crisi economica, si trova senza lavoro e rischia di perdere il suo posto nella società. Con determinazione e ingegno, riesce a costruirsi un'esistenza come libera professionista di successo, ma in realtà si tiene a galla con buoni benzina per assurdi lavori presso istituti di ricerca di mercato.

Il titolo internazionale del film, The Chairs Game, si riferisce al celebre gioco delle sedie, qui rivisitato in chiave metaforica, rappresentando l'aspirazione di Alice di trovare un posto stabile nella società e nella vita. La regista ha saputo creare una storia divertente e commovente allo stesso tempo, che tocca temi attuali come la crisi economica e la difficoltà di trovare un posto stabile nella società. Il film è stato presentato in diversi festival internazionali di cinema, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il premio per la migliore regia e il premio per la migliore attrice protagonista, la straordinaria Eva Löbau. Il film ha anche partecipato a festival di cinema dedicati alla diversità e all'inclusione, dimostrando come la pellicola riesca a rappresentare questi temi in modo sensibile e coinvolgente.

Per le scuole interessate sono previste proiezioni speciali in giorni e orari da concordare. Per informazioni e prenotazioni, contattare info-palermo@goethe.de. (Comunicato stampa Goethe-Institut Palermo)

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Articoli sulla Germania
Politica nella Repubblica Federale Tedesca, Partiti politici tedeschi, Elezioni Federali e Statali, Storia




Concorso internazionale di composizione "Città di Udine"
14esima edizione
Termine di partecipazione: 30 aprile 2023
www.taukay.it

Delta Produzioni in collaborazione con TEM - Taukay Edizioni Musicali indicono la quattordicesima edizione del concorso internazionale di composizione "Città di Udine". Il bando di partecipazione è disponibile sul sito delle Edizioni Musicali. Il percorso inizia partendo dalla pubblicazione del bando in cinque lingue e proseguirà per tutto il prossimo anno fino all'autunno del 2023 con la pubblica esecuzione delle opere vincitrici.

Il Concorso Internazionale di Composizione "Città di Udine" ha fatto molta strada, diventando una realtà conosciuta e consolidata con grande partecipazione da tutto il mondo e importanti riconoscimenti istituzionali tra cui l'adesione del Presidente della Repubblica con sua medaglia di rappresentanza in occasione delle ultime sei edizioni. L'iniziativa, per numero di partiture inviate alla segreteria artistica, è una tra le più importanti del settore (anche l'ultima edizione organizzata ha registrato, nonostante la pandemia, un grande risultato con 455 composizioni da 49 nazioni).

Questa edizione del concorso ha il sostegno della Fondazione Friuli, ha ricevuto la partnership dell'ERT (Ente Regionale Teatrale del FVG) e i patrocini della Rappresentanza Italiana della Commissione Europea, della Commissione Nazionale Italiana per l'UNESCO, del Ministero degli Affari Esteri, del Comune di Udine e dell'Università degli Studi di Udine. Rai Radio3 è media partner dell'iniziativa e seguirà attraverso le sue frequenze nazionali lo svolgimento del concorso con il programma "Radio3 Suite".

Tra le collaborazioni in essere va sottolineata quella con INA GRM, la prestigiosa istituzione francese punto di rifermento mondiale per la musica elettroacustica, che ha istituito un premio per uno dei vincitori del concorso, e la consolidata presenza degli eredi di Piero Pezzé che da molte edizioni hanno istituito un premio per la sezione "Composizioni per gruppo strumentale da camera" in memoria del compositore friulano scomparso nel 1980. Anche per questa edizione, grazie alla collaborazione con la FIDAPA BPW ITALY, istituzione che ha lo scopo di promuovere, coordinare e sostenere le iniziative delle donne che operano nel campo delle Arti, è stato istituito un premio speciale assegnato ad una compositrice in concorso.  

TEM e Delta Produzioni iniziano le loro attività nel 1995 con l'intento di valorizzare la produzione di musica contemporanea.  Fin dalla loro istituzione la casa editrice e l'associazione, precorrendo i tempi, hanno utilizzato internet per veicolare, senza nessun genere di mediazione, idee ed iniziative su scala mondiale. L'attività di TEM e Delta Produzioni si è focalizzata fin dall'inizio sull'idea di reperire spazi esecutivi per creare occasioni di confronto e visibilità dedicate agli artisti del nostro tempo.

Nel 1995, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Udine, è stata organizzata la prima edizione del concorso internazionale di composizione "Città di Udine" a cui è seguita, nel 1996, la prima edizione del festival "Contemporanea". Ed è all'interno di questo binomio in bilico tra editoria ed organizzazione di eventi per la creazione di spazi espressivi che sta la forza del progetto che in questi anni ha visto registrare sempre maggiore attenzione ed interesse, grazie anche alla sua capacità di proporre soluzioni innovative al passo con i tempi. Ad oggi si contano ventiquattro edizioni del festival "Contemporanea" e tredici edizioni del concorso internazionale di composizione "Città di Udine" con oltre 140 appuntamenti. (Comunicato stampa)




"Utama - Le terre dimenticate" di Alejandro Loayza Grisi vince il Premio del pubblico al Festival del cinema spagnolo e latinoamericano XV edizione

Si è conclusa a Roma presso il Cinema Farnese Arthouse di Campo de' Fiori la 15a edizione del Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, diretto da Iris Martín-Peralta e Federico Sartori. Ad aggiudicarsi il Premio del Pubblico è stato il film UTAMA - Le terre dimenticate, la pluripremiata opera prima di Alejandro Loayza-Grisi in arrivo nei cinema italiani il 20 ottobre che offre uno sguardo inedito e suggestivo tra le terre aspre e remote della Bolivia e che vede protagonista una famiglia Quechua alle prese con il dramma della siccità, nella spettacolare cornice dell'altopiano sudamericano, a più di 3.500 metri sul livello del mare. Dopo essersi aggiudicato il prestigioso Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2022, UTAMA - Le terre dimenticate rappresenterà la Bolivia agli Oscar 2023.

Il tempo sembra scorrere lentamente nella lontana terra incrinata e arida dell'Altiplano boliviano, dove un'anziana coppia quechuadi allevatori di lama, Virginio e Sisa, porta avanti un'umile routine. Quando il nipote Clever si presenta alla loro porta, Virginio si accorge subito che è venuto per convincerli a trasferirsi in città. Il fatto che la siccità li abbia lasciati senz'acqua non aiuta la loro causa a restare. Il respiro pesante di Virginio tradisce la sua capacità di nascondere ciò che lo affligge e l'apparizione di un condor inizia a destare in lui uno strano presagio. Improvvisamente lo scorrere del tempo diventa più che mai prezioso e pone la coppia davanti a un dilemma: resistere nell'attesa delle piogge o seguire le orme di altri quechua e lasciare la loro casa per la città?

Il film, diretto dal giovane regista boliviano, è ambientato in uno dei territori più esposti e vulnerabili ai cambiamenti climatici e racconta il costo umano di questo cambiamento attraverso la storia dei suoi protagonisti, voci di una coscienza perduta e di una saggezza che raramente viene ascoltata. "Gli sconfinati paesaggi, le riflessioni e i ritratti che mettono in risalto gli sguardi profondi dei personaggi sono i miei strumenti per raccontare una storia che interroga profondamente le questioni sociali, ambientali e umane in questi tempi di cambiamento" dichiara Loayza-Grisi tra i primi registi a portare sul grande schermo il fascino e la crudezza di una terra poco rappresentata, quasi dimenticata. (Comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




I Premi finali del Lucca Film Festival
23 settembre - 02 ottobre 2022
www.luccafilmfestival.it

Per i lungometraggi, la giuria composta da Lina Nerli Taviani, Claudio Cupellini, David Riondino e Andrea Sartoretti ha assegnato il Premio come Miglior Film a Yamabuki, di Juichiro Yamasaki, con la seguente motivazione: Come il fiore Yamabuki cresce all'ombra e spesso non visibile, così sono le storie dei protagonisti, raccontate con affetto ed un punto di vista chiaramente politico. Persone che vivono nell'ombra, che per trovare il bene devono germogliare tra le rocce.

La Giuria ha inoltre assegnato tre Menzioni speciali:

- Miglior Attore per Seven Dogs (2021, di Rodrigo Guerrero) a Luis Machín
Con la seguente motivazione: Una straordinaria interpretazione con cui è impossibile non entrare in empatia. Il protagonista è l'anima di un palazzo che riesce a intersecare tutte le vite delle persone che gli stanno intorno.

- Miglior attrice per il film Dos Estaciones (2022, di Juan Pablo González) a Teresa Sánchez
Con la seguente motivazione: Per la monumentale e magnetica presenza di un'attrice che interpreta non solo un personaggio ma l'interezza della sua comunità.

- Miglior sceneggiatura a Sick of Myself (2022, di Kristoffer Borgli)
Con la seguente motivazione: Una sceneggiatura che coglie nel narcisismo esasperato un tema di grande attualità sviluppandone i paradossi e i pericoli.

Per i cortometraggi, la giuria composta dal critico cinematografico Filippo Mazzarella, dall'attrice Carlotta Natoli, dallo sceneggiatore Michele Pellegrini e dalla storyboard artist Liesbet Van Loon ha assegnato il Premio Miglior Film a: K-Saram, di Alisa Berger. La Giuria ha inoltre assegnato una Menzione speciale a: The Captured, di Rongqi Huang.

Per il Premio Marcello Petrozziello la Giuria Stampa ha premiato come Miglior Film: Restos Do Vento di Tiago Guedes
Con la seguente motivazione: Per l'eleganza della regia, per la fotografia oscura, evocativa, potente e perfettamente in linea con la cittadina portoghese e i suoi abitanti, per la capacità di rendere con efficacia, anche attraverso l'uso del linguaggio, l'essenza spirituale del male che come un soffio divento, parafrasando il titolo del film, ci tocca per renderci suoi schiavi. Per la figura poetica di Laureano, un ultimo, un reietto, un selvaggio come tanti in tanti angoli del mondo, ed infine per la tematica della violenza, purtroppo sempre attuale nelle nostre società.

Il Premio della Giuria Popolare come Miglior Film lungometraggio è stato assegnato a: Tropic of Violence, di Manuel Schapira
Con la seguente motivazione: Per la lucida osservazione di una condizione esistenziale drammatica, per l'importanza che l'opera riveste nel costruire e proporre una chiamata all'attenzione rivolta a tutti. Infine, per la rilevanza politica e umana di un opera che osserva un microcosmo e ne fa discorso universale.

Il Premio della Giuria Popolare come Miglior Film cortometraggio è stato assegnato a: We had each other, di Kelly Gallagher.

Il Premio della Giuria Studentesca come Miglior Film lungometraggio è stato assegnato a: Sick of Myself, di Kristoffer Borgli
Con la seguente motivazione: Per la leggerezza amara con cui disegna i personaggi grotteschi della nostra società, per l'atmosfera intima ed intensa che pervade la storia e per l'umanità tagliente della trama.

Il Premio della Giuria Studentesca come Miglior Film cortometraggio è stato assegnato a: Dafne is gone, di Giulia Gonella.

Il Premio Films for our Future come Miglior Film è stato assegnato a: When the mill hill trees spoke to me, di Kirsikka Paakkinen (Estratto da comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Il Premio Fondazione Mimmo Rotella consegnato a Oliver Stone per il documentario "Nuclear"

Si è svolta al Sina Centurion Palace di Venezia la premiazione della ventunesima edizione del Premio Fondazione Mimmo Rotella, Evento Collaterale della 79a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, dedicato alla feconda relazione tra i linguaggi del Cinema e dell'Arte, dal 2001, per volontà del grande artista calabrese Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano 2006).

Nicola Canal, Presidente della Fondazione Mimmo Rotella e Gianvito Casadonte, Direttore Artistico del Premio, per questa edizione hanno assegnato il prestigioso riconoscimento al regista, sceneggiatore e produttore statunitense Oliver Stone, per il suo documentario 'Nuclear', presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema.

L'evento è realizzato grazie al Mic, Calabria Film Commission e Calabria Straordinaria e il premio è stato consegnato da Nicola Canal con la seguente motivazione: "Per aver aggiunto alla sua già ricca filmografia un altro tassello dell'intenso connubio tra ricerca artistica e osservazione della realtà. Un lavoro dai risvolti mai usuali, alimentato dal desiderio di osare e di sperimentare sempre nuove frontiere che l'accomuna ai grandi Maestri delle arti figurative. Oliver Stone, con il suo ultimo documentario, ha contribuito a sondare nuove possibili prospettive per l'energia e l'ambiente, argomenti di profonda attualità e rilevanza. In un immaginifico ponte con gli 'strappi' dissacranti e provocatori che hanno reso celebre Mimmo Rotella, Oliver Stone continua a rappresentare un testimone autentico del coraggio, della libertà artistica e della potenza ideologica".

Oliver Stone si è aggiunto al ricco parterre di protagonisti che hanno ricevuto il Premio Fondazione Mimmo Rotella nel corso degli ultimi anni. Tra questi: Mick Jagger, Donald Sutherland, Mario Martone, Toni Servillo, Giuseppe Capotondi, Julian Schnabel, Willem Dafoe, George Clooney, Michael Caine, Ai Weiwei, Jude Law, Paolo Sorrentino, James Franco, Terry Gilliam, Al Pacino, Johnny Depp, Alexander Sokurov, Berry Levinson, João Botelho, Julie Taymor, Takeshi Kitano, Abel Ferrara, Gianni Amelio, Peter Greenaway, Ascanio Celestini, Gian Alfonso Pacinotti e Olivier Assayas. L'evento è stato promosso in collaborazione con Fragiacomo, Sina Centurion Palace e Webgenesis. (Comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


Pagina dedicata







Sicilia: Turismo 2022 | Una molteplicità di rilevazioni favorevoli dai turisti nell'Isola della Trinacria

Non è turismo di prossimità, ovvero il passaggio e la permanenza occasionale in un luogo che si trova nel percorso verso la meta prevista. Il turismo in Sicilia è scelta consapevole di volontà e desiderio. Il turista che visita la Sicilia decide di visitare la Sicilia. La Sicilia è il Centro, è il lontano Ovest dei Fenici e dei Greci, l'Oriente Europeo della Spagna Imperiale, il Nord dei Vandali dopo l'incrocio con i Berberi, il Sud solare e mitologico per Goethe e Wagner.

Articolo di Ninni Radicini




Sui Generis - Breve affresco di Renzo Zorzi
di Davide Maffei e Alessandro Barbieri
www.youtube.com/watch?v=JntQaGPeKbk

Realizzato per il centenario di Renzo Zorzi, il video racconta la figura dello straordinario intellettuale e umanista che ha guidato le attività culturali, il disegno industriale e l'architettura dell'azienda Olivetti dopo la morte di Adriano. Il video rientra nel perimetro del progetto "Olivetti. Cronache da un'industria gentile", che ha dato vita ai due docufilm "Paradigma Olivetti" e "Prospettiva Olivetti" per la regia di Davide Maffei. Il filmato è disponibile sul canale Youtube dell'Associazione Archivio Storico Olivetti. (Comunicato di presentazione)




Casa delle tecnologie emergenti di Matera
Creato il logo della Cte Matera


Un tocco d'azzurro in omaggio al gonfalone della città, un sasso stilizzato e un cavo di cablaggio che disegna la "M" di Matera. C'è la città, nei suoi colori e simboli e, con il cavo di cablaggio emblema di reti e interconnessioni, il logo della Casa delle Tecnologie emergenti di Matera "racconta" anche le opportunità che genererà. La Cte Matera ha il suo logo ufficiale. Realizzato dalla Pirene srl, società di pubbliche relazioni che opera dal 1999. Selezionata con bando a evidenza pubblica, la Pirene è stata scelta fra le 11 aziende che hanno partecipato alla selezione.

Offerta competitiva quella dell'azienda romana che, da contratto, seguirà la Cte Matera per un anno occupandosi dell'identità visiva. Descrizione/concept del logo Cte Matera: L'idea nasce dalla volontà di rappresentare lo sviluppo tecnologico nel contesto di una delle più antiche città al mondo. La costruzione del logo "cte matera" è formata da un pittogramma che sintetizza, con un tratto originale e moderno, una linea morbida che dinamicamente disegna la lettera "m" (iniziale di Matera) e si ferma con un punto in alto. Questo elemento ricorda un cavo di rete per cablaggio, simbolo dello sviluppo tecnologico.

La linea è sovrapposta a una forma di colore azzurro (colore della città) che raffigura un grosso sasso. In basso la parte testuale "cte matera" è costruita con un font nuovo e personalizzato di facile lettura, la scelta del minuscolo trasmette disponibilità e apertura all'esterno. Invece in maiuscolo con font Titillium, di dimensioni più piccole, il marchio si completa con "Casa delle Tecnologie Emergenti di Matera". La scelta dei colori e l'alternanza tra linee morbide e forme rigide conferiscono movimento alla figura e racchiudono il significato di un progetto innovativo e concreto. (Estratto da comunicato stampa)




L'archivio di Citto Maselli donato al Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale

Francesco Maselli, per tutti Citto, ha deciso. Il suo archivio, le carte e i ricordi di una vita a cavallo fra cinema e politica, andranno al Centro Sperimentale di Cinematografia, la scuola di cinema dove il regista si è diplomato giovanissimo, e dove a più riprese ha insegnato. Lo annunciano la presidente del CSC, Marta Donzelli, e il conservatore della Cineteca Nazionale, Alberto Anile: l'acquisizione è una delle ultime iniziative di Felice Laudadio, prima della fine del suo mandato da presidente del CSC, e nasce da un'antica amicizia fra lo stesso Laudadio, Maselli e la sua compagna di vita e di lavoro, Stefania Brai.

Il fondo verrà conservato dalla Cineteca Nazionale per quanto concerne i materiali filmici e le fotografie, e dalla Biblioteca Luigi Chiarini, sempre all'interno del CSC, per i materiali cartacei. Si tratta di soggetti, sceneggiature di film non realizzati, articoli, foto, tesi di laurea su Maselli, recensioni di suoi film, pellicole (tra cui diverse scene non montate del film Lettera aperta a un giornale della sera), provini e centinaia di lettere, compreso un ricchissimo carteggio con decine di esponenti politici, a testimonianza della lunga militanza di Maselli prima nel PCI, poi in Rifondazione Comunista.

"È un cerchio che si chiude", dichiara Maselli, ricordando i tempi in cui è stato studente del CSC e l'esame di ammissione durante il quale, a interrogarlo, c'era Michelangelo Antonioni, di cui poi sarebbe diventato amico e collaboratore: "A ogni mia risposta faceva segno di no con la testa, e io pensavo di avere sbagliato. Poi capii che era un tic nervoso". L'archivio di Maselli andrà ora ordinato e catalogato, e sarà poi a disposizione degli storici e degli studiosi, come già i numerosi, importantissimi fondi custoditi presso la Cineteca Nazionale. (Comunicato stampa)




Presentazione e Premi al Taormina Film Fest 2019 e 2020




FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Fermoimmagine dal film La scuola allievi Fiat Tutti in classe!
www.youtube.com/playlist?list=PL15B-32H5GlJRTfrCCc-ZlSRBJ0DRvP1K

Rassegna online di materiali d'archivio organizzata dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea che è parte della Cineteca Nazionale. La playlist Tutti in classe, disponibile sul canale Youtube CinemaimpresaTV, racconta la scuola grazie ai tanti punti di vista offerti dai film conservati a Ivrea: dalle rigide scuole per allievi Fiat degli anni Sessanta, ai comunicati pubblicitari che invitano a l'acquisto di prodotti scolastici a prezzi popolari o di raffinate macchine da scrivere Olivetti.

"Tutti in classe" termina con La scoperta della logica, diretto da Franco Taviani per Olivetti, il film descrive un esperimento didattico volto a insegnare agli alunni delle classi elementari la matematica con il sussidio del gioco e dell'osservazione del mondo reale, per arrivare a comprendere quali sono le tappe che portano i bambini alla scoperta della logica. Insomma, uno sguardo sulla scuola dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta per ricordare il periodo della vita di ognuno in cui l'ansia per un compito in classe era il problema più grande che potevi avere. (Estratto da comunicato ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia)

___ Programma

- Seconda D (Basilio Franchina, 1951, 12')
- Giorno di scuola (Giorgio Ferroni, 1954, 10')
- La scuola allievi Fiat Giovanni Agnelli (Stefano Canzio, 1962, 14')
- Olivetti, Lettera 32 (Aristide Bosio, 1965, 1')
- Mi ricordo... I primi giorni di scuola (ca. 1965/1972, 1')
- Vieni alla Standa e guarda il prezzo (ca. 1970-1979, 1')
- La scuola comincia alla Standa (1977, 2')
- La scoperta della logica (Franco Taviani, 1970, 13')




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti
un film di Yervant Gianikian
alla 75esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Lyda Borelli nel film La memoria dell'altro "La memoria dell'altro"
Proiezione della versione restaurata


Nella cornice della mostra veneziana dedicata a Lyda Borelli, primadonna del Novecento (01 settembre - 15 novembre 2017), allestita a Palazzo Cini a cura di Maria Ida Biggi, direttrice dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma, la proiezione, il 10 novembre presso l'Aula Magna dell'Ateneo Veneto, di La memoria dell'altro (1913), opera rara ed emblematicamente rappresentativa del temperamento e dell'arte della grande diva. Il film è stato restaurato per l'occasione dal CSC - Cineteca Nazionale in collaborazione con l'Istituto per il Teatro e il Melodramma - Fondazione Giorgio Cini e con il sostegno degli eredi di Lyda Borelli.

La proiezione è accompagnata da musica dal vivo a cura della pianista Cinzia Gangarella e preceduta da una conferenza introduttiva, con interventi di Maria Ida Biggi, direttrice dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma, Daniela Currò, conservatrice della Cineteca Nazionale della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e Angela Dalle Vacche, docente di Storia del Cinema presso il Georgia Institute of Technology di Atlanta. Il film ripropone il sodalizio di Lyda Borelli con Mario Bonnard e Vittorio Rossi Pianelli, rispettivamente nei ruoli dell'amante tragico e dell'innamorato respinto, già sperimentata con grande successo in Ma l'amor mio non muore! realizzato sempre nel 1913 dalla Film Artistica "Gloria", per la regia di Mario Caserini, film canonico del genere "diva film" italiano.

La memoria dell'altro è un dramma passionale e tragico, che si incentra sul personaggio emancipato e anticonformista di Lyda, aviatrice acclamata, guidatrice di automobile, danzatrice formidabile, ma anche donna appassionata e sensuale, fatalmente travolta da un sentimento che la conduce all'estremo delle sue possibilità e della sua volontà. Sono memorabili i voli aerei, preceduti dalla preparazione meticolosa dell'aviatrice e e seguiti da un pubblico festante; altrettanto notevoli sono gli esterni veneziani, su cui il racconto indugia, facendo muovere i protagonisti tra magnifici scenari, tra arrivi spettacolari in vaporetto, approdi in gondola e passeggiate da Grand Tour in Piazza San Marco.

La memoria dell'altro

Regia di Alberto Degli Abbati, 1913, 79';
Produzione: Film Artistica "Gloria", Torino;
Visto censura: n. 2084 del 24 dicembre 1913;
Lunghezza originale: 1650/2000 metri (sei parti);
Soggetto: baronessa De Rege;
Fotografia: Angelo Scalenghe;
Personaggi e interpreti: Mario Bonnard (Mario Alberti), Lyda Borelli (l'aviatrice Lyda), Felice Metellio (il giornalista), Letizia Quaranta (Cesarina), Emilio Petacci, Vittorio Rossi Pianelli (il principe di Sèvre).

Sinossi: La bella aviatrice Lyda respinge l'assidua corte del principe di Sèvre e s'innamora del giornalista Mario Alberti che, nonostante sia fidanzato con Cesarina, accetta l'invito di Lyda a raggiungerla a casa sua. Insospettita, Cesarina segue Mario e lo sorprende in una scena d'amore con la giovane. Approfittando di una breve assenza di Lyda, Cesarina riesce a sottrarre alla rivale Mario, convincendolo a lasciarla. Abbandonata, Lyda si concede all'amore del principe di Sèvre. Ma la donna non riesce a dimenticare Mario.

Qualche tempo dopo, mentre la coppia si trova a Venezia, Lyda rincontra Mario in un teatro: colti dalla passione riaccesa, i due fuggono a Parigi per vivere il loro amore. Ma la felicità viene troppo presto guastata da una malattia che costringe Mario a letto per lunghi mesi. La miseria spinge Lyda a cercare aiuto: lo trova presso un gruppo di apaches generosi che rimangono conquistati nel vederla danzare. Il ritorno a casa però è amaro: Mario è morto. Disperata, anche Lyda si ammala e muore in una triste corsia d'ospedale dopo aver richiamato per l'ultima volta alla memoria l'immagine del suo amato Mario. (dalla scheda di Marco Grifo in Enciclopedia del Cinema in Piemonte)

Il film è stato restaurato a partire da un duplicato negativo safety b/n con didascalie italiane conservato dal CSC - Cineteca Nazionale, stampato nel 1977 da una copia nitrato d'epoca, attualmente non più conservata. Ad oggi questo duplicato costituisce l'unico testimone del film, con l'unica eccezione di un frammento di circa 200 metri conservato dalla Filmoteca Española di Madrid, un positivo nitrato con didascalie spagnole e colorazioni per imbibizione, relativo al finale del film. Rispetto a una lunghezza originale che le filmografie moderne ricostruiscono tra i 1650 e i 2000 metri, corrispondenti a una suddivisione in sei parti, il duplicato italiano ha una lunghezza di 1484 metri: risulta quindi incompleto, oltre che in gran parte privo dell'originaria suddivisione in atti (con eccezione della didascalia che introduce il I Atto).

Tuttavia le lacune, concentrate entro la prima metà del film, non incidono particolarmente nella comprensione generale della trama. Il duplicato negativo d'archivio è stato digitalizzato a risoluzione 2k e sono stati eseguiti interventi di stabilizzazione e di restauro digitale dell'immagine, con la rimozione dei difetti più evidenti, rimasti "fotografati" sul duplicato dalla copia nitrato originale, come righe, macchie, spuntinature, strappi. Si è cercato di non eccedere con l'intervento di pulizia mantenendolo entro i limiti della giusta fruibilità, tenendo conto del fatto che, in ogni caso, il materiale di partenza è rappresentato da un duplicato di tarda generazione.

Sulla base di questo stesso criterio è stata eseguita la color correction, con la finalità di uniformare il tono fotografico, scegliendo di mantenere il bianco e nero del duplicato negativo di partenza, senza tentare una restituzione delle colorazioni originarie. Si è ritenuto, infatti, che il campione di confronto rappresentato dal frammento della Filmoteca Española non fosse sufficientemente rappresentativo per una ricostruzione per congettura delle colorazioni dell'intero film. Le lavorazioni sono state eseguite interamente a cura del CSC - Cineteca Nazionale nell'estate - autunno 2017. (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Stampa, Comunicazione, Editoria Centro Sperimentale di Cinematografia (Scuola Nazionale di Cinema -Cineteca Nazionale))




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri

Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Locandina per la presentazione del libro Lo stato delle cose di Chiara Alessi "Lo stato delle cose. Breve storia della Repubblica per oggetti"
di Chiara Alessi, edito da Longanesi

Il libro è stato presentato il 17 marzo 2023 alla Libreria Mondadori di Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

Un nuovo appuntamento con l'iniziativa "Olivetti Readings", un ciclo di letture e commenti con gli autori di alcune pubblicazioni provenienti dalla nostra biblioteca. Alla serata l'autrice dialoga con Enrico Bandiera, direttore dell'Associazione Archivio Storico Olivetti. Nel volume vengono citati anche alcuni tra i più noti prodotti Olivetti, come la macchina da calcolo Divisumma 14 e la macchina per scrivere Lettera 22.

«Il Novecento non è raccontabile se non attraverso le cose che ha prodotto. Le cose come sintomi. Questo vale per le invenzioni, per la loro diffusione, ma anche per lo stile, anzi gli stili che ha concepito e che a loro volta hanno influenzato società, costumi, culture. E vale soprattutto per il nostro Paese, che è lo Stato delle cose». Dopo Tante care cose, Chiara Alessi torna a raccontarci chi siamo e da dove arriviamo ripercorrendo la traccia storica e umana lasciata dagli oggetti che abbiamo amato. In queste pagine sfilano sei "cose" comuni e straordinarie che non solo hanno attraversato il tempo, ma l'hanno anche fatto.

Spesso passandosi un inatteso testimone, perché non ci si pensa quasi mai ma la storia delle cose si muove. E noi con lei. Cose che hanno coinciso completamente con un'immagine, con un momento, con un racconto, fino a diventare l'immagine, il momento, il racconto, spesso finiscono poi per superarlo e trasformarsi in qualcosa di completamente diverso, ed è in questa non coincidenza tra quello che le cose dicono e che le cose fanno, e l'immagine che restituiscono di noi, che val la pena di guardare oggi. Per capire meglio la strada fatta fin qui, e provare a intuire dove potrebbe ancora portarci. (Comunicato di presentazione Associazione Archivio Storico Olivetti)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Il quaderno
di Sonia Bergamasco, ed. La Nave di Teso, 2022, pp. 112, euro 16,00


Il libro è stato presentato il 21 gennaio 2023 allo Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Sonia Bergamasco presenta la sua raccolta poetica, in dialogo con Massimiliano Barbini. L'evento è realizzato in collaborazione con l'Associazione Teatrale Pistoiese, in occasione dello spettacolo, in cui Sonia Bergamasco è protagonista, Chi ha paura di Virginia Woolf?, in programma al Teatro Manzoni il 21 e 22 gennaio.

"Leggendo Il quaderno di Sonia Bergamasco sembra di seguire la coda di una cometa, stare immersi in frantumi di polvere di stelle, seguendo un andamento fatto di svolte improvvise, di continue sorprese. Bergamasco non sente il bisogno di spiegare, si fida della potenza esplosa delle parole e dell'intelligenza di chi le riceverà, e chi legge sente la sua fiducia e la ricambia, s'immerge in una lingua rara e nuova, nella struttura di un altro mondo, dove le cose emergono a lampi e gli oggetti sono ricoperti dalle proprie astrazioni, come nella vita interiore di ognuno. Appaiono dunque simboli, volti, manufatti, musi, illuminati dal fascio di luce di una torcia che ruota, seguendo il ritmo cardiaco di una bambina che danza." dalla prefazione di Maria Grazia Calandrone

Sonia Bergamasco è nata a Milano, dove si è diplomata in pianoforte. A teatro lavora con Antonio Latella, Thomas Ostermeier, Jan Fabre, Theodoros Terzopoulos, Carmelo Bene, Giorgio Strehler. Premio Duse per il suo lavoro d'attrice, è interprete e regista di spettacoli in cui l'esperienza musicale si intreccia più profondamente con il teatro. Interpreta in Italia e all'estero ruoli di cantante-attrice (Teatro Sâo Carlos di Lisbona, La Scala di Milano, San Carlo di Napoli). Per l'edizione 2019 del Festival del Maggio musicale fiorentino firma la regia delle Nozze di Figaro di Mozart.

Al cinema lavora con Bernardo Bertolucci, Giuseppe Piccioni e Franco Battiato. Protagonista del film L'amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci, e Nastro d'Argento per La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. È la Regina madre del film Riccardo va all'inferno di Roberta Torre e Luce nella commedia Come un gatto in tangenziale, diretta da Riccardo Milani. Premio Flaiano come miglior interprete nel film De Gasperi, di Liliana Cavani, riscuote grande successo nelle serie tv Tutti pazzi per amore e Una grande famiglia, entrambe dirette da Riccardo Milani, ed è Livia nella serie Il commissario Montalbano. Per il film Quo vado?, diretto da Gennaro Nunziante, vince il premio Flaiano come interprete dell'anno, il premio Alida Valli come migliore attrice non protagonista al Bari International Film Fest e il premio CIAK d'oro. (Comunicato stampa)




Copertina del catalogo Leonardo Dudreville e Nuove Tendenze Leonardo Dudreville e Nuove Tendenze. L'avanguardia negli anni Dieci
Edizioni Fondazione Ragghianti - Silvana Editoriale, 240 pagine, 32 euro


Il volume è stato presentato il 12 gennaio 2023 al Museo del Novecento (Milano)
www.fondazioneragghianti.it | www.museodelnovecento.org

A pochi giorni dalla conclusione della mostra "Nuove Tendenze. Leonardo Dudreville e l'avanguardia negli anni Dieci", organizzata dalla Fondazione Ragghianti di Lucca, la presentazione del volume pubblicato dalla Fondazione Ragghianti e da Silvana Editoriale in occasione dell'esposizione. Il presidente della Fondazione Ragghianti Alberto Fontana, il direttore della Fondazione Paolo Bolpagni, il curatore della mostra e del catalogo Francesco Parisi e la storica dell'arte Elena Pontiggia presentano il volume, che include riproduzioni e schede di tutte le opere esposte, ma anche documenti e materiali d'epoca e che, come la mostra, propone un'indagine approfondita sulla ricerca artistica e sulla prima produzione di Leonardo Dudreville (Venezia, 1885 - Ghiffa, 1976), dagli esordi divisionisti, fino alla firma del manifesto "Contro tutti i ritorni in pittura" (1920) e a una nuova concezione della figurazione.

Il catalogo ripercorre l'esemplare traiettoria dell'artista, analizzando quella congiuntura culturale che portò nel 1913 alla formazione del gruppo Nuove Tendenze, composto, oltre che da Dudreville, dai pittori Adriana Bisi Fabbri, Carlo Erba, Achille Funi e Marcello Nizzoli, dagli architetti Giulio Arata, Mario Chiattone e Antonio Sant'Elia, dallo scultore Giovanni Possamai, dalla decoratrice tessile Alma Fidora e dai critici Carlo Bozzi, Decio Buffoni, Gustavo Macchi e Ugo Nebbia.

La mostra e il catalogo su Leonardo Dudreville e su Nuove Tendenze dedicano un focus particolare anche alla "Mostra di Pittura e Scoltura Rifiutata" inaugurata al Caffè Cova di Milano nell'ottobre del 1912, che costituì una delle premesse, in termini concettuali, per la successiva vicenda di Nuove Tendenze. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Copertina del libro di poesie E l'alma si spaurì di Marco Pavone con in copertina il dipinto di un un uomo pensieroso seduto su uno sgabello E l'alma si spaurì
di Marco Pavone, Kemonia Edizioni, prefazione di Maria Gabriella Riccobono, Palermo 2022
 

Il libro è stato presentato il 13 gennaio 2023alla Casa dell'equità e della bellezza (Palermo)

Daniele Billitteri e Anna Li Vigni presenteranno la raccolta di poesie di Marco Pavone. Un percorso interiore lungo decenni, dal 1976 al 2002, alla fine del quale «ritrovarsi per riconoscersi»: questo è "E l'alma si spaurì". Lungo questo cammino Marco Pavone è riuscito a mettere a nudo i suoi sentimenti più intimi e profondi, le cicatrici della sua anima, le sue paure e debolezze. Nel corso della serata intrattenimento musicale a cura del gruppo musicale Alenfado.

Marco Pavone (Palermo, 1959) negli anni del liceo scrive i primi componimenti poetici. Nel 1982 si laurea in matematica all'Università degli Studi di Pisa. Nel 1989 consegue un Ph.D. in matematica presso la University of California, Berkeley. Dopo un breve periodo trascorso come ricercatore al Politecnico di Torino, dal 1993 è professore associato di Analisi Matematica presso l'Università degli Studi di Palermo. È appassionato di indovinelli di logica, canto sacro corale, origami, poesia, Divina Commedia e musica classica. Per il gruppo musicale palermitano Alenfado ha composto la melodia di quattro brani, due dei quali pubblicati nel CD Passeando. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori





Eredi Boggiano
di Cristiano Berti, ed. Quodlibet


Il volume è stato presentato il 13 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

Vincitore dell'Italian Council (X edizione, 2021), Eredi Boggiano è un libro d'artista speciale: completamente privo di immagini, il volume mette al centro la parola, valorizzandone il suo significato più profondo e prendendo la forma di un saggio di interesse storico. Frutto di cinque anni di ricerche, Eredi Boggiano fa parte del secondo dei "Cicli Futili" una serie di opere ibride nella quale Berti coniuga ricerca archivistica e artistica, per interrogarsi sulla capacità della storia di contribuire all'interpretazione della realtà in un mondo che mescola rapidamente culture e genti.

Protagonista della nuova indagine di Cristiano Berti è la figura controversa di Antonio Boggiano, un facoltoso commerciante italiano vissuto a Cuba nella prima metà dell'Ottocento, e le centinaia di persone che egli "possedette" come schiavi di casa o nella sua piantagione di caffè. Eredi Boggiano ci restituisce così un'attenta fotografia della tratta degli schiavi nella Cuba dell'Ottocento e delle ombre del colonialismo e del razzismo, che raggiungono l'attualità.  Presentato nell'ambito delle attività libraryline della Biblioteca Trieste Contemporanea. L'autore converserà con Giuliana Carbi Jesurun. Il progetto Eredi Boggiano è realizzato grazie al sostegno dell'Italian Council (X edizione, 2021), programma di promozione internazionale dell'arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Cristiano Berti (Torino, 1967) è un artista visivo; vive e lavora a Jesi. Adopera principalmente i medium della fotografia, del video e dell'installazione. Insegna all'Accademia di Belle Arti di Macerata. Ritorna a Trieste Contemporanea dopo la presentazione della ricerca "Gaggini. Le Alpi e il Tropico del Cancro" che ha dato avvio a questo ultimo ciclo di studio. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Tra due mondi. Storia di Philip Rolla
di Maria Grazia Rabiolo, Edizioni Fondazione Rolla, 2022, pp. 128, 210x148 mm, 20Chf/20Euro


Il libro è stato presentato il 15 ottobre 2022 presso La Filanda a Mendrisio (Svizzera)
www.rolla.info

Partito dalla California non appena conclusa l'Università, Philip Rolla fa il percorso inverso rispetto ai suoi nonni, arrivati a inizio Novecento dal Piemonte. La sua avventura professionale inizia a Torino e proseque nella Svizzera italiana. Ingegnere artigiano, è l'inventore delle eliche più performanti a livello internazionale. Il suo nome è legato al mondo della motonautica e delle imbarcazioni in generale. Ma da sempre coltiva una grande passione per l'arte contemporanea e per la fotografia.

La sua esistenza si svolge dunque tra Stati Uniti, che non ha mai dimenticato, ed Europa, Svizzera in particolare. A Bruzella, nella Valle di Muggio, dove risiede con la moglie Rosella, ha costituito una collezione di opere d'arte importante e una fondazione che organizza con regolarità esposizioni fotografiche negli spazi dell'ex scuola d'infanzia. La sua è un'esistenza decisamente particolare e interessante. La biografia di Maria Grazia Rabiolo la ripercorre tappa dopo tappa, con rigore e partecipazione al contempo. Ne emerge il ritratto di un uomo, di un professionista e di un collezionista a dir poco speciale, difficilmente imitabile.

Maria Grazia Rabiolo, nata nel 1957 a Losanna (Canton Vaud) e cresciuta a Viganello (Cantone Ticino), è laureata in Lettere all'Università degli Studi di Milano. Giornalista culturale, ha lavorato per trentaquattro anni alla RSI - Radiotelevisione svizzera di linqua italiana. (Comunicato Rolla.info)




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Presentazione libro
29 settembre 2022, ore 18.00
Lo Spazio - Pistoia
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




I disegni di Charles Percier 1764-1838
Toscana, Umbria e Marche nel 1791
a cura di Sabine Frommel e Jean-Philippe Garric, Campisano Editore, 2021


Il volume è stato presentato il 19 settembre 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca a Roma

Il volume raccoglie i disegni che Charles Percier (Parigi, 1764 - 1838) ha eseguito durante la sua breve permanenza in Toscana e nel suo passaggio in Umbria e nelle Marche, mettendo a fuoco un ulteriore aspetto della sua ricca produzione grafica durante gli oltre quattro anni trascorsi in Italia. I disegni sono una sorta di enciclopedia personale. Non furono realizzati unicamente come ricordo dei luoghi più notevoli che Percier ebbe l'opportunità di visitare, ma si pongono come un vero e proprio strumento professionale, cui fare ricorso per ideare libri, nutrire riflessioni da architetto e il proprio lavoro di progettazione, illustrare idee ai numerosi studenti. Alla fine della sua vita Percier fece rilegare i disegni in volumi tematici, e li lasciò in eredità ai suoi allievi, che poi li donarono alla Biblioteca dell'Institut de France dove tutt'ora si conservano.

Il soggiorno in Toscana di Percier è di poco successivo alla partenza da Roma, tappa del viaggio a piedi che nel 1791 lo riportò a Parigi. Si presenta come una parentesi che gli permette, in margine al percorso principale che attraversa Spoleto, Campello sul Clitunno, Foligno, Loreto, Ancona, Pesaro, Fano, Tolentino, Macerata e Recanati, di visitare Radicofani, San Quirico d'Orcia, Siena, Arezzo, e soprattutto Firenze, città alla quale dedica più di sessanta disegni. A segnare questo viaggio nell'architettura furono le precedenti esperienze romane, che consentirono a Percier di maturare di affinare progressivamente l'esercizio del rilievo e di perfezionare la sua tecnica, caratterizzata dal tratteggio a lapis, poi ripassato a penna e infine ad acquerello.

Questo prezioso, seducente corpus grafico, oltre a offrire le prime testimonianze note di alcuni monumenti e a documentare spazi urbani di notevole importanza, attesta il gusto, gli interessi e lo sguardo eclettico di un giovane architetto francese della fine del Settecento. Uno sguardo che abbraccia un ampio arco cronologico, dall'antico al periodo moderno, accordando particolare interesse alle prime manifestazioni del Rinascimento, privilegiandone la dimensione arcaica che aveva già suscitato il suo interesse nello studio di case e palazzi del Quattrocento romano. Per rispondere a questa polisemia, il presente volume si arricchisce di analisi storiche complementari, riunendo specialisti della storia di Firenze, della Toscana e delle varie località visitate da Percier, dell'arte edilizia del Rinascimento, della cultura e della pratica architettonica francesi ed europee nell'età rivoluzionaria e napoleonica.

Sabine Frommel è Directeur d'études alla cattedra d'Histoire de l'Art de la Renaissance all'École Pratique des Hautes Études (Sorbonne, PSL). Dal 2013 al 2015 è professore invitato all'università di Bologna (Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica). I suoi interessi scientifici sono dedicati a una molteplicità di temi trasversali: i grandi architetti del Rinascimento italiano, l'evoluzione delle tipologie e dei linguaggi architettonici nel Quattrocento e Cinquecento, i processi di migrazione in Europa, la rappresentazione dell'architettura nella pittura, la fortuna del Rinascimento fino all'Ottocento, la nascita e lo sviluppo della disciplina della storia dell'architettura.

Sabine Frommel è membre associée dell'Academie Royale à Bruxelles e membre correspondant de l'Académie des Beaux Arts à l'Institut de France. Nel 2018 riceve il Premio Sulmona (Premio di Critica d'Arte, XXI Edizione). Fra le sue ultime pubblicazioni, Peindre l'architecture durant la Renaissance italienne. Origines, évolution, transmission d'une pratique polyvalente (Chaire du Louvre), Paris, 2020; Leonardo da Vinci. Architektur und Erfindungen (Stuttgart, 2019); Leonardo da Vinci e l'architettura (con J. Guillaume, Modena, 2019; ed. fra. Léonard de Vinci et l'architecture, Paris); Giuliano da Sangallo (Firenze, 2014; ed. ted. Giuliano da Sangallo. Architekt der Renaissance. Leben und Werk, Basel, 2020).

Jean-Philippe Garric è professore di Storia dell'architettura contemporanea all'università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. Incaricato dei programmi di ricerca in storia dell'architettura dell'Institut National d'histoire de l'art (2006-2012) e stato invitato alla Sapienza (2018) e a Columbia University (2019). Tra le sue pubblicazioni si segnalano: la ristampa critica dei due principali libri di architettura di Percier e Fontaine: Villa de Rome. Choix des plus célèbres maisons de plaisance de Rome et de ses environs, Bruxelles (Mardaga, 2006); Palais de Rome. Palais, maison set autres édifices modernes dessinés à Rome, Bruxelles (Mardaga, 2008); una biografia di Percier e Fontaine: Percier et Fontaine. Les architectes de Napoléon (Belin, 2012) e la prima edizione delle memorie private di Fontaine (Mia Vita, Paris (Éditions des Cendres, 2017).

Ha inoltre curato la prima mostra su Percier (Charles Percier. Architecture and Design in an Age of Revolutions (Yale University Press, 2016 / Réunion des musées nationaux, 2017) ed è stato uno dei curatori della prima mostra dedicata a Jean Jacques Lequeu: Jean-jacques Lequeu. Bâtisseur de fanstasmes (con L. Baridon e M. Guédron, 2018). (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Pietro Consagra. Scultura in Relazione. Opere 1947-2004

Il catalogo è stato presentato il 19 settembre 2022 alla Galleria Mucciaccia di Roma

Presentazione del catalogo della mostra personale di Pietro Consagra, a cura di Francesca Pola, realizzata in collaborazione con Archivio Pietro Consagra, in corso negli spazi di largo della Fontanella Borghese fino al 20 settembre 2022. A parlarne interverranno Gabriella Di Milia, direttrice dell'Archivio Pietro Consagra e Francesca Pola, curatrice della mostra.

Il volume analizza le sessanta opere esposte per l'occasione in galleria che ripercorrono la ricchezza inventiva di Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920 - Milano, 2005), una delle figure più significative del panorama artistico internazionale del XX secolo, grazie a un testo della curatrice, Francesca Pola, e alle schede di approfondimento a cura dell'Archivio Pietro Consagra.

La selezione di opere, dalle sue prime sculture astratte del 1947 alle ultime opere degli anni 2000, costituisce la prima significativa retrospettiva dell'artista a Roma dopo l'importante antologica dedicatagli dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna nel 1989, restituendo una chiave di lettura che evidenzia l'importanza dei rapporti tra scultura, spazio, osservatore: un'attenzione specifica alla "ubicazione" della presenza plastica in relazione all'osservante, fulcro della caratteristica "scultura frontale" codificata da Consagra a partire dai suoi celebri Colloqui dei primi anni Cinquanta e contestualmente teorizzata già dal suo libro Necessità della scultura (1952). (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Gaetano e i Salvemini
di Mauro Salvemini, ed. Albatros edizioni

Il libro è stato presentato il 25 giugno 2022 alla Biblioteca Civica "Farinone-Centa" di Varallo

In questo libro Mauro Salvemini ripercorre le vicende, politiche ma soprattutto personali, di cui sono stati protagonisti i membri della famiglia Salvemini, uomini e donne uniti dal forte legame con la loro terra d'origine, animati da un profondo desiderio di portare avanti le proprie convinzioni e disposti a sacrificarsi ai limiti del possibile per aiutarsi reciprocamente. A partire da Gaetano Salvemini, figura di spicco dell'antifascismo, il lettore si trova ad attraversare un'epoca, a conoscerla e a fare i conti con le grandi ingiustizie e le piccole gioie che l'hanno resa indimenticabile. A fare della lettura un'esperienza ancora più intensa, un ricco corpus di lettere e foto appartenenti all'autore, che offre così un viaggio a tutto tondo nella sua storia familiare e la tramanda ai posteri. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)

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Copertina del libro Mondo ex e Tempo del Dopo di Pedrag Matvejevic Mondo ex e tempo del dopo
di Pedrag Matvejevic, ed. Garzanti

I Balcani sono un'area dell'Europa in cui da sempre la "geografia non coincide con la Storia". Terra di interposizione tra Occidente e Oriente, in politica, religione, cultura, arte. Era qui che l'impero romano d'occidente lasciava la sovranità a quello d'oriente. In "Mondo ex" Pedrag Matvejevic ripercorrere quindici anni di dissolvimento di un paese nato mettendo insieme popoli e territori.

Recensione di Ninni Radicini




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dmitrij Sostakovic Il grande compositore sovietico Dmitrij Sostakovic
Il grande compositore sovietico


Il libro è stato presentazione il 28 gennaio 2022 alla Fondazione Mudima di Milano
www.mudima.net

Questo titolo ha suscitato vivaci reazioni: alcuni vi videro solamente la connotazione politica, come fece Quirino Principe in una bella recensione piena di lodi scrivendo che un "... volume di tale importanza avrebbe fatto meglio a non definire [il compositore] "sovietico" bensí russo", molti vi lessero un significato più ampio di "determinativo storico" (Rosanna Giaquinta) ma quasi nessuno lo percepì come una connotazione di appartenenza di Šostakovic intrinseca e indissolubile e, dunque, sovraideologica, al paese in cui visse e operò, una volta chiamato URSS.

Ideato da Gino Di Maggio e Anna Soudakova Roccia che per più di 3 anni ha svolto meticolose ricerche sulle fonti bibliografiche e fotografiche, con preziosi contributi di Daniele Lombardi e Valerij Voskobojnikov, il libro costituisce un unicum in quanto offre un inedito e duplice sguardo, russo e italiano, sulla musica e sul milieu politico e storico-culturale stimolando il lettore a scoprire o comprendere meglio la personalità e la spiritualità creativa di Dmitrij Dmitrievic Šostakovic e il tempo in cui visse. Per amare la sua musica con più consapevolezza.

I due articoli dell'incipit, di Gino Di Maggio e di Daniele Lombardi, introducono i temi che verranno affrontati dai saggisti con toni e punti di vista diversi, a volte anche opposti. Questa multivisione rende il libro avvincente e stimolante. Il volume è suddiviso in tre sezioni. La prima, Pietrogrado-Leningrado, racconta attraverso due saggi di Anna Petrova, direttrice editoriale del Teatro Mariinskij, la realtà dopo lo scoppio della rivoluzione d'Ottobre e l'entusiasmo utopico di cui fu pervasa la città negli anni dell'adolescenza e giovinezza di Šostakovic.

La seconda, Musica, raccoglie i saggi di autorevoli musicologi italiani e russi: l'articolo di Ivan Sollertinskij, intimo amico del compositore e mitico direttore della Filarmonica di Leningrado, scritto nel 1934 in occasione della prima assoluta di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk al Teatro Malyj di Leningrado - un'autentica chicca bibliofila scovata negli archivi del teatro Michajlovskij; ben tre articoli di Levon Hakobian, Luigi Pestalozza e Edoardo De Filippo su "Il Naso", la prima avanguardistica opera del ventiquattrenne compositore; tre saggi di Franco Pulcini, Roberta De Giorgi, e Manašir Jakubov, fondatore dell'Archivio Shostakovich di Mosca, sulla scandalosa opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk che suscitò l'ira di Stalin con nefaste conseguenze per il compositore; sarà gioia per gli appasionati della musica da camera leggere la rassegna critica di Jakubov di tutti i quindici quartetti; e il raffinato saggio di Dino Villatico sul Secondo concerto per violino e orchestra.

Ai tragici eventi dell'assedio di Leningrado sono dedicati La Settima sinfonia di Oreste Bossini e Ascolta! Parla Leningrado! Cronistoria di un concerto di Anna Soudakova Roccia Vi sono dei saggi dedicati al teatro, al balletto e al cinema. Nel contributo Klop al Teatro Mejerchol'd: tre geni per una cimice Anna Soudakova Roccia ripercorre la prima esperienza teatrale del ventiduenne compositore durante le prove di La cimice di Vladimir Majakovskij, l'avvincente e drammatico rapporto di amicizia e collaborazione artistica di Vsevolod Mejerchol'd con il poeta: un'esperienza che segnò tutta la vita artistica di Šostakovic.

Il giovane compositore amava molto il balletto e scrisse musica per L'età dell'oro (1930) e Il bullone (1931). Al primo balletto è dedicato il saggio di Dmitrij Braginskij tratto dal suo libro Šostakovic e il calcio: territorio di libertà, in cui ripercorre le trame dei vari rifacimenti di sceneggiature che portarono il balletto al grande ma breve successo sul palcoscenico del teatro Mariinskij (ex Gatob). Il tema dell'importante ruolo del cinema nella musica del compositore è affrontato dalla studiosa dell'Archivio Shostakovich di Mosca, Olga Dombrovskaja.

Parte molto importante di questa sezione sono i ricordi: quello personale del compositore sulla sua visita al Festival di Edinburgo nel 1962 o di coloro che lo incontrarono: Evgenij Evtušenko, celebre poeta sovietico, che rievoca la cronistoria della Tredicesima sinfonia, scritta sui testi del suo coraggioso poema Babij Jar; Luciano Alberti e Erasmo Valenti, testimoni della "contorta fortuna" del compositore in Italia, osteggiato dalla critica e dalle avanguardie musicali; Valerij Voskobojnikov che nel suo saggio Mio Šostakovic ripercorre i ricordi privati, i primi incontri con la sua musica a Mosca e gli sforzi per promuoverla in Italia. L'ultima sezione Šostakovic e il suo tempo ospita una preziosa autobiografia del compositore, un'importante articolo di Levon Hakobian Šostakovic e il potere sovietico, il cui rapporto ancor oggi, dopo quasi mezzo secolo dalla morte del compositore, è fonte di scontri politico-ideologici.

Chiude il volume il capitolo Frammenti di vita di Dmitrij Šostakovic raccontati attraverso le fotografie, in cui l'autrice, Anna Soudakova Roccia, ha raccolto alcuni fatti salienti della vita straordinaria, piena anche di inaspettati aneddoti, del grande compositore che marcò il tempo in cui visse con il proprio nome facendo scrivere ad Anna Achmatova nella dedica: "A Dmitrij Šostakovic, nella cui epoca io vivo" e a diventare, come scrisse L. Hakobian, "il più fedele e stoico chronachista musicale... e un esempio di uomo sovietico nella sua più alta evoluzione, quale non apparirà, presumibilmente, mai più". Nel corso della serata saranno proiettate immagini inedite e straordinarie fotografie d'epoca di cui è corredato il libro grazie alle concessioni di prestigiosi musei russi e enti italiani e verrà proiettato il film Sonata per viola di Alexandr Sokurov, regista russo e premiato con il Leone d'oro a Venezia. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

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David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan - Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Copertina del libro Calabria terra di capolavori Dal Medioevo al Novecento Calabria terra di capolavori. Dal Medioevo al Novecento
di Mario Vicino, Editrice Aurora

Il volume è stato presentato il 22 novembre 2019 al Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

Nell'accattivante location del Castello Normanno Svevo, verrà presentato il volume di Mario Vicino. Interverranno all'iniziativa Adele Bonofiglio, direttore del Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia e l'autore. Il prof. Mario Vicino, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, ha al suo attivo altre pubblicazioni di pregio quali La Pittura in Calabria. Quattrocento e Cinquecento, Imago Mariae e una monografia su Pietro Negroni.

Iniziativa - come precisa la dottoressa Bonofiglio - per far riscoprire la passione per l'arte e restituire la giusta importanza all'inestimabile patrimonio di cui dispone la Calabria e la bellezza dei suoi innumerevoli tesori nascosti. Nella prima parte dell'opera - continua la Bonofiglio - si descrive l'evoluzione della pittura in Calabria in relazione alla sua straordinaria storia. Partendo dal periodo Tardoantico, l'autore attraversa le vicende del Medioevo, con Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi, per poi raggiungere il Cinquecento e i successivi sviluppi dell'arte calabrese fino all'Ottocento e il Novecento. Nella seconda sezione del libro - conclude la Bonofiglio - vengono catalogati ed esaminati nel dettaglio alcune delle numerose opere presenti nella regione. (Comunicato stampa)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




La mia Istria
di Elio Velan


* Il volume è stato presentato il 5 dicembre 2018 a Trieste, all'Auditorium del Museo Revoltella

Il volume del noto giornalista e scrittore Elio Velan è presentato a Trieste grazie all'iniziativa della Comunità Croata di Trieste e del suo presidente Gian Carlo Damir Murkovic, che ha voluto includere l'incontro nel programma di iniziative del 2018. Il libro, quasi 200 pagine, sarà introdotto dallo stesso Murkovic e presentato dal giornalista, scrittore e autore teatrale Luciano Santin, con l'intervento / testimonianza dell'autore stesso. L'incontro sarà moderato dal giornalista de "Il Piccolo" Giovanni Tomasin. Ad aprire e concludere la serata sarà la musica, col gruppo vocale e strumentale dell'Associazione culturale"Giusto Curto" di Rovigno, il tutto arricchito dalle proiezioni di immagini dell'Istria, firmate dal grande maestro della fotografia Virgilio Giuricin.

Per far sentire non solo le tipiche armonie ma anche quello spirito condiviso che rende Rovigno una località singolare e ricca. Nel volume Elio, il padre, ragiona col figlio Gianni, mentre la barca li culla e li porta in giro per l'arcipelago rovignese. Cos'è giusto e legittimo che i figli sappiamo dei genitori, dei loro pensieri, delle loro vicende? L'autore cerca di rispondere al quesito attraverso le "confessioni e testimonianze" raccolte in questo libro, uscito prima in lingua croata e ora nella versione italiana per i tipi della "Giusto Curto" di Rovigno. Nel libro Velan racconta e soprattutto si racconta attraverso le esperienze di una vita che l'ha portato a interrogarsi sulle numerose tematiche di un mondo di confine con tanti nodi da sciogliere, ma anche su tematiche esistenziali con l'intelligenza di chi abbraccia con coraggio la verità.

Elio Velan (Pola, 1957), dopo la laurea in Scienze politiche a Zagabria e dopo quattro anni di studi alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Trieste, ha iniziato la carriera giornalistica, una scelta per la vita che non ha mai abbandonato, occupandosi, a fasi alterne, di carta stampata, radio e televisione, tra Fiume, Trieste, Pola, Capodistria e Rovigno. Sin dalle elementary aveva infatti sognato di diventare giornalista per seguire le orme di Oriana Fallaci, che adorava. Il sogno si è avverato anche se non ha fatto mai il corrispondente di guerra, non ha vinto il premio Pulitzer e non ha intervistato il compagno Tito. In compenso ha lavorato, per otto anni, al quotidiano "La Voce del Popolo" come corrispondente da Rovigno.

Nel febbraio 1994 è passato alla redazione del telegiornale di TV Capodistria, lavorando contemporaneamente a Radio Capodistria. Era uno dei redattori e conduttori del TG e spesso seguiva i dibattiti al parlamento di Lubiana. Alla fine del 1996 è passato al quotidiano croato "Glas Istre". Dopo un anno di corrispondenze da Capodistria si è trasferito a Trieste come unico corrispondente estero del quotidiano di Pola e del quotidiano "Novi List" di Fiume. A Trieste ha lavorato per quindici anni alla sede regionale della Rai per il Friuli Venezia Giulia. Conduceva la trasmissione radiofonica "Sconfinamenti" e, contemporaneamente, a TV Capodistria la trasmissione settimanale di approfondimento "Parliamo di..." (oltre 400 trasmissioni realizzate).

La sua carriera si è conclusa nel 2016 con l'unico rammarico di non aver mai lavorato a un settimanale perché era quello lo spazio più congeniale al suo stile. Ha pubblicato quattro libri in rapida successione (un libro all'anno), che rappresentano la sintesi del suo lavoro di giornalista. Sono scritti in croato, la lingua che ha usato di più. Ora partecipa alle attività della "Giusto Curto" come giornalista e ideatore di spettacoli. Nei primi anni Novanta ha fondato e diretto per tre anni il mensile della Comunità Italiana di Rovigno, "Le Cronache", molto seguito anche da chi non ne condivideva la linea editoriale. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Copertina libro Il passato non passa mai, di Michele De Ruggieri Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde
di Michele De Ruggieri, ed. Europa Edizioni, 162 pagine, euro 13,90

E' la guerra che si dovrebbe raccontare nelle scuole, al di là di date, vittorie e sconfitte, quella raccontata nel romanzo di Michele De Ruggieri. La presentazione è organizzata in collaborazione con il Polo Museale della Basilicata. Il Circolo La Scaletta ha concesso il patrocinio. Interverrà l'autore che dialogherà con la giornalista Sissi Ruggi.

Michele De Ruggieri racconta con una prosa schietta e molto curata una storia che prende avvio nel settembre 1916 con il protagonista che viene chiamato alle armi. Fra la famiglia che tenta senza riuscirvi di non farlo mandare al fronte, la guerra di trincea e la prigionia, sin dalle prime pagine e confermando il titolo il romanzo è una chiara condanna della guerra. La penna di Michele De Ruggieri sceglie di raccontare tutto questo attraverso un'attenta ricostruzione storica e i sentimenti. Dalla paura di essere uccisi alla lotta per la sopravvivenza nel campo di concentramento, dove la fame cambia la gerarchia dei valori. Basta una lettera da casa, che fa intravedere la vita, e le lacrime che accompagnano la lettura restituiscono gli uomini a loro stessi.

- Sinossi

E' il 28 giugno 1914; in tutta Europa giunge la notizia dell'attentato di Sarajevo. Un mese dopo, la prima dichiarazione di guerra. Pochi sanno quali proporzioni assumerà il conflitto e quanti milioni di uomini farà cadere. Idealismi improbabili e frasi piene di retorica furono sufficienti per infervorare gli animi di tanti che non avevano idea di cosa li aspettasse. In piazza si gridava "viva la guerra!" e sul fronte si moriva. Pietro è un giovane che riesce, grazie alle sue conoscenze, ad evitare il fronte, vivendo il conflitto mondiale da una posizione privilegiata e sicura. Almeno così sembra... Dopo la disfatta di Caporetto, infatti, le carte in tavola cambiano completamente. Pietro si ritrova prima in trincea, poi in un campo di concentramento, a tentare disperatamente di tenersi stretta la vita e a guardare negli occhi i suoi compagni che non ci riescono, soccombendo all'orrore di uno dei periodi più oscuri della storia dell'umanità. Ne uscirà totalmente trasformato.

Michele De Ruggieri (Palagiano - Taranto, 1938), di famiglia lucana, ha studiato e conseguito la laurea in farmacia. Si è sempre interessato di Storia Contemporanea e Storia dell'arte. Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde, è il secondo romanzo di Michele De Ruggieri. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo storico Al di qua del Faro (Guida Editori), ambientato tra le montagne lucane e il golfo di Napoli agli albori dell'Unità d'Italia. (Comunicato stampa)




Luigi Pirandello Luigi Pirandello. Una biografia politica
di Ada Fichera, ed. Polistampa
www.polistampa.com

L'adesione di Pirandello al fascismo, il suo rapporto col regime e con la censura, le idee di fondo del suo pensiero politico: sono gli elementi chiave del saggio di Ada Fichera. Con l'autrice dialogheranno il giornalista e scrittore Mario Bernardi Guardi e l'editore Antonio Pagliai. Letture a cura di Dylan (Dimensione Suono Soft). Luigi Pirandello è stato sempre analizzato sotto il profilo strettamente letterario o puramente storico.

Il saggio di Ada Fichera, frutto di una ricerca su documenti d'archivio inediti, rilegge per la prima volta la sua figura ricostruendone la vita in chiave politica. Dal testo, arricchito da una prefazione di Marcello Veneziani, emergono aspetti chiave del pensiero pirandelliano come la coscienza del fallimento degli ideali borghesi, l'idea del potere nelle mani di uno e non di una maggioranza, la tendenza all'azione. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)

Visualizza versione ingrandita della locandina della presentazione del volume




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

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- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





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