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Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

| [] | Agrigento Capitale italiana della cultura 2025 | [] |

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2023-2020 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2023-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007

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Locandina della mostra di Barbara Shields al Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino Barbara Shields
"Dialogus cum Natura"


28 maggio (inaugurazione) - 17 settembre 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
www.cacticino.net

Intervento di Land Art, che Barbara Shields (1966) presenta nei giardini del MACT/CACT. Il suo procedimento operativo è molto particolare, poiché l'artista di Bienne-Biel non attinge alla cultura concettuale, figlia delle avanguardie degli anni '60, ma affronta lo spazio aperto quasi come conseguente contrapposizione alla costrizione di uno luogo espositivo chiuso e finito. Il suo campo di azione, infatti, non è solo la natura - dove opera spesso -, ma tocca ambiti altri, come in particolare la pittura e la più intima e poetica espressione disegnatoria all'interno del campo visivo. I suoi guazzi ricordano l'Espressionismo con forti tendenze verso il Neo Espressionismo di matrice fine secolo.

No, crediamo che Shields non intenda proprio sottoporsi all'analisi storiografica in uso, quanto piuttosto il suo contrario. Se la radice pittorica e terapeutica dell'artista rende al suo lavoro quel benché minimo fascino, che solo la buona pittura o la buona musica riesce a produrre, ecco che la sua pratica outdoor non che il desiderio di fuga da una equazione, che spesso imprigiona l'artista e la sua produzione artistica entro criteri scontati. Più che Land Art, parleremmo di Environmental Art, dove l'autrice interviene nell'ambiente naturale con il rispetto di chi non intende modificarla, bensì con cui dialogare.

Il suo concetto, se di concetto si può argomentare, vale più come simbiosi che intervento, dialogo e non scontro. Da anni il suo gesto nella e con la Natura non ha una valenza artisticamente politica, nel senso stretto dell'atto o dell'impegno civile o sociale, ma di fusione con una Verità quasi assoluta e preponderante sull'uomo; anche se nel tempo della rivisitazione post-contemporanea attorno alle tematiche eco-, la sua opera ci spinge verso una ulteriore riflessione attorno alle opportunità legate al timore per il clima e i suoi equilibri tra nord e sud, tra vette e deserto.

La transposizione di una pratica pittorica extra muros riapre le ferite brutali della "donna" Shields, attraverso ciò che assume i contorni di un rituale catartico, che molto assomiglia all'approccio "brut" e non programmato, quasi essa volesse completarsi e completare il suo corpo declinandosi con e dentro il contesto naturale e divinamente pagano. In questo senso Barbara Shields recupera, ricicla e usa i resti della natura, così come un pittore si avvale di pennelli e colori, laddove l'ambiente naturale diviene lo scenario, la sua Schaubühne, una sorta di alcova, che custodisce e protegge i gesti e i segni intimi lasciati dall'artista nell'universo reale, e dove l'essere umano non può che subirne gli influssi e gli umori climatici.

I segni, che Shields lascia con grande rispetto nel contesto naturale che ci sovrasta e ci rende particelle dell'universo, sono quasi reliquie, piccole opere rispettose e umili, che solo il tempo potrà cancellare e travolgere nel suo decorso secolare ed eterno. Barbara Shields, cristallina come uno spirito della natura e forte come la passione, solca le tradizioni simbiotiche e di fusione tra corpo e ambiente, tipiche di questo territorio a sud delle Alpi. (Mario Casanova, 2023)

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Martin Disler
14 maggio - 06 agosto 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
Presentazione




Francobollo per la Fiera di Trieste del 1954 con un panorama di Cortina d'Ampezzo Francobollo per la Fiera di Trieste del 1953 dedicato alle arance della Sicilia La Fiera di Trieste raccontata dalle emissioni filateliche e cartofile
24 maggio (inaugurazione) - 20 giugno 2023
Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa - Trieste

L'esposizione, realizzata in collaborazione con il Circolo filatelico e numismatico Monfalconese, raccoglie l'intera collezione di Giampaolo Quidacciolu, frutto di tanti anni di ricerca e di catalogazione, attraverso i quali viene ricostruita la storia di una importante realtà economica che dagli anni Venti ha contribuito alla crescita economica della Venezia Giulia. Le varie edizioni fieristiche sono state accompagnate quasi tutte da emissioni di cartoline, buste primo giorno (FDC), annulli speciali commemorativi e in 5 casi, nel periodo 1950/1954, anche di francobolli dedicati.

È piuttosto vasto il numero di oggetti filatelici e cartofili esistenti: «Abbiamo recuperato tutto il materiale filatelico emesso in quasi 90 anni di attività, partendo dalla prima edizione del 1920 fino al 2008, ultimo anno nel quale la manifestazione fieristica ha visto una qualsivoglia emissione filatelica o marcofila - spiega Giampaolo Quidacciolu - fanno da contorno a questa esposizione le doverose e apposite note storiche di spiegazione e una accurata riproduzione degli annulli. Sono state incluse inoltre le manifestazioni cosiddette collaterali alla Fiera, quelle cioè svoltesi nello stesso periodo o nello stesso spazio espositivo».

La storia della Fiera di Trieste viene da lontano. Nel 1920, negli spazi aperti di Sant'Andrea, venne inaugurata la prima edizione: fu un grande successo. Si voleva far conoscere Trieste e soprattutto le sue potenzialità emporiali agli altri Stati europei. Il suo porto venne quindi giustamente riconosciuto come importante punto di transito tra l'Europa Centrale e gli Stati orientali.

«La seconda edizione, datata 1922 - continua Quidacciolu - confermò il crescente interesse per questa manifestazione che si proponeva di diventare un appuntamento fisso annuale. Purtroppo, la mancanza di una sede adeguata prima e il periodo bellico dopo fecero slittare questi buoni propositi. Si dovrà aspettare il 1947 per avere una ulteriore edizione della manifestazione, denominata questa volta "Mostra Campionaria della Produzione Industriale e dell'Artigianato". Da allora fu un susseguirsi di successi annuali tanto che la Fiera di Trieste, posizionata finalmente nella sede adeguata di piazzale De Gasperi, divenne uno degli appuntamenti fieristici più importanti in Italia». (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Francobollo per la Fiera di Trieste del 1954 con panorama di Cortina d'Ampezzo
2. Francobollo per la Fiera di Trieste del 1953 dedicato alle arance della Sicilia

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Mostre su Trieste




Locandina della mostra L'Era dei Giganti con opere di Alessandro Sambini Alessandro Sambini
"L'Era dei Giganti"


22 maggio - 08 luglio 2023
Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net

In concomitanza all'apertura della XVII Biennale Architettura 2023, la personale di Alessandro Sambini a cura di Francesca Lazzarini. L'Era dei Giganti riflette sul rapporto tra spazio reale e virtuale e sul modo in cui queste dimensioni si intrecciano per comporre la nostra esperienza ibrida del mondo. La mostra si articola in due percorsi, uno fruibile in modalità OG ('Original Gangster', espressione mutuata dall'artista dallo slang americano e traducibile in italiano con "alla vecchia"), l'altro in modalità VR (realtà virtuale accessibile tramite visore).

Il primo percorso ospita una serie di lavori significativi nel filone di ricerca artistica dedicato da Alessandro Sambini alle nuove tecnologie, lavori che possono essere considerati propedeutici all'opera virtuale inedita qui presentata. Tra questi People at an exhibition (2016), serie di stickers frutto di una performance robotica tesa a esplorare il rapporto tra spettatori e immagine in rete; Spelling Book (2018), indagine sulla capacità di un'intelligenza artificiale di creare immagini archetipe; Mario (2021), un dispositivo sinestetico inventato dall'artista per stabilire una connessione tra fotografo e soggetto fotografato; Tecnocopia (2022) un'installazione in VR che indaga i concetti di ritratto, identità e riproducibilità negli spazi virtuali.

Il secondo percorso di mostra, fruibile solo su prenotazione, propone l'ultima opera di Alessandro Sambini, L'Era dei Giganti, una performance per metaverso in realtà virtuale dalla quale la mostra prende il titolo e che si sviluppa fra l'ultima stanza della galleria e la stanza al piano superiore. L'Era dei Giganti, in linea con i campi di indagine di Sambini, offre un'esperienza che porta a ragionare in modo critico sulle forme estetiche e narrative imposte da TikTok ai suoi utenti. Partendo da una riflessione sulle proporzioni, fisiche, ottiche e concettuali, alle quali ci espone l'utilizzo del social, l'artista ci porta al cospetto della figura di un gigante, col quale possiamo interagire e conversare.

Riformulando attraverso la fiction stralci narrativi tratti da video di TikTok l'opera invita a interrogarsi sulle effettive dimensioni di queste figure e a riconsiderare il nostro ruolo di fruitori delle piattaforme digitali. L'esposizione, mettendo in dialogo il nuovo progetto con i lavori precedenti, ripercorre e amplia la ricerca artistica di Alessandro Sambini da sempre impegnata ad esplorare la relazione tra le nuove tecnologie e le forme di percezione e conoscenza da esse attivate, per ripensarne il potenziale in chiave critica ed emancipatoria.

Alessandro Sambini (Rovigo, 1982) è rappresentato da Galleria Michela Rizzo di Venezia, MLZ Art Dep di Trieste e Galleria Indice di Milano. Dopo aver conseguito la laurea in Design e Arti presso la Libera Università di Bolzano e un Master in Research Architecture presso il dipartimento di Visual Cultures del Goldsmiths' College di Londra, si trasferisce a Milano. Qui inizia a lavorare con la fotografia, il video e altri supporti multimediali e a interrogarsi sulle esigenze e le modalità che regolano la produzione di nuove immagini, la loro circolazione e diffusione e i diversi ambiti di relazione tra l'immagine stessa e il suo pubblico. Dal 2018 è professore a contratto di Fotografia presso il biennio di Arti Visive and Studi Curatoriali di NABA (Milano) e professore a contratto di Visual Comunication presso il Master in Fotografia di NABA (Milano).

Nel 2022 ha lavorato alla commissione pubblica 13 Fotografi per 13 Musei, lanciata dalla Direzione Regionale Musei della Lombardia con un progetto site-specific sulla Cappella Espiatoria di Monza e al progetto in realtà virtuale TecnocopiaA. Dal 2019 lavora alla performance pubblica 1624 e dal 2021 al progetto Mario, presentato ad Artissima 2021 a Torino. Nel 2022 ha vinto il premio New Post Photography al MIA Photo Fair, nel 2021 il Premio Fabbri, nella sezione Fotografia Contemporanea, nel 2009 il XXIII Premio Gallarate Per Le Arti Visive, Terzo Paesaggio. Fotografia Italiana Oggi e nello stesso anno è stato finalista del premio GD4PhotoArt, promosso dal MAST. (Estratto da comunicato stampa)




Post produzione fotografica su dibond di cm 20x20 denominata LUNE 25 realizzata da Elizabeth Ruchti nel 2023 Elizabeth Ruchti
"La luna e oltre"


20 maggio (inaugurazione) - 10 giugno 2023
Mercato Coperto di Trieste

Mostra, a cura di Marianna Accerboni, che propone una quarantina di opere, tra assemblaggi a tecnica mista e fotografie, di Elizabeth Ruchti, artista che vive tra Milano, la Grecia e Trieste, sua città d'adozione. Nata a San Paolo del Brasile, nelle sue vene scorre sangue svizzero, russo, brasiliano e gaucho. Diciassettenne, si trasferisce per motivi di studio a Roma, dove si laurea in antropologia culturale e da quel momento vive e opera nel capoluogo lombardo, dove ha sempre coltivato la passione per l'arte, formandosi all'Accademia di Belle Arti di San Luca e partecipando a mostre personali e collettive.

Presentazione mostra




Liliana Santandrea
"Dimensione Verticale"


27 maggio (inaugurazione) - 15 giugno 2023
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Personale dell'artista Liliana Santandrea a cura di Arianna Sartori. Esposti dipinti e incisioni.

- Presentazione di Enzo Dall'Ara

"Da un'orizzontalità che piega il pensiero ai ritmi del tempo e della storia scaturisce il prestigio di un momento in cui lo spirito si eleva alla verticalità dell'ascesa intellettiva. "Dimensione verticale", titolo accordato al più recente corpus di opere di Liliana Santandrea, immette nel nucleo pittorico di dipinti che evolvono, con sublime maestria tecnica e compositiva, dalla fisicità magmatica della terra agli insondabili orizzonti cosmici. Il pensiero astratto dell'elevazione interiore si concretizza nell'anima di una materia intensamente cromatica, densa e duttile, capace di addurre, nel vibrare percettivo di figurazione e astrazione, il suggerimento di un faro-torre o di strati litici che, sulla linea liminare dell'orizzonte, abdicano ad arcane profondità atmosferiche.

Quando la verticalità è vigorosamente risolta nel bianco e nel nero, essa può essere dichiarata nell'oggettività di un'imponente ciminiera-altoforno, con passaggi che dal crogiuolo del fuoco endogeno attraversano la fascia della combustione e corrosione per giungere alla struttura morfologica di ondulate ipotesi paesaggistiche. Il processo alchemico si conchiude e si schiude nell'incendio interiore di un divenire ciclico di vita-morte-rinascita che è costante palingenesi di energia cosmica.

La pittura di Liliana Santandrea che, nonostante la sottesa matrice espressionista, unita a echi munchiani, non ammette confronti o assonanze, induce un'identificazione in grado di sintetizzare sogno e idealità con ragione e concretezza. Evocando l'anima della terra e del cosmo, e quindi dell'uomo, l'artista afferma, attraverso parallele emergenze di archeologia industriale, un'individualità espressiva che si avvale di un assoluto "titanismo" del pensiero creante. Le opere, che nel fluire orizzontale seguono una dinamica filmica con differenti punti d'osservazione, ascendono, invero, alla misura verticale in una risoluzione cromatica e luministica che allude a un universo in evoluzione, permeato da un costante tormento di rinascita.

La verità di un mondo in continua trasformazione vale anche per l'essere umano, per la sua psiche e per il suo corpo-anfora. Liliana Santandrea indaga, infatti, sulla realtà dell'uomo e del suo mistero esistenziale mediante meditate incisioni che, con deformazioni somatiche, sollecitano il pensiero alla ricerca della dimensione metamorfica. Così, ancora una volta, il "panta rei" eracliteo emerge sulle soglie filosofiche e culturali del terzo millennio".

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- Presentazione di Giuseppe Masetti

"Chi vive in quel lembo di territorio ricompreso fra l'Alto Adriatico e le preziose chiese bizantine di Ravenna ha introitato da anni all'orizzonte una presenza sconvolgente, che dalle terre piane solleva verso il cielo grandi linee biconvesse, ridisegnando l'orizzonte, la luce della notte e i rapporti fra gli uomini. Chi vive intorno a questi luoghi aveva una memoria terrigna, ma in un tempo breve è stato strappato al torpore rurale da immense fabbriche, sempre più grandi delle proprie possibilità. Dopo averle accettate, discusse e odiate, oggi le osserva e le sorvola ogni volta che cerca a occidente il mare aperto.

Chi vive in questi spazi sa che dalle grandi bocche ovali, come da narici di un cuore magmatico, escono ceneri del nostro passato, combuste da un tempo veloce, che non è più nostro e ci smarrisce. Chi dipinge un'idea di paesaggio che incalza il nostro abitare teme che dietro a quelle forme ricurve nessuno possa più immaginare necessaria la presenza dell'uomo. La costruzione ha divorato il costruttore e bruciando ininterrotta ha cancellato il giorno e la notte. Chi dipinge le torri moltiplicate di quel nuovo silicio non ha più bisogno del colore.

Sono già cadute la rabbia e la speranza; tutt'intorno muovono solo macchine e quantità, in uno scorrere livellato di acque e di flussi che non raggiunge più nessuno. Chi dipinge questa città senza cittadini osserva di sicuro i suoi aliti salire lentamente verso l'alto, ma vorrebbe immaginarvi altri spazi e altre vite liberate. Chi raccoglie questi silenzi è una donna e il suo vestito è di colore vermiglio".

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Liliana Santandrea vive e lavora a Bagnacavallo dove dal 1981 al 2018 ha ricoperto il ruolo di Direttrice didattica presso la locale Scuola Comunale d'Arte "Bartolomeo Ramenghi, attualmente fa parte della Associazione Incisori ALI di Bologna, Gadarte che ha sede a Firenze e BiART a Bagnacavallo. Nel 1972 si diploma al Liceo Artistico di Ravenna sotto la guida, tra gli altri, dei maestri Giulio Ruffini e Anselmo Bucci; nel 1976 si abilita all'insegnamento della Educazione Artistica. Tra il 1983 e 1988, ha studiato a Urbino e a Venezia per perfezionare la tecnica incisoria, in particolare con il grande sperimentatore Riccardo Licata: sono stati anni assai significativi per l'attività di ricerca che l'artista ha svolto successivamente e che tuttora sta portando avanti.

Fra le esperienze da ricordare inoltre la lunga collaborazione per l'incisione con il suo maestro Giulio Ruffini, a cui deve l'acquisizione dei valori primari e fondamentali dell'arte, quella seppur breve con Tonino Guerra dal quale ha appreso che, dietro le apparenze, si celano valori profondi, universali e poetici. Infine la collaborazione con Jürgen Czaschka l'insigne maestro del bulino e artista di grande rigore. Il percorso artistico di Liliana Santandrea è riassumibile in diversi cicli di opere.

Da Esodi del 1994, che le è valso un invito alla Biennale del Cairo, poi La Montagna e l'Uomo, Fuga dalla geografia, Habitat, Imperfect islands e Dimensione verticale. Cicli dove rimane costante la sua attenzione per il rapporto inscindibile fra natura, uomo e mondo industriale, trasformazione e condizionamenti umani. Sue opere sono presenti in musei e collezioni private in Italia, Austria, Germania, Francia, Egitto, Kuwait, Cina, Inghilterra. (Comunicato stampa)

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Cesare Paolantonio. "Enigmi e Labirinti"
20 maggio (inaugurazione) - 08 giugno 2023
Galleria "Arianna Sartori. Arte & Object Design" - Mantova
Presentazione

Artisti Italiani 2022
Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea a cura Arianna Sartori

Presentazione

Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione
Presentazione




Fotografia denominata Nodo idraulico di Cassano d'Adda di cm 71x140 scattata da Gabriele Basilico Fotografia denominata Multiverso poetica realizzata Marcello Vigoni Foto di Simone Raso denominata Oasis Voghera Fotografia 2023
Festival Nazionale di Fotografia - IV^ Edizione


27 maggio (inaugurazione ore 10.30) - 11 giugno 2023
Castello Visconteo di Voghera - Voghera (Pavia)
www.vogherafotografia.it

Festival organizzato e promosso da Spazio 53 in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Voghera. La manifestazione, riconosciuta FIAF che si avvale della partnership tecnica di PhotoSHOWall, si svolgerà sotto la direzione artistica di Loredana De Pace, giornalista e curatrice da vent'anni attiva nel mondo della fotografia, e avrà come titolo "Terra chiama Terra. Bellezza, fragilità e risorse del Pianeta" ponendo l'accento sui cambiamenti climatici attraverso l'occhio attento di fotografi italiani e stranieri.

In programma sette principali progetti fotografici riconosciuti internazionalmente e che intendono valorizzare la bellezza, la biodiversità, la fragilità e le risorse della Terra di autori quali Michael Kenna, elsa lamartina©, Filippo Ferraro, Marcello Vigoni, Marco Urso, Valentina Tamborra e Beppe Bolchi: fotografi contemporanei che interpretano il delicato tema sullo stato di salute del Pianeta Terra attraverso precise scelte narrative, linguistiche, stilistiche e tecniche.

Inoltre, saranno presenti quattro esposizioni con fotografie provenienti da: Oasis Photo Contest, World Water Day Photo Contest, FIAF - Federazione Italiana Associazioni Fotografiche e ANBI Lombardia, quest'ultima con le immagini di Gabriele Basilico e Mimmo Jodice. Gli ultimi due progetti fotografici sono legati ad altrettante importanti partnership culturali che sottolineano inoltre l'autorevolezza crescente di Voghera Fotografia: con il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move che presenta la mostra "Diving Maldives" di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille, con Colorno Photo Life che presenta il progetto "Mondi Umani" di Gigi Montali. Partner di Voghera Fotografia 2023 anche Milano Sunday Photo, la kermesse cittadina che abbraccia la fotografia in tutti i suoi aspetti e che per la prima volta esce dai confini di Milano.

Spiega Loredana De Pace: "Da diversi anni il cambiamento climatico del nostro Pianeta è al centro dell'attenzione dei fotografi che lo documentano in modo capillare e diversificato. Le loro testimonianze sono fondamentali per allertare l'opinione pubblica in merito a ciò che sta accadendo intorno a noi. Quest'anno Voghera Fotografia, dedicato al 'climate chance', vuole presentare i lavori di alcuni fra i più importanti fotografi naturalisti e autori contemporanei che interpretano il tema attraverso il proprio linguaggio artistico, dei vincitori dei grandi premi dedicati alle tematiche ambientali, senza dimenticare il lavoro delle grandi realtà associative, i loro progetti e gli archivi".

Michael Kenna - Il Fiume Po. Un dialogo intimo e profondo dell'autore con il grande fiume Po, "conosciuto" nel 2007 in occasione di un viaggio a Reggio Emilia. Le 30 fotografie esposte a Voghera sono un afflato poetico verso il più grande fiume italiano, che incute timore ma anche rispetto e che Michael Kenna ha voluto raccontare in bianco e nero: "Preferisco che le mie fotografie siano più vicine alla poesia che ai testi concreti e il colore è troppo specifico per il modo in cui lavoro. Vediamo a colori tutto il tempo, invece il bianconero è una riduzione essenziale della stimolazione sensoriale che consente alla nostra immaginazione di lavorare di più", sottolinea l'autore.

Elsa lamartina© - La furia del Sarno. Una riflessione drammatica sul fiume più inquinato d'Europa, il Sarno, in Campania. Le immagini sono state realizzate all'interno dell'abitazione dell'autrice durante il periodo di quarantena per l'emergenza da COVID-19. Raccontando in chiave simbolica l'inquinamento del fiume Sarno, elsa lamartina© ha ritrovato una relazione osmotica tra l'inquinamento ambientale e quello privato, che si riversa nelle nostre case, nel nostro cibo, nell'acqua che beviamo, con cui ci laviamo o cuciniamo. Le 8 immagini che compongono il progetto fotografico sono state realizzate mescolando sostanze colorate con alimenti come farina, latte, caffè, cercando di ricreare gli stessi colori e la densità delle immagini di cronaca.

Filippo Ferraro - Lost Roots. Il Salento è da sempre famoso per i riflessi verdi ed argento degli ulivi che da millenni ne caratterizzano il paesaggio. Dal 2013 circa 20 milioni di ulivi sono morti a causa il batterio Xylella fastidiosa, che ha iniziato a mangiarseli vivi, devastando il paesaggio, provocando enormi danni economici e ambientali, oltre a cancellare l'identità culturale di un popolo, perché in Puglia gli ulivi sono molto più che "semplici" alberi. Investigando gli eventi che hanno condotto questa terra a trasformarsi in una distesa senza fine di scheletri di legno, il fotoreporter pugliese Filippo Ferraro si propone in 15 scatti di esplorare quanto il legame fra le persone e la propria terra possa influenzare la percezione di appartenenza a una comunità, intesa come un gruppo con la stessa identità collettiva.

Marcello Vigoni - Multiverso. Un percorso immaginifico e surrealista in 22 fotografie, costruito labirinticamente dall'autore, scopre presenze cariche di rimandi simbolici, metaforici, onirici: finestre inchiavardate nel cielo, porte chiuse, specchi emblematici, oblò che invitano a guardare verso chissà quale oltre. Di fronte alle fotografie in bianco e nero di Marcello Vigoni bisogna abbandonare la tentazione di chiedersi dove sono state scattate e qual è il soggetto ripreso perché l'autore non ci ha portato in qualche luogo preciso ma nella sua - e un po' anche nella nostra - mente, dove i paesaggi della natura sono proiezioni che si ritrovano su pareti, facciate di case, muri.

Marco D'Urso - Il Signore dell'Artico. Una mostra dedicata all'orso bianco, che ha imparato a sopravvivere in una delle zone più ostili del Pianeta, oggi entrambi più che mai minacciati dall'inquinamento e dai cambiamenti climatici dovuti alle emissioni di gas. Attraverso le 21 immagini del percorso espositivo - tratte dal libro fotografico "Il signore dell'Artico" - l'autore vuole condividere le emozioni provate nell'osservare e riprendere l'orso polare in diversi momenti della sua esistenza: dalle immagini di cuccioli che giocano sotto lo sguardo vigile di una madre attenta e premurosa, alle lotte giocose tra esuberanti orsi adolescenti fotografati nel loro ambiente.

Valentina Tamborra - Skrei. Punto di partenza delle 22 foto in mostra e` un diario del quindicesimo secolo custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana, primo "reportage di viaggio" dedicato alla Norvegia del Nord scritto da Pietro Querini, nobiluomo e mercante veneziano naufragato nel 1432 insieme al suo equipaggio sulle coste delle allora sconosciute isole Lofoten. Un viaggio lungo chilometri che da allora lega a doppio filo l'Italia alla Norvegia. Ma il viaggio è anche il fil-rouge che collega la storia di un pesce, che ha nel nome il suo destino (La parola Skrei in antica lingua vichinga significa "viaggiare") e che ogni anno compie una vera e propria migrazione dal Mar Glaciale Artico verso le acque più calde norvegesi al fine di riprodursi, a quella di uomini coraggiosi che da sempre vivono quasi esclusivamente di pesca.

Beppe Bolchi - Tricromie. La natura, la città, il mare, la pioggia sono il trait d'union visivo delle "Tricomie" di Beppe Bolchi, perfetta fusione di un luogo fisico e di uno mentale nei quali il colore fa da connettore. Attraverso 11 dittici l'autore riflette sulla soluzione, ancora irrisolta, della raffigurazione del concetto di "movimento" che, in fotografia, viene rappresentato utilizzando lunghi tempi di posa che ci consentono di percepire situazioni non intuibili dall'occhio umano, ma che non ci permettono di cogliere l'emozione del tempo che scorre. Ogni immagine è il risultato di tre scatti eseguiti in sequenza più o meno distanziata: tre immagini, attraverso i tre filtri Rosso-Verde-Blu, da sovrapporre a registro, per combinare i colori originali sui soggetti fermi, immobili, e al contrario, per modulare tutta la gamma cromatica su ciò che si muove.

Oasis Photo Contest. In mostra a Voghera le immagini vincitrici più significative delle edizioni passate del premio, nato nel 2000 con il nome di "Premio Italiano di Fotografia Naturalistica". Lo spettacolo della natura immortalato in 24 fotografie realizzate da alcuni dei più grandi fotografi naturalisti di tutto il mondo, che hanno saputo raccontare la bellezza del mondo animale e vegetale con grande poesia e forza. Tutte le immagini in mostra sono state stampate in grande formato per essere di maggior impatto e valorizzare la bellezza dei soggetti rappresentati.

World Water Day Photo Contest - Water, Accelerating Change. La Giornata Mondiale dell'Acqua è stata istituita dalle Nazioni Unite e ricorre ogni 22 marzo. L'esposizione "Water, Accelerating Change" presenta le migliori fotografie del World Water Day Photo Contest 2023 (organizzato ogni anno dal Lions Club Seregno AID), dando voce a storie spesso nascoste che hanno un urgente bisogno di essere raccontate: 20 immagini per un reportage sociale e ambientale di grande impatto emotivo, per far riflettere tutti noi sul valore dell'acqua come diritto fondamentale per tutti gli abitanti del pianeta, sugli effetti impietosi della carenza di acqua, dei cambiamenti climatici e della perdita degli ecosistemi in diverse zone del pianeta.

FIAF - Ambiente, Clima, Futuro. Il Progetto Fotografico della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) ha visto nella sua fase finale 228 autori per oltre 1500 fotografie selezionate, che hanno raccontato sia i luoghi che le attività in Italia dove esistono progetti ed esperienze di recupero per un ritorno a un ambiente più naturale, sia quelle situazioni nelle quali sono ancora in corso sfruttamento e depauperamento per sostenere un sistema economico sempre più inconciliabile con il bisogno impellente di un nuovo equilibrio naturale. A Voghera Fotografia 2023 sono esposte 20 opere degli autori: Tiziano Bisogni, Michele Cimini, Paolo Ferrari, Fernando Collazo Rodriguez, Gabriele Caproni, Andrea Angelini, Stefania Adami e Filippo Venturi.

Anbi Lombardia - La civiltà dell'acqua in Lombardia / Gabriele Basilico e Mimmo Jodice. Regione Lombardia e ANBI Lombardia hanno dato avvio nel 1998 ad Osserva.Te.R. (Osservatorio del Territorio Rurale), continuato nel 2015 nel più ampio al progetto La civiltà dell'acqua in Lombardia. Il paesaggio della Bassa risulta dall'evoluzione di numerosi elementi: le acque, il suolo, le coltivazioni, le cascine, gli animali, la vegetazione, il lavoro quotidiano dell'uomo e molto altro. Su ognuno di questi elementi OsservaTeR, ha condotto 10 campagne fotografiche, spesso di durata superiore all'anno, condotte da affermati professionisti. Per Voghera Fotografia 2023 sono esposte 13 immagini di questo corposo progetto dei grandi fotografi italiani Gabriele Basilico (6 foto), che ha fotografato i grandi impianti idraulici e irrigui, e Mimmo Jodice (7 foto), che invece si è occupato dei i monumenti iconici ed identitari.

Giulia Piermartiri + EdoardoO Delille - Diving Maldives. Se a causa dei cambiamenti climatici alcune delle trasformazioni più radicali della mappa del mondo saranno visibili solo nel corso dei prossimi decenni, come può la fotografia mostrare il futuro se è un mezzo che racconta il presente? Da questi interrogativi nasce l'idea del progetto Atlas of the New World di cui fa parte Diving Maldives, in cui gli autori trovano il modo di mostrare il futuro in relazione al mondo in cui viviamo oggi, raccogliendo le fotografie subacquee scattate dai turisti e proiettandole come fossero diapositive. In questo modo le case, le strade e gli abitanti del posto sono diventati il telo su cui è stato proiettato il futuro che incombe sulla loro vita quotidiana, visto che Lo Stato delle Maldive secondo le Nazioni Unite sarà il primo al mondo a scomparire come conseguenza dei cambiamenti climatici. In mostra a Voghera 9 fotografie.

Gigi Montali - Mondi Umani. La proiezione su schermo di tutte le 246 immagini che fanno parte del libro fotografico "Mondi Umani" (corsiero editore) raccontano non solo un modo di fare fotografia, ma di essere, sentire la vita e cercare di trasmetterla con un solo scatto. Scrive Loredana De Pace nella sua prefazione al libro: "Trent'anni fa Gigi Montali si è incamminato per il viaggio più difficile, quello al centro dell'anthropos. Villaggi africani, sguardi raccolti da ogni angolo della Terra, abitudini culturali a noi ignote, luoghi geografici fra i più disparati, dalle dune del deserto ai ghiacciai islandesi, dalle terre vulcaniche a quelle brulle nostrane: tutti questi paesaggi — umani e geografici — un poco alla volta hanno formato il vocabolario visivo che Gigi ha scritto con le sue fotografie". (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Gabriele Basilico, URBIM Nodo idraulico di Cassano d'Adda, canale Muzza - centrale termoelettrica - chiuse cm. 71x140
2. Marcello Vigoni, Multiverso poetica
3. Simone Raso, Oasis Photo Contest

___ Presentazione di altre mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Berlin Effekt. Fotografie di Antonio Giannetti
20 maggio (inaugurazione) - 10 giugno 2023
Galleria 291 EST - Roma
Presentazione

Agnese Garrone e Dominique Laugé. "Stand E 015"
18 maggio (inaugurazione) - 30 settembre 2023 (chiuso dal 27 luglio al 4 settembre)
Galleria 70 - Milano
Presentazione

Albert Renger-Patzsch | Ruth Hallensleben. "a dialogue"
29 aprile (inaugurazione) - 08 ottobre 2023
spazio Rolla.info - Bruzella (Svizzera)
Presentazione

Robert Capa. L'opera 1932-1954
06 maggio - 24 settembre 2023
Centro Saint-Bénin - Aosta
Presentazione

Fotografia Europea 2023 | "Europe matters: visioni di un'identità inquieta"
XVIII edizione, Reggio Emilia, 28 aprile - 11 giugno 2023
Presentazione

What Mad Pursuit. Aglaia Konrad, Armin Linke, Bas Princen
07 aprile - 22 ottobre 2023
Teatro dell'architettura - Mendrisio (Svizzera)
Presentazione

Eva Frapiccini. "Forget/Fullness"
21 aprile - 01 giugno 2023
Galleria Peola Simondi - Torino
Presentazione

Trieste Audace (Concorso di fotografia)
Presentazione

URBAN Photo Awards (Concorso di fotografia)
Presentazione

Voghera Fotografia 2023 | Festival Nazionale di Fotografia - IV^ Edizione
27 maggio (inaugurazione) - 11 giugno 2023
Castello Visconteo di Voghera (Pavia)
Presentazione

Giuseppe Umberto Cavaliere. "Corrispondenze"
Barbara Frigerio Gallery - Milano
Presentazione

Ugo Mulas. "L'operazione fotografica"
29 marzo - 06 agosto 2023
Le Stanze della Fotografia - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
Presentazione

Man Ray. Opere 1912-1975
11 marzo - 09 luglio 2023
Palazzo Ducale - Genova
Presentazione

Vivian Maier. "Shadows and Mirrors"
23 marzo - 11 giugno 2023
Palazzo Sarcinelli - Conegliano
Presentazione

Maria Vittoria Backhaus. I miei racconti di fotografia oltre la moda
31 marzo - 11 giugno 2023
Castello di Casale Monferrato
Presentazione

Eve Arnold. L'opera, 1950-1980
25 febbraio - 04 giugno 2023
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
Presentazione

Francesca Galliani - Empty New York
Barbara Frigerio Contemporary Art
Presentazione




Dipinto a olio su tela di cm 100x100 denominato Campo Fiorito realizzato da Angelo Ariti Opera in acrilico e gesso di cm 45x110 denominata La Venere e margherita realizzata da Laura Fasano Opera con francobolli DI cm 60x60 denominata Connubio Fauna e Flora realizzata da Donatella Stolz "Natura & Arte"
02 giugno (inaugurazione) - 11 giugno 2023
Chiostro di Voltorre - Gavirate (Varese)
www.contemporaryartembiente.com

L'Associazione Contemporary Arte&Ambiente APS e i suoi trentasei artisti vorrebbero vivere con gioia, assieme al pubblico, i momenti arcani della rinascita nella Natura, dopo il lungo periodo invernale: simbolicamente la mostra affronta i vari modi esistenti nel rapporto Uomo-Natura sì da presentarsi come un vivace mosaico di colori, di tecniche e di ispirazioni. La manifestazione, dedicata alla cultura del verde e del paesaggio, a cura del critico d'arte Fabrizia Buzio Negri, è organizzata dall'Associazione in collaborazione con il Comune di Gavirate e la Provincia di Varese: due weekend diversi dal solito tra musica, arte, ecologia in un luogo dal fascino impareggiabile come il Chiostro di Voltorre.

In una caleidoscopica alternanza di tecniche tra pittura, scultura, installazioni, dalle bianche sale espositive della mostra parte un Messaggio d'Amore per l'Ambiente sostenuto da una coinvolgente performance all'inaugurazione, con il Giardino Verticale ideato da Francesca Zichi, dove i vari utilizzi di scarti di tessuto e fili compongono la base di una creatività ecosostenibile. Sarà una "creazione collettiva", il Giardino verticale, con i materiali messi a disposizione - piante, elementi naturali (foglie, rami, sassi...), tessuti naturali e scarti - che i presenti, a loro scelta, posizioneranno nel supporto previsto in una sorprendente narrazione finale. Viene presentato altresì L'Albero delle Plastiche, grande Totem collettivo degli artisti dell'Associazione, come l'incubo dell'inquinamento più grave nella Natura.

Catalogo in mostra, con le opere che verranno esposte al Chiostro con aggiunta di altre nuove, a completamento dell'esposizione negli ampi spazi del piano superiore.

___ Artisti di "Contemporary Arte&Ambiente APS"

3RE Trezza/Regidore - Angelo Ariti - Ilaria Battiston - Lorella Bottegal - Fabio Brambilla - Fabrizia Buzio Negri Pierangela Cattini - Franca Cerri - Maria Enrica Ciceri - Gladys Colmenares - Marina Comerio - Laura Fasano Flora Fumei - Silvana Gadda - Elda Francesca Genghini - Martina Goetze Vinci - GuerraepaolO - Antonella Lelli Serena Locatelli - Franco Mancuso - Stefania Mascheroni - Raffaela Merlo - Sonia Naccache - Carlo Pezzana Elisabetta Pieroni - Idillio Pozzi - Elio Rimoldi - Elena Rizzardi - Massimo Sesia - Donatella Stolz - Gabriele Vegna - Attilio Guido Vanoli - Roberto Villa - Annamaria Vitale - Flor Voicu - Francesca Zichi

L'Associazione "Contemporary Arte&Ambiente APS", fondata nel gennaio 2020 dal critico d'arte Fabrizia Buzio Negri, con un gruppo di artisti e appassionati ambientalisti, ha per Statuto l'impegno di mettere in rete cultura e arte in un confronto attivo con l'Ambiente e la Natura. Dal 2020, anno della fondazione, molto ampia e variegata l'attività dell'Associazione (tra le molte mostre, chiamata a esporre per un mese a Palazzo Lombardia - Milano/Regione Lombardia nell'ottobre 2022 per il 3° Forum della Sostenibilità con l'evento di successo di Varese / Sala Veratti: "Arte di... Scatti").

Vero gioiello del romanico lombardo, costruito tra il 1100 e il 1150, Chiostro di Voltorre si erge in un luogo che fu di notevole importanza per il passaggio di pellegrini e viandanti, lungo una delle direttrici tra il Nord Europa e il Contado del Seprio verso Milano. Complesso monastico fiorente di monaci benedettini, decorato dallo scultore locale Lanfranco da Ligurno, divenne avamposto nelle Prealpi della riforma benedettina promossa da Guglielmo da Volpiano, fondatore della potente Abbazia di Fruttuaria in San Benigno Canavese. Nel 1519, passò ai Canonici Lateranensi di Santa Maria della Passione di Milano, i quali trasformarono Voltorre in una vera e propria azienda agricola, con varie sistemazioni tra cui quelle del terreno digradante verso il lago e della corte rurale, intorno agli edifici del monastero.

Dell'antico complesso (uno dei più antichi centri religiosi del territorio archeologicamente documentati) caratterizzato da un'ampia stratificazione, sopravvivono oggi tre strutture risalenti ad epoche differenti:
-la Chiesa, ad aula unica dedicata a S. Michele. In origine Longobarda, ricostruita nell'XI/XII secolo in stile romanico
-la forte e compatta Torre campanaria, coeva alla Chiesa romanica
-il Chiostro dalle particolarità architettoniche molto suggestive. Ha impianto quadrilatero irregolare, con quattro lati morfologicamente distinti: è caratterizzato da colonne sorreggenti una trabeazione con capitelli che sul lato nord inseriscono con più insistenza elementi zoomorfi e antropomorfi. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Angelo Ariti, Campo Fiorito, olio su tela cm 100x100
2. Laura Fasano, La Venere e margherita, acrilico e gesso cm 45x110
3. Donatella Stolz, Connubio Fauna e Flora, francobolli cm 60x60




Fabiola Di Fulvio
"Imagination"


26 maggio (inaugurazione) - 16 giugno 2023
Galleria Doppia V - Lugano
www.galleriadoppiav.com

Nelle opere di Fabiola Di Fulvio viene radunato e plasmato il non relazionato. Leggerezza e pesantezza si sovrappongono, la diversità trova unione. Questo gioco di congiungere ciò che non si appartiene, questo fare collage tra immaginazione e realtà, pervade tutti i livelli compresa la realizzazione stessa dell'opera, spesso eseguita con tecniche molto diverse tra loro. Le opere diventano una sorta di rebus. Ma la loro peculiarità sta nel fatto che non li si può risolvere. Come nei sogni anche i collage sono un assemblaggio di parti che raccontano storie ambigue e infinite; infinite proprio perché unione di frammenti e in quanto tali mai finiti e in continua trasformazione.

Cosa sarebbe un sogno senza la sua incomprensibilità? I sogni non sono solo immagini, sono molto di più: sono linguaggio, narrazione e la loro negazione al tempo stesso. I sogni - così si potrebbe dire con le opere di Fabiola Di Fulvio - sono collage e i collage sono sogni e bozze di altri mondi. La mostra è corredata da una monografia dell'artista, pubblicata nel 2022 da edition clandestin. (Presentazione a cura di Roberta Lietti)




Opera nella mostra Through the Grapevine Kimou "Grotesk" Meyer - Russ Pope - Nathaniel Russell
"Through the Grapevine"


25 maggio (inaugurazione) - 14 luglio 2023
Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea - Milano
www.colomboarte.com

Il titolo Through The Grapevine è tratto dalla cover di I Heard It Through The Grapevine degli Slits, ed è una raccolta di opere ispirate alla musica, all'atto di ascoltare, suonare, condividere la musica con gli amici e ballarla, vivere con e attraverso la musica. I tre artisti, coordinati da Russ che collabora con la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea da diversi anni, sia in qualità di artista che di curatore, condividono riferimenti alla cultura street e urban. Kimou, Nat e Russ hanno creato una lunga playlist collaborativa su Spotify, che è stata la principale fonte di ispirazione per la realizzazione della mostra.

Raccontare storie di piacere uditivo, il movimento della danza, le buone vibrazioni mentali dei brani sono al centro dei disegni e dei dipinti dei tre artisti, che vivono lontani l'uno dall'altro (Oregon, Indiana e New Hampshire), ma che sono uniti dal terreno comune dello skateboard, dei graffiti e della musica. I tre artisti condividono, infatti, la stessa passione per un'arte senza frontiere, che spazia in diversi ambiti, passando attraverso numerose collaborazioni con brand, tra cui Nike, Zoo York, Vans, Element tra le tante.

Ognuno di loro ha uno stile originale, un segno e un tratto riconoscibili. Grotesk, nome d'arte di Kimou Meyer, è un artista e grafico di origine svizzera. Nel 1999 si trasferisce a New York, dove si avvicina alla cultura e all'estetica dei graffiti e ne è fortemente influenzato. Il suo lavoro ha reminescienze del minimalismo svizzero, con disegni puliti e forme essenziali. La sua arte è intrinsecamente connessa con l'osservazione e l'interazione con le persone che lo circondano, concentrandosi su comportamenti e movimenti. Tali osservazioni danno origine a delle idee e a delle impressioni che si generano nel suo subconscio, e agiscono da motore per le sue creazioni.

Quando Kimou finisce uno schizzo, vecchie situazioni, notizie di attualità, barzellette, amici o immagini del passato riaffiorano, guidandolo verso il risultato finale. Russ Pope si concentra principalmente sull'imprevedibilità (e talvolta sulla prevedibilità) della vita quotidiana, raccontandone con arguzia e intimità. Si diverte a contestualizzare persone e luoghi e a favorire la circolazione di idee e narrazioni. Il suo atteggiamento impressionista è bilanciato dall'uso del colore e delle linee di contorno. È un creatore costante, che condivide i resoconti quotidiani della sua vita attraverso una prolifica produzione di disegni che spesso diventano il soggetto di dipinti; si può contare su offerte visive regolari da parte sua, giorno dopo giorno e anno dopo anno.

La pratica artistica di Nathaniel Russell vede un ricco e variegato corpo di lavoro nel campo del design e dell'illustrazione. Il suo lavoro spazia dal disegno tradizionale, alla pittura e alla scultura, fino alla scenografia e alla performance multimediale. La sua arte si distingue per forme e colori essenziali, in genere con parole o frasi scritte, incoraggiando gli altri a riempire gli spazi vuoti che lascia intenzionalmente e scegliendo il mezzo che meglio si adatta all'idea. Il lavoro di Nathaniel trae ispirazione dalla musica e dalla lettura e spesso combina il testo e la scrittura con il disegno. Utilizza un'economia di linee e parole per alludere a collegamenti inconsci a connessioni universali e i suoi testi spesso si leggono come titoli di libri immaginari, testi di canzoni e poesie. L'umorismo gioca un ruolo importante ed è usato come equilibrio e rimedio per lo stato, a volte oscuro, delle cose che vive l'essere umano sul pianeta Terra.

Kimou Meyer (Ginevra, 1974), in arte Grotesk, è un artista noto per il suo linguaggio visivo distintivo e dinamico che esplora i momenti banali della vita umana. Dal laboratorio di modellini in legno dei genitori a Ginevra alle strade trafficate di New York, il percorso creativo di Kimou è stato segnato da una costante spinta all'innovazione e alla sperimentazione. Il suo lavoro trae ispirazione da diverse fonti, tra cui l'architettura minimalista del suo ambiente d'infanzia e il caotico linguaggio visivo della cultura Hip Hop e skate. Nel 1999 si è affermato come presenza formidabile nel mondo dell'illustrazione, dello streetwear e della direzione creativa dopo essersi trasferito a New York.

Con il suo alter ego Grotesk, Kimou ha sviluppato una visione artistica unica che approfondisce i temi dello sport, della vita urbana, dell'anonimato e della lotta quotidiana. L'esperienza di Kimou nello studio dei personaggi è evidente nella sua esplorazione della postura del corpo e delle emozioni, utilizzando un linguaggio semplificato per comunicare idee complesse. La carriera di Kimou è fiorita con la co-fondazione di Doubleday & Cartwright, un'agenzia creativa incentrata sullo sport, e di Victory Journal, una pubblicazione all'avanguardia. Ha anche guidato importanti progetti commerciali, come il rebranding dei Milwaukee Bucks dell'NBA e lo sviluppo della franchigia MLS di David Beckham, l'Inter Miami CF. Oggi Kimou risiede a Portland, in Oregon, con la sua famiglia e continua a spingersi oltre i limiti come direttore creativo di Nike. La sua capacità di combinare il suo background eterogeneo con una ricerca incessante di nuovi risultati visivi è ciò che rende Kimou Meyer un artista felice di essere infelice.

Russ Pope (1970) è uno skateboarder dall'età di 5 anni e non ha mai abbandonato questo mondo. Ne possiede anche un marchio di che quest'anno festeggia il suo 10° anniversario (Transportation Unit) e ha fondato, nel 1994, Creature Skateboards. Russ ha diretto e prodotto in esclusiva molti importanti film sullo skateboard nel corso dei suoi anni di attività in quest'industria. La sua estetica è profondamente radicata nella storia di questo sport. Russ progetta e collabora regolarmente con numerosi partner commerciali; di recente ha disegnato prodotti e realizzato illustrazioni per aziende del calibro di Disney, Cole Haan, K2 Ski corp, Major League Baseball e Stance. Russ è editorialista per la rivista Juxtapoz scrivendo dei suoi viaggi e condividendo disegni e fotografie dei suoi spostamenti in tutto il mondo. Russ ha anche curato varie mostre, a cui egli stesso ha preso parte assieme ad altri artisti, presso la galleria Subliminal Projects di Shepard Fairey a Los Angeles. Seleziona anche artisti per opportunità commerciali nel settore dello skate, del surf e della moda.

Nathaniel Russel (1976) dopo l'università ha trascorso diversi anni nella Bay Area di San Francisco realizzando poster, copertine di dischi e xilografie. È tornato nella sua città natale, Indianapolis, e ora passa il suo tempo a creare disegni, volantini, sculture e musica. Il lavoro di Russell viene regolarmente esposto in tutto il mondo, sia in gallerie tradizionali che in spazi informali, solitamente circondato da una lista di amici e collaboratori in continua espansione. I suoi disegni e dipinti sono apparsi sul New York Times, su copertine di libri e album pluripremiati e su innumerevoli capi di abbigliamento, skateboard e poster. Ha pubblicato numerose registrazioni delle sue canzoni e della sua musica con il proprio nome e con quello di vari gruppi e collaborazioni. Continua a viaggiare e a mostrare il suo lavoro a livello internazionale, con prossime mostre personali, performance e murales nel New England, a Tokyo, a Marfa e a Joshua Tree. (Comunicato stampa)




Dipinto denominato Frame me realizzato da Gilbert Halaby Dipinto denominato Il saggio al Pantheon realizzato da Gilbert Halaby Dipinto denominato Our Father Brown realizzato da Gilbert Halaby Gilbert Halaby
"Une Comédie Romaine"


01 giugno (inaugurazione ore 17) - 15 luglio 2023
Maja Arte Contemporanea - Roma
www.majartecontemporanea.com

Mostra che segna l'esordio italiano dell'artista libanese Gilbert Halaby (Beirut, 1979). A soli due mesi dal debutto al Museo Beit Beirut in Libano con la personale "Domus Berytus", Halaby presenta a Roma circa trenta dipinti realizzati negli ultimi due anni.

Scrive Nora Iosia nel testo presente in catalogo: "Roma è la città di elezione del pittore libanese, qui vive e lavora da molti anni, e proprio questo è il luogo in cui prende avvio la sua ricerca pittorica che dalla città eterna, dai personaggi che la popolano fondendosi alle architetture abbaglianti di luce, attinge a pieno la sua poetica direi del 'bello assoluto' immerso in quella dimensione spazio-temporale del carpe diem che Roma, come pochi luoghi al mondo, con la sua perpetua bellezza indifferente al trascorrere delle stagioni, mantiene intatta da sempre.

Nelle tele 'romane' di Gilbert appaiono personaggi senza volti, tutti compresi nei movimenti dei corpi e delle loro vesti agitate dall'aria del mattino, sagome di colore che si cristallizzano sulle tele di lino. L'artista esce fuori dal suo studio, tuffandosi nelle strade del centro, e voracemente, munito di telefonino, realizza brevi video là dove il suo occhio viene chiamato: sono le persone, o meglio alcuni personaggi specifici, che catalizzano l'attenzione di Halaby, che colleziona un grande numero di slow motions in cui vediamo scorrere a piedi, decisamente a 'zonzo', preti, cardinali, suore, barboni, ma anche artisti, tutti prima o poi consapevoli di essere catturati in brevi video a colori.

Da questo materiale di immagini in movimento l'artista seleziona dei fermo immagine, ne studia le numerose angolature, da cui emerge costantemente l'architettura come tessuto narrativo forte e chiaro, che stabilisce nuove regole del gioco delle parti tra tempo presente e tempo passato [...]. Una parte dei dipinti di Gilbert Halaby prende avvio dalla raccolta di questi video, che viene frammentata e ricomposta in tele di medio-piccolo formato, in cui i colori ad olio sono usati allo stato puro, unico tratto a ridisegnare le sagome e le forme di scene cittadine senza ombre e senza rimpianti per ciò che non appare. Tutto è colore, tutto si stende sulla superficie in accordo tra visione e immaginazione.

La pittura modella lo spazio direttamente, coraggiosamente e in maniera sfrontata sulla tela. Il blu, il rosso, il giallo, il rosa, il nero, il bianco, il verde smeraldo sono note assolute, non ammettono 'sfumature' alla loro forza brillante e fanciullesca, si accordano e trovano la loro ragione di essere nella composizione narrante: lo sguardo viene accolto in una rinnovata felicità dell'occhio che vuole escludere la aggrovigliata complessità dei dettagli, per esaltare la fugace impressione dell'insieme, l'intuizione del tutto pieno."

Gilbert Halaby nasce nel 1979 in un villaggio sul Monte Libano. Incantato dalla natura che lo circonda durante tutta l'infanzia e dalla bellezza delle stoffe che cuce la madre, inizia a confezionare abiti e accessori, oltre ad appassionarsi alla pittura da autodidatta. Nel 1997 si trasferisce a Beirut e si iscrive alla Facoltà di Archeologia. Nel 2003 approda a Roma dove è colto da un vero e proprio colpo di fulmine per la città; nel 2005 apre una boutique di accessori nei pressi del Pantheon. Nel 2010 fonda il marchio Halaby che include sue creazioni di pezzi unici di gioielli e borse in pelle realizzati dai migliori artigiani italiani e venduti in prestigiose boutique nel mondo.

Vince vari premi, tra cui "Stilista dell'anno" al Paris Capitale de la Creation (2011). Nel 2012, dopo aver esposto i suoi gioielli-sculture alla Fondazione Volume! di Roma, viene nominato "Vogue Talent" per Vogue Italia e presenta la sua collezione a Palazzo Morando a Milano. A seguito della decisione di allontanarsi dal sistema della moda, apre nel 2016 la Maison Halaby in via di Monserrato 21 (Roma), dove espone tutte le sue creazioni artistiche, inclusi i dipinti e le ceramiche. Lo spazio diviene presto luogo di incontri culturali, dove si ritrovano artisti, poeti, musicisti e filosofi. Nel 2023 debutta al Museo Beit Beirut con la personale "Domus Berytus", esponendo 45 tele che raccontano, citando lo stesso Halaby, "i momenti di luce della sua infanzia". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Gilbert Halaby, Frame me!, 2022, olio su tela cm 100x100
2. Gilbert Halaby, Il saggio al Pantheon, 2023, olio su tela applicata su cartoncino cm 40x30
3. Gilbert Halaby, Our Father Brown, 2023, olio su tela applicata su cartoncino cm 40x40




Opera di Cesare Paolantonio Opera di Cesare Paolantonio Opera di Cesare Paolantonio Cesare Paolantonio
"Enigmi e Labirinti"


20 maggio (inaugurazione) - 08 giugno 2023
Galleria "Arianna Sartori. Arte & Object Design" - Mantova
info@ariannasartori.191.it

Nella nuova interessante retrospettiva del Maestro Cesare Paolantonio (Monza 1937 - Piario 2015), saranno esposte 25 opere tra oli, tecniche miste ed acquerelli eseguiti da Paolantonio tra il 1984 ed il 1996. La mostra è organizzata dalla Signora Maria Teresa, moglie dell'artista, e curata da Arianna Sartori.

- Presentazione di Maria Gabriella Savoia, 2021

La vena artistica di raffinatissima qualità di Paolantonio si evidenzia insieme alla perfezione di esecuzione; ma tutto il suo lavoro è rivolto ad un pubblico selezionato, abituato ad un linguaggio di per sé ermetico. La sua ricerca fatta di riflessioni costanti e di tanta solitudine, ha prodotto con un ritmo incalzante opere che nella riflessione sulla vita dell'uomo e sui fatti della quotidianità trova tutta la sua motivazione d'esistere. Nella scelta di una figurazione surreale dove il tempo non è né presente, né passato, né futuro, il concetto del tempo è sublimato nell'indefinito. Paolantonio gioca con le parole, dicevamo di una pittura colta... profili umani definiti da fili, indecifrabili, curiose silhouette, uomo o donna non conta, gli occhi e la bocca sono gli aspetti più vicini ad una aspetto veritiero, particolari inquietanti di un contesto vacuo, parlare per dire cosa, se poi il parlare non è ascoltato o peggio nemmeno tenuto in considerazione.

Allora l'uomo è perduto? Paolantonio non si erge a giudice, piuttosto cerca di scuotere e denunciare quel malessere sociale che ormai ci coinvolge tutti e dal quale pare non ci sia via di uscita. L'artista produce per cicli, e così gli ambiti si allargano e i limiti si allontanano, il paesaggio scompare, si può vivere in una sovrarealtà dove glaciali rappresentazioni siderali di racconti senza storia portano a riflessioni sulla provvisorietà della vita. Allora mi domando se il non-segno, oppure la progettualità di un segno così rarefatto sia indice di mancanza di emozione e di sentimento, o non piuttosto, una lunga dilatazione nel tempo del pensiero?

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Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Artistico di Milano, Cesare Paolantonio frequenta l'Accademia delle Belle Arti di Brera sotto la guida del Prof. Aldo Carpi. A Venezia un corso di specializzazione di incisione all'acquaforte "Tono Zancanaro". Ha per qualche tempo frequentato lo studio di Bruno Mantovani e quello del pittore d'arte sacra Luigi Filocamo. Dal 1955 ha iniziato a dipingere per conto proprio, prima nello studio di Sesto San Giovanni e poi a Milano dove prosegue la sua intensa attività di artista. Dal 1981 al 1999 è collaboratore artistico al quotidiano "Il Sole 24 Ore" - inserto domenicale. Negli ultimi anni si trasferisce a Gromo (BG) in alta Val Seriana. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto di Guido Morelli "ARTinCLUB 11"
28 maggio (inaugurazione) - 23 settembre 2023
Residenza d'Epoca Hotel Club I Pini - Lido di Camaiore (Lucca)
www.clubipini.com/artinclub11

Rassegna di pittura - curata da Gianni Costa - organizzata in collaborazione con la galleria Mercurio Arte Contemporanea di Viareggio. L'iniziativa ARTinCLUB, giunta quest'anno all'undicesima edizione, offre al pubblico una stimolante proposta culturale che coniuga l'arte contemporanea con la raffinata atmosfera della villa in stile Liberty, fatta costruire dal pittore e ceramista Galileo Chini agli inizi del '900 per crearvi la propria dimora nei periodi di vacanza.

Completamente ristrutturata lasciando inalterato il fascino originario, la Residenza d'Epoca Hotel Club I Pini, gestita dai fratelli Cesare e Nicola Salvini, accoglie ancora oggi numerose opere di Chini - dipinti, affreschi e oggetti d'arredamento - perfettamente conservate. Nella mostra sono presentati recenti dipinti di Riccardo Corti (Firenze, 1952), Beppe Francesconi (Marina di Massa, 1961), Guido Morelli (La Spezia, 1967), Armando Orfeo (Marina di Grosseto, 1964), Riccardo Ruberti (Livorno, 1981) e Valente Taddei (Viareggio, 1964): i sei artisti, seppur differenti tra loro per formazione estetica, stili e tecniche pittoriche, sono accomunati da un profondo spirito di ricerca nell'ambito della figurazione contemporanea, oltre che da un rigore compositivo e da un'accuratezza formale che rendono armonioso l'accostamento dei rispettivi lavori in un progetto espositivo comune. La rassegna è patrocinata dal Comune di Camaiore. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra di Benjamin Cohen a Milano Benjamin Cohen
"Bone Deep, Suns Speak"


25 maggio (inaugurazione) - 14 luglio 2023
MAAB Gallery - Milano
www.maabgallery.com

Per la prima personale alla MAAB Gallery, Benjamin Cohen (Regno Unito, 1986), presenta una serie di lavori recenti che facendo dialogare immagini e oggetti anche lontanissimi tra di loro, evidenzia come nella ricerca del giovane artista britannico il tempo e lo spazio facciano da ponte tra passato e futuro, tra memorie personali e archetipi collettivi, tra inconscio, linguaggi ed usi contemporanei. Il titolo della mostra allude a qualcosa che fa parte di noi fin dentro alle ossa stesse, ma che si scopre anche connesso agli estremi a noi più lontani come il sole e le stelle, se si presta attenzione a quella teoria secondo cui il calcio ed altri minerali presenti nelle ossa umane derivano dall'esplosione di una supernova avvenuta diversi milioni di anni fa.

È così che gli oggetti in mostra subiscono una vera e propria riconfigurazione: partendo da forme familiari, la forma e la struttura vengono alterate, rimandando da una parte agli oggetti della vita quotidiana, ma aprendosi dall'altra a un'alterità che li rende al tempo stesso domestici ed inquietanti. Le opere di Cohen sono portali tra i tempi della storia e le narrazioni umane, con i loro desideri, paure ed ossessioni. Non si tratta di assemblages neo-dadaisti o di gioco associativo surrealista. Gli oggetti sono pensati e presentati non come sommatoria di parti diverse, ma come un'unica configurazione, la cui nettissima rifinitura formale fa pensare a prodotti di un industrial design futuribile ed estremo.

Quest'apparenza levigata, scintillante, accattivante sia nelle forme che nei colori (come in una palette pittorica cangiante, metallica e vagamente sulfurea), si compone anche di un risvolto sottilmente paradossale e sospetto, talvolta apertamente sinistro, altre volte ambiguamente sfuggente. Lo si nota ad esempio in certi dettagli delle opere: due pezzi di salmone affumicato ai piedi di un telaio per paraurti cromato, il calco di un becco d'anatra di una maschera carnevalesca, innocuo e beffardo al tempo stesso, impilato a pavimento o nascosto dentro una gabbia per uccelli o una piramide tronca riempita di bombolette usate di protossido di azoto.

In questo modo Benjamin Cohen passa dalla creazione alla ricreazione, cita lo sviluppo tecnologico e ricollega il passato remoto con il presente attraverso uno sguardo sul futuro. In questo modo Cohen reagisce all'omologazione rivendicando un'identità che è prima di tutto quella individuale, con le sue radici profonde come ossa collegate al suo vissuto personale, anche drammatico, ma è anche l'identità di un mondo transculturale e transnazionale in cui il tempo e la storia umana collassano l'uno sull'altra.

Attraverso la sperimentazione di nozioni estese di scultura e media basati sul tempo, nonché un continuo coinvolgimento nella pratica collaborativa, Cohen lavora con oggetti archeologici, immagini d'archivio, film e suoni per costruire strutture che esplorano nozioni di "architettura della memoria". Nel 2021 Benjamin Cohen è stato selezionato per il Mark Tanner Sculpture Award. Tra le esposizioni recenti si segnala Studio Response 03 presso la Saatchi Gallery di Londra (2022). (Comunicato stampa)




Locandina della mostra Berlin Effekt con fotografie di Antonio Giannetti Berlin Effekt
Fotografie di Antonio Giannetti


20 maggio (inaugurazione) - 10 giugno 2023
Galleria 291 EST - Roma
www.galleria291est.com

"C'è un motivo per cui si preferisce Berlino ad altre città perché è in costante evoluzione" diceva Bertold Brecht. E proprio Berlino rappresenta la nuova meta fotografica di Antonio Giannetti, che nella serie Berlin Effekt ricerca dettagli e recondite visioni di una metropoli in continua metamorfosi. Ogni scatto ne coglie la viva "lentezza", una lentezza a dimensione umana, che ridefinisce il ritmo a cui la città si muove e respira, riconquistando il tempo per farsi osservare con occhi nuovi, più attenti. In tal senso, l'obiettivo discreto di Berlin Effekt ci offre una guida per entrare nella suggestiva quotidianità berlinese, sovrapponendosi all'occhio dell'osservatore, che qui diviene co-protagonista di inedite ed inaspettate rivelazioni, richiamate dall'ecletticità della sua arte e dei suoi spazi, dalla sua prospettiva architettonica, dalle sue luci ed insegne al neon, dai suoi semafori, dai suoi percorsi ciclabili, dalle sue oasi di verde.

Non accentrabile ad un solo sguardo, la vocazione urbana che la contraddistingue si traduce nell'effetto Berlino, quale effimera essenza di frammenti visivi che Giannetti restituisce al suo spettatore attraverso l'inquadratura del mezzo fotografico. Un effetto Berlino che si rintraccia anche nell'allestimento della Galleria 291 EST, che, a cura di Vania Caruso, vede esporre una selezione di trentadue fotografie in una sorta di piano sequenza di punti di vista e riflessi, raccontandoci la poliedricità, le sfumature e le tante espressioni della vivace atmosfera underground che anima la capitale tedesca.

Antonio Giannetti (Monterotondo - Roma, 1955) nel 1982 si diploma all'Istituto Superiore di Fotografia di Roma, partecipando di seguito a numerosi festival fotografici. Nel 1983 gestisce l'agenzia fotografica romana Delta Photos, collaborando con riviste nazionali e internazionali. Due anni dopo, nel 1985, fonda, insieme a Franco Cenci, Studio Idea, improntato alla grafica e alla fotografia, con una particolare attenzione per l'uso dell'immagine e i suoi risvolti. Poi la passione per la fotografia è ritornata ad essere preminente nella sua vita, quando, nel 2013, realizza la prima personale, a cui segue la pubblicazione del libro "Uno sguardo particolare", sui luoghi e i volti di Monterotondo. Nel 2019 inizia la sua collaborazione con Galleria 291 Est di Roma con la personale "Effetto Roma". (Comunicato stampa)

Bandiera della Germania Articoli di Ninni Radicini sulla Germania




Kim Bartelt
"Break Easy"


17 maggio (inaugurazione) - 30 giugno 2023
Cadogan Gallery - Milano
www.cadogangallery.com

La prima mostra personale dell'artista tedesca Kim Bartelt in questi spazi, con una ventina di opere tra dipinti e sculture, realizzati per questa occasione. L'artista, ispirata dalle parole dello scrittore e poeta vietnamita Ocean Vuong - secondo il quale solo abbattendo lo scudo che ci è stato insegnato a costruire intorno a noi stessi e mostrando la propria vulnerabilità, un artista può arrivare a esprimersi al meglio - ha realizzato una serie di opere con collage di carte molto sottili e pastelli dai toni delicati che vogliono esprimere la fragilità del nostro tempo e della condizione degli esseri umani.

"I paesaggi che vorrei rappresentare giocano con il dentro e il fuori, il visibile e l'invisibile, il permanente e il transitorio" dice l'artista, che ha prodotto una serie di dipinti di grande formato e altri più piccoli realizzati combinando sottili fogli traslucidi, leggermente strappati ai bordi, sulla superficie ruvida di tele di lino. Queste opere dai tenui colori pastello, che rivelano il suo profondo legame con il mondo dell'architettura, sono in stretto dialogo con quattro sculture, apparentemente robuste, ma anch'esse realizzate con scatole di cartone ricoperte da carte sottili, che come dice l'artista "sono in un certo senso le forme sulla tela che escono dalla cornice e diventano figure".

L'alfabeto di forme geometriche ripetute in colori tenui e tremolanti che caratterizza i dipinti e le sculture di Kim Bartelt genera un silenzio di delicata potenza e intensità. Senza offrire alcuna forma di risoluzione alla propria dichiarazione di fragilità, le opere coinvolgono il visitatore in una dimensione sensoriale, capace di rivelare le contraddizioni della condizione umana e la resilienza emotiva necessaria per essere un artista. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Dipinto a tempera all'uovo su tavola di cm 50x33 denominato Esercizio 4/2 relizzato da Irena Romih nel 2020 in una foto di Jaka Jerasa Dipinto in acrilico su tela di cm 40x40 Senza titolo realizzato da Dusan Fiser nel 2023 in una foto scattata Jaka Jeraša Dipinto in acrilico su legno di cm 50x50x50 tratto dal ciclo Topologie realizzato da Sebastijan Vojvoda nel 2014-2016 in una foto di Sebastijan Vojvoda Opera in puntasecca di cm 19.5x15 denominata Scorrimento realizzata da Katja Sorta nel 2019 in una foto di Jaka Jeraša Piccole geometrie / Male geometrije
18 maggio (inaugurazione) - 23 giugno 2023
DoubleRoom arti visive - Trieste
doubleroomtrieste.wordpress.com

Mostra collettiva in cui verranno presentate opere di 25 artisti sloveni, realizzate con l'ausilio della geometria ed appartenenti al movimento dell'astrattismo geometrico. Le opere esposte sono state realizzate da: Jaka Bonca, Beti Bricelj, Avgust Cernigoj, Aleksander Drakulic, Dušan Fišer, Milan Golob, Josip Gorinšek, Matjaž Hmeljak, Cvetka Hojnik, Drago Hrvacki, Danilo Jejcic, Duša Jesih, Janez Lenassi, Roman Makše, Katja Pál, Borut Popenko, Sandi Renko, Oto Rimele, Irena Romih, Nejc Slapar, Katja Sorta, Eduard Stepancic, Franc Vecchiet, Sebastijan Vojvoda, Edvard Zajec. Il curatore della mostra è Denis Volk.

La mostra è una panoramica delle opere di esponenti dell'arte astratta geometrica provenienti dall'area linguistica slovena, non soltanto dalla Slovenia, ma anche dalle zone di confine in Italia, in Ungheria e nell'Istria croata. Gli albori della geometria nell'arte slovena contemporanea risalgono al 1924, anno della prima mostra di arte costruttivista in area slovena, realizzata dall'avanguardista Avgust Cernigoj al termine dei suoi studi al Bauhaus. La presente mostra include quindi opere che si inseriscono nell'arco temporale tra gli anni Venti del secolo scorso fino ai giorni nostri. Le opere esposte sono principalmente dipinti, opere grafiche e scultoree e oggetti, per lo più di piccolo formato, nonché video e animazioni al computer.

La geometria nell'arte, sia in quella mondiale che nella nostra area, è sempre stata presente, ma mai in primo piano, e se ne sono dedicati soltanto singoli artisti ed artiste: alcuni solo per determinati periodi, mentre altri invece ne hanno fatta la propria ricerca artistica. Gli artisti trovano spunto ed ispirazione per le loro opere in diversi periodi storici, in diversi approcci filosofici e teorici e movimenti artistici, soprattutto nelle avanguardie del Ventesimo secolo, in opere di numerosi artisti appartenenti a epoche differenti, ma anche nell'emergere del computer e di altre nuove tecnologie e nella vita di tutti i giorni, oppure intendono valorizzare, con l'ausilio di forme geometriche, determinati materiali utilizzati nella propria arte.

Ulteriori fonti di ispirazione sono la scienza, la matematica, l'architettura, l'illusionismo... Alcuni artisti (soprattutto nei dipinti) vogliono creare effetti illusionistici, ottici e cinetici: oggetti, forme, strati o spazi apparenti, la sensazione che alcune parti dell'immagine sprofondino o emergano, l'illusione di movimenti, vibrazioni o onde, persino la comparsa di un colore o l'impressione che il dipinto fluttui. La mostra è stata organizzata dall'Associazione per l'Arte KONS di Trieste in collaborazione con DoubleRoom arti visive di Trieste, con il sostegno dell'Ufficio della Repubblica di Slovenia per gli Sloveni d'oltreconfine e nel mondo e del Consolato Generale della Repubblica di Slovenia a Trieste. La mostra sarà accompagnata da un catalogo in lingua italiana e slovena. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Irena Romih, Esercizio 4/2, 2020, tempera all'uovo su tavola cm 50 x 33, foto di Jaka Jeraša
2. Dusan Fiser, (opera senza titolo), 2023, acrilico su tela cm 40x40, foto di Jaka Jeraša
3. Sebastijan Vojvoda, dal ciclo Topologie, 2014-2016, acrilico su legno cm 50x50x50, foto di Sebastijan Vojvoda
4. Katja Sorta, Scorrimento, 2019, puntasecca cm 19.5x15, foto di Jaka Jeraša

Geometria nell'arte slovena - Piccole geometrie
Presentazione di Denis Volk (traduzione Katja Voncina)

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L'Arte grafica degli Sloveni in Italia | Grafika Slovencev v Italiji (Centro Culturale / Kulturni center Lojze Bratuž 04-31 dicembre 2020)
Presentazione

Slovenski Graficari iz Italije / Artisti Grafici Sloveni d'Italia (Galleria Zuccato (Parenzo, Croazia) 25 marzo - 30 aprile 2021)
Presentazione




Fotografia scattata da Agnese Garrone denominata Belleville realizzata a Parigi nel 2021 in una edizione di 4 esemplari Agnese Garrone e Dominique Laugé
"Stand E 015"


18 maggio (inaugurazione) - 30 settembre 2023 (chiuso dal 27 luglio al 4 settembre)
Galleria 70 - Milano

Mostra con le opere fotografiche di Agnese Garrone e di Dominique Laugé, recentemente presentate a MIA Photofair 2023 riscuotendo un notevole successo da parte del pubblico. Le 28 fotografie in bianco e nero, quattordici per ogni autore, mostrano il senso di profonda corrispondenza e assonanza che unisce i due artisti. Le opere di Dominique Laugé, vero maestro del paesaggio, e della giovane Agnese Garrone, sono associate in una sequenza che, a dispetto della reciproca diversità dei temi trattati e dell'impostazione, fluisce in un inatteso accordo poetico, in una linea di continuità che ha il carattere della più naturale armonia.

La grande classe di Laugé nel ritrarre la natura e il vivido interesse della Garrone per l'umanità che la circonda declinano con diverso linguaggio la medesima qualità di sentimento, che ha in sé qualcosa di nobile e antico; un'affinità che si riscontra nello stesso allestimento delle opere in mostra che mette in relazione i lavori di due artisti diversi per età, esperienza, stile e scelta dei soggetti, ma che si rivelano tuttavia molto vicini nella sensibilità e nella temperie emotiva conferita alle rispettive immagini.

Dominique Laugé presenta, con l'ordine compositivo dal ritmo posato e solenne che contraddistingue la sua arte e la sua anima, i paesaggi del Canton Vaud in Svizzera e della Provenza in Francia: paesaggi senza mai figure umane, sospesi, introversi, quasi fosse questo l'unico modo per avvicinarsi all'interiorità della vita, dove la luce, morbida e soffusa, gioca un ruolo determinante e viene trattata dall'autore in maniera magica, quasi pittorica.

Con differente ispirazione, la giovane Agnese Garrone si mostra animata da un vivo senso di partecipazione e affetto peri propri simili. Le immagini che crea paiono sempre rivolte verso l'esterno, persino quando sono autoritratti, e con uno strano afflato lirico, che rimanendo sotterraneo e implicito percorre tuttavia l'intera scena, danno l'impressione di accarezzare la realtà. Le sue figure, le sue situazioni, appartengono certo all'esistenza quotidiana e formalmente non recano in realtà alcunché di speciale, se non per la circostanza, determinante, di albergare entro sé una pregnanza del tutto singolare, e di ammantarsi di un'aura romanzesca che le rende autentiche quanto la vita.

Agnese Garrone (Genova, 1997) ha frequentato un corso di Direzione della fotografia all'Accademia Mediterranea del Cinema di Bari e lavorato in Francia in diversi set cinematografici e documentaristici. All'École Internationale de Création Audiovisuelle et de Réalisation di Parigi, dove si è da poco specializzata in regia, ha svolto collaborazioni di production design. Dopo la prima personale a carattere di reportage Being Burma - La Birmania prima del golpe, alla Galleria 70 di Milano, si è presentata al MIA 2023 con una serie di scatti a tema libero, che evidenziano la sua originalità e lo spiccato carattere.

Dominique Laugé (La Rochelle, 1958), dopo essersi laureato in lettere all'Università di Bordeaux ha frequentato dal 1982 al 1984 il Brooks Institute of Photography di Santa Barbara, approfondendo lo studio del sistema zonale con Bob Werling e Ansel Adams. Ritornato in Europa si è stabilito a Milano, dove è rimasto fino al 2005 ottenendo negli anni numerosi riconoscimenti. Dal 2012 Dominique Laugé collabora con la Picture This Gallery (Hong Kong, Londra) e dal 2010 è nell'organizzazione del Premio Résidence pour la Photographie della Fondation des Treilles di Tourtour, sotto la presidenza di Maryvonne de Saint Pulgent. (Estratto da comunicato ufficio Stampa mostra De Angelis Press, Milano)

Immagine:
Agnese Garrone, Belleville, Parigi 2021, edizione 4 esemplari




La ragazza col ciuffo, ritratto caravaggesco della collezione Barberini La ragazza col ciuffo. Un ritratto caravaggesco della collezione Barberini
11 maggio - 30 luglio 2023
Gallerie Nazionali di Arte Antica - Palazzo Barberini - Roma
www.barberinicorsini.org

Esposto per la prima volta al pubblico nella Sala Dei Ritratti, Il Ritratto di giovane donna (La ragazza col ciuffo) (olio su tela, cm 80x65) è menzionato per la prima volta tra le opere del cardinale Antonio Barberini nel 1644, e in seguito tra quelle ricordate nel suo inventario dei beni redatto post mortem (1672), nel quale ricompare il «Ritratto di una donna con il ciuffo di palmi 3 incirca, con cornice indorata intagliata, mano di Caravaggio». Il quadro era valutato 80 scudi: un prezzo decisamente elevato per una tela di dimensioni contenute, certamente assegnatole in virtù del suo presunto autore.

Dalla collezione di Antonio l'opera rimase nella famiglia Barberini, passando di mano in mano; ora è in una collezione privata. Il dipinto è affine al Ritratto di Fillide Melandroni di Caravaggio perduto nella seconda guerra mondiale durante i bombardamenti di Berlino, ma documentato da varie fotografie. Il confronto tra il Ritratto di giovane donna (La ragazza col ciuffo) e il Ritratto di Fillide, evidenzia una grande somiglianza tra le due effigiate, tanto da far pensare che possa trattarsi della medesima persona.

Fillide Melandroni (1581-1614), cortigiana di origine senese molto nota a Roma per la sua condotta considerata "scandalosa" dai contemporanei e la vita libera, era stata amante di Ranuccio Tomassoni, ucciso da Caravaggio nel 1606 in una rissa scoppiata durante il gioco della pallacorda, probabilmente a causa di un debito. A Roma Fillide giunse molto giovane e in seguito si legò al poeta e letterato Giulio Strozzi. Dal testamento della donna dettato nell'ottobre del 1614 sappiamo che lasciò il suo ritratto eseguito da Caravaggio a Strozzi. Di lì a breve Fillide morì all'età di trentasette anni. Nel suo testamento figurano molti vestiti e diverse paia di orecchini dalla foggia identica a quella dei pendenti indossati sia nel Ritratto di Fillide che in quello qui esposto.

Buona parte della critica ha identificato in Fillide una delle modelle preferite dall'artista, che la dipinse nei panni di Santa Caterina (Museo Thyssen, Madrid), di Maddalena, nella Marta e Maddalena conservato al Detroit Institute of Arts, e forse di Giuditta, nella Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini. Il Ritratto di Fillide già a Berlino proviene con certezza dalla collezione romana del banchiere genovese Vincenzo Giustiniani. Resta un mistero come il grande collezionista e mecenate di Caravaggio ne sia entrato in possesso: lo acquistò da Strozzi, o i ritratti della cortigiana erano più di uno? (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina della mostra con opere di Martin Disler a Bellinzona Martin Disler
14 maggio - 06 agosto 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona
www.cacticino.net

Martin Disler (1949-1996) è sicuramente da contare tra i maggiori rappresentati svizzeri ed europei del Neo-espressionismo nato in Europa a cavallo tra gli anni 1970 e 1980. Parallelamente alla Transavanguardia italiana, di cui Achille Bonito Oliva fu uno strenuo sostenitore, e i Neue Wilden tedeschi, Disler è una parte importante di uno degli ultimi movimenti storici collettivi del 1900, che hanno saputo dare al panorama artistico di quegli anni quell'energia di crescita e sviluppo per molte generazioni future, tra cui la mia.

L'energia, che permea questo spaccato di fine secolo, segna il ritorno preponderante della pittura all'interno di un panorama connotato prevalentemente dall'arte concettuale e minimale. E ciò avviene con delle modalità forti e radicali, a marcare i confini tra un passato stanco e un futuro che si disegnava. Di Martin Disler, scomparso prematuramente a soli 47 anni, il MACT/CACT presenta una selezione di xilografie, incisioni su legno di grande formato, realizzate nel 1988. L'importanza di questi lavori a carattere calcografico e in tiratura molto limitata risiede nello slancio e nell'irruenza, con cui l'artista svizzero incise le tavole di legno, usando qualsiasi tipo di corpo tagliente e aggressivo, al fine di incidere la lastra lignea, quasi la superficie fosse una scultura da modellare o un muro da abbattere.

Al di là dei temi consueti tipicamente disleriani, legati prevalentemente al rapporto tra vita e morte, tra erotismo e desiderio inconscio, queste opere - forti per segno e contenuto - rappresentano i disagi di una generazione abbandonata dalla Storia e ormai orfana delle proprie radici. In una fase, quella odierna, dove gli anni 1980 sono nuovamente al vaglio di una riscoperta e ricollocazione storica, l'opera di Martin Disler rappresenta più che mai il risveglio di una energia, che ha segnato il vigore e la catarsi più alte dell'arte degli ultimi cinquant'anni. (Mario Casanova - Bellinzona, 6 marzo 2023)




Opere di Emilia Agosti e Emanuela De Franceschi in una locandina della mostra Emilia Agosti e Emanuela De Franceschi
20 maggio (inaugurazione) - 01 giugno 2023
Galleria d'Arte Contemporanea Wikiarte - Bologna
www.wikiarte.com

Classicismo, ripreso in chiave contemporanea, evocativo di un tempo trascorso che diviene protagonista della rappresentazione: della poetica del ricordo, permeata di vivace nostalgia, espressa nel susseguirsi dei soggetti. E magia del corpo come della sua dinamica, la cui narrativa è trade union di un'estetica che unisce spirito e materia, armonicamente, nel connubio dell'artefatto.

Evidenza di una ricerca costante il cui incipit risiede nella memoria sempre viva di un attento sguardo volto al cielo. Eco di un tempo trascorso che assurge a matrice del cambiamento, anticipato da una profonda riflessione, che rivisita gli iniziali dettami estetici dell'artista romana Emanuela De Franceschi. Da cui scomposizione armonica della visione d'origine, scandita da un pulsante bisogno declinato tra la scelta senziente di un'estetica innovativa e l'attenzione, volta a soggetti diversi, non più frutto della realtà circostante ma tratti dalla classicità, ripresa sovente nelle rappresentazioni di maschere, che divengono fulcro corrente della poetica dell'artista. Da cui immagini come metafore, da Pirandello a Mitoraj, la cui costante attualità valica il limite del tempo, o del ricordo, risolvendosi nella drammaticità della loro stessa replicazione, se non già fonti del prossimo accostamento al linguaggio visuale, palesemente contemporaneo, della street art.

Presenza e assenza, contatto e distanza se non materia e spiritualità. Elementi solo all'apparenza opposti perchè parte di un unicum, dove l'arte funge da ‘porta regale ed il corpo come simbolo e mezzo visibile che rimanda all'invisibile', citando le parole dell'artista Emilia Agosti. Da cui la poetica, intrisa di cambiamento, ripresa dalla dinamica di un corpo che diventa media, meglio ancora vettore di un sentire pulsante cui filosofia, teatro e segno fanno da fondamento. Da qui tele a terra, non sul cavalletto, su cui l'atto del body printing imprime pigmenti di colore, permanenti e duraturi, se non impronta ed ultima testimonianza del ritorno all'essenza. E tela come un vuoto, colmato da polveri, forme e colori che sullo sfondo, cangiante come un incessante evolvere, dipingono un impulso già riflesso di un sogno, di un film o di gradito incontro; in perpetua oscillazione tra concetto e forma, qui inscindibili, perchè pervasi l'uno dell'altro, nel racconto visuale della poesia del corpo. (Testo critico e presentazione: Pietro Franca)




Opera astratta geometrica in bianco e nero realizzata da Bruno Querci Bruno Querci
13 maggio (inaugurazione) - 13 agosto 2023
CAMUSAC - Museo d'Arte Contemporanea di Cassino

Tra i pronunciamenti innovativi della ricerca astratta e soprattutto di quella pittura a vario titolo 'spazialista' e 'riduzionista', l'opera concepita e attuata con coerente elaborazione da Bruno Querci è tra le più radicali e ancora piena di promesse. La sua recente mostra al Kunstmuseum di Bochum, conclusasi nel gennaio 2021, aveva avuto come interlocutore del suo disegno e della sua pittura uno dei padri della pittura "suprematista", Kasimir Malevic, al cui Quadrato nero su fondo bianco, 1913-15 l'opera di Querci ha congenitamente, dall'inizio, rivolto l'orientamento del suo lavoro, soprattutto ricavandone intuizioni pregevoli e cariche di nuovi spunti.

Già nell'autunno del 2007, lo sguardo di Bruno Corà, che torna in questa mostra ad occuparsi degli sviluppi dell'opera di Querci, aveva nel Museo CAMeC della Spezia posto la sua attenzione sull'originale dialettica svolta dalla pittura di Querci, incentrata sulle reciproche tensioni del colore nero e del bianco, entrambi, per certi versi e a lungo, considerati 'non colori'. La pittura di Querci, ormai nota al vasto pubblico vantando una quarantina di anni di esercizio con un vasto riscontro di critica (Menna, Verzotti, Conti, Mango, Bramanti, Cerritelli, Pola, Crispolti, Panzera, Invernizzi C., Mascelloni, Bonomi e altri), è pervenuta intanto a una maturazione linguistica magistrale come le opere esposte a Cassino dimostrano, e il respiro della sua ricerca è approdato ormai a una definizione ampiamente calibrata.

Nei grandi ambienti della Sezione delle mostre temporanee del museo di Cassino e in una sala del museo dell'Abbazia di Montecassino sono presenti in questa personale di Querci i più interessanti capitoli della sua inflessibile declinazione dell'antinomia basata sulla luce e sulla tenebra nella sua ricerca. Un rapporto sempre attivo, inesauribile, come lo sono le dimensioni di spazio-tempo cosmico da cui traggono origine le pulsioni a cui l'artista risponde con la sua pittura. Più di 25 dipinti saranno esposti a partire da maggio, appartenenti ai vari cicli realizzati dal 1985 all'attualità. Sono così presenti opere come Forma 1985, Incombente, 1985, Contatti, 1986 e poi Figura latente, 1993, Formaspazio, 1998 e inoltre Forma luce, 2001, Struttura luce, 2010 e Dinamicoforma 2017, tra le numerose altre. In occasione dell'evento espositivo sarà pubblicato un catalogo che, oltre a raccogliere le immagini delle opere esposte, la biografia e bibliografia dell'artista, conterrà un saggio critico di Bruno Corà, curatore della mostra, e alcuni scritti dell'artista. (Comunicato stampa Galleria A Arte Invernizzi)




Opera artistica realizzata da Florian Neufeldt Florian Neufeldt
"Landscape Amnesia"


02 maggio (inaugurazione) - 28 luglio 2023
The Gallery Apart - Roma
www.thegalleryapart.it

Quinta personale in galleria di Florian Neufeldt (1976), artista tedesco di stanza a Berlino. Nel corso della sua pratica artistica Neufeldt ha sempre mantenuto salde alcune linee di indirizzo. Seppur modificando la scala dei suoi interventi, a volte monumentali altre volte di dimensione scultorea più contenuta, il lavoro dell'artista ha sempre ruotato intorno all'alterazione, riconfigurazione e trasformazione di oggetti comuni, spesso facendo dialogare il risultato scultoreo di tale lavoro con gli spazi e le architetture atte a ricevere le opere.

Le sculture di Neufeldt creano incertezza in chi le guarda poiché mantengono traccia dell'oggetto originario, spesso però difficilmente riconoscibile proprio in virtù del processo di trasformazione perseguito dall'artista. In tal senso la poetica di Neufeldt non va intesa come l'azione demiurgica o alchimistica dell'artista che crea una realtà altra, quanto come l'opera di un testimone della realtà concreta, abitata da oggetti reali che vengono manipolati per evidenziare la ricchezza delle possibili diverse identità affidate a nuove presenze.

Convinto che il vecchio non abbandoni mai il nuovo, Neufeldt procede alla ricerca di punti di rottura, o trampolini di lancio, nel sistema percettivo che ci guida attraverso il mondo così come lo conosciamo. Procediamo tutti come sonnambuli in un ambiente conosciuto abitato da presenze che potremmo aver dimenticato, finché non inciampiamo in qualcosa proprio laddove credevamo che non ci fosse nulla da vedere: è la memoria che ci guida tutti malgrado nel contempo ci sfuggano i ricordi. È una memoria ancestrale che ci consente l'adattamento all'ambiente che però soffre di un limite, quello di non riconoscere il cambiamento strisciante, quello che fa diventare normale solo ciò di cui abbiamo bisogno.

Landscape Amnesia descrive la nostra perdita di memoria. Neufeldt mutua l'espressione dal libro di Jared Diamond Collapse: How Societies Choose to Fail or Survive nel quale l'autore tenta di circoscrivere l'orizzonte percettivo umano all'interno della catastrofe ecologica creata dall'uomo. Il cambiamento in natura è lento e graduale e l'uomo stenta a percepirlo. Con Landscape Amnesia Neufeldt intende sottolineare come la nostra percezione e la selezione dei ricordi siano in gran parte inquadrate e prodotte da modelli sociali e fortemente limitate dalle nostre abilità cognitive. Ciò nondimeno è possibile trovare modi per attivare la memoria e la coscienza. Questo è quanto Neufeldt cerca di trasmetterci attivando con le sue opere la nostra percezione.

Dopo aver studiato Fine Art alla Kunstakademie Düsseldorf sotto la guida di Tony Cragg, Florian Neufeldt (Bonn, 1976) si è poi diplomato in Sociologia, a Berlino. Florian Neufeldt ha esposto in occasione di numerose personali e collettive in molti spazi istituzionali europei tra cui il Kunstverein KunstHaus Potsdam, la Kunsthalle Düsseldorf, il Deutsches Hygiene Museum Dresden, il CIAC Museum Genazzano, il FRAC Orleans. (Comunicato stampa)




Opera in acrilico su foglia di oro denominata Catena modulare realizzata da Carmine Caputo di Roccanova nel 2023 Opera in acrilico e foglia di oro su tela denominato Trasparenze su modulo bianco realizzata da Carmine Caputo di Roccanova nel 2022 Carmine Caputo di Roccanova
"Trasparenze"


11 maggio - 05 giugno 2023
Spazio d'Arte Scoglio di Quarto - Milano
www.galleriascogliodiquarto.com

Pittore e scultore, ma anche performer e architetto, sperimentatore di registri operativi differenti. Il percorso espressivo-teorico di Carmine Caputo di Roccanova con la mostra "Trasparenze" dove presenta quattordici opere completamente inedite realizzate dal 2020 al 2023. Il nuovo ciclo pittorico di Caputo, lucano di nascita ma formatosi a Milano - prima diplomandosi sia in Pittura sia in Scultura all'Accademia di Brera e successivamente laureandosi in Architettura al Politecnico - si presenta come ulteriore sviluppo e ampiamento delle posizioni già espresse nel suo Manifesto sul "Manierismo geometrico" del 2005 dove l'evoluzione sintattico-geometrica della narrazione non si distoglie dalla convinzione che l'artista, per andare avanti senza cadere nell'errore di ripetere ciò che è già stato fatto e detto da altri prima di lui, debba dare maggiore dignità alla propria arte: "L'artista deve incominciare ad assumersi le proprie responsabilità e citare coloro ai quali si sono ispirati ponendo le note in calce alla propria arte, esattamente come accade in letteratura. Nessuno inventa nuove strade, però possiamo dare un nostro personale contributo. Ecco perché i miei quadri presentano sempre una foglia d'oro, segno di continuità con il passato e punto di vista privilegiato".

Indicato artisticamente da Luciano Caramel come "un caso anomalo, ma non isolato, e assai interessante, nell'ambito dell'astrazione geometrica, diviso com'è tra il bisogno di ordine e la coscienza dell'impraticabilità, oggi, di una razionalità a priori", Carmine Caputo espone a Milano un nuovo nucleo di opere tutte costruite nella rigida dimensione del quadrato, che contengono una componente architettonica che disciplina non solo la forma ma anche lo spazio, senza tuttavia contenerlo. Il rigore cromatico e il linguaggio delle forme che si viene a creare in un continuo sovrapporsi di strutture geometriche che sembrano cerchino di incastrarsi l'una con le altre, non solo è pulito e razionale, ma si rapporta con il fondo che appare come elemento di dialogo costante in un effetto tridimensionale.

La narrazione del ciclo delle "Trasparenze" si muove tutta su linee rette e figure geometriche triangolari nette e definite, che per l'artista e l'osservatore possono essere replicabili all'infinito, quindi oltre la stessa superfice della tela. Opere astratte che sono evidenti espressioni di un racconto più ampio, dove ognuna di esse è naturale proseguimento dell'altra, caratterizzate da una finitura del quadro che si sviluppa per continui accavallamenti e intersezioni, senza tuttavia andare a perdere la brillantezza del dipinto e dei colori.

Tuttavia, l'astrattismo di Carmine Caputo di Roccanova non è puro astrattismo ma è una destrutturazione di un'immagine che, proprio grazie all'espediente delle trasparenze, appare e scompare in continuazione a livello inconscio e crea, come sottolinea Alberto Veca, "una stretta connessione fra la realtà e il suo valore simbolico, in una relazione inscindibile fra il mondo fisico e quello mentale."

Il pensiero di Carmine Caputo di Roccanova, vicino alle istanze del Futurismo (suoi il Nuovo Manifesto di Cucina Futurista del 1996 e il Manifesto di Cucina Ultra-Futurista del 2020), è per molti versi avanguardista, temerario e dagli straordinari esiti innovatiti, e le indicazioni artistico-culturali sottese al ciclo delle "Trasparenze", valide in pittura così come in scultura e nelle lettere, sono un ulteriore passaggio di questa presa di coscienza poetica e artistica, individuale e altresì collettiva, del bisogno di una nuova arte di qualità.

Dopo aver conseguito i diplomi all'Accademia di Belle Arti a Milano, prima pittura e poi scultura, Carmine Caputo di Roccanova si laurea in architettura (1998) presso il Politecnico di Milano con una tesi su Luciano Baldessari (relatore Fulvio Irace). Nel 1983 vince la Rassegna San Fedele "Scultura giovani". Nel 1984 partecipa ad "Italiart", UNESCO, Parigi. Nel 1998 riceve l'incarico per una scultura al Cimitero Monumentale di Milano. Nel 2002 mostra personale da BAZART, Milano. Nel 2004 tiene la personale "Dettagli" da Vismara Arte a Milano presentato da Luciano Caramel. Nel 2005 scrive il "Manifesto del Manierismo geometrico" e, sempre nello stesso anno, è protagonista della mostra "Percorso" al palazzo Comunale di Roccanova (PZ) presentato da Andrea B. Del Guercio.

Nel 2007 realizza un monumento per il quarto centenario della morte di Sant'Andrea Avellino a Castronuovo di Sant'Andrea (PZ). Nel 2010 espone insieme a Stefano Soddu nella mostra "Cerchioquadrato" alla Permanente di Milano. Nel 2011 partecipa alla mostra "Lo stato dell'arte" a Potenza nell'ambito della 54^ Biennale di Venezia. Nel 2016 partecipa alla collettiva "Le celle e la libertà" al Priamàr, i cancelli delle prigioni della fortezza di Savona, mentre nel 2022 partecipa alla collettiva "Sensibilità geometriche" al Castello di Vigevano. Oggi Carmine Caputo vive e lavora tra Milano e Roccanova (PZ). (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Carmine Caputo di Roccanova, Catena modulare 2023, acrilico su foglia di oro
2. Carmine Caputo di Roccanova, Trasparenze su modulo bianco, 2022 acrilico e foglia di oro su tela




Dipinto a tecnica mista su tela di cm 113x168 denominato La gabbia dell'uccellino rosso realizzato da Walter Davanzo nel 2020 Dipinto a tecnica mista su tela di cm. 100x200 denominato Pic Nic realizzato da Walter Davanzo nel 2020 Walter Davanzo
"Dream on earth"


06 maggio (inaugurazione) - 18 giugno 2023
Antico Ospedale Santa Maria dei Battuti - San Vito al Tagliamento (Pordenone)
www.agostinoartgallery.it

Mostra personale di Walter Davanzo, artista di Treviso che dà vita a nuovi mondi, tra ricordo, sogno e visione. Esposizione promossa dal Comune di San Vito al Tagliamento - Assessorato alla Vitalità in collaborazione con la galleria milanese Agostino Art Gallery. Il titolo dell'esposizione - "Dream on earth" - fa riferimento ai dolori e alle costrizioni del periodo pandemico, ma anche al desiderio condiviso di libertà, unione con la natura e ricongiunzione con i propri affetti.

«Walter Davanzo - scrive Eugenio Manzato, già Direttore dei Musei Civici di Treviso - dà testimonianza del terribile primo anno di Covid 19 attraverso un intenso ciclo pittorico scandito per immagini, quasi capitoli di un visionario romanzo: prigioniero nella sua prodigiosa casa-studio, articolata come un sorprendente labirinto, ha dipinto forsennatamente per i lunghi mesi della pandemia dando forma a paure ed angosce, ma anche a riflessioni e fantasie, laddove drammaticamente efficace si è rivelato il suo personale e inconfondibile stile pittorico primitivo ed espressionista».

La sua narrazione per immagini si dipana in una sorta di laica via crucis, ispirata - talora deliberatamente, talvolta inconsciamente - a opere di grandi artisti del passato, dalla figura ieratica di San Sebastiano, che rimanda alla pittura rinascimentale di Antonello e Mantegna, alla leonardesca "Gioconda", con il volto celato in parte dalla mascherina, fino all'"Amor sacro e Amor profano" di Tiziano. E poi molteplici variazioni del "Déjeuner sur l'herbe", tema caro alla pittura francese impressionista, evocato nelle declinazioni di Monet e Renoir.

Attraverso la citazione di alcuni capolavori della storia dell'arte, Davanzo racconta la società contemporanea, la paura e la speranza, il desiderio di aria campestre e libertà, testimoniato anche da immagini di bambini, privati della bicicletta o intenti a rimirare un uccellino in gabbia. Fra le figure tragiche, si affaccia inoltre il volto sereno di Carmelo Zotti, artista di Trieste che Walter Davanzo tiene in conto di maestro, riferimento per l'arte e campione di umanità. Di opera in opera, si osserva, inoltre, l'emersione di alcuni elementi ricorrenti (simboli iniziatici e misteriosi, la croce, la casa-prigione, le orecchie da Topolino che alludono agli sconfinati territori dell'arte e della poesia), parte di una grammatica personale, costruita in anni di studio e ricerca.

Il percorso espositivo comprende una trentina di opere, tutte inedite, realizzate dal 2020 ad oggi. Tele artigianali e di scena (in alcuni casi recuperate dalla messa in scena della "Tosca" al Teatro La Fenice di Venezia), con imprimitura a gesso, lavorate dall'artista con colori ottenuti da pigmenti puri, unitamente a resine naturali, che donano al lavoro una finitura lucida.

Walter Davanzo (Treviso, 1952) è pittore, fotografo, designer, art director. Si è dedicato fin dagli anni giovanili alla fotografia e alla pittura, iniziando l'attività espositiva nel 1970 nella propria città. Dopo la maturità scientifica, si iscrive al DAMS di Bologna con indirizzo Pittura. Viaggia a lungo in Europa e in Africa, studiando le opere di Bacon, Munch, Manguin, Varlin, Matisse, Van Dogen e de Vlaminck, e rafforzando il suo interesse per i segni primitivi e il grafismo. Tra le mostre, si segnala, in particolare la personale del 2008 a Madrid, presso l'Istituto Italiano di Cultura. Collabora come art director all'Asolo Art Film Festival, Happiness, Replay, i-SENS, Rude Riders, Dhea, Meeting, Opificio Bikers, Technogel.

Progetta linee di abbigliamento (T-Shirt in omaggio a Rocky Balboa e alla Pantera Rosa, su permesso rispettivamente di MGM e Metro Goldwyn Mayer), vetrine, ristoranti, camere d'artista per luxury hotel, stand fieristici e collezioni d'arredo, tra cui una linea di mobili in nido d'ape per il Salone del Mobile di Milano, in collaborazione con Ti-Vu Plast e Colortech. Le sue opere di trovano in musei e collezioni private; la documentazione dell'attività presso l'ASAC della Biennale di Venezia e presso Ludwig Forum für Internationale Kunst Kunst Bibliothek, Aachen. L'artista è presente nel volume "Pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti" (Mondadori Electa, 2009).

L'Antico Ospedale della Confraternita dei Battuti, già presente e vivo in San Vito al Tagliamento nel 1369 come si evince da un documento, venne costruito lunghe le mura cittadine, vicino alla via di transito dove pellegrini o malati potevano facilmente fermarsi per essere accolti nell'ospizio. Come le numerose confraternite laiche attive nel Trecento, i Battuti inizialmente esercitavano le proprie pratiche di penitenza, prestando soccorso e assistenza pubblica in questa struttura. Edificio che nei secoli a seguire subì diverse modifiche con funzione comunque di ospizio fino al 1877, anno in cui l'ospedale si trasferì nell'odierno Ospedale Civile e la sede, ulteriormente trasformata al suo interno, divenne anche dimora di diversi esercizi commerciali. Oggi il luogo, con ambienti attentamente recuperati, adibito principalmente ad esposizioni, convegni o cerimonie, offre un fascino particolare, con la sua primitiva cappella affrescata (affreschi di scuola friulana, fine XIV sec.) al piano terra, i suoi tre piani e il cortile interno, dove il tempo sembra essersi fermato.

Agostino Art Gallery inaugura la propria attività nel 2022 a Milano. Uno spazio espositivo che promuove un approccio multidisciplinare all'arte contemporanea, per superare limiti e confini stabiliti. Un incubatore virtuoso, capace di riflettere la natura futuristica e aperta della metropoli italiana scelta come sede. Non solo mostre ma anche talk, presentazioni editoriali e laboratori: un nuovo salotto culturale cittadino, un crocevia di incontro, confronto, progettazione e convivialità. Nata da un'idea di Cinzia Lampariello Ranzi e Giacomo Christian Giulio Ranzi, Agostino Art Gallery prende spunto dalla passione dei fondatori per l'arte contemporanea. Un interesse che li ha portati, fin dagli anni '80, a viaggiare e a scoprire talenti internazionali entrati a far parte della loro collezione privata.

I due ideatori, uniti nella vita e nell'arte, hanno deciso di condividere anche le opere da loro acquistate nel tempo, esponendole in mostre tematiche che affrontano argomenti attuali e drammatici come la guerra, ma anche temi di costume come la capsule collection dedicata a Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Il ome scelto è un omaggio a Sant'Agostino e al suo pensiero relativo all'uomo e alla sua volontà razionale che lo portava a ritenere che la volontà fosse autonoma rispetto alla ragione. Il riferimento a Sant'Agostino sottolinea anche il sentito ritorno alla fede e alla spiritualità, condiviso da molti dopo il periodo pandemico, e abbracciato dalla Galleria anche nella promozione dell'arte moderna e contemporanea.

Nel logo della Galleria è inserito il triangolo di Penrose, tanto caro ad Escher, come omaggio a quegli "oggetti impossibili" che offrono tuttavia infinite possibilità. Allo stesso modo i due fondatori offrono esperienze culturali e incontri con artisti differenti che spaziano dalla pittura alla scultura, passando attraverso la street art e la fotografia. Opere più classiche si alternano a nuovi linguaggi artistici multimediali, lasciando spazio alle passioni dei visitatori che vengono stimolati senza alcun limite. (Comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Walter Davanzo, La gabbia dell'uccellino rosso, 2020, tecnica mista su tela cm.113x168
2. Walter Davanzo, Pic Nic, 2020, tecnica mista su tela di cm. 100x200




Dipinto a tecnica mista su tela denominato Off Limits realizzato da Giovanni Cerri nel 2022 Opera di Luo Qi della serie Note 11 di 26 Luo Qi | Giovanni Cerri
"Memory of History"


25 maggio (inaugurazione) - 16 giugno 2023
Centro Culturale di Milano

Progetto espositivo biennale ideato dagli artisti e Luo Qi e Giovanni Cerri. Dopo aver inaugurato in Cina al Ningbo Art Museum nella provincia di Zhe Jiang (14 febbraio - 14 marzo 2023), sarà contemporaneamente al The Roof Art Museum nello storico Liangzhu Village Culturale Art Centre di Hangzhou (26 maggio - 26 giugno) e al Centro Culturale di Milano.

La mostra milanese, patrocinata da Italy China Council Foundation, oltre a sottendere il valore comune ai due artisti di "sentire" il richiamo dell'arte del passato come indispensabile premessa all'espressione contemporanea, mette a confronto due stili e due linguaggi espressivi molto diversi fra loro, tenuti tuttavia insieme dalla consapevolezza comune che il linguaggio dell'arte ha una forza inclusiva assoluta e straordinaria, capace di azzerare distanze culturali e sociali.

Luo Qi (Hangzhou - provincia di Zhejiang, 1960), offre una riflessione visiva sull'eredità dell'immagine medievale e sulla sua reinterpretazione contemporanea, che rinnovi quel tipo di patrimonio iconografico e lo riporti alla luce con nuovi tratti, nuove luci e nuove tonalità. Nelle sue opere, tutte in bianco e nero, non traspare solo un'analisi dell'immagine medievale, ma una conoscenza del linguaggio, dei segni, dei gesti e dei simboli. L'approccio calligrafico di Luo Qi, che riconosce al Medioevo una grande ricchezza di contenuti, non è storico, ma iconografico: questo permette all'artista di rivisitarlo in chiave contemporanea esaltandone la ricchezza delle immagini e ricreando un suo "personale Medioevo".

Giovanni Cerri (Milano, 1969), rivisita il paesaggio urbano - sia quello riferito ad architetture di carattere storico, sia quello periferico, più "anonimo" - con l'aggiunta della tematica urgente e "mondiale" dell'emergenza climatica. Luoghi che ci appaiono sotto una nuova luce, inquietante nella sua caratterizzazione di un ambiente post-umano.

Scrive Martin A. Bradley nel suo testo in catalogo, "Giovanni Cerri di Milano e Luo Qi di Hangzhou lavorano all'interno di fuggevoli nozioni gemellate con la 'storia' e la 'memoria'. Luo Qi lavora in modo da far riferimento al passato per ri-creare immagini che hanno molto in comune con la scrittura. Giovanni Cerri riproduce immagini di un possibile passato, proiettato in quello che appare un futuro distopico. Le mostre diventano testamento della malleabilità della nozione di storia".

Luo Qi prende i suoi indizi visivi dalle immagini contenute nei manoscritti medievali e le rende sue portandole fuori contesto, ingrandendole, ricolorandole, reinterpretandole. Giovanni Cerri ci offre invece una visione drammatica del paesaggio del futuro, tuttavia molto prevedibile sulla base di ciò che sta accadendo al nostro pianeta per mano dell'uomo. In queste sue nuove opere le tendenze del presente sono percepite dall'artista come altamente negative: le tinte desolate e le pennellate che lasciano colare il colore sulla tela sono gli "avvertimenti" pittorici di quello che il cambiamento climatico sta producendo sotto gli occhi di tutti noi.

Nelle scelte dei soggetti, nei metodi di esecuzione e dello stile, Luo Qi e Giovanni Cerri sono decisamente lontani. Eppure, proprio nel mettere a confronto diversità così marcate a livello espressivo e visivo si scopre la forza dell'arte, capace sempre di dialogare proprio perché "non conosce confini", così come precisa Andrea B. Del Guercio nel suo testo in catalogo quando sottolinea i due significati su cui si fonda la dimensione culturale ed espositiva del progetto "Memory of History": "La ricerca del confronto e dello scambio tra esperienze espressive e sistemi linguistici tanto diversi ci permette di rilevare la ricchezza del patrimonio artistico contemporaneo nelle cui reciproche radici persiste la dimensione storica di grandi patrimoni estetici".

Luo Qi si è laureato presso l'Accademia delle Belle Arti di China in 1986 ed è rimasto per insegnare presso per l'Accademia da 35 anni. Vive e lavora tra Hangzhou e Lisbona, Portogallo. Editore esecutivo del Belt and Road Cultural Journal of China's Silk Road Art (Guangxi Publishing Group). Consulente del China 2020-2028 Progetto di Ricerca (dell'Università di Bologna). Consulente di progetto dell'International Conference on Portuguese Chinese Cultural Studies (Università di Aveiro, Portogallo). Presidente del Consiglio dell'AAMA International Contemporary Art Exhibition (una delle più importanti mostre d'arte del mondo, che è stata fondata da direttori di musei e professori di università di 20 paesi, ed è composta da 180 artisti riconosciuti da oltre 60 paesi. Presidente dell'Asian Art Exhibition (un'organizzazione che ha oltre 20 anni, gestita da esperti e studiosi di 12 paesi asiatici). Ha pubblicato oltre 30 volumi di studi accademici.

Giovanni Cerri ha iniziato a esporre nel 1987 e da allora ha tenuto mostre in Italia e all'estero, esponendo in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Stoccarda, Copenaghen, Parigi, San Francisco, Varsavia, Toronto, Shanghai, Ningbo, Hangzhou. Da sempre attratto dal territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale, con raffigurazioni di fabbriche dismesse, aree abbandonate e relitti di edifici al confine tra città e hinterland. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia alla 54° Edizione della Biennale di Venezia. Nel 2020 alla Casa di Lucio Fontana a Comabbio (VA) espone la mostra "Diario della pandemia.

Quaranta disegni durante l'isolamento", una selezione di opere su carta realizzate nel periodo di lockdown. Nel 2021 espone con una personale al Museo Italo Americano di San Francisco. Sue opere figurano in collezioni pubbliche, tra cui citiamo: Museo della Permanente (Milano), Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei, Museo di Villa Clerici (Milano), Museo Civico "Floriano Bodini", Gemonio (VA), Museo Italo Americano, San Francisco (USA), Ningbo Art Museum, Cina. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Ultima frontiera" per la Casa Editrice Le Lettere, Firenze, collana Atelier curata da Stefano Crespi. (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Giovanni Cerri, Off Limits, 2022, tecnica mostra su tela
2. Luo Qi, serie Note 11 di 26, 2023




Premio Termoli
63esima edizione, 27 maggio - 17 settembre 2023
MACTE - Museo di Arte Contemporanea di Termoli (Campobasso)
www.fondazionemacte.com

Giunto alla sua 63ma edizione, curata da Cristiana Perrella, il Premio Termoli è tra i più longevi del panorama artistico italiano e, dalla sua prima edizione nel 1955, ha consentito la creazione di una ricca collezione di opere d'arte, affidata alla Fondazione Macte nel 2019. Il Premio, articolato nelle sezioni Arti Visive e Architettura e Design, presenta per la Sezione Arti Visive una mostra di dodici artisti contemporanei, selezionati da un comitato curatoriale composto quest'anno da Davide Ferri, Alessandro Rabottini, Bruna Roccasalva e Alessandra Troncone. Verranno inoltre assegnate delle menzioni speciali, annunciate al termine della mostra, al progetto architettonico e all'opera che avranno ricevuto il maggior numero di consensi da parte dei visitatori.

Tra quelle dei partecipanti - Luca Bertolo, Lorenza Boisi, Giulia Cenci, Diego Cibelli, Chiara Enzo, Irene Fenara, Linda Fregni Nagler, Adelita Husni-Bey, Luca Monterastelli, Valerio Nicolai, Eugenio Tibaldi e Michele Tocca - la giuria sceglierà l'opera vincitrice che entrerà nella collezione del MACTE con la modalità del premio acquisto. La giuria della Sezione Arti Visive è composta da Cristiana Perrella, Caterina Riva, direttrice del MACTE, e Francesco Stocchi, curatore del Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam.

Per la Sezione Architettura e Design è stata attivata una call internazionale per la progettazione del layout e degli elementi di arredo della futura biblioteca del museo MACTE. Le sei proposte progettuali più meritevoli, che saranno presentate in mostra, sono state scelte dalla giuria composta da Cristiana Perrella, Federica Sala, curatrice e design advisor, Marco Rainò, architetto, designer e curatore, e Paolo De Matteis Larivera, Presidente della Fondazione MACTE.

I finalisti sono: BB (Milano), Chiara Cavanna-Isabella Ciminiello-Simone Nardi (Torino), thehighkey (New York), Matilde Cassani Studio (Milano), Ortiz + Zhou_O+R Studio (Siviglia) e Sara&Sara (Ljubljana). Per il progetto vincitore, oltre al conferimento di un premio in denaro, si valuterà l'effettiva realizzazione negli spazi del museo. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Opera di Philippe Decrauzat in mostra alla Galleria Invernizzi di Milano Philippe Decrauzat
"Feedback Loop"


11 maggio (inaugurazione) - 19 luglio 2023
Galleria A arte Invernizzi - Milano
www.aarteinvernizzi.it

Prima personale dedicata a Philippe Decrauzat negli spazi della galleria. Dalla fine degli anni Novanta, l'artista intende spingere la percezione oltre i confini dell'immagine e attraverso la sua ricerca mira a stabilire un dialogo con il visitatore e a stimolarne lo sguardo. Al piano superiore della galleria sarà presentata la serie di dipinti intitolata "Still (Times Stand)", che si appropria del principio della "tela sagomata" per descrivere un motivo ambiguo, la croce maltese. Liberamente interpretata, questa struttura deduttiva offre una gamma di variazioni pittoriche basate su una combinazione di tinte realizzate con gesso e diverse tonalità di pittura bianca.

Ma la croce di Malta è anche il nome del dispositivo cinematografico che permette di introdurre una pausa nel movimento continuo della pellicola, rendendo possibile la proiezione di un fotogramma dopo l'altro. Le tele che compongono "Still (Times Stand)" colgono così un momento di ritardo nel passaggio dal fisso al continuo. Nello spazio inferiore saranno esposti i dipinti della serie "Feedback Loop", che si sviluppano e condividono, di volta in volta, una linea bianca su uno sfondo nero o a colori che descrive una traiettoria. La materialità della cornice e le ombre prodotte sono al centro del dipinto e registrano uno spazio esponendone l'interno. Lo sguardo è costretto, effettua questa lettura, preso in un circuito di retroazione, senza fine, tra i pieni e i vuoti.

Una relazione ottica che è una proposta, quella di far viaggiare l'occhio su una superficie tagliata all'estremo, un tipo di viaggio che richiama una storia di forme derivate dal corpo; labirinti, spirali, ornamenti... In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue contenente un saggio di Giorgio Verzotti, la riproduzione delle opere in mostra e un aggiornato apparato bio-bibliografico. (Comunicato stampa)




Dipinto realizzato da Stefano Di Stasio, un uomo e una donna al tramonto sul bordo di una strada mentre alla loro sinistra sulla strada passa un autobus Stefano Di Stasio
"Losco Sacro"


25 maggio (inaugurazione) - 25 luglio 2023
Galleria Alessandro Bagnai - Firenze
www.galleriabagnai.it

Mostra personale di Stefano Di Stasio, curata da Vittoria Coen. Losco Sacro è il titolo anche di uno dei lavori di grandi dimensioni che saranno esposti. I capolavori, realizzati in olio su tela appositamente per la mostra, confermano l'incisivo contributo che Di Stasio ha dato e continua a dare da molto tempo alla valorizzazione della pittura rivisitata in chiave concettuale, così come nello stesso tempo, hanno fatto altri grandi artisti in Europa e negli Stati Uniti. In risposta all'estenuarsi, alla fine degli anni settanta, di quella linea del rifiuto di dipingere in favore di esperienze legate maggiormente alla performance e all'installazione, la risposta di un gruppo di artisti, chiamati Anacronisti e/o Ipermanieristi, è stata quella di virare verso un recupero del "fare", inteso come avventura intellettuale che guarda anche alla tradizione pittorica italiana.

La tecnica ad olio si sposa, dunque, con la contemporaneità, e guarda oltre le barriere dei preconcetti. Per Di Stasio, è il "come" ciò che conta, cioè una corrispondenza tra forma e contenuto, e si sviluppa in un mistero interpretativo che l'artista stesso è restio a svelare. Sogni, visioni, ricordi di vita, si intrecciano e lasciano al pubblico una libertà di interpretazione immediata e coinvolgente. Lotta notturna, Responso, Habitat, Siste viator, sono alcuni dei titoli che evocano proprio questo indirizzo creativo nel quale figure che possono ricordare autoritratti, personaggi del mito, i suoi affetti, si intrecciano e dialogano con la natura, con architetture urbane, oggetti, infine, quelle geometrie che hanno costituito gli esordi della sua carriera, e che, oggi, Di Stasio, ha nuovamente inserito nella sua recente ricerca. (Comunicato stampa)




Gianni Colombo con Spazio elastico realizzato nel 1970 in una foto di Oliviero Toscani Gianni Colombo
"A Space Odyssey"


12 maggio - 17 luglio 2023
GióMarconi - Milano
www.giomarconi.com

Retrospettiva, a cura di Marco Scotini, dedicata all'artista milanese in occasione del trentesimo anniversario dalla sua scomparsa. La mostra intende mettere a fuoco la particolare drammaturgia spaziale che connota il suo lavoro, a partire da un confronto con il colossal fantascientifico di Stanley Kubrick del 1968. Considerato uno dei maggiori esponenti dell'arte cinetica e ambientale internazionale, Gianni Colombo fa del vincolo tra spazio e corpo il catalizzatore di tutti i suoi interessi di ordine plastico. Attraverso l'uso di flash luminosi, di oggetti in movimento, di ambienti immersivi e il ricorso a elementi architettonici isolati, l'artista realizza dispositivi spaziali perturbanti in grado di disorientare le forme percettive acquisite e di decostruire i codici dei comportamentali ordinari.

Compito della mostra è focalizzarsi sulle sfide dell'artista alla gravità e sulla sua idea di piano inclinato: aspetto condiviso con molta danza contemporanea coeva, da Yvonne Rainer a Simone Forti. Dalle sue primissime opere in ceramica Costellazioni Intermutabili del 1960 si arriva alle strutture metalliche sospese e in movimento, Spazi Curvi, degli anni '90, passando per la ricostruzione di alcuni ambienti fondamentali (Bariestesia 1973 e Topoestesia 1977), attraverso cui restituire parte della storia dello Studio Marconi.

In sostanza, la mostra intende essere un viaggio all'interno di una strana macchina spaziale, in compagnia di un equipaggio del tutto eccezionale (da Vincenzo Agnetti a Ugo Mulas, da Joe Colombo a Livio e Piero Castiglioni e Maria Mulas). Un viaggio in grado di mettere in discussione la sicurezza delle nostre coordinate cartesiane. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagine: 1. Gianni Colombo con Spazio elastico, Cubo, 1970 c. Photo Oliviero Toscani, Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano




Opere di Albert Renger-Patzsch, a sinistra, e di Ruth Hallensleben Albert Renger-Patzsch | Ruth Hallensleben
a dialogue


29 aprile (inaugurazione) - 08 ottobre 2023
spazio Rolla.info - Bruzella (Svizzera)
www.rolla.info

Le quaranta fotografie, scattate tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Ventesimo secolo, appartenenti alla collezione Rolla, mettono a confronto due autori già presentati in passato, con una nuova lettura. Entrambi tedeschi, coetanei e che lavoravano prevalentemente nello stesso ambito, la fotografia industriale. Albert Renger-Patzsch gode di una fama internazionale, Ruth Hallensleben è ancora da scoprire. Le ragioni sono diverse a partire dal fatto che il primo sviluppa anche una ricerca personale, la seconda lavora quasi sempre su commissione. Urs Stahel nel testo introduttivo indaga anche altri fattori, condizionamenti sociali e sottolinea: Nella selezione non si notano quasi differenze di atteggiamento, né di qualità. Anche se, pure in questo caso, si trovano contrapposte commissione e fotografia libera.

Albert Renger-Patzsch (Germania - Würzburg, 1897 - Wamel, 1966) inizia a fotografare all'età di dodici anni. Dopo il servizio militare e durante la Prima guerra mondiale, studia chimica al Dresden Technical College. Nei primi anni del 1920 lavora come fotografo per il Chicago Tribune, prima di diventare un libero professionista. Nominato professore e capo del dipartimento di fotografia pittorica della Folkwangschule di Essen, lascia la carica dopo soli due semestri a causa dell?oppressione nazista.

Ruth Hallensleben (Germania - Colonia, 1898 - Colonia, 1977) nel 1931 trova impiego come praticante presso Elsbeth Gropp, famosa fotografa ritrattista e di moda. Nel 1934 apre il suo studio. Dopo una iniziale formazione come ritrattista, si dedica alla fotografia industriale. Il suo lavoro, oltre che visione poetica e prova tecnica, è una testimonianza del periodo storico in cui ha vissuto, la Germania del XX secolo.

Urs Stahel è scrittore, curatore, docente e consulente freelance. Curatore del MAST - Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia - di Bologna, consulente della collezione di fotografia industriale del MAST, consulente di Foto Colectania, Barcellona, e della Collection of Art Vontobel, Zurigo. È cofondatore del Fotomuseum Winterthur, di cui è stato direttore e curatore dal 1993 al 2013. (Comunicato stampa)




Fotografia scattata da Robert Capa che ritrae una folla di persone ripresa di spalle Robert Capa
L'opera 1932-1954


06 maggio - 24 settembre 2023
Centro Saint-Bénin - Aosta

Robert Capa nasce nel 1913 a Budapest; in gioventù si trasferisce a Berlino, dove inizia la sua grande carriera di fotoreporter che lo porterà a viaggiare in tutto il mondo. Nel 1947 fonda con Henri Cartier-Bresson e David Seymour la celebre agenzia Magnum Photos. Esposte oltre 300 opere, selezionate dagli archivi dell'agenzia Magnum Photos, che copriranno in modo esaustivo la produzione del celebre fotografo, dagli esordi del 1931 alla morte avvenuta nel 1954 in Indocina. Mostra a cura di Gabriel Bauret.

"La mostra - anticipa la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz - consente di ripercorrere tutte le fasi della straordinaria carriera di Robert Capa, riservando un'attenzione particolare ad alcune delle sue immagini più iconiche, che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. L'esposizione si propone di evidenziare le molteplici sfaccettature dell'opera di un autore passionale e in definitiva sfuggente, instancabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esitava a rischiare la vita per i suoi reportages".

Scrive Gabriel Bauret in catalogo: "Il suo posto nella storia della fotografia potrebbe essere paragonato a quello di Robert Doisneau, ma il paragone si ferma qui: tanto Capa è un eterno migrante, dallo spirito avventuroso, quanto Doisneau è un sedentario che nutre la sua fotografia con i soggetti che sa scovare a Parigi e nelle sue periferie".

Al Centro Saint-Bénin di Aosta il visitatore potrà ammirare le immagini di guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa, ma non solo. Nei reportages del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama "tempi deboli", contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni. I tempi deboli ci riportano all'uomo, Endre Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, al suo percorso personale dall'Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l'empatia del fotografo rispetto ai soggetti ritratti, soldati ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto.

Di lui così scrisse Henri Cartier-Bresson: "Per me, Capa indossava l'abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all'apice della sua gloria".

A rendere la rassegna ancora più intrigante è la possibilità che essa offre di ammirare l'utilizzo finale delle immagini di Capa, ovvero le pubblicazioni dei suoi reportages sulla stampa francese e americana dell'epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l'impegno politico, la guerra. Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un'intervista di Capa a Radio Canada. (Estratto da comunicato stampa Studio Esseci)




Locandina della mostra di Carla Accardi al Museo Correr di Venezia Carla Accardi
"Gli anni Settanta: i lenzuoli"


28 aprile - 29 ottobre 2023
Museo Correr - Venezia

"L'iniziativa del Museo Correr - afferma la dirigente Area Attività Museali e co-curatrice della mostra Chiara Squarcina - cade a ridosso del centenario della nascita dell'artista che, pur avendo vissuto a Roma, ha stabilito, nel corso della propria esistenza, un legame costante con Venezia, sia a livello individuale che professionale. Tra l'altro, nel 1948 ha esordito alla Biennale facendovi ritorno nel 1964 (sala personale introdotta in catalogo da Carla Lonzi), 1976, 1988 (sala personale) e nel 1993 comparendo anche nell'edizione del 2022. Opere, foto ed altro materiale documentario attestano il suo rapporto con la città lagunare compresa una immagine del 1952 quando, in occasione di una mostra alla Galleria del Cavallino, visitò col marito, l'artista Antonio Sanfilippo, e Tancredi Parmeggiani la collezione Guggenheim".

Il progetto veneziano a cura di Pier Paolo Pancotto (in collaborazione con l'Archivio Accardi Sanfilippo, Roma) in quanto omaggio e non mostra antologica, presenta, sotto forma di installazione, una ristretta selezione di lavori posti in dialogo con gli ambienti storici del museo, in particolare quelli della Sala Quattro Porte posta lungo il percorso della Quadreria allestita da Carlo Scarpa. Si tratta dei Lenzuoli, un ciclo di opere avviato negli anni Settanta del 900 raramente visibile nel suo insieme e che, pur nella sua specificità visiva e semantica, risulta del tutto indicativo della ricerca dell'artista e, a suo modo, riassuntivo del suo percorso creativo.

"Varie ragioni - annota il curatore della mostra, Paolo Pancotto - rendono Carla Accardi (Trapani, 1924 - Roma, 2014) una delle figure più significative dell'arte del XX secolo. Nel secondo dopoguerra ha contribuito all'affermazione dell'arte non figurativa in Italia promuovendo - unica donna in un consesso interamente maschile - il gruppo Forma (1947); negli anni Cinquanta ha sviluppato la poetica del segno affermandosi tra i protagonisti dell'Art autre di Michel Tapié; nel decennio seguente ha introdotto l'uso di un inedito materiale plastico trasparente, il sicofoil, ed ha abbandonato le tempere a favore di vernici colorate e fluorescenti aprendo la sua ricerca ad effetti optical e ambientali.

Superati i Settanta, segnati da un marcato impegno nelle attività sociali e nel femminismo (con Carla Lonzi e Elvira Banotti nel 1970 è stata tra le fondatrici di Rivolta femminile), ha attraversato gli anni 80 e 90 del Novecento ed è approdata al nuovo Millennio con un rinnovato interesse per la pittura sviluppando costantemente il proprio linguaggio fatto di segni e giustapposizioni cromatiche. (Comunicato stampa Studio Esseci)




Dipinto in acrilico su tela realizzato da Alan Gattamorta nella mostra Notturni "Notturni"
23 aprile - 25 giugno 2023
www.alangattamorta.it

Sul sito antologico, il pittore Alan Gattamorta presenterà una rassegna di 20 acrilici su carta.






Jan Muche: Die perspektive ist klar
Julia Carrillo, Davide Dileo, Florence Henri, Urs Lüthi, Silvia Margaria: Relazioni spaziali


17 aprile (inaugurazione) - 17 giugno 2023
A Pick Gallery - Torino
www.apickgallery.com

Le opere di Jan Muche (Herford, Germania, 1975) mostrano una sovrapposizione di strutture ed evidenziano la tensione composta da molteplici palette di colori contrastanti. Crea uno schema di colori, lo stratifica e lo cancella per poi rimodularlo con tonalità più chiare o più scure. In questo modo produce strati di patina che rivelano un processo di invecchiamento, come la patina data dalla fuliggine, tipica di Berlino. La patina, nel suo dare un senso di logoramento all'opera, è un fenomeno che interessa molto Muche, perchè fa si che un'opera contemporanea possa apparire come se fosse appesa da anni al muro di una casa. Dichiara un senso di atemporalità, di espressione indefinita.

Tra le ultime serie vi sono diversi lavori su carta, supporto che lo attira per la reazione dei colori, completamente diversa dalla tela. Si tratta di opere architettoniche ispirate a vecchie strutture ed edifici industriali, con uno stile di colorazione particolare, alcuni di essi piuttosto scuri e cupi. Si tratta di palette di colori che gli hanno permesso di catturare le atmosfere di Berlino Est, dove molte architetture presentano toni vagamente mediterranei del beige e del marrone. Die perspektive ist klar include opere con geometrie delineate da visioni ardite di architetture, ponteggi e gru e lavori in cui i volti di personaggi, più o meno famosi, si alternano. In entrambe le serie il colore è protagonista e conferisce una caratterizzazione del tutto riconoscibile alla ricerca di Jan Muche.

La collettiva Relazioni spaziali, fortemente legata alle ardite prospettive di Jan Muche, indaga lo spazio attraverso la presenza di forme e volumi puri, della loro relazione con la superfice stessa e con ciò che la attraversa o vi entra in contatto, che sia l'uomo o qualcosa da lui generato. Architetture, geometrie e la loro percezione rispetto all'uomo sono il focus di questa collettiva transgenerazionale. Attraverso le opere degli artisti proposti si analizzano gli spazi in relazione alla presenza dell'uomo, come nel caso di "Un'isola nell'aria" dove Urs Lüthi (Kriens, 1947): fotografie di spazi domestici abitati esclusivamente da mobili che compongono un puzzle d'identità, grazie anche ai ritratti dell'artista appesi alle pareti.

Troviamo Urs Lüthi in primo piano, come dei tasselli che ricompongono una diversa versione di sé stesso in una architettura sfaccettata. Oppure in assenza della presenza umana - che diventa mera spettatrice - come nel caso di Florence Henri (New York, 1893 - Compiègne, 1982) che con un gioco di ombre induce l'osservatore a interpretazioni incerte di un'architettura quasi anonima. Con la serie Strùere: Silvia Margaria (Savigliano, Cuneo, 1985) presenta opere che accostano immagini di natura con costruzioni architettoniche. Da una parte rifugi precari sul letto del fiume Ombrone in Toscana, dall'altro immagini di costruzioni tratte da diapositive del suo archivio di "immagini abbandonate". Le affinità compositive e geometriche sono numerose e creano un interessante gioco di rimandi formali.

Julia Carrillo (Città del Messico, 1987) con la serie Coreografías propone alcune rayografie dove la luce, colpendo oggetti geometrici traslucidi, si dispiega e rimbalza. Il cambio di angolazione della luce genera nuove visioni, così semplici strutture geometriche posizionate sulla carta foto-sensibile si animano dando vita a una partizione di spazi e volumi. A chiudere questa narrazione astratta di forme e colori, la serie fotografica The Army di Davide Dileo (Torino, 1974) propone una visione geometrica della musica, in una sequenza rigorosa di forme e profili originati da una collezione di vinili dell'artista. Come una carta d'identità le opere raccontano la vita dell'artista e ne tracciano un profilo chiaro e ricco di passione. (Comunicato stampa)




Locandina della rassegna Fotografia Europea 2023 Fotografia Europea 2023
"Europe matters: visioni di un'identità inquieta"


XVIII edizione, Reggio Emilia, 28 aprile - 11 giugno 2023

Lo sguardo di questa attesa XVIII edizione di Fotografia Europea è diretto verso la più stretta attualità, dove le radici della nostra identità individuale e sociale vengono messe costantemente alla prova. E' il tema a cui fanno riferimento i progetti selezionati dalla direzione artistica del Festival, composta da Tim Clark (editor 1000 Words & curator Photo London Discovery), Walter Guadagnini (storico della fotografia e Direttore di CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia), e Luce Lebart (storica della fotografia, co-autrice del fondamentale volume Une histoire mondiale des femmes photographes, curatrice di mostre e ricercatrice sia per la Collezione dell'Archive of Modern Conflict che in modo indipendente).

Da una riflessione sull'idea di Europa e sugli ideali che la costituiscono, le mostre mettono in luce domande sulla condizione attuale del mondo multiculturale e globalizzato che viviamo, un mondo in cui l'Europa non esercita più, ormai da tempo, quell'egemonia spirituale e materiale che per secoli le è stata riconosciuta. Gli artisti tracciano quindi, attraverso il medium fotografico, le linee dinamiche e incerte di un'identità sempre più mobile e variegata, con l'obiettivo di dare senso all' inquietudine che la attraversa.

Come sempre le sale dei monumentali Chiostri di San Pietro saranno il fulcro del festival, ospitando dieci esposizioni. Al primo piano, Mónica De Miranda mette in discussione le nozioni standard di identità basate sulle categorie di razza e genere con il progetto The Island che svela, attraverso una contro-narrazione costruita dalle biografie di uomini e donne di origine africana che vivono in Portogallo, i pregiudizi radicati nella società. Nella sala successiva Güle Güle (arrivederci in turco) è la personale rappresentazione di Istanbul e dei profondi cambiamenti che stanno interessando la società turca attraverso lo sguardo di Jean-Marc Caimi & Valentina Piccinni. Documentando le comunità emarginate, questi scatti rivelano quel substrato umano che, secondo i due fotografi, rappresenta l'espressione più sincera di ogni luogo, oltre la superficiale "facciata" sociale comunemente accettata.

A seguire il progetto di Simon Roberts, Merrie Albion, fotografa il Regno Unito offrendo spunti di riflessione indispensabili sulle nozioni di identità e appartenenza e su cosa significhi essere britannici in questo momento cruciale della storia contemporanea. In mostra anche The Brexit Lexicon, un'opera video in due parti che riporta i termini più comuni che hanno caratterizzato le discussioni sulla Brexit in politica e nei media. The Archive of Public Protests con You will never walk alone raccoglie, invece, le tracce visive dell'attivismo sociale, di tutte quelle iniziative di massa che si oppongono alle decisioni politiche, alle violazioni delle norme democratiche e dei diritti umani.

Alessia Rollo, fotografa italiana di origini pugliesi, parla nel suo progetto multimediale Parallel Eyes di un viaggio alla scoperta degli antichi riti del Sud, restituendo all'osservatore il mistero della magia e delle forze ancestrali che legano la natura all'uomo e ai suoi simili. Nelle sue fotografie, Rollo ricostruisce l'identità culturale dell'Italia meridionale con tecniche di manipolazione analogiche e digitali, che introducono in un universo re-incantato, evocativo e spirituale, attingendo ad un patrimonio rituale tuttora vivente e sganciandolo contemporaneamente da quegli stereotipi culturali creati decenni fa dal neo-realismo.

Samuel Gratacap torna a Reggio Emilia con Bilateral, un lavoro inedito sul paesaggio visto da entrambi i lati del confine e attraverso la voce delle persone che quel confine cercano di attraversare. Il progetto si concentra anche su coloro che lottano per rendere il mondo meno violento, mobilitandosi nei luoghi in cui vivono e, parallelamente, sui decisori, i responsabili di quelle disposizioni che tutti subiranno, invisibili, intercambiabili, senza volto ma padroni della loro immagine.

Il progetto fotografico Odesa dell'ucraina Yelena Yemchuk è l'ode visiva alla città che da sempre l'ha affascinata per la libertà di cui godeva durante l'epoca sovietica. Dopo averla visitata per la prima volta nel 2003, Yemchuk è tornata a Odesa nel 2015 per documentare i volti dei ragazzi e delle ragazze di sedici e diciassette anni dell'Accademia militare: il conflitto al confine orientale iniziato un anno prima l'ha convinta ad ampliare il progetto immortalando anche il contesto di vita di quei volti che si sarebbero trovati, di lì a poco, al fronte.

Un'esplorazione antropologica spinge il francese Geoffroy Mathieu a seguire i raccoglitori, persone che, ai margini delle aree coltivate o negli spazi incolti, vivono dei prodotti che la natura in modo spontaneo continua a offrire seppur in paesaggi danneggiati e precari. Il progetto fotografico che ne deriva, L'Or des ruines, racconta quindi di una sussistenza alternativa che vede nella ricerca di frutti e piante medicinali un nuovo modo di vivere in un mondo comune e scopre una possibile economia costruita sulla condivisione delle risorse spontanee della terra.

Cédrine Scheidig esplora, nel lavoro intitolato De la mer à la terre, le narrazioni personali dei giovani, in Francia e in Martinica, nel processo di scoperta di sé, aprendo al contempo spazi di riflessione su temi politici come il passato coloniale, l'ibridazione culturale, le mascolinità moderne e la migrazione. Lo fa mettendo in dialogo due serie recenti, It is a Blessing to be the Color of Earth (2020), che ritrae la diaspora afro-caraibica nella periferia parigina e Les mornes, le feu, iniziata nel 2022 a Fort-de-France, in Martinica, in cui l'artista rivela le connessioni tra due territori e gli immaginari dei loro abitanti.

La mostra storica di questa edizione sarà ospitata nelle sale affrescate del piano terra dei Chiostri di San Pietro e sarà dedicata a Sabine Weiss, una tra le più importanti voci della fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau. Scomparsa nel 2021 all'età di 97 anni, Weiss ha esercitato questa professione per tutta l'arco della sua vita e abbracciato ogni campo della fotografia, immortalando emozioni e sentimenti dei suoi soggetti, indugiando sui loro gesti e sul rapporto che ogni volta riusciva ad instaurare con essi e da cui scaturiva la vera potenza dell'immagine. Attraverso foto d'archivio e numerosi documenti e riviste dell'epoca, la mostra Sabine Weiss. Una vita da fotografa a cura di Virginie Chardin, ripercorre l'intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 fino agli anni '80.

Mattia Balsamini, uno dei due vincitori dell'Open Call di Fotografia Europea, con Protege Noctem - If Darkness disappeared documenta un'altra battaglia rivoluzionaria nella guerra ecologica in atto in questa era, quella della difesa dell'oscurità. Per raccontarlo, porta nelle sue immagini l'alleanza che scienziati e cittadini hanno formato per mobilitarsi contro la scomparsa della notte e delle sue creature. Balsamini immortala il cielo notturno diventato un mosaico appannato, dimostrando come sia il mondo naturale sia il ciclo circadiano dell'uomo siano fortemente danneggiati dall'ostruzione dell'oscurità notturna causata dallo spettro rilasciato da miliardi di luci artificiali che abbagliano l'ecosistema.

Camilla de Maffei, anche lei vincitrice della Open Call, presenta Grande Padre, un progetto a lungo termine che, partendo dal caso particolare albanese, invita a riflettere sul rapporto globale tra individuo, società e potere. Il processo di ricerca, cominciato nel 2018 e realizzato in collaborazione con il giornalista Christian Elia, propone un'immersione nell'Albania contemporanea e si pone l'obiettivo di esplorare le implicazioni e le conseguenze dell'ascesa e del crollo di un regime, evidenziando le cicatrici che questo processo di transizione ha impresso nella società, documentando anche quello strano senso di vuoto che la libertà, riacquisita dopo quarantacinque anni di regime totalitario e capillare (il riferimento è alla dittatura di Enver Hoxha - una delle più feroci dell'età contemporanea), porta con sé.

Nella sede di Palazzo da Mosto trovano posto le opere fotografiche provenienti dalla collezione di Ars Aevi che celebrano la Bosnia Erzegovina come Paese Ospite di questa edizione del festival. Parziale anagramma della parola "Sarajevo", Ars Aevi ("arte dell'epoca" in latino) è un progetto, unico nel suo genere, di museo di arte contemporanea creato dalla volontà collettiva e di cooperazione etica di importanti artisti internazionali, curatori e musei di arte contemporanea, che hanno donato le proprie opere a Sarajevo durante la guerra, per sostenere la città stretta dall'assedio ed accompagnarne la rinascita civile, etica e culturale. Ars Aevi presenta parte della sua importante collezione fotografica a Fotografia Europea 2023, a testimonianza di quella capillare rete internazionale di amici, partner e sostenitori che credono nell'importanza e nei valori morali, estetici e di sviluppo di cui l'arte contemporanea è portatrice.

Al piano terra della stessa sede, Ariane Loze, artista belga, presenta Utopia e Studies and Definitions, due di quattro video realizzati tra aprile 2017 e ottobre 2018 per riflettere sull'Europa. Nel primo l'artista, vestita con un impermeabile giallo in un teatro blu, dà forma ad un dialogo a quattro su temi fondanti come l'essere comunità, il sentirsi rappresentati, la ricerca del bene comune e, infine, l'immaginazione di un'utopia. In Studies and Definitions, invece, assistiamo a un dibattito che nasce dalla lettura della prima pagina della versione consolidata del Trattato sull'Unione Europea, il tutto concepito da Ariane Loze per confrontarsi con i testi esistenti.

Ad abbracciare il festival, numerose altre mostre partner che gravitano intorno ad esso, organizzate dalle più importanti istituzioni culturali cittadine e ospitate nei loro spazi. La fototeca della Biblioteca Panizzi parteciperà all'edizione del 2023 con Flashback, una selezione di opere fotografiche tra quelle esposte durante il festival Fotografia Europea del 2007, edizione anch'essa incentrata sul tema dell'Europa in rapporto con le sue città. Questa piccola "antologica" dell'edizione del 2007, riproponendo la questione europea a distanza di oltre 15 anni, può essere fonte di nuove considerazioni sul nostro recente passato e stimolare riflessioni aggiornate alla luce dei recenti e dirompenti avvenimenti.

In Biblioteca Panizzi è inoltre presentata un'altra mostra collegata a Fotografia Europea, Alberto Franchetti e la fotografia, che espone parte della recente donazione fatta dalla famiglia Ponsi sul patrimonio di fotografie scattate da Alberto Franchetti e che mette in luce l'interesse del musicista e compositore per il media fotografico, inteso come linguaggio della modernità tout court. Interessante è il suo sguardo, le inquadrature, i giochi di luce che testimoniano non solo la sua attenzione ma anche la sua sensibilità nei confronti del mondo che lo circondava, fatto di momenti intimi e di paesaggi struggenti.

A un anno dalla scomparsa di Roberto Masotti e in occasione della riedizione del volume You Tourned the Tables On Me, lo Spazio Gerra propone 115 ritratti dei più noti musicisti contemporanei di tutto il mondo, tra cui John Cage, Philip Glass, Brian Eno, Steve Reich, Michael Nyman, Demetrio Stratos e molti altri. In questa serie di ritratti il tavolino assume la valenza di un palcoscenico su cui ognuno dei musicisti ha la possibilità di mettere in scena sé stesso, in molti casi con il medesimo spirito di sperimentazione che lo caratterizza nella musica.

Collezione Maramotti presenta No Home from War: Tales of Survival and Loss, prima mostra in Italia del fotogiornalista inglese Ivor Prickett. Con oltre cinquanta fotografie scattate in scenari di conflitto dal 2006 al 2022, No Home from War rappresenta la più ampia esposizione sul lavoro di Prickett fino ad oggi. Il fotografo ha iniziato a occuparsi di Europa e di Medio Oriente con l'urgenza di restituire e denunciare gli effetti delle guerre sulla popolazione civile, sulle vite delle persone devastate e sradicate, a prescindere dall'appartenenza all'uno o all'altro schieramento. Partendo da una dimensione intima e domestica delle conseguenze sociali e umanitarie dei conflitti nel lungo periodo (Croazia, Abkhazia), Prickett si è spostato nei luoghi di migrazione forzata, nelle terre di ricercato rifugio (Medio Oriente ed Europa), fino a giungere in zone di combattimento.

CSAC - Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell'Università degli Studi di Parma propone la mostra Antonio Sansone: Rituali d'Europa. Il fotoreporter Antonio Sansone (Napoli, 1929 - Farfa Sabina, 2008) è stato uno dei più significativi esponenti del fotogiornalismo di impegno civile del secondo dopoguerra. Attraverso i suoi scatti restituisce un ritratto spesso inatteso del secondo Novecento europeo, dove al rigore dell'antropologo si affianca la sensibilità e l'empatia di un narratore. Le vivide indagini su Napoli, i volti e i rituali della politica italiana spesso colti con accenti salaci, ma anche il racconto indocile dei paesi di "oltrecortina", dove ai rituali delle ufficialità, che scopriamo non così differenti da quelli dell'altro occidente, Sansone accosta indagini sulla quotidianità, sui fermenti che percorrevano l'Europa, dall'Irlanda alla Francia, all'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Romania. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Dipinto a olio su tela denominato I giochi siciliani, una scena dell'Eneide realizzato da Giovanni Francesco di Niccolò di Luteri detto Dosso Dossi Dosso Dossi
Il fregio di Enea


04 aprile - 11 giugno 2023
Galleria Borghese - Roma

Mostra inedita - la prima dedicata al ciclo pittorico del grande Maestro ferrarese - a cura di Marina Minozzi. Per la prima volta vengono riunite in un'unica sede cinque delle dieci tele che componevano il fregio realizzato da Dosso Dossi tra il 1518 e il 1520 per il Camerino d'Alabastro del Duca Alfonso I d'Este a Ferrara. Il Fregio, di cui ad oggi sono state ritrovate soltanto sette tele, è stato realizzato da Dosso Dossi traendo ispirazione da alcuni episodi specifici del poema virgiliano tratti dal primo, terzo, quinto e sesto libro, tralasciando invece la parte dedicata alla storia d'amore dell'eroe con Didone, quella delle guerre in Italia e la fondazione di Roma. Commissionato da Alfonso I per il suo camerino delle pitture, dove vicende di Bacco e Venere (madre di Enea) si mescolano all'esaltazione della temperanza nei governanti e la celebrazione di chi si dedica alla fondazione di città, il ciclo è legato in modo complesso e diversamente interpretato agli altri dipinti allora presenti di Bellini, Tiziano edello stesso Dosso.

In mostra, accanto a Il Viaggio agli Inferi dal libro VI, appartenente a una collezione privata, La peste cretese dal libro III e Giochi siciliani in memoria di Anchise e fondazione di una città in Sicilia dal libro V provenienti dal Louvre Abu Dhabi, Arrivo dei Troiani alle isole Strofadi e attacco delle Arpie dal libro III proveniente dal Museo del Prado di Madrid, La riparazione delle navi troiane; la costruzione del tempio di Venere a Erice e offerte alla tomba di Anchise, originariamente un'unica tela. Queste tele, in cui la vena fantastica e immaginifica di Dosso viene esaltata dalle storie della poesia antica, sono caratterizzate da colorivibranti, un'affascinante eccentricità e composizioni originali, che le rendono un esempio brillante della creatività dell'artista, e di quell'ambiente artistico ferrarese cinquecentesco che acquista nuova vitalità nella grande stagione del Barocco.

Il Fregio di Enea arriva nella collezione di Scipione Borghese nel 1608 per rimanervi documentato fino alla fine del Settecento ed è acquistato dal pittore e direttore del Prado Josè de Madrazo (1781-1859) probabilmente durante il soggiorno romano (1803-1819); è lo stesso de Madrazo, nel catalogo del 1856 della sua collezione, a descrivere il ciclo pittorico come quello che correva sopra I Baccanali di Tiziano nel camerino delle pitture del Castello di Ferrara. Per Scipione - che, oltre a essere proprietario anche del dipinto Enea che fugge da Troia di Federico Barocci, nel 1618 commissionò a Gian Lorenzo Bernini il suo primo gruppo scultoreo, Enea, Anchise e Ascanio - la vicenda di Enea come fondatore di Roma e di un nuovo impero aveva un profondo significato, legato all'esistenza del pontificato e al suo rapporto con la città.

Il fregio, depurato dall'autore degli effetti negativi della passione amorosa e della guerra, offre Enea nella sua accezione più positiva: eroe e uomo incarnazione della pietas romana, che aveva trasformato il dolore dell'esilio in un'impresa che avrebbe riscritto il suo destino e quello del mondo. Nei dipinti di Dosso Dossi è presente una sorta di paesaggio universale, un campionario di elementi: le coste, il mare, le colline, le città in costruzione, il paesaggio infernale, che Enea osserva scendendo nel mondo ultraterreno. Nello stesso tempo l'eroe in viaggio verso la fondazione di una nuova patria, sottolinea la centralità di Roma, nel Cinquecento e nel Seicento, per gli artisti europei. Con questa mostra, infatti, la Galleria Borghese conclude il percorso intrapreso nel 2021, dedicato al paesaggio, per aprire un nuovofilonediricerca dedicato al viaggio e allo sguardo degli artisti stranieri sull'Italia. (Estratto da comunicato stampa)

Immagine:
Giovanni Francesco di Niccolò di Luteri, detto Dosso Dossi, I giochi siciliani, una scena dell'Eneide, olio su tela




Dipinto di Carla Berton Carla Berton
Opere


22 aprile (inaugurazione) - 15 giugno 2023
MUSAP Museo degli artisti Polesani - Lendinara (Rovigo)

Proveniente dall'Accademia di Belle Arti di Venezia, allieva di Guido Cadorin, l'artista ha saputo, da subito, impostare un proprio stile dove colore e forma si dilatano fino a diventare essenza, ossimoro nella materia, dove la forma si affievolisce con eleganza fino a trasmettere sensazioni che rapiscono la nostra percezione. La selezione dei dipinti in mostra è stata fatta componendo alcuni nuclei tematici quali il paesaggio, la figura, il sacro. Scelta rappresentativa di un percorso che nel corso degli anni non solo si è rafforzato creando opere uniche per contenuto e luminosità, ma ha fornito indicazioni di come la pittura possa trasformarsi in un qualcosa di assoluto, rispettando un canone estetico legato alle tradizioni, ma libero da costrizioni accademiche che renderebbero vana la valenza innovativa.

Per confermare tale lettura, è sufficiente analizzare due opere esposte. Si tratta di due Crocifissioni che risalgono entrambe al 2003. Nella prima "Crocifissione blu notte " il Cristo è sovrastato da una forte luce, le braccia allungano la verticale, i colori sono smorzati, l'attesa della morte è accompagnata dalla sofferenza che sta provando. Nella seconda "Crocifissione in blu" la luce è più attenuata, i colori sono più forti, l'attesa anticipa l'oscuramento del cielo, le braccia sono più spalancate. Cristo forse è già morto, non esprime più la sofferenza espressa nell'altro dipinto, ma una gioiosa serenità. Lo stesso carisma viene trasmesso nelle maternità, lavori dove la rappresentazione pittorica sfuma nella dolcezza, ma esprime anche l'inquietudine che si manifesta nella responsabilità di essere madre.

I contorni dei volti sono estremamente delicati, le velature ad olio assumono la delicatezza del pastello, tutto lascia immaginare che i dipinti siano stati eseguiti con canoni tradizionali. Eppure, se li osserviamo bene, dagli stessi scaturisce una modernità più attuale che mai. Di notevole pregio la rappresentazione del paesaggio. Quello greco, colto nel periodo dei suoi viaggi, ricco di luce, rapito prima nella sua forma, poi nella sua vibrazione cromatica. Quello polesano e della bassa padovana, dove la campagna, il fiume, gli alberi appaiono in una realtà intrisa di fiabesco, fruizione particolareggiata di piccoli cammei che racchiudono il nostro tempo.

Nelle quattro stagioni esposte possiamo dilettarci ad entrare idealmente nella materia. Immaginare di toccarla, di sporcarci le mani, ma subito questa sensazione ci sfugge, come soffio di elfo, come preghiera nel silenzio, proiettandoci nel colore, nel desiderio di un sogno incerto. La figura, che venga espressa attraverso la maternità o costruita nella pura ritrattistica, è forse il reticolo più espressionista fra le composizioni delle Berton. (...) Ma quello che più importa è che le sue immagini, una volta percepite rimangono in noi, portatrici di un messaggio estetico e riflessivo, contornato da colori spontanei, un po' fumosi che riempiono i nostri luoghi, dove la campagna e il fiume si fondono con la nostra storia e le nostre tradizioni. (Presentazione di Guido Signorini)




Locandina di presentazione della mostra La donazione di Gemma De Angelis Testa
22 aprile - 17 settembre 2023
Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna - Venezia

Negli spazi del secondo piano, Ca' Pesaro espone l'intera donazione di Gemma De Angelis Testa, la più recente acquisizione per le collezioni della Galleria e, per estensione e qualità delle opere, la più importante dai tempi del lascito de Lisi Usigli avvenuto nel 1961. Sono 105 opere che completano ed integrano le collezioni di Ca' Pesaro per l'arte dopo il 1950, testimoniando la passione della collezionista che li ha acquisiti nel tempo e li ha selezionati per l'eccezionale donazione al Comune di Venezia. Nata dalla passione collezionistica di Gemma De Angelis Testa, la raccolta presenta opere dei protagonisti della scena artistica contemporanea internazionale.

Annovera capolavori di Robert Rauschenberg e Cy Twombly affiancati ai Maestri dell'Arte povera Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, Gilberto Zorio. Il viaggio nell'arte del secondo '900 si articola con opere fondamentali della produzione di Anselm Kiefer e con lavori iconici di Gino De Dominicis, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mario Schifano e ancora sculture di Tony Cragg ed Ettore Spalletti. L'altra metà dell'avanguardia è ben rappresentata nella collezione con le visioni di Marina Abramovic, Vanessa Beecroft, Candida Hofer, Mariko Mori, Shirin Neshat, tra le altre.

Le scelte e i percorsi del gusto della collezionista partono dalla metà del secolo scorso e sviluppano un dialogo continuo con la produzione di Armando Testa. Un prezioso nucleo della donazione è costituito da 17 capolavori del geniale creativo, con opere celeberrime dagli anni Cinquanta in poi, che ripercorrono l'universo immaginifico di Armando Testa. La collezione mette in relazione tra loro autori diversi dell'arte internazionale, con le fotografie di Thomas Ruff e Thomas Struth, i lavori di John Currin, Thomas Demand, Anish Kapoor e Marlene Dumas, le tele di David Salle e Julian Schnabel in continuo rimando alle creazioni di Tony Oursler, Gabriel Orozco, Kcho.

Il gusto collezionistico si esprime anche nelle importanti presenze di Sabrina Mezzaqui, Paola Pivi, Marinella Senatore mentre la dimensione internazionale della raccolta si articola nel tempo e nello spazio con lavori di Kendell Geers, Yang Fudong, Subodh Gupta, Chantal Joffe, Brad Kahlhamer, Lari Pittman. Le opere abbracciano tecniche, culture e geografie diverse, tutte centrali nella contemporaneità, da William Kentridge a Chris Ofili, da Adrian Paci a Do-Ho Suh, da Chen Zhen a Francesco Vezzoli, Bill Viola e Ai Weiwei, da Piotr Uklanski a Trisha Baga e Pascale Marthine Tayou, e molti altri. "L'arte mi ha donato molto- evidenzia Gemma De Angelis Testa -, e con essa la mia vita è stata felice.

Mi sono sempre adoperata nel promuovere gli artisti affinché avessero una loro visibilità, e negli ultimi anni ho pensato fosse arrivato il momento di dare loro un futuro. Avevo valutato l'ipotesi di donare la mia collezione a uno dei musei di Venezia e ne parlai con Gianfranco Maraniello (che all'epoca non era ancora il direttore del Polo Museale di Milano); egli mi suggerì di coinvolgere Gabriella Belli, allora direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, che accolse con grande entusiasmo la mia proposta". (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Fellini. Cinema è sogno
18 marzo - 02 luglio 2023
Fondazione Magnani-Rocca - Mamiano di Traversetolo (Parma)

Nel trentennale della morte di Federico Fellini, la mostra intende omaggiare il celeberrimo regista nella dimora che ebbe come ospite Nino Rota, autore delle più celebri colonne sonore dei suoi film, quali quelle per , Giulietta degli spiriti, Satyricon, Roma, Amarcord, Il Casanova. L'esposizione - a cura di Mauro Carrera e Stefano Roffi - ripercorre la carriera di uno dei più grandi registi della storia del cinema, ideatore di film di fama internazionale, narratore originalissimo dell'Italia del suo tempo.

Scritto in collaborazione con Ennio Flaiano, lo Sceicco bianco inaugurò lo stile unico e personale di Fellini - una sorta di fantarealismo - che raccontava sogni e conquiste dell'Italia passando per film come I vitelloni, pellicola dedicata all'Italia dell'industria, che consacra il regista italiano nell'olimpo del cinema mondiale, confermato poi con La strada, del 1954, lucido ritratto dell'Italia postbellica, e con Le notti di Cabiria del 1957; dal Paese sognante de La Dolce Vita (1960) all'Italia moderna, trionfante e vivace di (1963), da quella lisergica e sperimentale di Giulietta degli spiriti (1965) fino a quella decadente, violenta e fragile di Amarcord (1973) forse l'apogeo dell'autobiografismo felliniano, della sua memoria favolosa e rivelatrice.

Con le opere successive (Il Casanova di Federico Fellini, 1976, Prova d'orchestra, 1979, La città delle donne, 1980, E la nave va, 1983, Ginger e Fred, 1986, Intervista, 1987) le allegorie del presente si fanno più angosciate e, in qualche modo, manierate, per poi chiudersi con La voce della Luna (1990), in cui Paolo Villaggio e Roberto Benigni si fanno portavoce di un messaggio di silenzio necessario per fronteggiare una contemporaneità sempre più arrogante, prologo della morte di Fellini. L'esposizione presenta sontuosi costumi, appartenenti allo CSAC di Parma, realizzati per i film e indossati da celebri attori come Marcello Mastroianni e Donald Sutherland, le locandine dei film stessi, vere pietre miliari della storia del cinema e della grafica, oltre a sorprendenti disegni del regista e a rare fotografie d'epoca.

Fellini ha attraversato la storia del cinema con tratti di magistrale leggerezza; grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia essere condizionati da questa. Venne premiato con cinque premi Oscar: nel 1957 per La strada, nel 1958 per Le notti di Cabiria, nel 1964 per , nel 1976 per Amarcord e nel 1993 con un Oscar alla carriera dalle mani di Sophia Loren.

Parlare di Fellini ci restituisce la memoria di un'Italia piena di ambizioni e aspirazioni che oggi sembra essersi persa. Ma è anche parlare di un certo senso della vita, un senso che questo grande artista aveva intuito, convincendosi che l'unico vero realista è il visionario. C'è una scena del film Il tassinaro, di un grande amico di Fellini, Alberto Sordi, in cui il protagonista, colto dall'euforia di ospitare sul suo 'Zara 87' il celebre regista, spiega bene la visione popolare di chi ha amato le pellicole del genio riminese: "Er vecchio che se perde nella nebbia. Che poi sarebbero tutti i suoi sogni...". Il catalogo, edito da Dario Cimorelli Editore, presenta saggi di Gianfranco Angelucci (sceneggiatore del film Intervista), Mauro Carrera, Eugenia Paulicelli, Stefano Roffi, oltre alla riproduzione a colori delle opere esposte. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




What Mad Pursuit. Aglaia Konrad, Armin Linke, Bas Princen
07 aprile - 22 ottobre 2023
Teatro dell'architettura - Mendrisio (Svizzera)

Mostra promossa dall'Accademia di architettura dell'USI (Università della Svizzera italiana) e curata da Francesco Zanot. Pensata appositamente per gli spazi del Teatro dell'architettura Mendrisio, la mostra è un progetto inedito che raccoglie i lavori fotografici di tre protagonisti della scena artistica internazionale che lavorano con la fotografia attraverso modalità e approcci diversi: Aglaia Konrad (Salisburgo, 1960), Armin Linke (Milano, 1966) e Bas Princen (Zeeland,1975). Accostando circa 50 opere, realizzate dagli autori in luoghi e momenti differenti con scopi altrettanto eterogenei, la mostra esplora le intersezioni tra fotografia e architettura, spazio rappresentato e spazio espositivo. L'esposizione mette in discussione la funzione documentaria della fotografia, intesa qui come un dispositivo che contemporaneamente registra e trasforma la realtà, e ne contraddice al tempo stesso la concezione di immagine bidimensionale esplorandone la materialità, il corpo, la presenza. (Comunicato stampa)




Il restauro di 342 lettere autografe di Michelangelo Buonarroti
www.casabuonarroti.it

Nessuno tra gli artisti del Rinascimento ci è tanto noto e familiare come Michelangelo. Sappiamo cosa mangiava, come si curava, quanto spendeva per gli abiti. ma possiamo anche seguirlo nei suoi momenti di meditazione, nei suoi slanci di generosità, nei suoi accessi d'ira, nelle sue paure. Tutto questo è stato possibile grazie alla spiccata attitudine di Michelangelo alla conservazione, quasi maniacale, di ogni documento che riguardasse la sua quotidianità: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa.

L'enorme mole di carte da lui raccolte nel corso della lunga vita fu devotamente custodita dai suoi discendenti, andando a costituire il nucleo fondamentale dell'archivio familiare, che lungo i secoli si accrebbe con documenti di altri membri, fino ad arrivare alla notevole consistenza di 169 volumi e oltre 25.000 carte. Una delle sezioni più preziose dell'archivio è indubbiamente costituita dalle lettere di sua mano, sia minute di lettere inviate ai personaggi più vari del suo tempo (da papa Clemente VII alla regina di Francia Caterina de' Medici, dalla poetessa Vittoria Colonna allo storico Benedetto Varchi, dal pittore Sebastiano del Piombo a Giorgio Vasari).

Considerando l'importanza e la fragilità di queste carte, l'Associazione degli Amici della Casa Buonarroti - nelle persone di Elisabetta Archi e Antonio Paolucci - hanno pensato di sottoporre un progetto di restauro all'Ente Cambiano scpa, che con grande slancio l'ha accolta e sostenuta con generosa e lungimirante sensibilità. Nell'occasione si potranno vedere le carte restaurate che poi verranno riposizionate e custodite nell'Archivio di Casa Buonarroti. L'Archivio Buonarroti consta di 169 volumi tutti manoscritti, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia dei Buonarroti dagli antenati di Michelangelo fino all'ultimo discendente diretto della famiglia che nel 1859 decise di lasciare la Casa e il patrimonio raccolto al suo interno alla città di Firenze. (Estratto da comunicato ufficio stampa Fondazione Casa Buonarroti - CSC Sigma)




Stampa fine art ai pigmenti su carta baritata di cm 22x22 senza bordo bianco realizzata da Eva Frapiccini nel 2023 tratta dalla serie Forget Fullness Eva Frapiccini
"Forget/Fullness"


21 aprile - 01 giugno 2023
Galleria Peola Simondi - Torino
www.peolasimondi.com

Tagliata da un tratto obliquo, la parola Forget/Fullness evoca una paradossale "pienezza nella dimenticanza". Eva Frapiccini sceglie questo termine disgiunto a titolo della sua mostra personale, che interroga la condizione dell'immagine in un mondo visualmente saturo, dove il volume e la tipologia di fotografie digitali in circolazione è inversamente proporzionale alla nostra capacità di ricordare. L'artista presenta una serie di istantanee analogiche che registrano eventi marginali.

Le fotografie ritraggono aspetti secondari normalmente relegati alla nostra visione periferica: fotografare il margine rivela dinamiche di luce e trame materiali, l'inquadratura si libera dal compito di documentare e catturare un'informazione centrale. Le immagini rappresentano emozioni, ma non raccontano, poiché l'artista le sottrae al compito di trattenere tracce di eventi specifici. Laddove gli archivi di Eva Frapiccini insistono solitamente sulla preservazione e sull'importanza di ricordare, in Forget/Fullness la fotografia è utilizzata per creare un archivio singolare di momenti da dimenticare. Nel posare il suo protocollo di lavoro per Forget/Fullness, l'artista collega la nozione contemporanea di offloading (scaricamento) cognitivo e la delega del ricordo al cloud con l'esperienza analogica descritta da Italo Calvino nell'"Avventura di un fotografo". (1)

Scritto nel 1970, quando una prima "follia del mirino" crea l'illusione che la macchina fotografica possa registrare totalmente e in scala 1:1 la realtà, il racconto segue la conversione di Antonino Paraggi da non-fotografo diffidente a "cacciatore dell'inafferrabile" e invasato fotografo dilettante: "L'unico modo d'agire con coerenza - sostiene Paraggi - è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire. Solo così i rotoli di pellicola impressionata costituiranno un fedele diario delle nostre giornate, senza che nulla resti escluso".

In Forget/Fullness, il tentativo estremo di Antonino Paraggi di documentare ogni istante e la sua fiducia nella capacità della fotografia di ricordare ciò che accade veramente sono sospesi e scardinati. Se "la fotografia promette potere poiché propone di rendere visibile la verità", scrive la storica dell'arte Griselda Pollock, è nello "sguardo fotografico" che si uniscono "il visibile e l'invisibile, la presenza e l'assenza". All'evento memorabile che la fotografia tradizionalmente censisce si associano quindi, con pari importanza, il fatto visivo secondario e il punto cieco. Come in altri progetti Frapiccini si concentra sugli elementi sussidiari di questi binomi.

Che si tratti di ricordare "la polvere" di esperienze oniriche soggettive in Dust of Dreams, o di marginali annotazioni e minute scritte a margine di documenti storici in Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l'Anima, il processo documentario dell'artista mira, in primo luogo, a catturare la dimensione emotiva e psicologica dei grandi eventi del passato. Il suo sguardo si sofferma sui materiali che gli storici non tratterebbero e che in gergo archivistico la storica Arlette Farge chiama gli "scarti": documenti inclassificabili, incompleti, corrosi e maltrattati dal tempo, e quindi parzialmente illeggibili.

C'è un contrasto sorprendente tra la fragilità dei documenti incompleti e la pienezza informativa in cui ci immergono oggi i social media, poiché la fotografia digitale è nel contempo effimera e duratura, legata all'instante presente, ma potenzialmente ri-postabile. La riapparizione di un'immagine digitale non è più determinata dalla sua rilevanza storica, osserva Eva Frapiccini, ma dalla carica emozionale che riveste per chi la seleziona. Nell'economia dell'attenzione e della memoria visiva condivisa, la fotografia diventa quindi affettiva e sociale in un altro senso.

Conservata dai social media, riassume un insieme di dati, senza confrontarci con "l'intensità sonora e sensoriale" dell'immagine che racconta (Tina M. Campt) né suscitare la coesione sociale propria a ogni atto di memoria collettiva (Allan Sekula). All'archiviazione eseguita dallo storico professionista o da chi, come gli artisti, comprende l'importanza che un documento visivo riveste per una determinata comunità, si sostituisce una privatizzazione dell'atto mnemonico, che si manifesta, ma di fondo, e aldilà del lessico adottato dai social media (share), non si condivide.

A questa ingiunzione, Eva Frapiccini oppone una ridistribuzione delle responsabilità visive, attribuendo alla memoria umana l'evento rilevante e alla macchina ciò che resta fuori fuoco. La visione decentrata implica un'attenzione alla materialità del ricordo. Se il corpo è assente dalle fotografie di Forget/Fullness, a implicarlo è l'uso della macchina fotografica Hasselblad che richiede all'artista un processo eminentemente fisico: l'apparecchio si tiene all'altezza della pancia, gli intervalli di scatto straordinariamente lenti rispetto alla rapidità cui ci ha abituati lo smartphone. Si tratta di tentare l'operazione irreale preannunciata da Calvino di "dare un corpo al ricordo per sostituirlo al presente davanti ai suoi occhi". (Federica Martini)

Immagine:
Eva Frapiccini, (opera senza titolo, dalla serie Forget Fullness), 2023, stampa fine art ai pigmenti su carta baritata, cm. 22x22 senza bordo bianco

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- Nota 1. "Avventura di un fotografo" di Italo Calvino fu pubblicato nella raccolta di racconti Gli amori difficili (Torino, Einaudi, 1970). Il racconto riprende le riflessioni sulla fotografia amatoriale sviluppate da Calvino nell'articolo "Le follie del mirino", pubblicato in "Il Contemporaneo" nell'aprile 1955.




Fotografia digitale da Cibachrome di cm 122x152 dalla serie Awakening del 2007, denominata Running From Birds realizzata da Tim White-Sobieski Tim White-Sobieski
The Memory Prism


07 aprile - 03 giugno 2023
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Prima personale italiana che la galleria dedica all'artista visivo, filmmaker, designer e architetto americano Tim White-Sobieski. L'esposizione, a cura di Glenda Cinquegrana, costituisce una combinazione unica di fotografia, installazioni di light art e sculture in acciaio inossidabile verniciate a specchio tale da offrire al pubblico un'esperienza di fruizione immersiva e stimolante. La mostra invita i visitatori ad esplorare la connessione profonda che esiste fra la mente umana, la storia, la responsabilità delle nostre azioni presenti sulle future generazioni.

Al cuore dell'esposizione si trova la storia di una teenager, che ha appena cominciato a prendere coscienza del suo ruolo nel mondo. Attraverso i suoi occhi, comprendiamo il potere delle storie e il loro impatto sulla nostra percezione della Storia, a livello personale e collettivo. Le opere in mostra, che invitano i visitatori a riflettere sulle loro esperienze personali e le loro connessioni con il passato, rispecchiano il complesso delle relazioni fra l'individuo e la storia. Le sculture in acciaio inossidabile verniciate a specchio ricoprono un ruolo importante all'interno dell'esposizione, riflettendo e rifrangendo la luce in modo da sottolineare il tema centrale della mostra: esse mostrano, infatti che la nostra riflessione sul passato, le nostre azioni e le nostre scelte hanno un impatto sul nostro presente e sul futuro delle future generazioni.

Le sculture specchianti sono strategicamente collocate all'interno della mostra per riflettere la luce, sottolineando come la fotografia sia il medium privilegiato della luce, ma anche della riflessione e dell'analisi. Le installazioni luminose, invece, sono progettate all'interno dello spazio espositivo per creare un ambiente immersivo, che incoraggia il visitatore a interagire con i lavori secondo molteplici livelli. Le serie fotografiche servono come illustrazioni dei modi attraverso i quali la nostra percezione della storia è forgiata dalle storie che raccontiamo e le responsabilità che abbiamo nei confronti delle generazioni future. La luce dei lavori crea un ambiente dinamico e in continuo cambiamento, che invita i visitatori ad interagire con gli spazi espositivi in modi nuovi e stimolanti. (Comunicato stampa)

Immagine:
Tim White-Sobieski, Running From Birds, dalla serie Awakening, 2007, fotografia digitale da Cibachrome, cm. 122x152




Loca milleuno ALT - Arrigo Lora Totino
16 marzo - 31 luglio 2023
Casa Morra Archivi d'Arte Contemporanea - Napoli
www.fondazionemorra.org

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, in collaborazione con Fondazione Morra, nell'ambito dell'edizione 2022 di Progetto XXI, per dare continuità alla manifestazione Mille Nanni tenuta a Casa Morra nel 2022, inaugura la seconda edizione con milleuno ALT - Arrigo Lora Totino.

Il dispositivo espositivo nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Morra, la Fondazione Bonotto e la Fondazione Berardelli, come sintesi della poliedricità di Lora Totino - fra i maggiori protagonisti della scena avanguardistica contemporanea - espressa da un'ampia gamma di tecniche interdisciplinari, intermediali, sinestetiche e da molteplici testimonianze d'archivio. L'incessante curiosità, l'inquieta ricerca e il forte senso di libertà creativa definiscono nuovi spazi visivi, verbali e acustici, con un linguaggio di espressione altamente sperimentale fatto da cromofonemi, verbotetture, poesie ginniche, fotodinamiche simultanee, mimodeclamazioni, concerti bruitisti, poesia e musica liquida, nonché "pappapoemi" e "macchine celibi". La dualità dei risultati di Lora Totino, basata sulla fusione dinamica tra ricerca scientifica innovativa e pratica artistica sperimentale, lo ha reso una figura paradigmatica che opera in un'intersezione di numerosi generi, istituzioni e aree di interesse.

Seguendo le attitudini relazionali di Lora Totino e la sua fitta rete internazionale di scambi e collaborazioni intellettuali, da ricondurre a una dimensione di impegno socio-culturale precursore di nuove energie creative, sono state programmate tre giornate di incontri con i performer Giovanni Fontana, Alessandra Sorrentino, Girolamo De Simone, Lello Voce, Luigi Cinque, Andrea Rossi Andrea, Renato Grieco, e gli studiosi Barbara Anceschi, Patrizio Peterlini, Alessandra Acocella, Pasquale Fameli, Domenico Mennillo, Giancarlo Alfano, Giuseppe Andrea Liberti, Valentina Panarella, Stefania Zuliani.

Come asse tangente inedita, Domenico Mennillo ha selezionato dei documenti e "costellazioni" attraverso un percorso critico e analitico dal prezioso Archivio Arrigo Lora Totino (acquisito dalla Fondazione Morra dagli anni Ottanta con il supporto di Lou Braghin Lora Totino). Inoltre nel percorso espositivo sarà presente VADUZ 1974, un'installazione sonora di Bernard Heidesieck, altro grande protagonista della poesia sonora internazionale, amico e sodale di Lora Totino in diversi progetti e iniziative.

Da maggio a luglio, negli spazi degli Archivi Mario Franco, sarà presentato un programma speciale di sei proiezioni cinematografiche, relative alle avanguardie storiche, con particolare attenzione al Futurismo e alle sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta, a cura di Mario Franco. La produzione artistica intermediale di Arrigo Lora Totino innesca un'ulteriore esplorazione della corrente d'avanguardia relativa alla poesia visiva e all'uso della parola in tutte le sue declinazioni. La Fondazione Morra intende porsi come soggetto di connessione, ricucendo esperienze parallele e prefigurando possibili percorsi di ricerca per il futuro.

Progetto XXI è la piattaforma attraverso la quale la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee si propone, sin dal 2012, di esplorare da un lato la produzione artistica emergente, nella sua realizzazione teorico-pratica, e dall'altro le pratiche artistiche più seminali degli ultimi decenni, nella loro esemplare proposta metodologica. Il progetto contribuisce così alla produzione e alla diffusione di narrazioni e storiografie alternative del contemporaneo e alla definizione di un sistema regionale delle arti contemporanee basato sulla collaborazione e l'interscambio fra istituzioni pubbliche e private operanti nella Regione Campania. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra Frames di Alberto Nacci Alberto Nacci
"Frames"


03 maggio (inaugurazione) - 03 giugno 2023
ADI Design Museum - Milano
www.albertonacci.it

Mostra del regista e produttore Alberto Nacci, curata e organizzata da ajpstudios con la collaborazione culturale del Museo Italo Americano di San Francisco. Tratta da una serie di venti cortometraggi musicali in bianco e nero dal titolo "Body&Sound", realizzati da Alberto Nacci tra il 2014 e il 2022 e pluripremiati nell'ambito di diversi festival internazionali, "Frames" è il risultato di una sapiente ed armonica combinazione di musica, arti visive e arti performative per un inedito percorso immersivo, e vuole restituire in venti fermi-immagine dalla forte connotazione emozionale - una per ogni docufilm - la profonda relazione mentale e corporea che nasce fra il musicista e il suo strumento, interazione empatica che non si può descrivere se non attraverso la musica o la voce.

"Ho l'animo del jazzista perché considero che il jazz sia uno stile di vita, un modo rigoroso e creativo di affrontare i problemi in modo 'strutturato', con la capacità di 'cogliere l'attimo' grazie a quella magnifica risorsa che è l'improvvisazione." (Alberto Nacci)

Come ognuno dei cortometraggi racconta lo "spartito interiore" dei musicisti con inquadrature ravvicinate e mai scontate che si soffermano sui dettagli delle mani, degli strumenti o dei volti degli interpreti, così i venti frames in mostra - immagini in bianco e nero riprodotte su formato di grandi dimensioni (cm 160x90), ognuna delle quali numerata e firmata dall'autore - vogliono restituire quegli "attimi" che sfuggono al racconto ma che sono il diapason del loro essere musicisti.

"La luce definisce le silhouette dei protagonisti che emergono da neri profondi e saturi" - sottolinea la storica e critica dell'arte Barbara Vincenzi nel suo testo in catalogo - "I bianchi e neri infiniti sembrano attingere da una tavolozza di un sapiente pittore, ma realizzati con l'animo del jazzista che riesce a cogliere le sfumature dei ritmi e dell'estemporaneità, tra bagliori e suoni, tra forti contrasti e nitidezza dei particolari."

L'affidarsi al bianco e nero offre alle stesse immagini una valenza artistica maggiormente pregnante, toglie ogni alibi di distrazione che potrebbe derivare dall'insieme caotico dei colori e dà la possibilità all'autore di parlare direttamente con lo spettatore, non attraverso la storia ma attraverso il messaggio contenuto del contrasto netto fra neri e bianchi. Proprio per questa scelta artistica dell'autore, le venti immagini esposte nel nuovo ADI Design Museum non solo evidenziano la forte relazione che si instaura tra l'uomo e il suono, tra musica e immagine, ma fanno trasparire come sia stretta la correlazione fra la composizione fotografica e la musica, due forme d'arte solo apparentemente distanti fra loro.

Andrea Cancellato, Direttore ADI Design Museum: "FRAMES è decisamente una proposta innovativa, una 'nuova frontiera' del Design dove ogni inquadratura dei corti della serie 'Body&Sound' è stata pensata come 'matrice' di nuove opere d'arte dove la matrice è fatta di luce". "Frames" traduce i suoni in immagine, rimodulando il "percepire soggettivo" di ognuno di noi e offrendo al visitatore la possibilità di cogliere l'oscillazione ritmica che svela la connessione quasi primitiva che ogni musicista instaura con il proprio strumento, quintessenza del concetto di libertà: un'esperienza multimediale unica, dove ogni frame in mostra non solo offre un racconto autentico della forza della musica, vero e proprio atto di liberazione dell'anima, ma va oltre l'immagine stessa, riuscendo a stimolare l'inconscio e a ricondurci a suoni, odori, emozioni e colori del nostro passato.

Alberto Nacci (Trapani, 1957), già docente di Progettazione Sonora alle Accademie di Belle Arti di Bergamo e Brescia, dopo una lunga attività di musicista jazz (sax tenore e contralto) con numerose composizioni originali, produzioni discografiche e una ricca attività concertistica, si é dedicato alle relazioni fra suono e immagine con la produzione di docufilm di arte e cultura e opere di videoarte, con numerosi riconoscimenti in tutto il mondo: Hollywood, Los Angeles, New York, Philadelphia, Chicago, Bellingham, Londra, Parigi, Mosca, Madrid, Amburgo, Barcellona, Rotterdam, Amburgo, Milano, Roma, Torino, Melbourne, Calcutta, Osaka, Singapore. Ha realizzato numerose opere filmiche in collaborazione con importanti artisti internazionali: pittori, scultori, fotografi, musicisti, architetti. Dal 1996 è titolare di ajpstudios, specializzato nella produzione di docufilm di arte e cultura. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)




Palermo Mon Amour
Enzo Sellerio, Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Fabio Sgroi, Lia Pasqualino


17 aprile (inaugurazione ore 19) - 24 settembre 2023
Fondazione Merz - Torino
www.fondazionemerz.org

L'esposizione, a cura di Valentina Greco, restituisce in un racconto per immagini la storia di Palermo dagli anni '50 al 1992. Un viaggio che rivela, attraverso le ricerche e le intuizioni di Enzo Sellerio, Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Fabio Sgroi, Lia Pasqualino una Palermo immaginifica. Cinque fotografi, cinque sguardi, con sentimenti diversi, sull'immaginario poetico di Palermo.

Oggetto di una visione gentile, giocosa, colta, antiretorica, che è anche acutissima testimonianza della scena sociale degli anni '50 e '60, densa di situazioni in attesa di una possibile rinascita, degli anni '70 fino all'inizio degli anni '90, quando la città si lasciava filtrare dal punk, dalle manifestazioni studentesche, dalle nuove produzioni teatrali e aveva la sua resistenza nella costruzione di un immaginario in uno stato d'eccezione costante, dove la scrittura e la scrittura per immagini sono state attente osservatrici e protagoniste. Il progetto si avvale della collaborazione dell'Archivio Letizia Battaglia e dell'Archivio Enzo Sellerio. Inserendosi nel solco di un dialogo di lunga data che Fondazione Merz coltiva con il territorio siciliano, Palermo Mon Amour costruisce lo spaccato di una città dalla storia crepitante di energie sommerse. (Estratto da comunicato stampa)




Locandina della mostra Se Il Paesaggio è Simbolico "Se il paesaggio è simbolico"
11 maggio (inaugurazione) - 30 giugno 2023
Boccanera Gallery - Trento
www.boccaneragallery.com

L'esposizione è stata ideata dall'artista Linda Carrara, che da anni collabora con Boccanera Gallery e che ha deciso di aprire il suo solo show al dialogo con altri artisti, da lei ritenuti affini alla sua ricerca poetica, nonché al suo modo di lavorare, di agire e di pensare. "Mi piace l'idea che l'invito a esporre in una mostra personale si sia trasformato in un progetto collettivo, che, al pari delle avanguardie storiche, ha creato una sorta di corrente, avvicinando artisti che condividono gli stessi intenti espressivi" - spiega la gallerista Giorgia Lucchi Boccanera. L'esposizione sarà arricchita da recenti opere di più grandi dimensioni degli artisti Linda Carrara, Giuseppe Adamo, Lorenzo di Lucido, Silvia Giordani, Vera Portatadino e Fabio Roncato, che trovano il loro spazio naturale nelle ampie stanze della galleria trentina.

"Mi chiedo qual è oggi il segreto del paesaggio e come l'artista è incline a vederlo, dopo che per secoli è stato l'elemento sublime dell'arte, la materia magica e simbolica di un luogo paradisiaco, dopo che ha dato vita allo stupore per la natura e per la sua bellezza. Me lo chiedo ripetutamente e da tempo vedo nella materia della natura, nell'immersione in essa e negli eventi della sua creazione una risposta e un interesse condiviso. Non più il paesaggio osservato, il paesaggio dell'orizzonte che si staglia di fronte a noi. Non più l'orizzontalità che ci pone al di fuori come osservatori della scena, ma l'immersione totale nel paesaggio stesso, il nostro esserne parte come molecole della stessa materia. Diviene così la vertigine del paesaggio, la sua verticalità che ci pone dentro e alla pari, o meglio come figli stessi della natura, carne della sua carne, posti nel suo ventre e dalla cui materia l'uomo trae vita e beneficio". Queste le parole di Linda Carrara che spiegano anche la scelta del titolo della mostra, da lei ideato e voluto, Se il paesaggio è simbolico.

Se il paesaggio è simbolico affronta i temi della materia, in termini universali e artistici, e della creazione, sia all'interno degli elementi naturali che delle azioni umane. La mostra si propone di indagare la trasformazione della materia in un processo quasi alchemico del fare artistico, sfruttando e collaborando con l'essenza stessa della Natura per dare vita ad altro, creando una soglia per l'aldilà e per ciò che è al di sotto della superficie del visibile. Nella mostra, la rappresentazione paesaggistica si trasforma, sedimenta e muta seguendo le leggi naturali dell'erosione e della casualità, plasmandosi secondo i principi della geologia e degli eventi naturali.

Linda Carrara (Bergamo, 1984) propone una profonda ricerca metalinguistica sulla tecnica pittorica, indagando la natura come fonte generatrice e d'ispirazione per le sue nature morte e la sua visione paesaggistica. Il suo lavoro più recente mira all'essenzialità della pittura nel quale l'abbandono della figurazione classica è ormai evidente, rimanendo però in quel limbo ancor da definire tra due realtà. Le sue opere sembrano modellare la materia pittorica più che dipingerla, per evocare delle visioni e delle esperienze quasi primordiali. Con il frottage, tecnica utilizzata dall'artista prevalentemente con olio su tela, Carrara crea un'allusione di luoghi, mondi e materie, senza fornirne una rappresentazione paesaggistica visiva ma rubando direttamente le forme al paesaggio, facendoci così perdere nella materia della natura e della pittura stessa.

Giuseppe Adamo (Alcamo - Trapani, 1982), rappresentato da RizzutoGallery, propone opere caratterizzate da un linguaggio pittorico libero da necessità narrative, muovendosi lungo il crinale tra figurazione e astrazione. Le sue opere sono superfici lisce e levigate, totalmente prive di spessore materico, da cui emergono forme tridimensionali ottenute tramite una pittura molto fluida, sovrapposizioni, trasparenze e variazioni tonali. L'opera sembra essere al contempo un'esplorazione al microscopio e una prospettiva a volo d'uccello, una registrazione di mappe geografiche: l'immagine ultra piatta si ribalta in una densità quasi rocciosa, la materia monocroma si aggrappa alla possibilità di un pattern chiuso, una forma incagliata nella trama pittorica tra l'archeologia della natura e un'allucinazione, proponendo degli inganni percettivi.

Lorenzo di Lucido (Penne - Pesaro, 1983) negli ultimi ultimi anni ha sviluppato un ciclo di lavori che ragiona sulle basi fondamentali del guardare le immagini, in cui gli elementi cardine sono la luce e la superficie. Le immagini pittoriche, nel momento in cui appaiono sulla superficie dipinta, hanno raggiunto un determinato grado di tensione. La pittura in questo modo può essere costituita anche solo da segni che si giustappongo l'uno sull'altro senza soluzione di continuità, fino a raggiungere un grado di tensione adatto a creare un qualità pittorica sufficiente per ottenere un'immagine dipinta. Le sue pitture a olio si compongono di stratificazioni che si dilatano nel tempo, utilizzando differenti tonalità di verdi per ottenere un colore che allo stesso tempo possa assorbire e respingere la luce. Sono opere pensate esclusivamente per le capacità dell'occhio umano nonché tattili, nelle quali si rifiuta la riproduzione fotografica, mettendola spesso in discussione.

Silvia Giordani (Vicenza, 1992) pone la sua attenzione sul concetto di paesaggio e sull'alterazione dello stesso per mezzo della pratica pittorica. Gli elementi che popolano i suoi dipinti sono frutto della rielaborazione di oggetti collezionati all'interno di un archivio virtuale. Rimescolate fino a definirne una nuova natura, le forme si vanno qui a collocare in luoghi aperti e sospesi, creati per mezzo di campiture piatte o gradienti, che annullano la specificità del luogo. La ricerca di Giordani si concentra sulla definizione stessa delle forme e sul loro rapporto di complementarietà con lo spazio.

Vera Portatadino (Varese, 1984) situa la sua pratica pittorica nel regno dell'anti-narrazione, nel quale i concetti di figurazione e astrazione risultano essere categorie inefficaci: le sue opere evocano invece di illustrare, suggeriscono al posto di spiegare, lasciando che la grammatica della pittura diventi essa stessa oggetto di studio. Animata da un approccio filosofico e da uno sguardo contemplativo, Portatadino lavora su tele e tavole di legno, costruendo trame e pattern sui quali si cristallizzano elementi specifici. Le sue opere sollevano interrogativi sul rapporto tra uomo, tempo e natura in una prospettiva ecologica e la sua ricerca teorica è caratterizzata dai concetti di bellezza, piacere, caducità e dall'ossessione per il marginale.

Fabio Roncato (Rimini, 1982) sviluppa una riflessione relativa ai confini della rappresentazione visiva, indagando forme, elementi, energie della natura e della contemporaneità. Il suo obiettivo è di condurre la pratica artistica all'interno delle criticità legate al rapporto fra la comprensione della realtà e i limiti imposti dalla percezione dei sensi. L'opera si modella dunque spontaneamente, in maniera ogni volta imprevedibile. All'interno della sua prassi artistica, l'immaginazione riveste un ruolo determinante. (Comunicato stampa)




Opera realizzata da Giorgio Soavi nel 1979 denominata Italiani anche questi Locandina della mostra L'Arte raccontata da Giorgio Soavi per il centenario dalla nascita Giorgio Soavi impagina La Morte a Venezia in una fotografia scattata nel 1979 da Gian Paolo Canova L'Arte raccontata da Giorgio Soavi per il centenario dalla nascita
30 marzo (inaugurazione) - 26 novembre 2023
Museo civico P. A. Garda - Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

"Per quale motivo, se non per scrivere, si acquistano quadri?" scrive Giorgio Soavi nel racconto "Intimità" (in Passioni, Camunia 1993, p.9). Dopo cento anni dalla nascita di Giorgio Soavi, la città di Ivrea, in sinergia con l'Associazione Archivio Storico Olivetti, intende ricordarlo dedicandogli una mostra. In anteprima assoluta, l'allestimento sarà rivoluzionario: un ologramma di Giorgio Soavi che parlerà con la sua voce al pubblico. Una vera e propria materializzazione in 3D. Una proposta sensoriale unica sia dal punto di vista tecnologico che emozionale, che potrà essere vissuta sino al 30 aprile 2023. Tale mostra consentirà di illuminare, per la prima volta, la figura poliedrica di Giorgio Soavi, scrittore che entra nel mondo Olivetti dall'età di 24 anni, prima nelle Edizioni di Comunità e poi, negli anni Cinquanta, nella società Olivetti come curatore di grandi progetti legati all'arte e all'editoria.

Amico e frequentatore di riconosciuti artisti del secolo scorso, da Giacometti a Balthus, scopritore di giovani talenti nel campo dell'arte poi affermatisi anche grazie al suo istinto e intuito, da Folon a Pizzigoni, per Soavi la pittura è alimento che nutre la scrittura, impulso vitale che ci restituisce una ricchissima produzione da non critico d'arte, quale intendeva essere. Finissimo conoscitore ed esperto delle arti grafiche, compratore onnivoro di oggetti di cancelleria e strumenti di pittura come pennelli, carte, colori, collezionista di opere d'arte e oggetti del quotidiano, Soavi ha costruito nel tempo una densa e intrigante corrispondenza con moltissimi artisti all'interno della sua straordinaria attività per la società Olivetti, nell'ambito dell'Ufficio Progettazioni Speciali.

A lui si devono iniziative aziendali quali l'avvio della produzione di un'agenda da tavolo (la prima nel 1969 con gli acquerelli di Jean-Michel Folon) durata trent'anni, la nascita di una collezione di libri strenna aziendali con opere della letteratura mondiale illustrate da artisti che diventeranno noti al pubblico sulla scena internazionale (da Roland Topor a Ludmil Siskov, da Bruno Caruso a Rosario Morra), produzione di multipli, oggetti di design e opere grafiche a tiratura limitata come oggetti regalo da parte dell'azienda (dal foulard di Folon al press papier da lui stesso disegnato, dal multiplo di Theimer a quello di Mitoraj).

La mostra propone uno straordinario intreccio di oltre cento opere d'arte della raccolta Olivetti - oggi TIM - (da Theimer a Bottoni, da Mattioli aVallorz, da Marini a Ferroni, da Selden a Scalco) e scritti editi di Soavi, restituendo il valore culturale di una narrativa dell'arte di grande fascinazione anche per un pubblico non specializzato. Un rapporto, quello tra letteratura e arte, che attraverso la produzione letteraria di Soavi diviene fulcro generativo di una sorta di nuovo modello storiografico che nasce da una grande familiarità con la pittura e i pittori; un cowboy tra i pittori - così Giuliano Briganti definisce Soavi - che frequenta e sceglie a suo gusto, per dare vita a moderne "historiettes" sugli artisti del Novecento che trovano un controcanto nelle straordinarie mostre e iniziative editoriali realizzate per la società Olivetti per almeno tre decenni.

E in tale senso la pittura e i pittori risultano un pretesto per dare linfa al filtro della sua immaginazione, per inventare storie, racconti, memorabili "ritrattini" di grandi artisti del secolo scorso. Prolifica e ricca è la sua produzione letteraria e pubblicistica: alcune decine di romanzi a sfondo autobiografico (da Le spalle coperte del 1951 a Il Conte del 1983 dedicato ad Adriano Olivetti), raccolte di poesie (da 23 poesie del 1947 a poesie per noi due con disegni di Guttuso, del 1972) e una narrativa incessante nel racconto di piccole storie di decine di artisti conosciuti e amati (Giacometti, Sutherland, Folon, Balthus, tra i molti), anche attraverso prefazioni ai cataloghi di mostre e rubriche su periodici italiani (Figure sul settimanale "Epoca", Guardando su "AD", la rubrica Letteratura & Arti su "il Giornale", ne sono alcuni esempi).

Nell'anno del centenario dalla nascita di Giorgio Soavi (1923-2008), la mostra muove un primo compiuto passo nello svelare al pubblico uno scrittore di frontiera, una figura di letterato ibrida nel campo della critica d'arte, uno spirito libero che prima di tutto doveva nutrire con l'arte quella insaziabile fame per la scrittura che lo ha assillato per tutta la vita e che, nell'equipaggio di quella grande "portaerei" che è stata per molti la Olivetti, ne ha connotato sul piano culturale molti progetti. La viva voce di Soavi in "Com'è uno scrittore", filmato curato e realizzato dallo scrittore e produttore Grytzko Mascioni nel 1967 per la Radiotelevisione Svizzera Italiana, e alcune testimonianze di artisti e amici, per la regia di Davide Maffei, impreziosiscono la prima retrospettiva in assoluto sullo scrittore, nell'anno del centenario dalla nascita e a compimento del ciclo di mostre sulla raccolta di opere d'arte Olivetti.

L'organizzazione e il coordinamento della mostra, nonché l'ideazione dell'allestimento sono stati curati direttamente da Costanza Casali, Assessore alla Cultura del Comune di Ivrea, come nelle mostre precedenti del ciclo "Olivetti e la Cultura nell'impresa responsabile", mentre il progetto scientifico è stato curato da Paola Mantovani (Museo Civico "P.A. Garda") e Marcella Turchetti (Associazione Archivio Storico Olivetti) ed è stata resa possibile anche grazie alla collaborazione di Albertina e Michele Soavi e di molte persone che hanno lavorato con Soavi nel grande universo Olivetti e oltre i suoi confini: Rosario Morra e Gloria Vianello, Natalia Corbetta, Maurizio Bottoni, Davide Pizzigoni, Gianni Biolcati e Sidonella Vanelli, nonché del personale del museo civico, dell'Associazione Archivio Storico Olivetti e dell'Archivio TIM. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Giorgio Soavi, Italiani anche questi, 1979
2. Locandina della mostra
3. Giorgio Soavi impagina La Morte a Venezia, foto di Gian Paolo Canova, 1979




 Opera di Fiorella Manzini Opera di Angelita Mattioli denominata Il volo di cemento Opera di Maura Mattiolo denominata Uomini soli Fiorella Manzini | Angelita Mattioli | Maura Mattiolo
05 aprile (inaugurazione) - 17 aprile 2023
Muef Art Gallery - Roma
Locandina della mostra

Tre mostre "personali a confronto" del terzo ciclo dell'omonimo progetto curato da Virgilio Patarini e organizzato dalla Vi.P. Gallery - Zamenhof Art. Le opere di tre pittrici che indagano, ciascuna con la propria poetica, il labile confine tra figurazione e astrazione: la bolognese Fiorella Manzini, la bresciana Angelita Mattioli e la veneta Maura Mattiolo.

- Fiorella Manzini, "Scoprire le assonanze"

In mostra una dozzina di lavori dell'artista bolognese, per metà astratte e per metà figurative. A tratti si può intuire una matrice figurativa e paesaggistica dietro le composizioni astratte, così come i lavori figurativi tendono ad una inquietudine di pennellata che incede verso l'indefinito. E alla fine prevale sempre e comunque una inquietudine di gesto e di vibrazioni cromatiche che rimbalzano dai quadri figurativi a quelli astratti, rivelando la cifra poetica e stilistica dell'artista che si nasconde in tali "assonanze" tutte da "scoprire", come il titolo della mostra suggerisce. (V.P.)

- Angelita Mattioli, "Finestre murate"

La pittura di Angelita Mattioli si gioca tutta tra figurazione evocativa e astrazione dai forti contenuti emotivi: all'artista camuna bastano pochi segni decisi e corsivi per evocare un volto, una figura femminile che si staglia nel vano di una porta o nel rettangolo di una finestra, mentre il ritmo delle pennellate o delle spatolate costruisce partiture di pathos e la loro sovrapposizione attraverso velature e campiture definisce il tono emotivo della narrazione. Ed è un condensato da tragedia dell'antica Grecia che affiora dalle pieghe di una narrazione quotidiana come quella dei recenti periodi di reclusione forzata a cui ci ha costretto la gestione politica della recente pandemia. Dietro "finestre murate". (V.P.)

- Maura Mattiolo, "Anime"

L'arte di Maura Mattiolo oscilla tra una figurazione essenziale e appena accennata e un'astrazione informale gestuale e guizzante. Cruciale il rapporto tra le figure e lo sfondo, lo spazio in cui a tratti la figura si staglia e dove a tratti invece scompare, si confonde. Ed è tutto un gioco tra l'essere e il non essere, tra l'apparire e lo scomparire, quello che ingaggiano queste figure col mondo circostante, o forse con loro stesse. In bilico tra divenire corpi presenti e lo sfaldarsi in dissolvenza, queste "anime" ci raccontano di quanto sia labile ed evanescente la nostra esistenza quotidiana, riscattata, a volte, a tratti, da improvvise, poetiche epifanie (V.P.) (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Opera di Fiorella Manzini
2. Angelita Mattioli, Il volo di cemento
3. Maura Mattiolo, Uomini-soli




Dipinto di Moses Levy denominato Meriggio al mare Accadde in Versilia
Il tempo di Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Moses Levy


17 giugno - 05 novembre 2023
Forte Lepoldo I - Forte dei Marmi

La mostra propone la lettura in punta di pennello di quel magico momento che la Versilia visse a cavallo tra '800 e '900. Quando il paesaggio incredibilmente armonioso, il clima e le acque calamitarono qui il beau monde europeo e non solo. Personalità attratte dai bagni, certo, ma anche dall'ambiente culturale creato da chi "in stagione" qui si dava appuntamento, improvvisando cenacoli artistici, letterari e musicali. Villeggianti insieme a marinai, contadini, cavatori: mondi diversissimi, spesso solo tangenti. Affascinanti, non meno del paesaggio, agli occhi degli artisti italiani e stranieri che si fecero stregare dalla Versilia: da Puccinelli a Fontanesi, Signorini, Cabianca, Viner, Lear, Vedder, Skovgaard, Poingdestre, tra i molti.

"Accadde in Versilia" si focalizza su tre grandi protagonisti di quel momento magico: Plinio Nomellini, Lorenzo Viani e Moses Levy. Proponendo una raffinata selezione di loro capolavori, alcuni non più visti da tempo, provenienti da collezioni private, ad eccezione dello straordinario Festa al villaggio di Nomellini, concesso dalla Pinacoteca "il Divisionismo" della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona. Plinio Nomellini agli inizi degli anni Novanta orienta il proprio linguaggio verso nuove sperimentazioni, sia divisioniste, grazie alla frequentazione di Pellizza da Volpedo, sia neo impressioniste, importate da Parigi. Il suo incontro del 1903 con Giovanni Pascoli aggiunge una svolta simbolista alla sua pittura.

La selezione di sue opere per la mostra versiliese è anticipata dalla grande tela di Giuseppe Viner, La semina, parte del trittico Terra Madre, esposto nel 1906 per l'inaugurazione del valico del Sempione. Nomellini qui racconta la straordinaria quotidianità che trascorre in Versilia. Ecco la costruzione di un bastimento (Cantiere, 1904) o la semplice ritualità domestica, come in L'ora della cena (1898) o in Ore quiete (1898), o il folklore paesano (La chiesa di San Frediano a Lucca, 1930 circa). Immagini di una civiltà contadina, vera protagonista e depositaria di un luogo primigenio, ancora preservato dal rutilante caos della modernità.

Le ridenti e pacate immagini della Versilia offerte da Nomellini e, successivamente, da Moses Levy sono bruscamente deviate dal potente e magmatico espressionismo di Lorenzo Viani che mette a punto l'alfabeto più adatto a descrivere, tutt'uno, il volto più scuro di quella terra e il popolo di diseredati che la abita. É il caso della ieratica immagine della Moglie del marinaio, Sul molo. In attesa del rientro delle barche, Peritucco con il fiocco rosso, della scarna china dei Viandanti e di Vecchio pescatore. La sua è un'arte che si ispira, spesso, alla dimensione drammatica della quotidiana vicenda degli umili, di chi fieramente si oppone o con fatica sopporta la durezza della vita. Con il disegno cattura la miseria ma anche la speranza che gli uomini portano scolpite nelle rughe del volto.

La terza sezione è dedicata a uno dei massimi protagonisti della stagione artistica versiliese dei primi tre decenni del '900, Moses Levy. Tunisino di nascita, elesse questa terra a sua patria, divenendo uno dei più ammirati e suadenti cantori di quella che potrebbe definirsi come una tarda "belle époque" versiliese, rovescio estetico-iconografico del più grave scenario presentato dall'amico Lorenzo Viani. La sua pittura si evidenzia per lo stile personalissimo che, pur nutrendosi delle contaminazioni europee cezanniane e cubiste, tanto quanto degli echi metafisici e futuristi, non risulta in alcun modo etichettabile e sarà viatico e spunto per l'arte italiana a venire.

Le opere selezionate coprono circa un trentennio (1911-1938), evidenziando quello "spettacolo fisso in mutazione continua che sarà sempre il linguaggio di Levy". Tra i capolavori in mostra, Donna con cappello bianco, Cinema Eolo e Folla di sera sul lungomare di Viareggio, la luminosa serie delle Spiagge, Profilo di giovinetto e Anna e l'amica, che includono a pieno Levy nel contesto artistico italiano degli anni Venti, fino ad arrivare a esiti di modernità nell'espressionismo cromatico di gusto matissiano del più tardo Signora in rosso al caffè.

La mostra prodotta dalla Società di Belle Arti con il Comune di Forte dei Marmi e Fondazione Villa Bertelli, offre al visitatore un nutrito nucleo di opere, sorprendenti per originalità compositiva e forza evocativa, assimilabili a testimonianze poetiche di luoghi geografici e dell'anima che, alle soglie del Novecento, documentano il coraggioso aggiornamento di "questo piccolo mondo antico" con le nuove correnti che stanno spirando d'Oltralpe. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

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Immagine:
Moses Levy, Meriggio al mare




Giacometti-Fontana. La ricerca dell'assoluto
02 marzo - 04 giugno 2023
Museo di Palazzo Vecchio - Firenze

Lucio Fontana. L'origine du monde
02 marzo - 13 settembre 2023
Museo Novecento - Firenze
www.museonovecento.it

Alberto Giacometti e Lucio Fontana per la prima volta insieme. Un progetto museale inedito presenta l'incontro ideale e il dialogo potente fra due giganti del Novecento, grazie al confronto straordinario fra capolavori in arrivo dall'Italia e dall'estero. Un doppio appuntamento ideato da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, che affonda nella ricerca inesausta e ostinata dei due maestri, protagonisti di un viaggio parallelo che intende suggerire nuove strade di analisi e sondare nuove interpretazioni.

La mostra Giacometti - Fontana. La ricerca dell'assoluto, negli spazi monumentali del Museo di Palazzo Vecchio, in particolare nella Sala delle Udienze e nella Sala dei Gigli, dove oggi si conserva la celebre Giuditta di Donatello. Per la prima volta, infatti, saranno messe in relazione queste due colonne portanti del XX secolo, così distanti nelle attitudini e nella vita, ma altrettanto legate da una riflessione sulla verità nell'arte, conquistata attraverso l'esperienza della materia e insieme dell'immaginazione, in bilico fra la dimensione primordiale del tempo e quella cosmologica dello spazio. Un colloquio che vuole suscitare domande piuttosto che dare risposte, per stimolare il dibattito critico e inattese narrazioni attorno ad affinità di pensiero e riferimenti condivisi. Una mostra in cui le opere accostate acquistano la potenza evocativa di un sogno, la cui presenza va interpretata cercando risposte lontane nel tempo e nel futuro.

In concomitanza con questo grande progetto, il Museo Novecento dedicherà ben due piani delle ex Leopoldine alle sculture e ai disegni di Lucio Fontana. La mostra Lucio Fontana. L'origine du monde nasce dalla volontà di esplorare alcuni aspetti ancora poco sondati dell'opera del maestro italo-argentino, tra gli autori più innovativi del secolo scorso, quali la relazione originaria tra creazione artistica, procreazione e nascita della vita nell'universo, e il rapporto tra mondo finito e infinito. Saranno presentati disegni, dipinti e sculture dal '46 fino agli ultimi anni della sua lunga carriera.

"Per la prima volta due giganti del Novecento si incontrano e si toccano" dichiara Chiara Gatti, Direttrice del MAN di Nuoro e curatrice della mostra. "Non si tratta del solito dialogo ideale senza basi scientifiche, come spesso accade nel mondo delle mostre. Giacometti e Fontana si sfiorano nella storia, lavorano negli stessi anni, citano gli stessi maestri (Giotto fra tutti), percorrono le stesse rotte e, soprattutto, guardano nella stessa direzione: verso il vuoto, l'invisibile, il sacro, l'altrove fisico e mentale".

La ricerca dell'assoluto è il punto di contatto tra Giacometti e Fontana. Cercando l'assoluto entrambi hanno raggiunto l'essenziale rinunciando all'imitazione e superando i limiti della rappresentazione simbolica e figurativa con una pratica artistica che ha fatto perno sul gesto e la manipolazione, sulla concentrazione e la rinuncia alla forma definitiva. Mentre Lucio Fontana (1899-1968) cercava l'infinito della vita, tra mondo naturale e spazio cosmico, proiettando la mente oltre la superficie della tela e nella trasformazione pre-logica della materia, Alberto Giacometti (1901-1966) scrutava l'essenza dell'esserci, al di là della presenza, a partire da uno "stare sulla terra" di matrice heideggeriana, ma spogliando di ogni dato superfluo l'immagine, orfana di corporeità, sensualità, gravità, ridotta a uno stelo dell'anima, un concentrato in potenza di vita e, insieme, caducità.

Mentre Fontana aspirava a quel punto di sutura dove inizio e fine coincidono e, dentro la materia oscura, cercava la luce affondando le mani nel cratere della germinazione per estrarne un bagliore, Giacometti era torturato dalla finitudine e viveva nell'ombra, sulla soglia in cui morte e vita si annullano. Figure dalle indoli opposte, ma accompagnate dalla stessa magnifica ossessione, quella per l'invisibile che è dentro e fuori di noi, nella carne e nel cosmo, nelle cellule e nelle stelle. Entrambi hanno lavorato la materia togliendone ingombro e opacità, mineralizzandola, alla ricerca dell'assoluto (teorizzata da Jean-Paul Sartre nel suo leggendario testo del 1948) dentro i volumi erosi della materia stessa, quella dell'eterno sigillato nei confini della forma. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Fotografia che ritrae la scultrice Regina Cassolo Bracchi Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it

Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.

Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.

Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».

Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.

Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.

Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)




Voghera Fotografia 2023 | Festival Nazionale di Fotografia - IV^ Edizione
"Terra chiama Terra. Bellezza, fragilità e risorse del Pianeta"


27 maggio (inaugurazione) - 11 giugno 2023
Castello Visconteo di Voghera (Pavia)
www.vogherafotografia.it | www.spazio53.com

La manifestazione, organizzata da Spazio 53 e giunta quest'anno alla sua quarta edizione, si svolgerà sotto la direzione artistica di Loredana De Pace, giornalista e curatrice da vent'anni attiva nel mondo della fotografia, e porrà l'accento sui cambiamenti climatici che sempre più spesso vengono documentati dai fotografi di tutto il mondo. In programma una serie di progetti fotografici riconosciuti internazionalmente e che intendono valorizzare la bellezza, la biodiversità, la fragilità e le risorse della Terra di autori quali Michael Kenna, elsa lamartina, Filippo Ferraro, Marcello Vigoni, Marco Urso e Valentina Tamborra: fotografi contemporanei che interpretano il delicato tema sullo stato di salute del Pianeta Terra attraverso precise scelte narrative, linguistiche, stilistiche e tecniche.

Saranno presenti una selezione di fotografie provenienti da: Oasis Photo Contest, World Water Day Photo Contest, FIAF - Federazione Italiana Associazioni Fotografiche e URBIM-ANBI Lombardia. L'autorevolezza crescente di Voghera Fotografia è sottolineata da tre importanti partnership: con il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move che presenta la mostra "Diving Maldives" di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille, con Colorno Photo Life che presenta il progetto "Mondi Umani" di Gigi Montali, ed infine con Milano Sunday Photo, l'importante kermesse cittadina che abbraccia la fotografia in tutti i suoi aspetti e che per la prima volta esce dai confini di Milano.

Spiega Loredana De Pace: "Da diversi anni il cambiamento climatico del nostro Pianeta è al centro dell'attenzione dei fotografi che lo documentano in modo capillare e diversificato. Le loro testimonianze sono fondamentali per allertare l'opinione pubblica in merito a ciò che sta accadendo intorno a noi. Quest'anno Voghera Fotografia, dedicato al 'climate chance', vuole presentare i lavori di alcuni fra i più importanti fotografi naturalisti e autori contemporanei che interpretano il tema attraverso il proprio linguaggio artistico, dei vincitori dei grandi premi dedicati alle tematiche ambientali, senza dimenticare il lavoro delle grandi realtà associative, i loro progetti e gli archivi".nCome ogni anno Voghera Fotografia sarà inoltre arricchito da un ampio programma di conferenze, talk, visite guidate, presentazioni editoriali e workshop. (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)




Dipinto a olio su tela di cm. 278x408 denominato Vita silente realizzato da Marco Del Re nel 1999 Marco Del Re
"Hommage"


16 marzo (inaugurazione) - 24 giugno 2023
Galleria Maeght - Parigi

Un'importante personale di Marco Del Re, pittore e incisore italiano di levatura internazionale. La mostra presenta una selezione di opere dell'artista recentemente scomparso e ci trasporta nel suo romantico e fantastico universo. Autentici inni all'architettura, alla pittura, alla musica e al teatro, gli oli su tela esposti alla Galerie Maeght sono una porta d'accesso a un viaggio nel tempo e nei grandi movimenti artistici, un tuffo nell'universo dell'artista intriso di mitologia, letteratura e poesia.

Presentazione




Ritratto dello scrittore Moravia realizzato dipinto da Gisberto Ceracchini nel 1928 Ritratto di Alberto Moravia realizzato da Carlo Levi nel 1930 Ritratto di Moravia realizzato da Antonio Recalcati nel 1987 Alberto Moravia
"Non so perchè non ho fatto il pittore"


07 marzo - 04 giugno 2023
GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Una mostra a cura di Luca Beatrice ed Elena Loewenthal nel contesto del progetto "Nato per narrare. Riscoprire Alberto Moravia" che la Fondazione Circolo dei lettori ha ideato e realizzato con la GAM e il Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con l'Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani editore e le Gallerie d'Italia.

La figura di Moravia, grande protagonista della vita artistica e intellettuale per larga parte del Novecento, si presta a una varietà di suggestioni che sono al cuore di una rassegna di ampio respiro: pittura, cinema, fotografia e naturalmente letteratura. Tra i molti campi di interesse che oltrepassano la letteratura, quello delle arti visive rappresenta ben più di una passione per Alberto Moravia. I primi scritti d'arte datano 1934 per arrivare al 1990, anno della sua morte. Pubblica su riviste e giornali, tra cui la torinese Gazzetta del Popolo e il Corriere della Sera, e redige testi in catalogo e prefazioni per diversi artisti. Questo interesse gli deriva in parte dall'educazione familiare.

Il padre era appassionato di pittura, la sorella Adriana Pincherle, formatasi insieme a Mafai e Scipione, sarà artista di una certa levatura nell'ambiente romano. Fin dagli anni '30, ma in particolare nel dopoguerra, artisti, scrittori, intellettuali, frequentano lo stesso ambiente e gli stessi luoghi, gli scambi sono all'ordine del giorno. In diversi romanzi l'arte compare tra le maglie delle vicende e in alcuni personaggi, come il pittore fallito Dino e il suo alter ego Balestrieri, modesto e datato, ne La Noia (1960).

Nel 2017 la casa editrice Bompiani ha raccolto, in un prezioso volume, gran parte degli scritti sull'arte di Alberto Moravia, in cui la pittura la fa da protagonista. Dagli anni '30 ai '50 Moravia segue Enrico Paulucci e Carlo Levi nel periodo dei Sei, inizia il lungo sodalizio con Renato Guttuso che durerà tutta la vita, osserva con attenzione la situazione romana, da Giuseppe Capogrossi a Mario Mafai. Nella stagione successiva, nella Roma degli anni '60, capitale dell'arte internazionale, scrive ripetutamente di Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Titina Maselli e della fotografa Elisabetta Catalano cui si deve uno dei ritratti più intensi. Ama anche Antonio Recalcati, Piero Guccione e Fabrizio Clerici.

La mostra nello spazio Wunderkammer si propone come un'ideale collezione degli artisti che lo scrittore stimava e ai quali ha dedicato la propria penna e presenta circa 30 opere provenienti dalla Casa Museo Alberto Moravia di Roma oltre che da raccolte private e da un cospicuo nucleo di dipinti e disegni conservati alla GAM. Ne emerge un interessante ritratto dell'arte italiana attraverso la letteratura, non sempre in linea con le tendenze dominanti o le mode. Le opere scelte per l'esposizione sono infatti affiancate da frammenti di testi tratti perlopiù dal volume di Alberto Moravia Non so perché non ho fatto il pittore a cura di Alessandra Grandelis, Milano, Bompiani, 2017 da cui la mostra prende il titolo e che evocano il rapporto di stima e molto spesso di amicizia con gli autori delle opere presentate. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale che raccoglie le immagini delle opere in mostra e i saggi dei curatori.

Gli artisti in mostra: Gisberto Ceracchini, Carlo Levi, Enrico Paulucci, Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Giuseppe Capogrossi, Mario Mafai, Renato Birolli, Onofrio Martinelli, Fabrizio Clerici, Leonor Fini, Alberto Ziveri, Mino Maccari, Mario Lattes, Antonio Recalcati, Adriana Pincherle, Sergio Vacchi, Piero Guccione, Giosetta Fioroni, Carlo Guarienti, Titina Maselli, Mario Schifano, Elisabetta Catalano.

Alberto Moravia non è uno scrittore attuale, nel senso che non fa adagiare sulle comodità di una pura sovrapposizione di tempi e condizioni politiche, sociali, culturali. Tutta la sua opera esige una sorta di "destabilizzazione" emotiva e mentale, un esercizio di confronto, nel tempo e nello spazio. È anzi uno scrittore "scomodo", capace come nessun altro di mettere in luce i punti oscuri dell'animo umano, quelle ambiguità che chiunque di noi fatica a riconoscere e ammettere. Nessuno può, ad esempio, sentirsi del tutto estraneo a tutto quello che è e fa il suo "conformista". In un modo o nell'altro, tutta la sua opera pone il lettore o lo spettatore in una posizione più difficile e delicata di quanto non immaginasse prima di incontrare Moravia, la sua opera, il suo modo di guardare al mondo.

I suoi romanzi e racconti sono sempre un mondo, in realtà: Moravia osserva, anzi legge il corpo femminile come fosse un universo. E al tempo stesso lo "sente" e lo fa sentire al suo lettore, alla sua lettrice. Ha una capacità straordinaria di estrarre sensazioni dalla sfumatura di una luce dietro una tenda: le sue descrizioni di luoghi sono talvolta impressionanti, per la forza e la delicatezza che portano con sé. Ma c'è sempre nella sua scrittura una attenzione profonda al reale: è tanto visionario quanto realistico. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Gisberto Ceracchini, Ritratto dello scrittore Moravia, 1928
2. Carlo Levi, Ritratto di A. Moravia, 1930
3. Antonio Recalcati, Ritratto di Moravia, 1987

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Zavattini e i Maestri del Novecento | "A tutti i pittori ho chiesto l'autoritratto"
07 maggio - 08 settembre 2013
Pinacoteca di Brera
Presentazione




Fotografia realizzata da Giuseppe Umberto Cavaliere Giuseppe Umberto Cavaliere
"Corrispondenze"


Barbara Frigerio Gallery - Milano
www.barbarafrigeriogallery.com/artisti/giuseppe-umberto-cavaliere

Le fotografie di Cavaliere sono il frutto di una ricerca di forme primordiali nel reale quotidiano; l'autore è attratto dal lato emozionale che esse trasmettono, svincolate dal significato che l'oggetto stesso ricopre. Queste forme primitive sono interessanti per la forza del loro simbolismo e per il loro equilibrio. Vi è in questo una componente surreale che unita al silenzio di fondo che sembra regnare in queste immagini ci conduce ad una visione quasi metafisica.

Oltre alla personale lettura della realtà, le fotografie di Cavaliere sono accomunate da una ricerca di equilibrio compositivo e senso estetico. L'autore utilizza esclusivamente la pellicola in bianco e nero; le stampe, sempre di dimensioni contenute, sono tutte realizzate a mano su carta ai sali d'argento. (Comunicato di presentazione)




Fotografia scattata da Ugo Mulas denomina denominata Le Opere degli Artisti Pop trasportate in Laguna presentata alla XXXII Esposizione Biennale Internazionale d'Arte Venezia del 1964 Ugo Mulas
"L'operazione fotografica"


29 marzo - 06 agosto 2023
Le Stanze della Fotografia - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia

La mostra, presentata in occasione dell'inaugurazione del nuovo centro dedicato alla fotografia, Le Stanze della Fotografia - iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini - è stata realizzata in collaborazione con l'Archivio Ugo Mulas e curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, direttore dell'archivio. Per onorare il 50° anniversario della morte di Ugo Mulas, un'ampia ed esaustiva retrospettiva con oltre 300 immagini, tra cui fotografie mai esposte prima, documenti, libri, pubblicazioni e film, offrono una sintesi capace di offrire una lettura che si apre alle diverse esperienze affrontate da Ugo Mulas, fotografo trasversale a tutti i generi precostituiti e capace di indagare i diversi temi che lo hanno portato a diventare una delle figure più importanti della fotografia internazionale del secondo dopoguerra. (Comunicato Galleria Lia Rumma)

Immagine:
Ugo Mulas, Le opere degli artisti pop trasportate in Laguna. XXXII Esposizione Biennale Internazionale d'Arte Venezia, 1964




Fotografia denominata Glass Tears realizzata da Man Ray nel 1976, foto di Renato Ghiazza Man Ray. Opere 1912-1975
11 marzo - 09 luglio 2023
Palazzo Ducale - Genova

La mostra rende omaggio al lavoro del grande maestro Emmanuel Radnitzky (Filadelfia, 1890 - Parigi, 1976), in arte Man Ray, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore e regista d'avanguardia. La mostra - curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola - raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e film: il percorso espositivo è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile per tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.

La volontà dell'artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all'ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l'aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell'ignoto». La mostra si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.

Un viaggio che comincia - nella prima sezione - con una serie di autoritratti dell'artista, nei quali già si ritrova quell'idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità. Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell'arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell'ambiente artistico.

La seconda sezione della mostra - "New York" - racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l'artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l'amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell'avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento.

È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell'arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l'idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile.

La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla "scoperta della luce". Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall'intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell'evasione dell'artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l'anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d'oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone.

Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell'epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell'artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d'Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque.

Nella "Ville Lumière", Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell'arte e della cultura. È così che l'artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile.

La mostra prosegue con le sezioni "Corpo surrealista" e "Corpo, ritratto e nudo". Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell'artista esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l'heure de l'observatoire - Les Amoureux, con le labbra di Lee Miller ingigantite che volano sopra il paesaggio, un'altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carriera, per giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità.

Un punto cardine nella storia del movimento è l'Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all'interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins (1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell'avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all'Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute couture da modelle femminili, tra cui la compagna dell'epoca Ady Fidelin.

In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l'erotismo e l'amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell'autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività. Il 1940 segna l'anno del ritorno di Man Ray in America - prima a New York e successivamente a Los Angeles -, un ritorno causato dall'impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti.

Nella sezione "Los Angeles/Paris" vengono indagati gli anni in cui l'artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).

La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell'arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l'arte, con infinita ironia e intelligenza. La mostra evidenzia l'originalità, le innovazioni e i contributi dell'artista nell'evoluzione e nell'ideazione anche del cinema d'avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali - tra le altre - Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L'Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929).

Il catalogo, edito da Dario Cimorelli Editore, contiene la riproduzione di circa 150 opere, i saggi dei due curatori e un saggio di Matteo Fochessati dedicato al fondamentale rapporto tra Man Ray e l'editoria d'arte: si tratta di una delle tante particolarità della mostra, nella quale sono esposti alcuni dei preziosi volumi composti da Man Ray insieme ai compagni di strada surrealisti, tra cui i celebri e scandalosi Facile e 1929, realizzati con i poeti e amici Paul Eluard, Benjamin Peret e Louis Aragon. (Comunicato Massimo Sorci - Ufficio stampa Palazzo Ducale)

Immagine:
Man Ray, Glass Tears, 1976, Photo by Renato Ghiazza




Locandina della mostra L'arte della moda L'arte della moda
L'età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968


18 marzo - 02 luglio 2023
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostremuseisandomenico.it

Tintoretto, William Hamilton, George Romney, Francesco Hayez, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, James Tissot, Giovanni Boldini, Vittorio Corcos, Henry Matisse, Josef Hoffmann, Giacomo Balla, Piet Mondrian, Umberto Boccioni, Giorgio de Chirico, Damien Hirst insieme con Charles Frederick Worth, Ventura, Mariano Fortuny, Paul Poiret, Salvatore Ferragamo, Coco Chanel, Germana Marucelli, Valentino Garavani e Pierpaolo Piccioli, Giorgio Armani, Christian Dior di John Galliano, Gucci, Prada, Tom Ford, Cristobal Balenciaga, Yohij Yamamoto: sono soltanto alcuni dei 100 artisti e dei 50 stilisti e couturier protagonisti della mostra.

Diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Enrico Colle, Fabiana Giacomotti e Fernando Mazzocca, l'esposizione è dedicata all'affascinante rapporto fra arte e moda. Il periodo preso in considerazione attraversa tre secoli: dall'Ancien Régime al secondo Novecento. Un racconto unico. Un percorso espositivo di confronti che comprende oltre 300 opere, tra quadri, sculture, accessori, abiti d'epoca e contemporanei. L'esposizione forlivese, la prima del suo genere, somiglia a un vero e proprio kolossal.

Le opere, che a partire dal Settecento attraversano la Rivoluzione francese, il Romanticismo, la Macchia, l'Impressionismo, il Simbolismo e tutte le Avanguardie novecentesche fino a oggi, identificano un rapporto tra arte e moda dove l'arte rispecchia, crea e si fa moda e la moda appartiene definitivamente alle arti. La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula e promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Come cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo

Tra le opere esposte Ritratto dell'avvocato Carlo Manna (1907) di Umberto Boccioni, Ritratto di Emiliana Concha de Ossa (1888) di Giovanni Boldini, Grande composizione A con nero, rosso, grigio giallo e blu (1919) di Piet Mondrian, Donna e anemoni (1920-1921) di Henry Matisse a cui fanno da contrappunto due completi ricamati di Giorgio Armani, il Panciotto di Marinetti (1923 - 1924) di Fortunato Depero, la Camicia Orlando (A/I 2001-02) di Gianfranco Ferré, il Delphos in seta con sopravveste in velluto (1920 circa) di Mariano Fortuny in dialogo con una Kore di tipo Eleusi della fine del II secolo, l'Abito da giorno "Linea Assira" (1961) di Germana Marucelli e un abito da sera inedito di Elsa Schiaparelli.

Accompagnato dal catalogo edito da Dario Cimorelli Edizioni, il progetto espositivo, curato dall'architetto Alessandro Lucchi, si è avvalso della preziosa collaborazione dei più importanti musei d'arte, degli archivi, dei musei e maison di moda. L'esposizione forlivese porta in Italia capolavori provenienti da importanti istituzioni museali internazionali quali, tra gli altri, il Musée d'Orsay di Parigi, la Galleria Belvedere di Vienna, il Musée d'Art et d'Histoire di Ginevra, la Klimt Foundation e il MAK- Museum of Applied Arts, di Vienna, la Galerie Neue Meister di Dresda, Le Domaine de Trianon | Château de Versailles, il Kunstmuseum de l'Aia, il Museum National di Cracovia, il Castello Reale di Varsavia. Prestigiosi anche i prestiti degli abiti e degli accessori provenienti da fondamentali case di moda.

Ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e il Museo Civico San Domenico, la mostra è frutto del lavoro del prestigioso comitato scientifico presieduto ad honorem da Antonio Paolucci e composto da Marco Antonio Bazzocchi, Silvia Casagrande, Simona Di Marco, Fabriano Fabbri, Mario Finazzi, Gioia Mori, Francesco Parisi, Paola Refice, Giorgio Restelli, Stefania Ricci, Ines Richter, Chiara Squarcina, Ulisse Tramonti. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Opera di Serse nella mostra Bianchi e Neri Serse. Bianchi e Neri
22 aprile (inaugurazione) - 11 giugno 2023
Reggia di Colorno (Parma)

Un racconto in bianco e nero di Serse. Sono "paesaggi dell'anima" quelli che l'artista triestino propone in questa mostra. Offrendo un percorso attraverso quei paesaggi, dalla natura incontaminata fino all'architettura che li abita e ne interpreta il senso. La mostra ed il catalogo (edito da Gruppo Spaggiari) sono a cura di Didi Bozzini. "I disegni di Serse - scrive il curatore - non sono gli esercizi di un virtuoso iperrealista, ma le pagine di un racconto. Da leggere, da "ascoltare con gli occhi", come se fossero i fogli del diario di un calligrafo. Oppure, le annotazioni minuziose di una fenomenologia dello sguardo. O ancora, i versi di un poema romanticamente ispirato alla sublimità della natura. Una scrittura di pietra, di luce e d'acqua, che parla della mente, dell'occhio e della mano. Un racconto con una sola voce narrante, diversi scenari e più strati di significato".

"La superficie monocroma è invariabilmente in bianco e nero. Screziata dalla vibrazione delle tonalità di grigio che il chiaroscuro genera tra il bagliore e la tenebra, in un'apparente assenza di colore. Solo apparente, perché in realtà quelle nuances di perla o d'antracite sono veri e propri colori, i colori del pensiero. Cioè le sfumature della riflessione con cui l'artista tramuta le cose prima in idee e poi in figure. Perché, come ricordava Annibale Carracci, "disegnare è pensare con le mani".

"Lo strumento di lavoro privilegiato, pressoché unico, è la matita di grafite. Prolungamento minerale della mano, che deposita sul foglio bianco le tracce della propria fatica. I sedimenti di un tempo lungo, meditativo, in cui il fare assume la forma di una liturgia laica. Ripetuta all'infinito, fino all'incantesimo. Fino all'apparizione di un'immagine della realtà, che sembra una fotografia, ma è un disegno. Il disegno di una fotografia".

Dice Serse: "Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la distingue e che ci attraversa lasciando in noi indelebili i segni della sua grandezza. I paesaggi che disegno non rinviano ad alcunché di esterno, ma a quella "immensità interiore" così cara alla poetica romantica. Sono dunque paesaggi dell'anima". Il fulcro della pratica artistica di Serse (San Polo di Piave, 1952) è il disegno a grafite su carta. Dalla grafite di Serse nasce una delle più intense rivisitazioni del tema-paesaggio nell'arte contemporanea: mari, superfici acquatiche, riflessi vegetali sull'acqua, cieli nuvolosi, alte montagne, boschi innevati e spazi naturali privi di figure umane e trasformati da luce e ombra. Per Serse, la tecnica della grafite "consente sia di compiere il gesto tautologico del disegno, sia di realizzare un'opera che non mente sulla sua natura di puro disegno". (Estratto da comununicato ufficio stampa Studio Esseci)




Vivian Maier
"Shadows and Mirrors"


23 marzo - 11 giugno 2023
Palazzo Sarcinelli - Conegliano

La mostra, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano. "Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa", così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell'artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell'obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.

La mostra ripercorre l'opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell'artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante. Vivian Maier fotografò per più di quarant'anni, a partire dai primi anni '50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce.

Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l'hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.

L'allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell'autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni '50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata Shadow (l'ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L'ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea.

È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il Reflection (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l'artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l'idea di auto-rappresentazione. L'autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l'invisibile, il riconoscibile e l'irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi.

Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l'immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al Mirros (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l'artista affronta il proprio sguardo.

"La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa", scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un'icona della storia della fotografia. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Mostre in Italia di Vivian Maier




Locandina mostra dedicata a Vittore Carpaccio Vittore Carpaccio
Dipinti e disegni


18 marzo - 18 giugno 2023
Palazzo Ducale - Venezia

In mostra sono riunite soprattutto opere oggi in musei e collezioni internazionali, oppure in chiese degli antichi territori della Serenissima, dalla Lombardia all'Istria e alla Dalmazia: opere che illustrano compiutamente la varietà e l'altezza della pittura di Carpaccio, seguendone anche l'evoluzione; fino al capitolo conclusivo della sua carriera, tra secondo e terzo decennio del Cinquecento, quando l'arte del maturo maestro, pur rimanendo colta e suggestiva, pare non tenere il passo delle novità tematiche e tecniche introdotte da Giorgione. La curatela del progetto è stata affidata a Peter Humfrey, riconosciuto specialista del pittore e del suo contesto, con Andrea Bellieni, curatore dei Musei Civici di Venezia, e Gretchen Hirschauer, curatrice della pittura italiana e spagnola alla National Gallery of Art di Washington.

Carpaccio (1465 ca. - 1525 o 1526) era anche un disegnatore superlativo: dal notevole corpus dei suoi disegni - il maggiore pervenuto a noi di un pittore veneziano del suo tempo - in mostra sono presenti numerosi studi su carta, spesso straordinari di per sé, che spaziano da rapidi schizzi compositivi d'insieme ad accurati studi preparatori di teste e pose. La mostra al Ducale propone ben 70 opere dell'artista, di cui 42 dipinti e 28 disegni, sei dei quali sono recto / verso, per cui le opere da ammirare nel complesso salgono a 76.

"Questa mostra - evidenzia Andrea Bellieni - nasce dall'esigenza di guardare con occhi nuovi a questo grande pittore, soprattutto alla luce di recenti restauri rivelatori e della scoperta di significativi inediti: una preziosa opportunità per la Storia dell'Arte, ma anche per il pubblico, di fronte alla pittura di irresistibile fascino di un tale 'antico maestro' ". La mostra è stata l'occasione per sviluppare la collaborazione tra Fondazione Musei Civici di Venezia e Istituto Italiano di Tecnologia che rappresenta l'eccellenza della ricerca italiana nell'ambito della conservazione e dello studio del patrimonio culturale, potenziata anche dalla partnership con AerariumChain.

Carpaccio formò e alimentò la sua arte nella tradizione pittorica veneziana dei Bellini, dei Vivarini, nonché di altre influenti personalità e tendenze, come la lezione dei toscani, dei ferraresi, di Antonello da Messina, dei tedeschi (Dürer) e dei 'primitivi' fiamminghi. Ne derivò una personalità subito originale e autonoma, soprattutto attratta dai particolari di flora, fauna e paesaggio, di architettura, arredo e decorazione, di abbigliamento ed esotismo. Il tutto composto con estro che spazia dal giocoso al teatrale, dell'aneddoto alla satira, ma giungendo anche a supremi vertici di poesia, psicologismo, drammaticità e profondità spirituale.

Grazie a questi molteplici 'registi' personali - per i quali Carpaccio fu di fatto l'inventore della pittura europea cosiddetta 'di genere' - egli fu soprattutto un insuperato 'raccontatore di storie'; infatti, fu sempre celebrato soprattutto per i suoi cicli, serie coordinate di tele (teleri) che tramandano articolati racconti sacri: quasi cinematografici, perfettamente 'sceneggiati' nella loro eloquente narrazione visiva popolare, furono realizzati per le sale di riunione di confraternite religiose laicali, a Venezia dette scuole.

"Tali opere basilari di Carpaccio - alcune rimaste a Venezia, ma altre esulate all'inizio nel secolo XIX in musei italiani e internazionali - sono troppo grandi e fragili per essere condotte in mostra (solo si è potuto riunire integralmente il ciclo smembrato della Scuola del Albanesi). Ma il visitatore potrà facilmente ritrovare in città tali essenziali capolavori; in particolare l'unico ciclo rimasto nella sede originaria, nella Scuola di Giorgio degli Schiavoni, anche grazie all'ingresso ridotto che la Scuola riconosce ai visitatori del Ducale", evidenzia Mariacristina Gribaudi, Presidente di Fondazione MUVE. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Locandina della mostra dedicata a Fausto Melotti Fausto Melotti
"La ceramica"


25 marzo - 25 giugno 2023
Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti (Complesso monumentale di San Micheletto) - Lucca
www.fondazioneragghianti.it

Nel 1948 Carlo Ludovico Ragghianti scrive un saggio nel catalogo della mostra Handicraft as a fine art in Italy a cura di Bruno Munari, ospitata alla House of Italian Handicraft a New York. Tra le opere esposte anche i vasi in ceramica di Fausto Melotti, che insieme alle opere di Afro, Casorati, Consagra, de Pisis, Fontana, Fornasetti, Guttuso, Morandi e molti altri, volevano dimostrare come in Italia la produzione delle cosiddette arti applicate fosse da considerarsi a tutti gli effetti fine art.

Per ricordare quel primo incontro, nel ventennale dell'edizione del Catalogo generale della ceramica di Fausto Melotti la Fondazione Ragghianti organizza la mostra a cura di Ilaria Bernardi, un viaggio tra le opere di un protagonista assoluto del rinnovamento artistico italiano del Novecento. Scultore, pittore, disegnatore e poeta, Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986) è stato un raffinato ceramista e, dal secondo dopoguerra sino ai primi anni Sessanta, in questa tecnica ha trovato uno strumento di invenzione e trasformazione della sua scultura. Realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti e il MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, la mostra si svilupperà in quattro sezioni.

La prima inserisce e storicizza la produzione ceramica di Melotti nella sua vita e della sua attività, attraverso una cronologia illustrata che dalla nascita nel 1901 giunge alla sua scomparsa nel 1986. La cronologia sarà accompagnata da teche per accogliere importanti documenti del suo archivio legati specificatamente alla produzione in ceramica, tra cui tre suoi quaderni mai esposti finora. La seconda sezione sarà dedicata alle più note tipologie di sculture in ceramica concepite dall'artista: dalle ceramiche a carattere sacro ai bassorilievi, dagli animali alle figure femminili, dai cosiddetti Onu fino ai Teatrini. Tra le opere esposte anche la preziosa Lettera a Fontana (1944), esposta nel 1950 alla Biennale di Venezia.

Nella terza sezione il video In prima persona. Pittori e scultori. Fausto Melotti (1984), di Antonia Mulas, include l'unica intervista in cui l'artista, analizzando il proprio percorso e la sua concezione dell'arte, parli della ceramica. Anticipata da un focus sui multiformi vasi realizzati dall'artista, l'ultima parte del percorso della mostra include differenti tipologie di ceramiche - coppe, tazzine, lampade, piatti - che, anche se ispirate a oggetti d'uso quotidiano, sono state concepite dall'artista svincolandole dalla loro funzione e rendendole vere e proprie sculture.

Accanto alle opere di Melotti saranno esposte quelle di importanti artisti e designer con cui direttamente o indirettamente ebbe contatti, concesse in prestito dal MIC di Faenza, che conserva la raccolta di arte ceramica più grande al mondo: da Giacomo Balla a Lucio Fontana, da Leoncillo ad Arturo Martini, da Enzo Mari a Bruno Munari, e ancora Gio Ponti, Emilio Scanavino, Ettore Sottsass e molti altri.

La mostra sarà accompagnata da un libro-catalogo pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull'arte, con le riproduzioni di tutte le opere esposte, documenti e materiali d'epoca e i saggi di Ilaria Bernardi, curatrice della mostra; Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Fausto Melotti; e Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e con una prefazione del direttore della Fondazione Ragghianti, Paolo Bolpagni. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Copertina del numero di giugno, luglio e agosto 2021 del mensile d'arte Archivio Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione

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Maria Vittoria Backhaus
"I miei racconti di fotografia oltre la moda"


31 marzo - 11 giugno 2023
Castello di Casale Monferrato

Antologica, frutto di una ricerca in un archivio articolato dove gli anni di progettazione editoriale si alternano a un incessante studio personale e le immagini rispecchiano interpretazioni nuove e controcorrente realizzate per la Moda, il Design e la Ritrattistica, con una produzione di "Still life"" e di Costruzioni artistiche. A sfilare nelle Sale del Secondo piano del Castello di Casale Monferrato sarà una galleria caleidoscopica di immagini, curata da Luciano Bobba e Angelo Ferrillo con la direzione artistica di Mariateresa Cerretelli per scoprire la creatività dell'autrice a tutto tondo.

Animata da un'attenzione quasi maniacale per l'estetica e per la finezza delle fotografie e sempre un passo avanti rispetto alla classicità delle immagini imperanti nelle riviste patinate o nelle campagne pubblicitarie dagli anni '70 a oggi, l'artista/fotografa si colloca a pieno titolo tra i nomi di punta della fotografia italiana. Con una rilettura inedita di un archivio sterminato e ricchissimo, la mostra prende in esame i vari temi che compongono la multiforme genialità di Maria Vittoria Backhaus che si è espressa soprattutto in ambito editoriale, nelle pubblicità e in un suo percorso personale attraverso un'osservazione e una messa a fuoco di una società in evoluzione continua.

"La creatività artistica ci unisce e per me studiare la mostra con Maria Vittoria passo dopo passo è come seguire la linea parallela di uno scambio naturale e spontaneo senza barriere in un fluire di pensiero e di accordi estetici profondi e immediati che derivano dalla comune passione per l'arte fotografica" afferma il curatore Luciano Bobba. Una girandola di bianco e nero e di colore che rappresenta lo specchio di un'iconografia senza confini, dove Backhaus si muove a suo agio e rivela anche uno studio approfondito sull'uso delle diverse macchine fotografiche di cui si serve.

"Ho lavorato - afferma l'autrice - con tutti i formati possibili delle macchine fotografiche analogiche, dal formato Leica ai grandi formati con il soffietto sotto il panno nero 20 x 25. Stavano tutte in un grande armadio nel mio studio. Mi piacevano anche come oggetti, così le ho anche ritratte. Ho dovuto imparare tutte le diverse tecniche per poterle usare, acquisite ma dimenticate al momento dello scatto per concentrarmi sul racconto della fotografia".

I temi portanti di un racconto sempre in progress si susseguono nelle sale del Secondo piano mettendo in risalto la moda, gli accessori, gli still-life, il design, la natura, le statuine, i collages e le composizioni scenografiche costruite con miniature di edifici e pupazzetti. Più di quarant'anni di fotografia dove i reportage e i ritratti trovano spazio e si completano con racconti dedicati tra i quali spiccano gli abitanti di Filicudi, l'isola amata dalla fotografa e, più di recente, Rocchetta Tanaro e la sua gente monferrina.

Il co-curatore Angelo Ferrillo conosce da molto tempo Maria Vittoria Backhaus e la sua narrazione fotografica: "Immaginifico. È l'aggettivo che mi ha pervaso la prima volta che ho avuto la fortuna di vedere il lavoro di Maria Vittoria. Conoscendola poi a fondo, vivendo la produzione e approfondendo il suo pensiero, mi sono reso conto di quanto la sua fotografia si muova in equilibrio tra visione, creatività e metodo". È una mostra che rende omaggio a una mente estrosa con una vena artistica inarrestabile, tutta dedicata al linguaggio della fotografia. Il Middle MonFest 2023 si estenderà con "Fotografia in vetrina" nella Sala Marescalchi. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Eve Arnold
L'opera, 1950-1980


25 febbraio - 04 giugno 2023
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to

Per intendere la sua importanza nella storia della fotografia, è sufficiente ricordare che Eve Arnold è stata la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. Determinazione, curiosità e, soprattutto, la volontà di fuggire da qualsiasi stereotipo o facile categorizzazione le hanno permesso di produrre un corpus eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo ai reportage d'inchiesta dove ha affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico di ieri e di oggi.

L'esposizione, curata da Monica Poggi e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte fino ad ora, e presenta l'opera completa della fotografa a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati all'età di 85 anni, alla fine del secolo. Le opere selezionate affrontano temi e questioni come il razzismo negli Stati Uniti, l'emancipazione femminile, l'interazione fra le differenti culture del mondo. Anche se la sua fama planetaria è senza dubbio legata ai numerosi servizi sui set di film indimenticabili, dove ha ritratto le grandi star del periodo da Marlene Dietrich a Marilyn Monroe, da Joan Crawford a Orson Welles.

«Metaforicamente parlando - ha affermato Robert Capa - il suo lavoro cade a metà fra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate». Ed è proprio un servizio dedicato all'attrice tedesca, ottenuto quasi casualmente, ad accendere i riflettori sul suo talento, dandole accesso al mondo dello spettacolo. Gli scatti più noti sono quelli che hanno come soggetto Marilyn Monroe, con la quale stringe un vero e proprio sodalizio artistico dopo che la diva nel 1954 la avvicina a una festa dicendole: «Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?».

Il rapporto con Marilyn fa nascere immagini passate alla storia soprattutto per aver raccontato la personalità dell'attrice celata dietro alla facciata da diva. Eve Arnold dimostra una straordinaria capacità di entrare in sintonia con i propri soggetti, abbattendo barriere e reticenze, anche attraverso gli iconici ritratti a personaggi come Joan Crawford, che si fa immortalare durante infiniti rituali di bellezza, o Malcolm X, che le concede di seguirlo a distanza ravvicinata durante i più importanti raduni dei Black Muslims e del quale realizza un ritratto che diviene subito una vera e propria icona.

Proprio le immagini del controverso leader trovano posto in mostra insieme ai diversi servizi dedicati da Eve Arnold alla comunità nera e alle rivendicazioni degli afroamericani che negli anni Cinquanta stavano prendendo piede in tutti gli Stati Uniti. Il suo primo lavoro è, infatti, un reportage dai toni densi e fumosi dedicato alle numerose sfilate di moda di Harlem, organizzate nella totale indifferenza del mondo della moda bianca. Realizzato come esercitazione per un corso alla New School for Social Research di New York tenuto dal celebre Art Director di "Harper's Bazaar", Alexey Brodovitch, il progetto la trasforma in pochissimo tempo in una delle autrici più richieste da giornali e magazine internazionali.

Questi scatti sono rivoluzionari sia per la scelta del soggetto che per lo stile: uscendo dall'estetica patinata dei magazine del periodo, Arnold racconta i momenti spontanei dietro le quinte, l'attesa prima dello spettacolo, l'impazienza del pubblico. Il lavoro è realizzato in situazioni di scarsa luminosità e, non volendo utilizzare il flash, Eve Arnold passa ore in camera oscura per esaltare l'atmosfera intima degli ambienti, ponendo le basi del suo particolare stile dove la teatralità di un'illuminazione naturale e la vicinanza emotiva ai soggetti sono imprescindibili. Il servizio è considerato troppo scandaloso per i giornali americani, tanto da venire pubblicato nel 1951 dal londinese "Picture Post" e poi da diverse riviste europee.

A questo seguiranno numerosi altri reportages da tutto il mondo, come quelli realizzati in Cina nel 1979 e l'imponente progetto sull'uso del velo in Medio Oriente, avviato dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a togliere il velo per entrare nella modernità: luoghi e temi in grado di aprire dibattiti anche sull'oggi.

La carriera di Arnold è a tutti gli effetti un inno all'emancipazione femminile. I suoi soggetti sono nella maggior parte dei casi donne: lavoratrici, madri, bambine, dive, suore, modelle, studentesse, immortalate senza mai scivolare in stereotipi o facili categorizzazioni, con il solo intento di conoscere, capire e raccontare. Questo principio la guida anche nelle fotografie più intime e delicate, come quelle realizzate nei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo, soggetto a cui ritorna costantemente per esorcizzare il dolore subito con la perdita di un figlio avvenuta nel 1959.

La scelta e la disposizione delle immagini in mostra è finalizzata a restituire la ricchezza dell'opera di questa autrice, sottolineata anche attraverso numerosi documenti d'archivio, testi, provini di stampa, libri e riviste in grado di arricchire la scoperta di una vera e propria leggenda della fotografia. L'esposizione è accompagnata dal catalogo "Eve Arnold", edito dalla nuova casa editrice Dario Cimorelli editore. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Opere artistiche di Mirco Marchelli in esposizione nella mostra Voci in capitolo Mirco Marchelli. Voci in capitolo
12 febbraio (inaugurazione) - 02 luglio 2023
Fondazione Biscozzi | Rimbaud - Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Mostra dedicata all'artista e compositore Mirco Marchelli, a cura di Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, quarto appuntamento espositivo dell'istituzione fondata nel 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud con l'intento di promuovere l'arte moderna e contemporanea attraverso un programma di mostre che ha visto sin qui come protagonisti Angelo Savelli (L'artista del bianco, 2021), Salvatore Sava (L'altra scultura, 2022) e Grazia Varisco (Sensibilità percettive, 2022-2023). La mostra, promossa e prodotta dalla Fondazione Biscozzi | Rimbaud, ha il patrocinio del Comune di Lecce.

Mirco Marchelli (Novi Ligure, 1963) è sia un artista visivo, sia un compositore, e ha realizzato ad hoc per la Fondazione Biscozzi | Rimbaud un brano in tre parti - corrispettivi di altrettanti madrigali moderni - a sei voci miste, su testi del poeta genovese Edoardo Sanguineti (1930-2010), diffuso come tappeto musicale nelle tre sale espositive, in stretta connessione con un ciclo unitario di diciotto opere polimateriche, tutte di eguali dimensioni, suddivise in tre gruppi da sei (uno per ogni sala). L'intervento di Marchelli s'intitola, con l'ironia sua tipica, Voci in capitolo, in un gioco di rimandi che va dal madrigalista e compositore polifonico tardo cinquecentesco Gesualdo da Venosa (Venosa, 1566 - Gesualdo, 1613) alla contemporaneità.

Secondo il curatore e direttore tecnico-scientifico della Fondazione Paolo Bolpagni, "la mostra è l'estrinsecazione e la testimonianza di una vera e propria opera d'arte totale, di suprema grazia e arguzia". Mirco Marchelli parte dalla musica, all'inizio praticata nelle vesti d'interprete, poi portata avanti - come attività parallela, complementare e integrata a quella di artista visivo - nell'àmbito della composizione, con una libertà e un'originalità fuori dal comune. Considerarlo separando tali aspetti, o ignorandone l'uno o l'altro, sminuisce la forza di un pensiero estetico sfaccettato ma coerente.

E allo stesso modo sarebbe limitante far leva soltanto sull'innegabile attrattiva del personaggio, della sua esistenza appartata, modellata con delicatezza e cura pazienti, della casa dell'Alto Monferrato in cui egli, semplicemente vivendo, applica agli spazi, alle atmosfere, ai gesti la misura di un ideale mite, tenace e gentile. Una delle chiavi interpretative potrebbe essere quella della nostalgia, imperniata sul fascino polveroso delle "vecchie cose" che spesso rappresentano gli ingredienti di cui Mirco Marchelli si serve per creare i propri oggetti: pezzi di legno, di tessuto o di ceramica, vecchi fogli di ibri e quaderni, magari poi rivestiti di uno strato di cera che li eterna e trasfigura. Concrezioni della memoria, quindi; ma prive della patina melanconica che il termine "nostalgia" implica generalmente.

Marchelli infatti ridà vita e significato a questi materiali, mette a frutto le loro "risonanze" e le storie di cui sono espressione per dire qualcosa di nuovo; non si limita a evocare ricordi, ma suscita suggestioni tutt'altro che ripiegate in un vagheggiamento del passato. Nel suo estro combinatorio leggiamo il piacere e la soddisfazione di mescolare, impastare e manipolare per produrre una risultante inaspettata, dove i "sapori" delle singole componenti, scelte con estrema attenzione, si colgono ancora, ed emanano aromi e retrogusti penetranti, ma si fondono in inedita associazione, superiore alla mera somma delle parti. La mostra è corredata da un catalogo trilingue (in italiano, francese e inglese) a cura di Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, pubblicato da Dario Cimorelli Editore. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Costas Varotsos
Passi e memorie


15 gennaio (inaugurazione) - 30 settembre 2023
Museo delle Trame Mediterranee - Baglio Di Stefano, Gibellina (Trapani)
www.fondazionemerz.org

La Fondazione Orestiadi, in collaborazione con la Fondazione Merz, in occasione della ricorrenza del devastante terremoto del Belìce del 1968, presenta due opere degli artisti Costas Varotsos (Grecia) e Gianfranco Anastasio (Sicilia). In particolare l'opera di Varotsos Spirale, 1991-98, già esposta da aprile a novembre 2022 presso il Parco Archeologico di Segesta nella mostra Nella natura come nella mente, curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi.

La spirale è un elemento che intreccia energia e natura, forma ripetuta e potenziata dal vetro che riflette e rifrange la luce. L'opera di Varotsos nella purezza dei materiali e nella loro potenza, nell'articolazione di cerchi, cicli vitali che si susseguono, è sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l'Universo. La grande spirale con la sua armatura in ferro e l'anima in vetro apre un dialogo tra i materiali ed elementi naturali quali: la luce, trasparenza, energia, movimento, tempo, equilibrio. La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura. L'artista, utilizzando la trasparenza del vetro per portare lo sguardo del visitatore oltre l'opera, stabilisce un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




Il Manifesto del bar Giamaica Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica - 65° anniversario
www.archivioalbertozilocchi.com

L'Archivio Alberto Zilocchi festeggia il 65° anniversario del "Manifesto del bar Giamaica", documento nel quale otto giovani artisti (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga e Alberto Zilocchi), in un momento di impeto, annunciano l'arrivo della pittura d'avanguardia in occasione della Mostra dei Giovani Artisti organizzata all'interno del bar Giamaica in via Brera 32 a Milano il 9 novembre 1957. Attraverso i suoi canali social e sul canale Youtube dell'Archivio Alberto Zilocchi a partire dal 9 novembre 2022 un video predisposto per l'occasione dal titolo "65° anniversario Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica".

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"Attualmente, a Milano, il Premio S. Fedele è l'unica rassegna che si dice pensosa di promuovere e segnalare l'attività dei giovani pittori. Ma in realtà il Premio S. Fedele esclude e respinge le nuove posizioni e tendenze della giovane pittura italiana, e ripiega piuttosto sui frutti di uno squallido artigianato tradizionalista, privo di interesse e consistenza. Si presenta così ai critici un panorama falsato, per ragioni che trasparentemente nulla hanno a che fare con l'arte e restringe il campo alla produzione più conformista.

Sono da giustificare quindi i critici che hanno scritto, forse in buona fede, sulla decadenza delle forme di pittura non descrittiva e sull'assoluta mancanza di pittura d'avanguardia. Noi esponiamo in un Bar, ma non per questo la nostra mostra è meno valida. Con essa e con questo manifesto noi vogliamo affermare la nostra inequivocabile presenza nel mondo dell'Arte e della Cultura, contro tutti coloro che intendono soffocarla in certe falsate e poco culturali Rassegne d'arte". (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga, Alberto Zilocchi - Milano, 9 novembre 1957)

Alberto Zilocchi nasce a Bergamo nel 1931. Agli inizi anni '50 parte per Parigi per frequentare dei corsi della nuova pittura europea e lì conosce Piero Manzoni. Verso la metà degli anni '50 frequenta l'avanguardia di Milano e i giovani pittori che si riuniscono al Bar Giamaica di Brera a Milano, a due passi dall'Accademia. Nel 1957 firma con Piero Manzoni, Ettore Sordini, Angelo Verga, Aldo Calvi, Guido Biasi, Antonio Recalcati e Silvio Pasotti il Manifesto del Bar Giamaica, in cui annunciano l'arrivo della nuova pittura d'avanguardia.

Nel 1959 Alberto Zilocchi partecipò alla prima mostra collettiva - e seconda mostra in termini temporali della Galleria - della galleria Azimut fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani in via Clerici 12 a Brera, inaugurata il 22 Dicembre 1959 e terminata il 3 Gennaio 1960 accanto ad altri artisti come Manzoni, Anceschi, Boriani, Castellani, Colombo, Dadamaino, Devecchi, Mari e Massironi. In questo periodo Zilocchi collabora, tra gli altri, con Lucio Fontana, con il quale esporrà sempre nel 1959 alla Galleria della Torre di Bergamo e diventa uno dei principali artisti animatori del Gruppo Bergamo.

Negli anni '70 Zilocchi partecipa a diverse esposizioni in tutta Europa e nel 1972 diventa uno di principali animatori con altri artisti europei del Centro internazionale di Studi d'Arte Costruttiva (Internationaler Arbeitskreis für Konstruktive Gestaltung - IAFKG), gruppo di lavoro che opererà con mostre, simposi e commenti critici in tutta Europa sino al 1988.

I lavori più conosciuti di Albero sono la serie dei Rilievi, opere monocrome caratterizzate da estroflessioni sulla superficie, tutte in rigoroso ed esclusivo colore monocromo bianco acrilico opaco su supporti - tavole o telai realizzati dallo stesso artista, opere molto spesso quadrate come opere singole, oppure concepiti in serie, dando vita ad una rappresentazione tridimensionale dello spazio composta da linee geometriche di luce ed ombre che si ispessiscono e poi infine sfumano sino ad annullarsi sulla superficie piana del quadro, prodotti sino a tutti gli anni '70, mentre negli anni '80 Zilocchi avvia il nuovo ciclo delle Linee, carte o tele applicate su tavole (molto spesso quadrate), nelle quali il bianco di fondo è solcato da tratti neri di spessore e frequenza variabili.

In ogni composizione un rigido schema geometrico di partenza viene poi rotto dall'artista secondo un'anomalia introdotta da un elemento casuale: il lancio di un dado o un'estrazione a sorte (ad esempio una pagina dell'elenco telefonico) determinano l'aumento di lunghezza delle righe o il loro spessore. «Il caso ha molta più fantasia di noi» amava ripetere Zilocchi. Muore nel 1991 a Bergamo. Durante la sua vita ha esposto in oltre 100 mostre personali e collettive, soprattutto nel nord Europa (Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Inghilterra). (Comunicato Archivio Alberto Zilocchi)




locandina della mostra Ri-Materializzazione del Linguaggio 1978-2022 Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022
01 ottobre 2022 (inaugurazione) - 03 giugno 2023
Fondazione Antonio Dalle Nogare - Bolzano
www.fondazioneantoniodallenogare.com

La mostra Materializzazione del linguaggio, curata dall'artista e poetessa Mirella Bentivoglio, fu inaugurata il 20 settembre 1978 presso i Magazzini del Sale, nell'ambito della XXXVIII Biennale di Venezia. Nella sua molteplicità di immagini e parole, di pratiche individuali e collettive, essa comprendeva le ricerche verbo-visuali di 90 artiste e poetesse internazionali che, raccontando il "rapporto fra la donna e il linguaggio", materializzavano un linguaggio inteso come modalità di comunicazione non condizionata, incorporando un'espressione identitaria trasgressiva, al contempo poetica e critica, di radicale rifiuto del linguaggio patriarcale.

Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022 - in cui è presentata un'ampia selezione delle opere originariamente esposte, insieme ad altre coeve e a materiali di documentazione - si propone come il primo tentativo di ricostruzione filologica di una mostra divenuta nel frattempo un punto di riferimento per le ricerche artistiche femminili e femministe, ma anche come la riattivazione contemporanea delle sue istanze storiche. Ispirato alle opere stesse, l'allestimento parte dalla matrice dell'alfabeto quale grado zero del linguaggio, e dal rapporto opera/documento, mostra/libro, muro/vetrina, invitandoci a continuare a reinventare il linguaggio che ci è stato imposto, così da poterci riappropriare del modo più autentico e personale in cui desideriamo esprimerci e comunicare.

La mostra, a cura di Cristiana Perrella, Andrea Viliani con Vittoria Pavesi e allestimento Matilde Cassani Studio, è presentata in occasione del centenario della nascita di Mirella Bentivoglio (Klagenfurt am Wörthersee, 1922 - Roma, 2017). Il linguaggio della mostra originaria sarà periodicamente e progressivamente ri-materializzato dagli interventi di tre artiste contemporanee - Monica Bonvicini (Venezia, 1965), BRACHA (Bracha L. Ettinger, Tel Aviv, 1948) e Nora Turato (Zagabria, 1991) - e attraverso una pluralità di eventi, sia digitali che dal vivo. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Busto di Sekhmet al Museo Civico Archeologico di Bologna Sekhmet, la Potente
Una leonessa in città


07 luglio 2021 - 31 dicembre 2023
Museo Civico Archeologico - Bologna
www.museibologna.it/archeologico

Progetto espositivo a cura di Daniela Picchi. L'iniziativa è resa possibile dalla generosa collaborazione con cui il Museo Egizio di Torino ha concesso in prestito uno dei suoi capolavori più rappresentativi: una statua colossale di Sekhmet, materializzazione terrestre della temibile divinità egizia con testa di leonessa e corpo di donna, di cui il museo torinese conserva una delle più grandi collezioni al di fuori dell'Egitto, composta da 21 esemplari.

Divinità dalla natura ambivalente, al contempo di potenza devastatrice e dispensatrice di prosperità, Sekhmet, ovvero "la Potente", venne raffigurata in varie centinaia di statue per volere di Amenhotep III, uno dei faraoni più noti della XVIII dinastia (1388-1351 a.C.), per adornare il recinto del suo "Tempio dei Milioni di Anni" a Tebe Ovest. Alcuni studiosi ipotizzano che il gigantesco gruppo scultoreo fosse composto da due gruppi di 365 statue, una in posizione stante e una assisa per ogni giorno dell'anno, così da creare una vera e propria "litania di pietra", con la quale il faraone voleva pacificare Sekhmet tramite un rituale quotidiano. La regolarità dei riti in suo onore servivano infatti a placarne l'ira distruttrice che la caratterizzava quale signora del caos, della guerra e delle epidemie, trasformandola in una divinità benevola e protettrice degli uomini.

Nella collezione egizia del Museo Civico Archeologico di Bologna è presente il busto di una di queste sculture che - grazie al confronto con la Sekhmet seduta in trono proveniente dal Museo Egizio di Torino - potrà così riacquistare, almeno idealmente, la propria integrità creando una proficua occasione di confronto e ricerca scientifica. La statua sarà esposta nell'atrio monumentale di Palazzo Galvani e andrà ad arricchire un importante repertorio di materiali lapidei, sia di proprietà civica, tra i quali un raro busto in marmo di Nerone, sia di proprietà statale, che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara ha depositato presso il museo.

Dall'alto dei suoi 2,13 metri di altezza, Sekhmet potrà così accogliere il pubblico e introdurlo alla visita della collezione egizia, continuando a svolgere quella funzione protettrice per la quale era stata commissionata da Amenhotep III mentre, al suo cospetto, il visitatore potrà rivivere la stessa emozione che il sacerdote dell'antico Egitto doveva provare quando entrava nel cortile del Tempio per pronunciare il nome della "Potente" e invocarla nelle sue preghiere per placarla e propiziare ogni estate la fertile esondazione delle acque del Nilo.

Il pantheon egizio conta numerose divinità femminili associate al culto solare e una di queste è Sekhmet, il cui nome significa "la Potente". La temibile dea era considerata dagli Egizi l'Occhio del Sole, emblema del potere divino che tutto vede, la Furia nel mondo degli dei, che si erge sotto sembianze di serpente Ureo anche sulla fronte dei sovrani, proteggendoli.

Come racconta il Mito della Vacca Celeste, attestato per la prima volta durante il regno del faraone Tutankamun (1333-1323 a.C.), il demiurgo Ra aveva inviato Sekhmet sulla terra per punire gli uomini in rivolta contro gli dei. La leonessa, inebriata dall'odore del sangue, avrebbe annientato l'intero genere umano se Ra non fosse intervenuto nuovamente, su suggerimento del dio della saggezza Thot, facendo versare in un lago una grande quantità di birra colorata con ocra rossa. Attratta dal colore e pensando si trattasse di sangue, la dea ne bevve sino ad ubriacarsi, dimenticandosi del precedente odio verso gli uomini e trasformandosi in Hathor, il principio femminile creativo, al quale era associato anche l'arrivo della piena del Nilo in Alto Egitto. Tale trasformazione non sorprende se si considerano le divinità egizie come manifestazioni diverse di un più ampio concetto di divino.

La pericolosa e furente Sekhmet, oltre a poter inviare sulla terra pestilenze e malattie, adeguatamente adorata, era anche in grado di prevenirle e guarirle, tanto da avere un sacerdozio, quello dei "puri sacerdoti di Sekhmet", dedito alla cura delle vittime colpite da afflizioni invisibili e apparentemente divine come la peste (definita anche "l'anno di Sekhmet").

La manifestazione di culto più eclatante nei confronti di questa divinità leontocefala si deve al faraone Amenhotep III (1388-1351 a.C.), che, in occasione del suo giubileo, la celebrazione del trentesimo anno di regno, trasformò le litanie innalzate per placare Sekhmet negli ultimi cinque giorni di ogni anno, i Giorni dei Demoni, in una impressionante litania di pietra, facendo scolpire oltre 700 sculture rappresentanti la dea in posizione stante e assisa in trono. Per quanto le statue siano state rinvenute in diverse aree templari tebane (numerose nel Tempio di Mut a Karnak, Tebe Est), molti studiosi ritengono che la loro collocazione originaria fosse Kom el-Hattan, il "Tempio dei Milioni di Anni" di Amenhotep III a Tebe Ovest, e in particolare il cortile solare al suo interno. In tale maniera il sovrano si garantiva la protezione della dea in terra e partecipava del periplo divino del sole del quale Sekhmet era una manifestazione. (Estratto da comunicato ufficio stampa Istituzione Bologna Musei)




L'Archivio di Arnaldo Pomodoro è online
www.arnaldopomodoro.it

Dopo la preview del film sperimentale Arnaldo Pomodoro makes a sphere (1968), in occasione della Notte degli Archivi 2021, dal 9 giugno è online l'Archivio di Arnaldo Pomodoro: un portale web, gratuitamente accessibile, con cui la Fondazione Arnaldo Pomodoro mette a disposizione del più vasto pubblico - dal ricercatore al semplice appassionato - un importante nucleo di materiali conservati nell'archivio dell'artista, fonte di informazione e approfondimento sulla vita e sull'opera del Maestro, così come su un tratto della storia artistica e culturale del Novecento.

Fin dall'inizio del suo percorso artistico nei primi anni Cinquanta, Arnaldo Pomodoro comincia a raccogliere minuziosamente tutti i materiali utili a documentare la sua attività. Sono fotografie, cataloghi di mostre, riviste e ritagli stampa, ma anche lettere, film d'artista, manifesti... una documentazione molto varia, che testimonia, oltre alla sua produzione artistica, i rapporti di amicizia e di lavoro di Pomodoro con altri artisti, critici e istituzioni. L'archivio ha uno sviluppo di circa una sessantina di metri lineari ed è suddiviso in sei sezioni distinte in base alla tipologia dei materiali. (Estratto da comunicato Ufficio Stampa Lara Facco P&C)




Progetto #ZACentrale
www.fondazionemerz.org

Siglato l'accordo con cui il Comune di Palermo affida per tre anni alla Fondazione Merz la gestione della ZAC - Zisa Zona Arti Contemporanee col compito di realizzare un innovativo progetto interdisciplinare. Il progetto denominato #ZACentrale è un innovativo e ambizioso piano interdisciplinare d'interventi culturali destinato a coinvolgere l'intera città, per il quale la Fondazione Merz - al termine della selezione di cui all'avviso pubblico approvato con D.D. 6154 del 01.07.2020 - è stata individuata quale "operatore culturale idoneo" per la produzione di progetti culturali finalizzati alla "promozione, conoscenza e diffusione dell'Arte Contemporanea negli spazi del Padiglione ZAC".

Il progetto "ZACentrale" si svolgerà in tre anni presso lo spazio ZAC e sarà articolato con diverse attività interdisciplinari che comprenderanno: mostre, concerti, spettacoli teatrali e di danza, attività formative ai più diversi livelli; incontri, dibattiti, conferenze da svolgersi anche in partenariato con le altre realtà dei Cantieri Culturali alla Zisa, nonché interventi documentari, azioni di incubatore creativo e la creazione di una biblioteca specialistica dedicata all'arte contemporanea per la quale è prevista una donazione di 300 volumi da parte della Fondazione. Il progetto corona una storia di intensi rapporti tra la Fondazione Merz e la Sicilia. Sono infatti ben 17 le mostre, gli eventi e i progetti che hanno impegnato la Fondazione a Palermo e in Sicilia dal 2014 al 2019. (Comunicato stampa)




Luigi Ghirri
The Marazzi Years 1975-1985

www.ghirri.marazzi.it

Un nucleo quasi totalmente inedito di fotografie, frutto della collaborazione tra Ghirri e Marazzi e conservate per decenni negli archivi dell'azienda emiliana, protagonista oggi di un libro, un focus ai Musei Civici di Reggio Emilia e un sito dedicato. Luigi Ghirri (Scandiano - Reggio Emilia, 1943) si trasferisce a pochi chilometri di distanza, negli spazi del Collegio San Carlo di Sassuolo, nella frazione di Braida, un grande edificio neoclassico adattato ad abitazione per gli sfollati. Dal Collegio, ogni mattina, la maggior parte delle donne e degli uomini prende la bici e va a lavorare nelle fabbriche di ceramica vicine. Una di queste era la Marazzi, fondata a Sassuolo nel 1935 da Filippo Marazzi.

In questo territorio tra Modena e Reggio Emilia, dove il fotografo fa sempre ritorno e che vede la nascita di tanti dei suoi progetti seminali, Luigi Ghirri incontra Marazzi per la prima volta. È il 1975 quando Ghirri varca le soglie dell'azienda: è in una fase di crescita e sperimentazione che lo porterà nel 1979 alla prima grande mostra personale a Parma. Marazzi è un'azienda leader nel settore della ceramica grazie al brevetto della monocottura, ha aperto filiali in Francia e Spagna, fa disegnare le sue piastrelle da artisti e stilisti e di lì a poco inaugurerà un laboratorio di ricerca, il Crogiòlo, in cui artisti, designer, fotografi, architetti sono liberi di sperimentare. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021- Gemeni Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - SPIRAL - Ph E. Liggera Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - Ph E. Liggera Odyssey Collection, la new dishes line di Andrea Branciforti per Orolavico
Il design incontra il cinema d'autore e il linguaggio flat della video-animazione


www.orolavico.com

Odyssey Collection - collezione di sottopiatti (15 pezzi in totale) disegnata da Andrea Branciforti, architetto, designer, docente e attualmente Presidente ADI Sicilia, per Orolavico, azienda specializzata nella lavorazione della pietra lavica - unisce il design contemporaneo al linguaggio del cinema e dell'illustrazione per un progetto totalmente Made in Sicily che trae ispirazione dal celebre film di Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio.

Semplicità, eleganza e contemporaneità sono le parole chiave della nuova linea di sottopiatti - Odyssey Collection - disegnata da Andrea Branciforti per Orolavico e della video-animazione realizzata da Adriano Di Mauro per raccontare questo progetto. Non è di certo la prima volta che il marketing sceglie il codice espressivo dell'arte visiva per mettere in contatto e far dialogare tra loro azienda/prodotto e pubblico. Geometrie piatte e bidimensionali, spazi netti e definiti, colori brillanti contraddistinguono lo stile dei piatti e del video: caratteristiche queste che li rendono immediatamente riconoscibili, insieme alla materia prima di cui sono fatti, la pietra lavica, e le tecniche di lavorazione utilizzate che tendono a rispettare e tutelare l'ambiente.

Orolavico, pur essendo una giovane e dinamica realtà siciliana nata nel 2015 dall'esperienza di manager e artigiani che, in poco tempo, hanno realizzato soluzioni di indoor e outdoor design  in pietra lavica e in cotto, ha da subito capito e sostenuto l'importanza della collaborazione con designer, architetti e artisti sia per quanto riguarda la progettazione delle collezioni che per la comunicazione delle stesse online e offline.

«Think to future. Think to nature è così che - spiega Giuseppe Mondera, Ceo di Orolavico - abbiamo pensato di sintetizzare la logica eco-sostenibile che sta alla base delle nostre scelte aziendali. Pensiamo, progettiamo, pianifichiamo e agiamo cercando di rispettare l'ambiente e le persone, pur non perdendo di vista anche i margini di profitto, indispensabili per alimentare il ciclo produttivo. Fare impresa, oggi, non vuol dire solo avere una buona idea, il giusto know how e reperire il capitale necessario, ma avere una prospettiva molto più ampia in termini di tempo e di qualità della vita tourt court.

Noi, ad esempio, siamo partiti dal nostro"petrolio", dal nostro"oro nero", ossia, dalla pietra lavica, da qui anche la scelta del nostro nome - Orolavico - sia perché è presente in ingenti quantità in Sicilia, sia perché, nelle varie interpretazioni che ne diamo (rivestimenti, top da cucina, piatti, pareti ventilate, ecc.), vogliamo rispettare e valorizzare una sua peculiarità unica e inimitabile, ossia, l'essere parte dell'Etna, vulcano riconosciuto come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco nel 2017. Altro aspetto cui teniamo molto è la collaborazione con designer e architetti che sappiano interpretare la materia prima in chiave estetica e funzionale. Odyssey Collection di Andrea Branciforti inaugura non solo la nostra prima linea di piatti in pietra lavica, ma anche questo filone di ricerca e produzione che declina insieme design contemporaneo ed eco-sostenibilità. Quando parlo di ricerca, visionarietà, collaborazione e customizzazione del prodotto, penso proprio a questi piccoli dettagli che fanno davvero la differenza».

Odyssey Collection si compone di sei micro-collezioni - Gemeni, Hal, Odyssey, Spyral, Space, Nebula - ispirate al film 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. Le sue nuance non sono presenti nelle più note scale dei colori (Ral e Pantone) perché ottenute con un procedimento di laboratorio eco-sostenibile che consente di realizzare la paletta colori da un solo vetro di base. Questa peculiarità, unita alle caratteristiche tecniche della materia prima, rendono l'intera collezione una sintesi perfetta del design contemporaneo in cui bellezza, eco-sostenibilità e funzionalità hanno pari importanza.

«Un'immagine entra a far parte della nostra esperienza visiva - dichiara il designer Andrea Branciforti - e spesso influenza inconsciamente le nostre azioni. Con questa collezione - Odyssey Collection - porto a tavola una materia antica, la pietra lavica, che a prescindere dalla lavorazione che subisce custodisce raccoglie e racconta il viaggio fatto dal magma fino alla sua trasformazione in pietra. Ispirata al film 2001: Odissea nello spazio del grande maestro Stanley Kubrick, la collezione rappresenta sei visioni materiche dell'universo onirico. Le decorazioni s'ispirano al Supercomputer Hal, al Discovery One e alle visioni dell'universo. Il film di Kubrick riesce a parlare contemporaneamente del passato, del presente e del futuro dell'umanità, ponendo interrogativi e riflessioni sulla vita al di fuori della Terra.

Credo soprattutto che Kubrick ci inviti ad avere una nuova consapevolezza del rapporto che lega l'uomo, la terra e l'universo, tematica questa, ancora oggi molto attuale. ll 1968, anno di uscita del film, è stato un anno di grandi rotture, di cambiamenti e di profonde riflessioni. Si fa strada una nuova sensibilità sul design sostenibile. Vengono pubblicate le prime foto del globo terrestre visto dalla luna che porta l'umanità ad un nuovo senso di appartenenza senza più confini fisici specifici e limitanti. Nasce una nuova umanità e una nuova consapevolezza delle tecnologie che, ben presto, entreranno e s'imporranno nelle nostre vite. Qualche anno più tardi, non a caso, uscirà Starman, brano musicale scritto da David Bowie. Questo il pensiero che attraversa la collezione».

Il video-animazione della campagna di lancio della Odyssey Collection è stato realizzato dal giovane artista e illustratore Adriano Di Mauro che ha interpretato con un linguaggio flat e visionario le suggestioni raccontate da Branciforti in merito al film di Kubrick. Le scene sono ambientate tra l'Universo e la Terra, precisamente in Sicilia, dove il protagonista - un astronauta-scimmia-uomo nuovo - avrà modo di conoscere la collezione di sottopiatti di Branciforti e lo street food isolano prima di essere"risucchiato" dall'occhio di Hal che lo trasporterà in un mondo altro non meglio definito, dove tutto può ancora succedere. (Ufficio Stampa Orolavico - Valentina Barbagallo)




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Audrey Hepburn rappresentata in un disegno nella locandina del film Colazione da Tiffany "Opere in Vetrina"
Paci contemporary gallery - Brescia
www.pacicontemporary.com/shop-online_cinema

- Colazione da Tiffany

Una pagina interamente dedicata ad un'esclusiva selezione di scatti vintage tratti dai set cinematografici delle pellicole più famose del XX secolo tra cui Colazione da Tiffany, Caccia al Ladro, Per qualche dollaro in più, Frankenstein Junior, Matrix, Superman. Colazione da Tiffany è la pellicola che ha portato al successo internazionale l'attrice britannica Audrey Hepburn. Il film, distribuito nell'anno 1961 e diretto dal regista statunitense Blake Edwards, è considerato uno dei più famosi del cinema del Novecento.

Nella pellicola Audrey Hepburn indossa il mitico tubino nero firmato Givenchy diventato icona del cinema. Per il film sono stati realizzati tre abiti uguali, uno dei quali è stato venduto all'asta per oltre 600 mila euro nel 2006. Il secondo abito, sempre disegnato da Givenchy, è un altro tubino nero (corto) in seta lavorata fino al ginocchio dove è svasato e decorato con una fila di piume, insieme al quale Audrey indossa lunghi guanti neri, un ampio cappello con un nastro di seta color crema e scarpe di coccodrillo.

Per consentire le riprese, la gioielleria Tiffany & Co. aprì eccezionalmente i battenti domenica 2 ottobre in modo che alcune scene del film potessero essere girate nel negozio sulla Quinta Strada a Manhattan. Finite le riprese Audrey si prestò ad un servizio fotografico per la gioielleria durante il quale le fu fatto indossare il preziosissimo diamante giallo più grande del mondo, dal taglio cuscino a 82 faccette di 128,54 carati. Per l'occasione, fu creato appositamente un gioiello per valorizzarlo: la collana Ribbon Rosette in oro e diamanti bianchi, con al centro il diamante giallo.

Era il 1961 quando Audrey Hepburn, nei panni della protagonista Holly Golightly, fumava da uno storico bocchino da cui spuntava una sigaretta accesa, trasformando questa azione in un gesto di estrema eleganza. Audrey Hepburn con questa lunga sigaretta è subito diventata una vera e propria icona di stile. Numerosi curiosi seguirono il ciak della celebre scena in cui Holly fa shopping insieme a Paul.

Ciò innervosì Audrey Hepburn che sbagliò diverse battute e fu costretta a ripetere la scena più volte. Colazione da Tiffany è una commedia sentimentale, ricca di stile e ironia in cui trionfa la figura di Holly, una donna fragile e un'autentica icona di stile che, pur essendo alla ricerca di un ricco uomo da sposare, alla fine cede ai sentimenti e si lega allo scrittore squattrinato. Ecco una battuta pronunciata proprio da Paul (George Peppard): "vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora... (...) tu ti consideri uno spirito libero un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai... finirai sempre per imbatterti in te stessa!".

L'autore del romanzo da cui è stato tratto il film, Truman Capote, voleva Marilyn Monroe nella parte della protagonista, ma l'agente dell'attrice Lee Strasberg le suggerì di rifiutare perché non avrebbe giovato alla sua carriera, indirizzandola verso altri film. Più tardi anche un'altra celebrità dell'epoca, Kim Novak, rifiutò il ruolo. Il successo del film al botteghino fu straordinario. Candidato a 5 premi Oscar, ne vinse 2: miglior colonna sonora e miglior canzone (Moon River). La stessa Audrey ottenne una nomination agli Oscar come "miglior attrice protagonista" ma fu battuta da Sophia Loren che trionfò grazie alla strepitosa interpretazione in La Ciociara, pellicola del 1960 di Vittorio De Sica. (Comunicato di presentazione da Paci contemporary gallery)




Locandina di presentazione del catalogo interattivo della mostra Materie Prime Artisti italiani contemporanei tra terra e luce Materie Prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce
Catalogo interattivo e multimediale


www.ferrarinarte.it/antologie/senigallia/materie_prime.html

Dopo il successo nel 2019 alla Rocca Roveresca di Senigallia (Ancona) con l'esposizione "Materie prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce", a cura di Giorgio Bonomi, Francesco Tedeschi e Matteo Galbiati, e la presentazione del catalogo Silvana Editoriale al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito di un incontro moderato da Gianluigi Colin, la Galleria FerrarinArte di Legnago (Verona) rilascia una nuova edizione del volume, completamente interattiva e multimediale, per rivivere la straordinaria esperienza della mostra attraverso le parole degli artisti e dei curatori.

Il libro, sfogliabile liberamente e gratuitamente online, si arricchisce con contenuti inediti, videointerviste e approfondimenti dedicati alla poetica dei quindici artisti coinvolti - Carlo Bernardini, Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Franco Mazzucchelli, Nunzio, Paola Pezzi, Pino Pinelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino, Paolo Scirpa, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini e Grazia Varisco - appartenenti a diverse generazioni, ma accomunati da curricula di altissimo livello e dal lavoro condotto con e sulla materia. (Estratto da comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)




La poesia Tape Mark 1 in mostra ___ Tape Mark 1: Poesia Informatica

L'importanza della Storia | Nanni Balestrini

Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net

Tape Mark 1 è una poesia di Nanni Balestrini che risale al 1961, frutto di una collaborazione virtuosa tra Autore e Tecnologia, in questo caso rappresentata da uno dei primi calcolatori IBM. Balestrini, in quell'occasione, predispone tre brevi testi di Michihito Hachiya - di Paul Goldwin (autore di cui si mette in dubbio l'esistenza) e di Lao Tse - e, attraverso l'assegnazione di alcuni codici e di poche regole, lascia al computer l'onere e l'onore di procedere alla stesura della poesia, attraverso un causale sistema di combinazioni. Nel mondo solo quattro - cinque persone stavano contemporaneamente lavorando a esperimenti simili e questo testo è considerato da molti come il primo esempio di poesia informatica.

La natura di grande innovatore e sperimentatore, che caratterizzerà tutta la carriera di Balestrini, si rivela già in quel momento. L'arte della combinazione sarà fondamentale in tutta la poetica di Balestrini, interessato a 'lasciare scaturire un movimento da connessioni imprevedibili' per superare, in questo modo, 'l'aggregazione statica di energie diverse'. Nel 1961, concepisce anche il progetto di un romanzo, Tristano, da riprodurre in un numero illimitato di esemplari, una copia unica e originale per individuo, ma le idee corrono più veloci della tecnologia e Feltrinelli riuscì a pubblicarne, nel 1966, un solo esemplare. Le tecniche di stampa di allora, infatti, non ne consentirono la realizzazione e ci vollero 40 anni e l'avvento della stampa digitale per portare a compimento quell'avvenieristico progetto.

Stiamo inoltrandoci nelle sperimentazioni linguistiche di Balestrini ma, in realtà, quello che è interessante per noi fare emergere qui, è quanto stretto fosse il rapporto tra le varie discipline in cui Nanni si cimentava. E come gli fosse consono collegare la ricerca letteraria e poetica con quella artistica visiva e teatrale performativa. Infatti, Tape Mark 1 nel 2017 diventa un'opera visiva che aprirà la grande retrospettiva allo ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe. Da Tristano scaturisce invece Tristanoil, il film più lungo del mondo, ottenuto grazie al software ideato da Vittorio Pellegrineschi, che approderà niente meno che a Documenta 13, curata quell'anno da Carolyn Christov-Bakargiev. E sarà proprio questa predisposizione di Balestrini verso una 'poesia fatta di impulsi, che andava a rompere la linearità tipografica, a fargli venire l'idea di ritagliare titoli di giornali e farne dei collages'. (...) (Estratto da comunicato della Galleria Michela Rizzo)




Busto femminile in basanite risalente al periodo dell'imperatore Claudio Busto femminile in basanite nella Sezione romana del Museo "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

E' ritornato, dopo otto anni di assenza, l'atteso busto femminile in basanite, importante testimonianza del passato romano della Calabria. Si tratta del busto femminile in basanite, risalente ad età Claudia (41-54 d.C.), rinvenuto nelle vicinanze di Vibo Valentia Marina durante la realizzazione della ferrovia e la costruzione di limitrofe abitazioni di campagna. Il contesto di rinvenimento è da riferire ad un'importante villa suburbana e lo scavo, che ha permesso di definirne meglio le caratteristiche, è avvenuto a più riprese fra il 1894 e la prima metà del '900.

L'opera è di ottima fattura, caratterizzata da una raffinata tecnica di esecuzione e da una perfetta resa della capigliatura, acconciata come prevedeva la moda dell'epoca, che ha consentito di datare la statua al principato di Claudio, imperatore dal 41 al 54 d.C. Al momento del ritrovamento si propose l'identificazione con Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, tuttavia tale ipotesi venne accantonata nei decenni successivi per la mancanza di confronti iconografici convincenti.

La scultura era stata concessa con prestito di lunga durata nel 2012 al Princeton University Art Museum e a seguito dell'impegno della Direzione Generale Musei e del Segretariato Generale del Ministero per i Beni Culturali e il Turismo, è rientrata al Museo "Vito Capialbi" dove sarà esposta nella sezione romana. L'emergenza sanitaria attuale, che ha portato alla chiusura dei Musei, non consente nell'immediato, una adeguata valorizzazione dell'importante reperto; l'esposizione è pertanto rinviata alla riapertura del Museo e sarà occasione di riflessione scientifica attraverso l'organizzazione di una tavola rotonda sul tema della scultura romana, con l'augurio di poterne consentire in seguito, una migliore fruizione grazie anche al supporto delle nuove tecnologie con applicativo digitale. (Comunicato stampa)

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Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


La notizia che nei giorni scorsi, presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)




Donazioni alla Galleria Nazionale di Cosenza

La Galleria Nazionale di Cosenza acquisisce a pieno titolo nelle sue collezioni sei interessanti sculture provenienti dalle collezioni della famiglia Bilotti. Incrementano da oggi il patrimonio del museo, illustrando importanti segmenti dell'arte italiana del Novecento, le seguenti sculture Cavallo e cavaliere con berretto frigio di Giorgio de Chirico, Portatrice di fiaccola di Emilio Greco, Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai, Onice e Solida di Pietro Consagra, Gigantea di Mimmo Rotella.

Le sculture sono già presenti nel museo ed esposte in via definitiva, ad esclusione della Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai che sarà presentata a conclusione degli interventi di manutenzione e restauro di cui necessita. La donazione fa seguito alle altre che recentemente hanno concluso il loro iter. Sono infatti entrate a far parte delle collezioni museali anche le opere Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni, donata da Roberto Bilotti Ruggi d'Aragona, e Natura donata dall'artista cosentino Giulio Telarico, già in esposizione rispettivamente nella sezione grafica dedicata all'artista futurista e nella sezione di Arte Contemporanea.

Il Polo Museale e la Galleria Nazionale di Cosenza hanno frattanto avviato le procedure finalizzate all'acquisizione in comodato d'uso gratuito di cinque disegni di Umberto Boccioni; i disegni a conclusione dell'iter andranno ulteriormente ad arricchire la sezione grafica dedicata al maestro del Futurismo. Le acquisizioni portate a felice conclusione e quelle in programma sono frutto di intese e accordi che rientrano fra gli obiettivi che il Polo Museale della Calabria e la Galleria Nazionale si sono posti per promuovere relazioni proficue con il territorio, accrescere, valorizzare il patrimonio d'arte e cultura e favorirne la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa)




Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali

Locandina della rassegna Matera Fiction 2023 Matera Fiction
1a edizione, 01-04 giugno 2023


L'evento si propone di far conoscere gli eroi ricorrenti, le ambientazioni messe in scena, le trame e i personaggi, i temi e le tendenze produttive più praticate dalla fiction mondiale coinvolgendo i professionisti della produzione; su questi e molti altri aspetti l'evento vuole aprire ogni anno una finestra culturale privilegiata ed esclusiva sul mondo. Il Matera Fiction, organizzato dalla GFG Media Associati, è un osservatorio sulla serialità televisiva internazionale, con il patrocinio della Regione Basilicata, il Comune e la Provincia di Matera.

L'idea-forza di Matera Fiction, è quella di concentrare tematiche apparentemente eterogenee tra loro, in un unico e ricco programma che le mette in relazione. Difatti, le stesse, che spaziano dal cinema all'editoria, dalla musica con inevitabile passaggio per la televisione e che s'indirizzano efficacemente tanto agli addetti ai lavori quanto a un semplice pubblico di appassionati al genere, sono accomunate da un minimo comune denominatore, ossia il tema cardine della "fiction". La serialità televisiva affrontata in diverse giornate di studio tra testimonianze, approfondimenti, mostre tematiche, musiche e degustazioni. Sì, proprio degustazioni di immancabili e irrinunciabili piatti tipici "cucina&televisione" che favoriscono, incentivano, anche attraverso il "palato", una presenza autoctona e d'oltralpe.

Un quadro ricco e variegato che svela, tra gli intenti di fondo, quello di rileggere e favorire la multietnicità, la valorizzazione dei territori, i cambiamenti nello sviluppo sociale ed economico, la memoria storica, la riscoperta delle aree interne facendo, dell'attuale Basilicata, così come la storia la descrive, la proiezione di quella che è stata nel tempo, ossia un crogiolo di culture, etnie, credenze. E questa manifestazione altro non poteva essere che una grande finestra sul mondo da un osservatorio privilegiato come quello di Matera e del suo hinterland. Personaggi, trame, ambientazioni, temi e tendenze si fanno argomenti di studio e approfondimento sorvolando, in questa edizione, tanto sull'America Latina con la presenza del Brasile (interessantissima la nuova serialità di Tv Globo) e l'Argentina, quanto sull'area mediterranea per la quale sono presenti Algeria, Tunisia e Turchia.

I nomi sono tutti di richiamo internazionale, a garanzia di un prodotto culturale che non teme confronti e che privilegia, nella fattispecie, un territorio come quello lucano che si presta, per le sue peculiarità e per la sua duttilità, da una parte a contribuire alla crescita del genere e dall'altra a convertirsi in un indotto economico e attrattivo, in ambito turistico e culturale. (Comunicato stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Logo orizzontale della rassegna cinematografica Aqua Film Festival Aqua Film Festival
VII edizione, 15-18 giugno 2023 (ingresso gratuito fino a esaurimento posti)
Casa del Cinema di Roma e Mymovies
www.aquafilmfestival.org

Rassegna internazionale per lavori dedicati al tema dell'acqua organizzata dall'Associazione Culturale no profit UNIVERSI AQUA. Il festival vuole rappresentare, con lo strumento cinematografico e di documentazione, lo straordinario mondo dell'acqua nei suoi diversi valori e bellezza, per stimolare una maggiore consapevolezza, scoprendo anche nuovi talenti cinematografici nel campo dell'audiovisivo. Proiezioni di film e grandi storie legate alla sostenibilità ambientale e cultura del festival diretto e fondato da Eleonora Vallone - pittrice, stilista, autrice, attrice di cinema, televisione e teatro, giornalista ed esperta di metodologie salutistiche in acqua.

Tra le proiezioni del festival, il frammento del cortometraggio documentario "Il ruscello di Ripasottile", diretto nel 1941 da Roberto Rossellini, proveniente dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con la Fondazione Roberto Rossellini per l'Audiovisivo e restaurato presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata nel 2010. Dei numerosi frammenti ritrovati da Domenico Murdaca presso un cinema abbandonato di Palmi, in Calabria, è stata ricostruita la continuità narrativa, sulla base delle sinossi dell'epoca. Il corto è stato girato in esterni in un ruscelletto vicino a Palidoro, nel retroterra di Ladispoli e gli interni all'Istituto Ittiogenico di Roma. Un documentario pieno di trucchi e mille piccoli accorgimenti che lo stesso Rossellini mise in pratica girando.

Altra sorpresa del festival, la proiezione del cortometraggio "Ricordi di Sergio e Gianni al Fontanone" su Sergio Leone di Roberto Girometti (che sarà ospite al festival) e del compianto Gianni Minà. Racconta Girometti del lavoro: "Con Gianni Mina' decidemmo di fare un documentario su Sergio Leone e lo andammo a trovare nel suo ufficio casa all'Eur".

Due i concorsi ufficiali del festival, quello dedicato ai Corti di massimo 25 minuti e quello dedicato ai Cortini di massimo 3 minuti. Grazie alla collaborazione intrapresa con le Scuole e con le Università, abbiamo aperto un concorso parallelo a quello ufficiale, denominato AQUA & STUDENTS, che avrà come protagonisti cortini (massimo 3 minuti) realizzati dagli allievi di scuole ed università di tutto il mondo. I cortini potranno essere realizzati con smartphone e dovranno avere come protagonista assoluta L'ACQUA in tutte le sue forme e funzionalità.

- Concorso parallelo: Aqua & Cooking
È il concorso dedicato alle video ricette che interpretano una cucina sostenibile, sia per la provenienza dei prodotti che per la creatività della pietanza Made in Italy. La durata è di massimo 3 minuti. (Estratto da comunicato stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Scilla Al via in Calabria le riprese di "Cercando Itaca"

Sono iniziate in Calabria le riprese di Cercando Itaca, docufiction per la regia di Sergio Basso (regista che ha al suo attivo una copiosa produzione cinematografica e documentaristica a livello internazionale e che ha sperimentato anche nel campo dell'animazione e dei videogiochi) e la sceneggiatura dello stesso regista insieme a Filippo Ascione (tra i più importanti sceneggiatori del cinema italiano). Prodotto dalla Pega Production da un'idea di Giuseppe Gambacorta, con la fotografia di Davide Manca, il film unirà genere documentaristico e fiction creando un racconto onirico e accattivante.

Il film ha vinto il Bando produzioni 2022 della Fondazione Calabria Film Commission, il Bando dei Selettivi alla Produzione del Ministero della Cultura, ed ha il patrocinio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, dei Comuni di Villa San Giovanni e di Melicuccà, della Camera di Commercio di Reggio, Vibo Valentia, del Museo di Biologia Marina e Paleontologia e del Kiwanis International.

Seguendo il viaggio di una ragazza di 18 anni, Arianna, che si trova a fare da guida a uno sperso Ulisse, incontreremo personaggi storici ed esperti scientifici che ci porteranno per mano nel patrimonio storico-artistico di tutta la Calabria: da Pentedattilo a Riace, alla spiaggia abissale di Punta Pezzo e Cannitello, da Scilla e Cariddi, sopra e sotto la superficie del mare, dall'Aspromonte, passando da Crotone, presso il tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna (Crotone), a Melicuccà, per arrivare infine a Reggio, con i suoi musei (in primis l'eccellenza del Museo Archeologico) e i suoi agrumeti di bergamotto, per l'unicità dei quali la città è stata definita Città del Bergamotto in ambito Unesco. Sarà l'occasione di scoprire le bellezze senza pari della città di Reggio Calabria e di intervistare eminenti rappresentanti delle millenarie e fervide attività portuali e commerciali della città.

La Pega Production Srl si occupa di commercio, produzione e coproduzione,di distribuzione e promozione di opere cinematografiche e televisive, di l ungometraggio e cortometraggio, audiovisivi di ogni natura e genere, di produzione e realizzazione di prodotti videografici contenenti opere compilative prodotti educativi, didattici e scientifici. (Comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Wislawa Szymborska L'anno di Wislawa Szymborska in Italia
Rappresentazione teatrale, 26 marzo - 09 settembre 2023
Mostra, 15 giugno - 03 settembre 2023

Wislawa Szymborska (1923-2012) è una rock star della poesia, i suoi libri sono veri e propri best seller. Citata in canzoni e film, di lei hanno scritto e raccontato in tanti, da Woody Allen a Umberto Eco, da Roberto Saviano a Roberto Vecchioni, che le ha dedicato una canzone. Il suo nome è tanto difficile da pronunciare, quanto è facile entrare nelle sue poesie, seguendo un pensiero libero, vivace, allegro, lucido, che descrive i fatti piccoli e grandi che rendono unica ogni giornata "rimettendo al mondo le parole", come ha dichiarato Roberto Saviano spiegando come le sue poesie lo abbiamo soccorso nei momenti più difficili.

L'interesse e la conoscenza di Sergio Maifredi per la cultura polacca risalgono al suo rapporto con Pietro Marchesani (1942-2011), lo studioso che con la traduzione dell'opera omnia pubblicata da Adelphi ha fatto conoscere Wislawa Szymborska in Italia. Docente di Lingua e Letteratura polacca all'Università di Genova, con questa nomina ha inaugurato una cattedra che fino a quel momento non esisteva, diventando un punto di riferimento per generazioni di studiosi, fra cui Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli, docenti di Slavistica rispettivamente all'Università Alma Mater di Bologna e La Sapienza di Roma. Genova ha un ruolo centrale nella diffusione della poesia di Wislawa Szymborska in Italia.

La poetessa polacca, Premio Nobel per la Letteratura 1996, nella memorabile conferenza del 2009 a Bologna, rivolgendosi a Pietro Marchesani disse: "Senza di te, in Italia non esisterei". Il rapporto di collaborazione si trasformò presto in amicizia e nel 2005 Szymborska venne in visita all'Università di Genova. Marchesani ha aperto le porte sul mondo polacco a Sergio Maifredi, che da allora non lo ha mai abbandonato. Regista residente al Teatr Nowy di Poznan in Polonia dal 2005 al 2014, nel 2009 ha curato la mostra Polonia 1989-2009 Tutto il Teatro in un manifesto e nel 2012 gli è stata conferita la medaglia di Bene Merito da parte della Ministero degli Esteri della Repubblica di Polonia per il suo impegno nella diffusione della cultura polacca in Italia.

A cento anni dalla nascita di Wislawa Szymborska, Sergio Maifredi dedica alla poetessa polacca premio Nobel per la letteratura nel 1996 lo spettacolo "Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore. Poesie, lettere e altre cianfrusaglie di Wislawa Szymborska". La voce di Szymborska è stata affidata a un'attrice che mette da sempre la sua arte al servizio dei versi, Maddalena Crippa. Al suo fianco Andrea Nicolini. Michele Sganga è autore delle musiche che esegue dal vivo in scena. L'evento apre un progetto ideato e diretto dallo stesso Maifredi - conoscitore profondo della cultura polacca - che culminerà nella mostra monografica "Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere".

Lo spettacolo propone un percorso suggestivo di parole, musica, immagini e emozioni attraverso poesie note e alcune assolutamente inedite anche in Polonia, e scoperte recentemente negli archivi, oltre a materiali della grande poetessa ancora inediti in Italia, come la corrispondenza con il suo grande amore, Kornel Filipowicz. Amore e morte, il rapporto distaccato e partecipe con il suo tempo, la riservatezza e la notorietà seguita alla "tragedia di Stoccolma", come i suoi amici chiamavano il Nobel, sono gli estremi fra cui si dipana il racconto poetico di una vita vissuta in perenne equilibrio fra incanto e disperazione. Spettacolo e mostra fanno parte del "2023, Anno di Wislawa Szymborska", le celebrazioni ufficiali dedicate al centenario della nascita della grande poetessa polacca proclamate dal Senato della Repubblica di Polonia.

"Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore" - titolo tratto dalla poesia "Ogni caso" - debutta in prima nazionale lunedì 27 marzo al Teatro Vittoria di Roma, preceduto dall'anteprima del 26 marzo al Teatro Boni di Acquapendente (VT), e seguito dal tour al Teatro Litta di Milano (4 aprile), al 29° Festival internazionale di poesia di Genova (17 giugno), alla 76ª Estate Fiesolana di Fiesole - Firenze (9 settembre). Lo spettacolo nasce da un'idea e con la collaborazione di Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli, docenti di Lingua e Letteratura Polacca rispettivamente all'Università di Bologna e alla Sapienza di Roma. È prodotto da Teatro Pubblico Ligure in coproduzione con Istituto Adam Mickiewicz di Varsavia, con il patrocinio della Fondazione Wislawa Szymborska di Cracovia, in collaborazione con l'Istituto Polacco di Roma.

Il 15 giugno, al Museo d'arte contemporanea Villa Croce di Genova si potrà visitare fino al 3 settembre la mostra monografica "Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere", curata da Sergio Maifredi e allestita dallo scenografo Michal Jandura, con la consulenza e collaborazione scientifica di Andrea Ceccherelli e Luigi Marinelli. È prodotta da Comune di Genova e Teatro Pubblico Ligure, in coproduzione con l'Istituto Adam Mickiewicz di Varsavia, con il patrocinio della Fondazione Wislawa Szymborska di Cracovia, in collaborazione con l'Istituto Polacco di Roma e con il Goethe-Institut Genua, istituzione che diffonde nel mondo la cultura della Germania, fra le prime nazioni a riconoscere il valore di Szymborska con l'assegnazione del Premio Goethe nel 1991.

La mostra è sostenuta da IREN. Comprende 85 collage eseguiti dalla poetessa e provenienti da collezionisti privati, fra cui Jaroslav Mikolajewski, poeta e scrittore. Sono le persone a cui Wislawa Szymborska li donava in occasioni delle feste, veri e propri collanti d'amicizia che permettono di seguire i suoi percorsi creativi, affini nel linguaggio visuale come nella scrittura. I collage saranno esposti in mostra e alcuni saranno riprodotti a tutta parete, un'immagine esplosa che abbraccerà gli spettatori nell'allestimento scenografico e immersivo di Jandura.

Il percorso sarà punteggiato da 100 massime di Wislawa Szymborska, estratte dalla sue poesie. Anche Woody Allen sarà virtualmente presente: Szymborska gli ha donato uno dei suoi collage e la regista Katarzyna Kolenda-Zaleska ha ripreso il momento della consegna inserita nel film "La vita a volte è sopportabile. Ritratto ironico di Wislawa Szymborska". Szymborska". Ilcommento di Woody Allen nel ricevere il collage per lui creato da Wislawa Szymborska è stato: "Questo non è come quelle stupide statuette che ricevo per i miei film". Vedremo l'estratto che unisce una star hollywoodiana alla rockstar della poesia. Inoltre, si potranno vedere documenti, fotografie, il taccuino con gli appunti da cui nascevano le poesie, un libro inglese illustrato in età giovanile da Wislawa Szymborska, una rarità. La mostra sarà successivamente allestita a Bologna e Milano. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Logo del Cartoons On The Bay International Festival of Animation Transmedia and Meta-Arts Ari Folman in una fotografia scattata da Elise Toide Il regista Ari Folman Premio alla Carriera 2023 di 'Cartoons On The Bay - International Festival of Animation, Transmedia and Meta-Arts'

Pescara, 31 maggio - 04 giugno 2023

Il regista, sceneggiatore e compositore israeliano Ari Folman riceverà il Premio alla Carriera della 27a edizione di 'Cartoons On The Bay - International Festival of Animation, Transmedia and Meta-Arts', evento promosso dalla Rai e organizzato da Rai Com.

Ari Folman (Haifa, 1962) frequenta la Tel Aviv Film School e nel 1991 scrive e dirige, con Ori Sivan, Comfortably Numb, documentario che racconta un viaggio notturno a Tel Aviv durante gli attacchi iracheni della Prima Guerra del Golfo, vincendo il Premio Ophir dell'Accademia israeliana del cinema e il Jerusalem Film Festival come Miglior Documentario. Nel 1996 esordisce nel cinema di finzione scrivendo e dirigendo (sempre con Ori Sivan) Clara Hakedosha, che apre la sezione Panorama al Festival di Berlino e vince 6 Premi Ophir, tra cui Miglior Film e Miglior Regista, oltre al Premio Speciale della Giuria al Festival di Karlovy Vary.

Nel 2001 scrive e dirige Made in Israel, vincendo altri due Premi Ophir. Tra il 2002 e il 2004 scrive per la tv israeliana per la serie Betipul (In Treatment). Nel 2008 scrive, dirige e produce il documentario animato Valzer con Bashir, presentato al Festival di Cannes, che vince nel 2009 il Golden Globe per il miglior film straniero e viene nominato al Premio Oscar per il miglior film straniero. Il film vince oltre 26 premi in tutto il mondo, tra cui il Premio Miglior Regista Documentari al Directors Guild of America, 6 Premi Ophir, tra cui Miglior Film, Regista e Sceneggiatura.

Nel 2013 dirige The Congress, girato in tecnica mista, live action e animazione in rotoscope, che ha per protagonista Robin Wright, che interpreta una versione fittizia di se stessa, oltre ad Harvey Keitel. Il film, presentato come film d'apertura della Quinzaine des réalisateurs al Festival di Cannes, vince il Premio come Miglior Film d'Animazione agli EFA - European Film Award. Nel 2021 scrive e dirige Anna Frank e il diario segreto, adattamento animato del Diario di Anna Frank.

Tema dell'anno di Cartoons On The Bay sarà "Reale, Irreale, Virtuale. Mondi immaginati e mondi immaginari. Tra utopia, opportunità e alienazione. La sospensione dell'incredulità tecnologica". Il Festival, diretto da Roberto Genovesi assegnerà a giugno tre nuovi Pulcinella Award che guardano al futuro e alla capacità di innovazione del settore: Premio Transmedia (al brand in grado di portare gli spettatori su diverse piattaforme grazie alle sue capacità narrative), Premio Meta (al brand in grado di immergere lo spettatore in un ambiente digitale affascinante, stimolante e sicuro). (Estratto da comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)




Kultur Ensemble Palermo
Goethe-Institut Palermo


Presentazione

Kultur Ensemble è il programma culturale franco-tedesco di Palermo. Inaugurato il 14 giugno 2021, a seguito del "Trattato di cooperazione e integrazione franco-tedesca", ovvero "Trattato di Aquisgrana". Il nuovo bando di Kultur Ensemble è aperto fino al 28 febbraio 2023 ed è dedicato esclusivamente ad artisti/e e ricercatrici/ori di età inferiore ai 30 anni che svolgeranno la loro residenza nel periodo compreso tra settembre 2023 e dicembre 2023. Buona candidatura!

- Le artiste

Lea Letzel crea spazi, situazioni e installazioni musicali, performance e opere video che vengono mostrate sia nella "scatola nera" del teatro sia nel "cubo bianco" dell'arte visiva. Ha completato i suoi studi presso l'Istituto di Studi Teatrali Applicati di Gießen con un progetto in collaborazione con l'International Ensemble Modern Academy.

Yolenn Farges è un'artista multidisciplinare francese. Laureata nel 2020 presso le Beaux-Arts de Nantes, vive e lavora tra Marsiglia e Belle-île-en-mer. Tra lunghe escursioni e immersioni subacquee, va alla ricerca di materiali da cogliere, segreti e aneddoti da raccontare attraverso le sue creazioni. (Comunicato stampa Goethe-Institut Palermo)




Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


Pagina dedicata







Sicilia: Turismo 2022 | Una molteplicità di rilevazioni favorevoli dai turisti nell'Isola della Trinacria

Non è turismo di prossimità, ovvero il passaggio e la permanenza occasionale in un luogo che si trova nel percorso verso la meta prevista. Il turismo in Sicilia è scelta consapevole di volontà e desiderio. Il turista che visita la Sicilia decide di visitare la Sicilia. La Sicilia è il Centro, è il lontano Ovest dei Fenici e dei Greci, l'Oriente Europeo della Spagna Imperiale, il Nord dei Vandali dopo l'incrocio con i Berberi, il Sud solare e mitologico per Goethe e Wagner.

Articolo di Ninni Radicini




Casa delle tecnologie emergenti di Matera
Creato il logo della Cte Matera


Un tocco d'azzurro in omaggio al gonfalone della città, un sasso stilizzato e un cavo di cablaggio che disegna la "M" di Matera. C'è la città, nei suoi colori e simboli e, con il cavo di cablaggio emblema di reti e interconnessioni, il logo della Casa delle Tecnologie emergenti di Matera "racconta" anche le opportunità che genererà. La Cte Matera ha il suo logo ufficiale. Realizzato dalla Pirene srl, società di pubbliche relazioni che opera dal 1999. Selezionata con bando a evidenza pubblica, la Pirene è stata scelta fra le 11 aziende che hanno partecipato alla selezione.

Offerta competitiva quella dell'azienda romana che, da contratto, seguirà la Cte Matera per un anno occupandosi dell'identità visiva. Descrizione/concept del logo Cte Matera: L'idea nasce dalla volontà di rappresentare lo sviluppo tecnologico nel contesto di una delle più antiche città al mondo. La costruzione del logo "cte matera" è formata da un pittogramma che sintetizza, con un tratto originale e moderno, una linea morbida che dinamicamente disegna la lettera "m" (iniziale di Matera) e si ferma con un punto in alto. Questo elemento ricorda un cavo di rete per cablaggio, simbolo dello sviluppo tecnologico.

La linea è sovrapposta a una forma di colore azzurro (colore della città) che raffigura un grosso sasso. In basso la parte testuale "cte matera" è costruita con un font nuovo e personalizzato di facile lettura, la scelta del minuscolo trasmette disponibilità e apertura all'esterno. Invece in maiuscolo con font Titillium, di dimensioni più piccole, il marchio si completa con "Casa delle Tecnologie Emergenti di Matera". La scelta dei colori e l'alternanza tra linee morbide e forme rigide conferiscono movimento alla figura e racchiudono il significato di un progetto innovativo e concreto. (Estratto da comunicato stampa)




L'archivio di Citto Maselli donato al Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale

Francesco Maselli, per tutti Citto, ha deciso. Il suo archivio, le carte e i ricordi di una vita a cavallo fra cinema e politica, andranno al Centro Sperimentale di Cinematografia, la scuola di cinema dove il regista si è diplomato giovanissimo, e dove a più riprese ha insegnato. Lo annunciano la presidente del CSC, Marta Donzelli, e il conservatore della Cineteca Nazionale, Alberto Anile: l'acquisizione è una delle ultime iniziative di Felice Laudadio, prima della fine del suo mandato da presidente del CSC, e nasce da un'antica amicizia fra lo stesso Laudadio, Maselli e la sua compagna di vita e di lavoro, Stefania Brai.

Il fondo verrà conservato dalla Cineteca Nazionale per quanto concerne i materiali filmici e le fotografie, e dalla Biblioteca Luigi Chiarini, sempre all'interno del CSC, per i materiali cartacei. Si tratta di soggetti, sceneggiature di film non realizzati, articoli, foto, tesi di laurea su Maselli, recensioni di suoi film, pellicole (tra cui diverse scene non montate del film Lettera aperta a un giornale della sera), provini e centinaia di lettere, compreso un ricchissimo carteggio con decine di esponenti politici, a testimonianza della lunga militanza di Maselli prima nel PCI, poi in Rifondazione Comunista.

"È un cerchio che si chiude", dichiara Maselli, ricordando i tempi in cui è stato studente del CSC e l'esame di ammissione durante il quale, a interrogarlo, c'era Michelangelo Antonioni, di cui poi sarebbe diventato amico e collaboratore: "A ogni mia risposta faceva segno di no con la testa, e io pensavo di avere sbagliato. Poi capii che era un tic nervoso". L'archivio di Maselli andrà ora ordinato e catalogato, e sarà poi a disposizione degli storici e degli studiosi, come già i numerosi, importantissimi fondi custoditi presso la Cineteca Nazionale. (Comunicato stampa)




Presentazione e Premi al Taormina Film Fest 2019 e 2020




FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Fermoimmagine dal film La scuola allievi Fiat Tutti in classe!
www.youtube.com/playlist?list=PL15B-32H5GlJRTfrCCc-ZlSRBJ0DRvP1K

Rassegna online di materiali d'archivio organizzata dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea che è parte della Cineteca Nazionale. La playlist Tutti in classe, disponibile sul canale Youtube CinemaimpresaTV, racconta la scuola grazie ai tanti punti di vista offerti dai film conservati a Ivrea: dalle rigide scuole per allievi Fiat degli anni Sessanta, ai comunicati pubblicitari che invitano a l'acquisto di prodotti scolastici a prezzi popolari o di raffinate macchine da scrivere Olivetti.

"Tutti in classe" termina con La scoperta della logica, diretto da Franco Taviani per Olivetti, il film descrive un esperimento didattico volto a insegnare agli alunni delle classi elementari la matematica con il sussidio del gioco e dell'osservazione del mondo reale, per arrivare a comprendere quali sono le tappe che portano i bambini alla scoperta della logica. Insomma, uno sguardo sulla scuola dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta per ricordare il periodo della vita di ognuno in cui l'ansia per un compito in classe era il problema più grande che potevi avere. (Estratto da comunicato ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia)

___ Programma

- Seconda D (Basilio Franchina, 1951, 12')
- Giorno di scuola (Giorgio Ferroni, 1954, 10')
- La scuola allievi Fiat Giovanni Agnelli (Stefano Canzio, 1962, 14')
- Olivetti, Lettera 32 (Aristide Bosio, 1965, 1')
- Mi ricordo... I primi giorni di scuola (ca. 1965/1972, 1')
- Vieni alla Standa e guarda il prezzo (ca. 1970-1979, 1')
- La scuola comincia alla Standa (1977, 2')
- La scoperta della logica (Franco Taviani, 1970, 13')




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti
un film di Yervant Gianikian
alla 75esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Lyda Borelli nel film La memoria dell'altro "La memoria dell'altro"
Proiezione della versione restaurata


Nella cornice della mostra veneziana dedicata a Lyda Borelli, primadonna del Novecento (01 settembre - 15 novembre 2017), allestita a Palazzo Cini a cura di Maria Ida Biggi, direttrice dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma, la proiezione, il 10 novembre presso l'Aula Magna dell'Ateneo Veneto, di La memoria dell'altro (1913), opera rara ed emblematicamente rappresentativa del temperamento e dell'arte della grande diva. Il film è stato restaurato per l'occasione dal CSC - Cineteca Nazionale in collaborazione con l'Istituto per il Teatro e il Melodramma - Fondazione Giorgio Cini e con il sostegno degli eredi di Lyda Borelli.

La proiezione è accompagnata da musica dal vivo a cura della pianista Cinzia Gangarella e preceduta da una conferenza introduttiva, con interventi di Maria Ida Biggi, direttrice dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma, Daniela Currò, conservatrice della Cineteca Nazionale della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e Angela Dalle Vacche, docente di Storia del Cinema presso il Georgia Institute of Technology di Atlanta. Il film ripropone il sodalizio di Lyda Borelli con Mario Bonnard e Vittorio Rossi Pianelli, rispettivamente nei ruoli dell'amante tragico e dell'innamorato respinto, già sperimentata con grande successo in Ma l'amor mio non muore! realizzato sempre nel 1913 dalla Film Artistica "Gloria", per la regia di Mario Caserini, film canonico del genere "diva film" italiano.

La memoria dell'altro è un dramma passionale e tragico, che si incentra sul personaggio emancipato e anticonformista di Lyda, aviatrice acclamata, guidatrice di automobile, danzatrice formidabile, ma anche donna appassionata e sensuale, fatalmente travolta da un sentimento che la conduce all'estremo delle sue possibilità e della sua volontà. Sono memorabili i voli aerei, preceduti dalla preparazione meticolosa dell'aviatrice e e seguiti da un pubblico festante; altrettanto notevoli sono gli esterni veneziani, su cui il racconto indugia, facendo muovere i protagonisti tra magnifici scenari, tra arrivi spettacolari in vaporetto, approdi in gondola e passeggiate da Grand Tour in Piazza San Marco.

La memoria dell'altro

Regia di Alberto Degli Abbati, 1913, 79';
Produzione: Film Artistica "Gloria", Torino;
Visto censura: n. 2084 del 24 dicembre 1913;
Lunghezza originale: 1650/2000 metri (sei parti);
Soggetto: baronessa De Rege;
Fotografia: Angelo Scalenghe;
Personaggi e interpreti: Mario Bonnard (Mario Alberti), Lyda Borelli (l'aviatrice Lyda), Felice Metellio (il giornalista), Letizia Quaranta (Cesarina), Emilio Petacci, Vittorio Rossi Pianelli (il principe di Sèvre).

Sinossi: La bella aviatrice Lyda respinge l'assidua corte del principe di Sèvre e s'innamora del giornalista Mario Alberti che, nonostante sia fidanzato con Cesarina, accetta l'invito di Lyda a raggiungerla a casa sua. Insospettita, Cesarina segue Mario e lo sorprende in una scena d'amore con la giovane. Approfittando di una breve assenza di Lyda, Cesarina riesce a sottrarre alla rivale Mario, convincendolo a lasciarla. Abbandonata, Lyda si concede all'amore del principe di Sèvre. Ma la donna non riesce a dimenticare Mario.

Qualche tempo dopo, mentre la coppia si trova a Venezia, Lyda rincontra Mario in un teatro: colti dalla passione riaccesa, i due fuggono a Parigi per vivere il loro amore. Ma la felicità viene troppo presto guastata da una malattia che costringe Mario a letto per lunghi mesi. La miseria spinge Lyda a cercare aiuto: lo trova presso un gruppo di apaches generosi che rimangono conquistati nel vederla danzare. Il ritorno a casa però è amaro: Mario è morto. Disperata, anche Lyda si ammala e muore in una triste corsia d'ospedale dopo aver richiamato per l'ultima volta alla memoria l'immagine del suo amato Mario. (dalla scheda di Marco Grifo in Enciclopedia del Cinema in Piemonte)

Il film è stato restaurato a partire da un duplicato negativo safety b/n con didascalie italiane conservato dal CSC - Cineteca Nazionale, stampato nel 1977 da una copia nitrato d'epoca, attualmente non più conservata. Ad oggi questo duplicato costituisce l'unico testimone del film, con l'unica eccezione di un frammento di circa 200 metri conservato dalla Filmoteca Española di Madrid, un positivo nitrato con didascalie spagnole e colorazioni per imbibizione, relativo al finale del film. Rispetto a una lunghezza originale che le filmografie moderne ricostruiscono tra i 1650 e i 2000 metri, corrispondenti a una suddivisione in sei parti, il duplicato italiano ha una lunghezza di 1484 metri: risulta quindi incompleto, oltre che in gran parte privo dell'originaria suddivisione in atti (con eccezione della didascalia che introduce il I Atto).

Tuttavia le lacune, concentrate entro la prima metà del film, non incidono particolarmente nella comprensione generale della trama. Il duplicato negativo d'archivio è stato digitalizzato a risoluzione 2k e sono stati eseguiti interventi di stabilizzazione e di restauro digitale dell'immagine, con la rimozione dei difetti più evidenti, rimasti "fotografati" sul duplicato dalla copia nitrato originale, come righe, macchie, spuntinature, strappi. Si è cercato di non eccedere con l'intervento di pulizia mantenendolo entro i limiti della giusta fruibilità, tenendo conto del fatto che, in ogni caso, il materiale di partenza è rappresentato da un duplicato di tarda generazione.

Sulla base di questo stesso criterio è stata eseguita la color correction, con la finalità di uniformare il tono fotografico, scegliendo di mantenere il bianco e nero del duplicato negativo di partenza, senza tentare una restituzione delle colorazioni originarie. Si è ritenuto, infatti, che il campione di confronto rappresentato dal frammento della Filmoteca Española non fosse sufficientemente rappresentativo per una ricostruzione per congettura delle colorazioni dell'intero film. Le lavorazioni sono state eseguite interamente a cura del CSC - Cineteca Nazionale nell'estate - autunno 2017. (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Stampa, Comunicazione, Editoria Centro Sperimentale di Cinematografia (Scuola Nazionale di Cinema -Cineteca Nazionale))




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri

Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Piero Gobetti L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023


Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli
www.fondazionerossisalvemini.eu

Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)




La Formula di Socrate
di Cristina dell'Acqua

Presentazione libro
26 aprile 2023, ore 19
Fondazione Arnaldo Pomodoro - Milano

Primo appuntamento di "Orizzonte. Parole, immagini e musica" per edificare il futuro programma di incontri musicali e culturali a cura di Giovanni Caccamo. Socrate è una figura misteriosa e affascinante, un incontro che può cambiare la vita. È accaduto a Platone e può accadere a ciascuno di noi, a qualunque età. Nel pensiero di quest'uomo straordinario, che nella vita non ha mai smesso di insegnare (fu la sua missione), ci sono i semi della nascita dell'umanesimo occidentale. Partendo da qui, Cristina Dell'Acqua ci conduce in un nuovo viaggio nel mondo greco alla scoperta del personaggio di Socrate, il cui insegnamento si fonda sui temi della ricerca, della libertà, del dialogo e del dubbio. Una formula che ha come nutrimento l'amore per le domande e parte da un unico presupposto: la conoscenza e la cura di sé. Imparando a sentire socratica-mente, impariamo il coraggio di essere noi stessi. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Locandina per la presentazione del libro Lo stato delle cose di Chiara Alessi "Lo stato delle cose. Breve storia della Repubblica per oggetti"
di Chiara Alessi, edito da Longanesi

Il libro è stato presentato il 17 marzo 2023 alla Libreria Mondadori di Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

Un nuovo appuntamento con l'iniziativa "Olivetti Readings", un ciclo di letture e commenti con gli autori di alcune pubblicazioni provenienti dalla nostra biblioteca. Alla serata l'autrice dialoga con Enrico Bandiera, direttore dell'Associazione Archivio Storico Olivetti. Nel volume vengono citati anche alcuni tra i più noti prodotti Olivetti, come la macchina da calcolo Divisumma 14 e la macchina per scrivere Lettera 22.

«Il Novecento non è raccontabile se non attraverso le cose che ha prodotto. Le cose come sintomi. Questo vale per le invenzioni, per la loro diffusione, ma anche per lo stile, anzi gli stili che ha concepito e che a loro volta hanno influenzato società, costumi, culture. E vale soprattutto per il nostro Paese, che è lo Stato delle cose». Dopo Tante care cose, Chiara Alessi torna a raccontarci chi siamo e da dove arriviamo ripercorrendo la traccia storica e umana lasciata dagli oggetti che abbiamo amato. In queste pagine sfilano sei "cose" comuni e straordinarie che non solo hanno attraversato il tempo, ma l'hanno anche fatto.

Spesso passandosi un inatteso testimone, perché non ci si pensa quasi mai ma la storia delle cose si muove. E noi con lei. Cose che hanno coinciso completamente con un'immagine, con un momento, con un racconto, fino a diventare l'immagine, il momento, il racconto, spesso finiscono poi per superarlo e trasformarsi in qualcosa di completamente diverso, ed è in questa non coincidenza tra quello che le cose dicono e che le cose fanno, e l'immagine che restituiscono di noi, che val la pena di guardare oggi. Per capire meglio la strada fatta fin qui, e provare a intuire dove potrebbe ancora portarci. (Comunicato di presentazione Associazione Archivio Storico Olivetti)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Copertina del libro di poesie E l'alma si spaurì di Marco Pavone con in copertina il dipinto di un un uomo pensieroso seduto su uno sgabello E l'alma si spaurì
di Marco Pavone, Kemonia Edizioni, prefazione di Maria Gabriella Riccobono, Palermo 2022
 

Il libro è stato presentato il 13 gennaio 2023 alla Casa dell'equità e della bellezza (Palermo)

Daniele Billitteri e Anna Li Vigni presenteranno la raccolta di poesie di Marco Pavone. Un percorso interiore lungo decenni, dal 1976 al 2002, alla fine del quale «ritrovarsi per riconoscersi»: questo è "E l'alma si spaurì". Lungo questo cammino Marco Pavone è riuscito a mettere a nudo i suoi sentimenti più intimi e profondi, le cicatrici della sua anima, le sue paure e debolezze. Nel corso della serata intrattenimento musicale a cura del gruppo musicale Alenfado.

Marco Pavone (Palermo, 1959) negli anni del liceo scrive i primi componimenti poetici. Nel 1982 si laurea in matematica all'Università degli Studi di Pisa. Nel 1989 consegue un Ph.D. in matematica presso la University of California, Berkeley. Dopo un breve periodo trascorso come ricercatore al Politecnico di Torino, dal 1993 è professore associato di Analisi Matematica presso l'Università degli Studi di Palermo. È appassionato di indovinelli di logica, canto sacro corale, origami, poesia, Divina Commedia e musica classica. Per il gruppo musicale palermitano Alenfado ha composto la melodia di quattro brani, due dei quali pubblicati nel CD Passeando. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori





Tra due mondi. Storia di Philip Rolla
di Maria Grazia Rabiolo, Edizioni Fondazione Rolla, 2022, pp. 128, 210x148 mm, 20Chf/20Euro


Il libro è stato presentato il 15 ottobre 2022 presso La Filanda a Mendrisio (Svizzera)
www.rolla.info

Partito dalla California non appena conclusa l'Università, Philip Rolla fa il percorso inverso rispetto ai suoi nonni, arrivati a inizio Novecento dal Piemonte. La sua avventura professionale inizia a Torino e proseque nella Svizzera italiana. Ingegnere artigiano, è l'inventore delle eliche più performanti a livello internazionale. Il suo nome è legato al mondo della motonautica e delle imbarcazioni in generale. Ma da sempre coltiva una grande passione per l'arte contemporanea e per la fotografia.

La sua esistenza si svolge dunque tra Stati Uniti, che non ha mai dimenticato, ed Europa, Svizzera in particolare. A Bruzella, nella Valle di Muggio, dove risiede con la moglie Rosella, ha costituito una collezione di opere d'arte importante e una fondazione che organizza con regolarità esposizioni fotografiche negli spazi dell'ex scuola d'infanzia. La sua è un'esistenza decisamente particolare e interessante. La biografia di Maria Grazia Rabiolo la ripercorre tappa dopo tappa, con rigore e partecipazione al contempo. Ne emerge il ritratto di un uomo, di un professionista e di un collezionista a dir poco speciale, difficilmente imitabile.

Maria Grazia Rabiolo, nata nel 1957 a Losanna (Canton Vaud) e cresciuta a Viganello (Cantone Ticino), è laureata in Lettere all'Università degli Studi di Milano. Giornalista culturale, ha lavorato per trentaquattro anni alla RSI - Radiotelevisione svizzera di linqua italiana. (Comunicato Rolla.info)




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




Gaetano e i Salvemini
di Mauro Salvemini, ed. Albatros edizioni

Il libro è stato presentato il 25 giugno 2022 alla Biblioteca Civica "Farinone-Centa" di Varallo

In questo libro Mauro Salvemini ripercorre le vicende, politiche ma soprattutto personali, di cui sono stati protagonisti i membri della famiglia Salvemini, uomini e donne uniti dal forte legame con la loro terra d'origine, animati da un profondo desiderio di portare avanti le proprie convinzioni e disposti a sacrificarsi ai limiti del possibile per aiutarsi reciprocamente. A partire da Gaetano Salvemini, figura di spicco dell'antifascismo, il lettore si trova ad attraversare un'epoca, a conoscerla e a fare i conti con le grandi ingiustizie e le piccole gioie che l'hanno resa indimenticabile. A fare della lettura un'esperienza ancora più intensa, un ricco corpus di lettere e foto appartenenti all'autore, che offre così un viaggio a tutto tondo nella sua storia familiare e la tramanda ai posteri. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)

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Copertina del libro Mondo ex e Tempo del Dopo di Pedrag Matvejevic Mondo ex e tempo del dopo
di Pedrag Matvejevic, ed. Garzanti

I Balcani sono un'area dell'Europa in cui da sempre la "geografia non coincide con la Storia". Terra di interposizione tra Occidente e Oriente, in politica, religione, cultura, arte. Era qui che l'impero romano d'occidente lasciava la sovranità a quello d'oriente. In "Mondo ex" Pedrag Matvejevic ripercorrere quindici anni di dissolvimento di un paese nato mettendo insieme popoli e territori.

Recensione di Ninni Radicini




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dmitrij Sostakovic Il grande compositore sovietico Dmitrij Sostakovic
Il grande compositore sovietico


Il libro è stato presentazione il 28 gennaio 2022 alla Fondazione Mudima di Milano
www.mudima.net

Questo titolo ha suscitato vivaci reazioni: alcuni vi videro solamente la connotazione politica, come fece Quirino Principe in una bella recensione piena di lodi scrivendo che un "... volume di tale importanza avrebbe fatto meglio a non definire [il compositore] "sovietico" bensí russo", molti vi lessero un significato più ampio di "determinativo storico" (Rosanna Giaquinta) ma quasi nessuno lo percepì come una connotazione di appartenenza di Šostakovic intrinseca e indissolubile e, dunque, sovraideologica, al paese in cui visse e operò, una volta chiamato URSS.

Ideato da Gino Di Maggio e Anna Soudakova Roccia che per più di 3 anni ha svolto meticolose ricerche sulle fonti bibliografiche e fotografiche, con preziosi contributi di Daniele Lombardi e Valerij Voskobojnikov, il libro costituisce un unicum in quanto offre un inedito e duplice sguardo, russo e italiano, sulla musica e sul milieu politico e storico-culturale stimolando il lettore a scoprire o comprendere meglio la personalità e la spiritualità creativa di Dmitrij Dmitrievic Šostakovic e il tempo in cui visse. Per amare la sua musica con più consapevolezza.

I due articoli dell'incipit, di Gino Di Maggio e di Daniele Lombardi, introducono i temi che verranno affrontati dai saggisti con toni e punti di vista diversi, a volte anche opposti. Questa multivisione rende il libro avvincente e stimolante. Il volume è suddiviso in tre sezioni. La prima, Pietrogrado-Leningrado, racconta attraverso due saggi di Anna Petrova, direttrice editoriale del Teatro Mariinskij, la realtà dopo lo scoppio della rivoluzione d'Ottobre e l'entusiasmo utopico di cui fu pervasa la città negli anni dell'adolescenza e giovinezza di Šostakovic.

La seconda, Musica, raccoglie i saggi di autorevoli musicologi italiani e russi: l'articolo di Ivan Sollertinskij, intimo amico del compositore e mitico direttore della Filarmonica di Leningrado, scritto nel 1934 in occasione della prima assoluta di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk al Teatro Malyj di Leningrado - un'autentica chicca bibliofila scovata negli archivi del teatro Michajlovskij; ben tre articoli di Levon Hakobian, Luigi Pestalozza e Edoardo De Filippo su "Il Naso", la prima avanguardistica opera del ventiquattrenne compositore; tre saggi di Franco Pulcini, Roberta De Giorgi, e Manašir Jakubov, fondatore dell'Archivio Shostakovich di Mosca, sulla scandalosa opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk che suscitò l'ira di Stalin con nefaste conseguenze per il compositore; sarà gioia per gli appasionati della musica da camera leggere la rassegna critica di Jakubov di tutti i quindici quartetti; e il raffinato saggio di Dino Villatico sul Secondo concerto per violino e orchestra.

Ai tragici eventi dell'assedio di Leningrado sono dedicati La Settima sinfonia di Oreste Bossini e Ascolta! Parla Leningrado! Cronistoria di un concerto di Anna Soudakova Roccia Vi sono dei saggi dedicati al teatro, al balletto e al cinema. Nel contributo Klop al Teatro Mejerchol'd: tre geni per una cimice Anna Soudakova Roccia ripercorre la prima esperienza teatrale del ventiduenne compositore durante le prove di La cimice di Vladimir Majakovskij, l'avvincente e drammatico rapporto di amicizia e collaborazione artistica di Vsevolod Mejerchol'd con il poeta: un'esperienza che segnò tutta la vita artistica di Šostakovic.

Il giovane compositore amava molto il balletto e scrisse musica per L'età dell'oro (1930) e Il bullone (1931). Al primo balletto è dedicato il saggio di Dmitrij Braginskij tratto dal suo libro Šostakovic e il calcio: territorio di libertà, in cui ripercorre le trame dei vari rifacimenti di sceneggiature che portarono il balletto al grande ma breve successo sul palcoscenico del teatro Mariinskij (ex Gatob). Il tema dell'importante ruolo del cinema nella musica del compositore è affrontato dalla studiosa dell'Archivio Shostakovich di Mosca, Olga Dombrovskaja.

Parte molto importante di questa sezione sono i ricordi: quello personale del compositore sulla sua visita al Festival di Edinburgo nel 1962 o di coloro che lo incontrarono: Evgenij Evtušenko, celebre poeta sovietico, che rievoca la cronistoria della Tredicesima sinfonia, scritta sui testi del suo coraggioso poema Babij Jar; Luciano Alberti e Erasmo Valenti, testimoni della "contorta fortuna" del compositore in Italia, osteggiato dalla critica e dalle avanguardie musicali; Valerij Voskobojnikov che nel suo saggio Mio Šostakovic ripercorre i ricordi privati, i primi incontri con la sua musica a Mosca e gli sforzi per promuoverla in Italia. L'ultima sezione Šostakovic e il suo tempo ospita una preziosa autobiografia del compositore, un'importante articolo di Levon Hakobian Šostakovic e il potere sovietico, il cui rapporto ancor oggi, dopo quasi mezzo secolo dalla morte del compositore, è fonte di scontri politico-ideologici.

Chiude il volume il capitolo Frammenti di vita di Dmitrij Šostakovic raccontati attraverso le fotografie, in cui l'autrice, Anna Soudakova Roccia, ha raccolto alcuni fatti salienti della vita straordinaria, piena anche di inaspettati aneddoti, del grande compositore che marcò il tempo in cui visse con il proprio nome facendo scrivere ad Anna Achmatova nella dedica: "A Dmitrij Šostakovic, nella cui epoca io vivo" e a diventare, come scrisse L. Hakobian, "il più fedele e stoico chronachista musicale... e un esempio di uomo sovietico nella sua più alta evoluzione, quale non apparirà, presumibilmente, mai più". Nel corso della serata saranno proiettate immagini inedite e straordinarie fotografie d'epoca di cui è corredato il libro grazie alle concessioni di prestigiosi musei russi e enti italiani e verrà proiettato il film Sonata per viola di Alexandr Sokurov, regista russo e premiato con il Leone d'oro a Venezia. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

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David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Copertina del libro Calabria terra di capolavori Dal Medioevo al Novecento Calabria terra di capolavori. Dal Medioevo al Novecento
di Mario Vicino, Editrice Aurora

Il volume è stato presentato il 22 novembre 2019 al Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

Nell'accattivante location del Castello Normanno Svevo, verrà presentato il volume di Mario Vicino. Interverranno all'iniziativa Adele Bonofiglio, direttore del Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia e l'autore. Il prof. Mario Vicino, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, ha al suo attivo altre pubblicazioni di pregio quali La Pittura in Calabria. Quattrocento e Cinquecento, Imago Mariae e una monografia su Pietro Negroni.

Iniziativa - come precisa la dottoressa Bonofiglio - per far riscoprire la passione per l'arte e restituire la giusta importanza all'inestimabile patrimonio di cui dispone la Calabria e la bellezza dei suoi innumerevoli tesori nascosti. Nella prima parte dell'opera - continua la Bonofiglio - si descrive l'evoluzione della pittura in Calabria in relazione alla sua straordinaria storia. Partendo dal periodo Tardoantico, l'autore attraversa le vicende del Medioevo, con Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi, per poi raggiungere il Cinquecento e i successivi sviluppi dell'arte calabrese fino all'Ottocento e il Novecento. Nella seconda sezione del libro - conclude la Bonofiglio - vengono catalogati ed esaminati nel dettaglio alcune delle numerose opere presenti nella regione. (Comunicato stampa)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




La mia Istria
di Elio Velan


* Il volume è stato presentato il 5 dicembre 2018 a Trieste, all'Auditorium del Museo Revoltella

Il volume del noto giornalista e scrittore Elio Velan è presentato a Trieste grazie all'iniziativa della Comunità Croata di Trieste e del suo presidente Gian Carlo Damir Murkovic, che ha voluto includere l'incontro nel programma di iniziative del 2018. Il libro, quasi 200 pagine, sarà introdotto dallo stesso Murkovic e presentato dal giornalista, scrittore e autore teatrale Luciano Santin, con l'intervento / testimonianza dell'autore stesso. L'incontro sarà moderato dal giornalista de "Il Piccolo" Giovanni Tomasin. Ad aprire e concludere la serata sarà la musica, col gruppo vocale e strumentale dell'Associazione culturale"Giusto Curto" di Rovigno, il tutto arricchito dalle proiezioni di immagini dell'Istria, firmate dal grande maestro della fotografia Virgilio Giuricin.

Per far sentire non solo le tipiche armonie ma anche quello spirito condiviso che rende Rovigno una località singolare e ricca. Nel volume Elio, il padre, ragiona col figlio Gianni, mentre la barca li culla e li porta in giro per l'arcipelago rovignese. Cos'è giusto e legittimo che i figli sappiamo dei genitori, dei loro pensieri, delle loro vicende? L'autore cerca di rispondere al quesito attraverso le "confessioni e testimonianze" raccolte in questo libro, uscito prima in lingua croata e ora nella versione italiana per i tipi della "Giusto Curto" di Rovigno. Nel libro Velan racconta e soprattutto si racconta attraverso le esperienze di una vita che l'ha portato a interrogarsi sulle numerose tematiche di un mondo di confine con tanti nodi da sciogliere, ma anche su tematiche esistenziali con l'intelligenza di chi abbraccia con coraggio la verità.

Elio Velan (Pola, 1957), dopo la laurea in Scienze politiche a Zagabria e dopo quattro anni di studi alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Trieste, ha iniziato la carriera giornalistica, una scelta per la vita che non ha mai abbandonato, occupandosi, a fasi alterne, di carta stampata, radio e televisione, tra Fiume, Trieste, Pola, Capodistria e Rovigno. Sin dalle elementary aveva infatti sognato di diventare giornalista per seguire le orme di Oriana Fallaci, che adorava. Il sogno si è avverato anche se non ha fatto mai il corrispondente di guerra, non ha vinto il premio Pulitzer e non ha intervistato il compagno Tito. In compenso ha lavorato, per otto anni, al quotidiano "La Voce del Popolo" come corrispondente da Rovigno.

Nel febbraio 1994 è passato alla redazione del telegiornale di TV Capodistria, lavorando contemporaneamente a Radio Capodistria. Era uno dei redattori e conduttori del TG e spesso seguiva i dibattiti al parlamento di Lubiana. Alla fine del 1996 è passato al quotidiano croato "Glas Istre". Dopo un anno di corrispondenze da Capodistria si è trasferito a Trieste come unico corrispondente estero del quotidiano di Pola e del quotidiano "Novi List" di Fiume. A Trieste ha lavorato per quindici anni alla sede regionale della Rai per il Friuli Venezia Giulia. Conduceva la trasmissione radiofonica "Sconfinamenti" e, contemporaneamente, a TV Capodistria la trasmissione settimanale di approfondimento "Parliamo di..." (oltre 400 trasmissioni realizzate).

La sua carriera si è conclusa nel 2016 con l'unico rammarico di non aver mai lavorato a un settimanale perché era quello lo spazio più congeniale al suo stile. Ha pubblicato quattro libri in rapida successione (un libro all'anno), che rappresentano la sintesi del suo lavoro di giornalista. Sono scritti in croato, la lingua che ha usato di più. Ora partecipa alle attività della "Giusto Curto" come giornalista e ideatore di spettacoli. Nei primi anni Novanta ha fondato e diretto per tre anni il mensile della Comunità Italiana di Rovigno, "Le Cronache", molto seguito anche da chi non ne condivideva la linea editoriale. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Copertina libro Il passato non passa mai, di Michele De Ruggieri Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde
di Michele De Ruggieri, ed. Europa Edizioni, 162 pagine, euro 13,90

E' la guerra che si dovrebbe raccontare nelle scuole, al di là di date, vittorie e sconfitte, quella raccontata nel romanzo di Michele De Ruggieri. La presentazione è organizzata in collaborazione con il Polo Museale della Basilicata. Il Circolo La Scaletta ha concesso il patrocinio. Interverrà l'autore che dialogherà con la giornalista Sissi Ruggi.

Michele De Ruggieri racconta con una prosa schietta e molto curata una storia che prende avvio nel settembre 1916 con il protagonista che viene chiamato alle armi. Fra la famiglia che tenta senza riuscirvi di non farlo mandare al fronte, la guerra di trincea e la prigionia, sin dalle prime pagine e confermando il titolo il romanzo è una chiara condanna della guerra. La penna di Michele De Ruggieri sceglie di raccontare tutto questo attraverso un'attenta ricostruzione storica e i sentimenti. Dalla paura di essere uccisi alla lotta per la sopravvivenza nel campo di concentramento, dove la fame cambia la gerarchia dei valori. Basta una lettera da casa, che fa intravedere la vita, e le lacrime che accompagnano la lettura restituiscono gli uomini a loro stessi.

- Sinossi

E' il 28 giugno 1914; in tutta Europa giunge la notizia dell'attentato di Sarajevo. Un mese dopo, la prima dichiarazione di guerra. Pochi sanno quali proporzioni assumerà il conflitto e quanti milioni di uomini farà cadere. Idealismi improbabili e frasi piene di retorica furono sufficienti per infervorare gli animi di tanti che non avevano idea di cosa li aspettasse. In piazza si gridava "viva la guerra!" e sul fronte si moriva. Pietro è un giovane che riesce, grazie alle sue conoscenze, ad evitare il fronte, vivendo il conflitto mondiale da una posizione privilegiata e sicura. Almeno così sembra... Dopo la disfatta di Caporetto, infatti, le carte in tavola cambiano completamente. Pietro si ritrova prima in trincea, poi in un campo di concentramento, a tentare disperatamente di tenersi stretta la vita e a guardare negli occhi i suoi compagni che non ci riescono, soccombendo all'orrore di uno dei periodi più oscuri della storia dell'umanità. Ne uscirà totalmente trasformato.

Michele De Ruggieri (Palagiano - Taranto, 1938), di famiglia lucana, ha studiato e conseguito la laurea in farmacia. Si è sempre interessato di Storia Contemporanea e Storia dell'arte. Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde, è il secondo romanzo di Michele De Ruggieri. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo storico Al di qua del Faro (Guida Editori), ambientato tra le montagne lucane e il golfo di Napoli agli albori dell'Unità d'Italia. (Comunicato stampa)




Luigi Pirandello Luigi Pirandello. Una biografia politica
di Ada Fichera, ed. Polistampa
www.polistampa.com

L'adesione di Pirandello al fascismo, il suo rapporto col regime e con la censura, le idee di fondo del suo pensiero politico: sono gli elementi chiave del saggio di Ada Fichera. Con l'autrice dialogheranno il giornalista e scrittore Mario Bernardi Guardi e l'editore Antonio Pagliai. Letture a cura di Dylan (Dimensione Suono Soft). Luigi Pirandello è stato sempre analizzato sotto il profilo strettamente letterario o puramente storico.

Il saggio di Ada Fichera, frutto di una ricerca su documenti d'archivio inediti, rilegge per la prima volta la sua figura ricostruendone la vita in chiave politica. Dal testo, arricchito da una prefazione di Marcello Veneziani, emergono aspetti chiave del pensiero pirandelliano come la coscienza del fallimento degli ideali borghesi, l'idea del potere nelle mani di uno e non di una maggioranza, la tendenza all'azione. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)

Visualizza versione ingrandita della locandina della presentazione del volume




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

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- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





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