Lettera K come iniziale di Kritik
Logo della newsletter Kritik di Ninni Radicini
freccia Per ricevere la newsletter Kritik, inviare una e-mail (senza testo) freccia
Prima del nuovo numero di Kritik...
Mostre
  
Iniziative culturali
  
Libri
  
Cataloghi da mostre
  
E-mail

Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

| [] | Agrigento Capitale italiana della cultura 2025 | [] |

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2024-2022 | 2020-21 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2024-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007



_____________________________
____________________
____________

Agrigento 2025 - Concerto | Klangforum Wien
26 aprile 2025, ore 21.00
Teatro Luigi Pirandello - Agrigento
www.klangforum.at

In questa occasione il Klangforum Wien interpreta alcune opere di compositori selezionati tramite il bando NEW MUSIC - NEW HORIZONS, lanciato insieme alla Fondazione Agrigento 2025 nell'ambito di "Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025". I musicisti erano stati chiamati a presentare composizioni proprie capaci di esplorare la profonda intersezione tra suono, connessione umana e identità del Mediterraneo.

Fondato nel 1985 fra gli altri da Beat Furrer, l'ensemble conta oggi 25 solisti provenienti da tredici paesi diversi. Insieme ai principali compositori contemporanei esplora nuovi orizzonti creativi. Aperto nel pensiero, virtuoso nell'esecuzione, preciso nell'ascolto: il Klangforum Wien attinge a un suono inconfondibile e stimola il pubblico con nuove esperienze. L'ensemble ha al suo attivo circa cinquecento prime assolute di pezzi firmati da compositori provenienti da tre diversi continenti e vanta una vasta discografia di oltre 70 CD e un gran numero di premi e riconoscimenti. Numerose le sue apparizioni (più di 2000) nelle più prestigiose sale concertistiche e teatri dell'opera d'Europa, America e Giappone, oltre a partecipazioni ai maggiori festival mondiali e a impegnate iniziative d'epoca più recente. (Comunicato di presentazione Forum Austriaco di Cultura Roma)




Il Coro Cum Iubilo Crucifixus
Antiche e nuove musiche della Settimana Santa


Concerto del Coro Cum Iubilo

www.corocumiubilo.it


.. 09 aprile 2025, ore 21.00 (ingresso gratuito)
Chiesa dei SS. Pietro e Paolo Apostoli - Palermo

.. 15 aprile 2025, ore 21.00 (ingresso gratuito)
Parrocchia dei Santi Vito e Francesco - Monreale (Palermo)

Il coro Cum Iubilo, fondato nel 1997 dal suo attuale maestro e direttore artistico Giovanni Scalici, si propone l'obiettivo di diffondere il repertorio corale sacro di varie epoche, dal canto gregoriano alle moderne forme di sperimentazione del linguaggio compositivo vocale, nella consapevolezza che tale tradizione costituisca un vivo ed inestimabile patrimonio artistico ed un'inesauribile fonte di arricchimento culturale ed umano.

Il coro è stato presente nel panorama musicale siciliano esibendosi in stagioni concertistiche, rassegne, spettacoli teatrali, manifestazioni culturali e religiose, convegni nazionali ed internazionali, su invito di enti pubblici, associazioni musicali, istituzioni scientifiche, associazioni culturali e movimenti umanitari. Di particolare rilevanza la partecipazione alla Settimana di musica sacra di Monreale (2002, 2010, 2011 e 2016), alla Stagione Concertistica dell'Associazione per la musica antica "Antonio Il Verso" (2010 e 2014), al Festival di musica antica di Gratteri (2009), al Festival Organistico di San Martino delle Scale (2004, 2008, 2010, 2011, 2013, 2016, 2017, 2020 e 2021), al Festino di Santa Rosalia (2004), alle manifestazioni natalizie del Comune di Palermo (2013, 2014 e 2015), al Ruvo Coro Festival (2024) e alle Rassegne Corali Internazionali di Salerno (2004) e Milazzo (2011).

Nel 2001 il coro ha inciso il primo volume dell'opera sacra di I. Sgarlata. Nel 2007 ha proposto, in prima esecuzione moderna, brani gregoriani inediti trascritti dai codici dell'Archivio Storico Diocesano di Palermo. Nel 2008 ha realizzato lo spettacolo "Inferi e luce, parole e musica" con gli attori Michaela Esdra e Giancarlo Zanetti. Nel 2010 la schola gregoriana maschile del coro si è unita all'Ensemble Seicentonovecento, diretto da Flavio Colusso, nell'ambito della Settimana di musica sacra di Monreale e nel 2012 ha proposto, in prima esecuzione moderna, la "Calata dei Veli" per soli, voci maschili e organo (1628), della quale ha poi realizzato l'incisione audio nel 2015.

Nel 2013 il coro ha inciso il disco "Sancta Maria La Nova", contenente, tra l'altro, la "Missa Cum Iubilo" in alternatim con i versetti organistici di G. B. Fasolo. Nel 2015, in occasione del 750-esimo anniversario della nascita di Dante Alighieri, il coro ha realizzato uno spettacolo/concerto dal titolo "Il canto gregoriano nella Divina Commedia". Nel 2018 il coro ha partecipato alla biennale europea di arte contemporanea "Manifesta" a Palermo, su invito dell'artista Marinella Senatore. Il coro si è classificato al primo posto ai Concorsi Corali Nazionali di Catania (2004), Polizzi Generosa (2007), Alessandria della Rocca (2007 e 2018) e Caccamo (2007).

Ai Concorsi Corali Nazionali di Polizzi Generosa (2007) e Porto Empedocle (2003) ha inoltre vinto il Trofeo "A.R.S. Cori" come miglior coro siciliano partecipante. Al Concorso Nazionale "Eliodoro Sollima" di Enna (2014) il coro è risultato vincitore nella categoria "Primo Premio" con il punteggio di 99/100, ed è stato altresì insignito del premio speciale "E. Sollima". (Comunicato stampa)

_____________________________
____________________
____________

Opera di Margareth Dorigatti in una versione da locandina di presentazione Margareth Dorigatti
"Chroma"


26 aprile (inaugurazione ore 17) - 22 giugno 2015
Castello di Castelbello - Ciardes (Val Venosta)
www.studioesseci.net

"Chroma", ovvero colore e intensità, è il titolo dell'ampia personale dedica a Margareth Dorigatti. Dell'artista romano di origini bolzanine vengono proposte ben 64 opere rappresentative della sua cinquantennale produzione, dove si confrontano diversi potenti cicli tematici, tra cui "Salomè", "Diari romani", "Charlotte-Goethe", "Rubra", "Heroes", "Erlkönig", "Luna-Mond" e "Epistolarium". Allestimento a cura di Alessandro Casciaro.

Nella sua presentazione, Karin Dalla Torre, sovrintendente ai Beni Culturali e del Paesaggio della Provincia di Bolzano, descrive come la pittrice usa il colore per distillare i concentrati del vasto flusso dell'esistenza umana, evidenziando una profonda familiarità con la teoria dei colori di Goethe. «Il profilo inconfondibile di quest'arte è stato ritagliato come un antico gioiello dagli innumerevoli strati culturali della città di Roma, che costituisce la più importante fonte di ispirazione per Margareth Dorigatti. Archetipi, figure mitologiche, bibliche e letterarie, negli ultimi anni i pianeti e la materia stessa hanno funzionato come nuclei di cristallizzazione. Con precisione alchemica, compone il suo intenso mondo fatto di colori, che riflette anche la realtà lacerata e pericolosa. La pittrice ci invita innanzitutto ad incontrare le donne, le maestre dell'esistenza femminile oggi: le donne della mitologia, le sante, le madri e le figlie che rappresentano l'inconscio, il notturno e il femminile. Elettra, Antigone e Ismene, Teresa d'Avila, Santa Margherita e, soprattutto, Salomè, che danza disperata per l'amore di sua madre.»

Ma lo sguardo cade anche sugli uomini, sugli eroi, che sembrano intrappolati nel loro esibizionismo e nell'autocommiserazione, senza via d'uscita. Nella luce fredda sono in balia della loro fisicità e dei topoi maschili. Con le immagini del ciclo "Erlkönig", invece, che trae ispirazione dalla ballata spaventosa di Goethe, dobbiamo confrontarci con l'inimmaginabile, l'indicibile, in un'astrazione che risuona e commuove profondamente.

Dagli incontri osmotici e altamente produttivi tra arte, musica e letteratura emergono interconnessioni, emozioni ribollenti e stati aggregati mutevoli. Di grande impatto, per citarne uno, è il ciclo dedicato alla corrispondenza di Charlotte von Stein con Goethe. L'artista dà voce a Charlotte, le cui lettere sono andate perdute, attraverso le immagini di buste sigillate che respirano e pulsano di amore e sofferenza.

Nel ciclo di opere più recente, "Epistolarium", Dorigatti ritorna alla natura potente dei messaggi scritti, utilizzando tecniche miste per evocare l'intimità di una forma di comunicazione durata per secoli e ormai relegata al passato. Come nelle altre serie presenti nella mostra, la potenza dei colori e delle forme crea immagini che si fissano nella memoria, dando gioia e facendo riflettere in un sorprendente dialogo interiore.

Margareth Dorigatti (Bolzano, 1954) dopo gli studi di Pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia e la laurea in Comunicazione Visiva all'Università delle Arti a Berlino, studia a New York e inizia l'attività di pittrice prima a Berlino, poi a Roma, dove si trasferisce e vince la cattedra di Decorazione all'Accademia di Belle Arti. Mostre personali in Italia e all'estero (Parigi, Colonia, Berlino e.a.), tra le quali la collaborazione stabile con la Galleria Goethe Bolzano, la Galleria AC Bolzano e la Galleria MAC Roma. Ha partecipato alle maggiori Mostre Collettive degli ultimi venti anni, tra le quali Biennale Internazionale di Arte Sacra Pescara, Triennale Internazionale Arte Sacra Celano, "L'Ombelico del Mondo" Galleria Studio Mazzoli Modena, Biennale Venezia. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Alfred Eisenstaedt
13 giugno - 21 settembre 2025
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to

Mostra inedita, a cura di Monica Poggi, che celebra in Italia il fotografo Alfred Eisenstaedt. Autore della famosa immagine "V-J Day in Times Square", in cui un marinaio bacia un'infermiera in mezzo a una folla festante al termine della Seconda Guerra Mondiale, Eisenstaedt è stato uno dei principali fotografi della rivista "Life", per la quale ha raccontato il mondo e la sua contemporaneità attraverso uno sguardo divertito e indagatore.

A trent'anni dalla sua morte e a ottanta dalla realizzazione del celebre scatto, l'esposizione curata da Monica Poggi presenta una selezione di 150 immagini, molte delle quali mai esposte, a partire dai primi scatti nella Germania degli anni Trenta , dove realizzò le inquietanti fotografie ai gerarchi nazisti, tra cui quella celeberrima a Joseph Goebbels. La mostra a CAMERA - la prima in Italia del 1984 - ripercorre tutto l'arco della sua carriera, passando dalla vita vertiginosa degli Stati Uniti del boom economico, al Giappone post-nucleare, fino alle ultime opere realizzate negli anni Ottanta.

Davanti al suo obiettivo ritroviamo anche personaggi come Sophia Loren, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Albert Einstein e J. Robert Oppenheimer. Due sezioni della mostra sono inoltre dedicate all'importante reportage che Eisenstaedt realizza in Europa prima della Seconda Guerra Mondiale e a quello realizzato in Italia nel dopoguerra, dove i cartelloni stradali iniziano a cambiare le prospettive e i paesaggi, riflettendo le trasformazioni sociali ed economiche in corso.

Lo stile di Eisenstaedt si inserisce nella grande tradizione documentaria americana, ma si arricchisce talvolta di visioni poetiche, che richiamano la pittura dell'Ottocento - come negli scatti dedicati alle ballerine di danza classica dove risuona l'eco delle opere di Degas - oppure di arguta ironia, costruita tramite scenari stranianti che richiamano gli espedienti dell'arte surrealista europea. «Quando scatto una fotografia - affermava Alfred Eisenstaedt - cerco di catturare non solo l'immagine di una persona o di un evento, ma anche l'essenza di quel momento».

Nato nel 1898 a Dirschau, nella Prussia Occidentale (oggi Polonia), il suo primo approccio con la fotografia avviene durante l'adolescenza, quando uno zio gli regala una Eastman Kodak Nr. 3, che lo accompagna durante tutti gli anni di studio. Alla fine degli anni Venti, inizia a lavorare per l'Associated Press, a cui segue nel 1929 la pubblicazione delle prime immagini sulla rivista tedesca "Berliner Illustrirte Zeitung". Nel 1935, per fuggire alle leggi razziali, emigra negli Stati Uniti dove l'anno seguente inizia a collaborare con la celebre rivista americana "Life" con cui firmerà alcuni dei suoi servizi più conosciuti. Eisenstaedt muore nel 1995, all'età di novantasette anni, nella casa di villeggiatura sull'amata isola di Martha's Vineyard. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

___ Presentazione di altre mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Ilaria Feoli | "Un giardino di poesie fiorite"
11 aprile (inaugura ore 18.00) - 10 maggio 2025
Guidi&Schoen Arte Contemporanea - Genova
Presentazione

Olivetti e i fotografi della Magnum
13 aprile (inaugurazione ore 21.00) - 26 ottobre 2025
Museo civico "P.A. Garda" - Ivrea
Presentazione

"De Profundis" | Fotografie di Vukašin Šobot
12 aprile (inaugurazione ore 18.00) - 30 giugno 2025
JulietRoom - Muggia (Trieste)
Presentazione

Brittany Nelson | "To Leave Is To Return"
14 aprile (inaugurazione ore 19.00) - 28 giugno 2025
Quartz Studio - Torino
Presentazione

Enzo Ragazzini. Aspettando Godot
23 marzo (inaugurazione) - 16 aprile 2025
Ria lussi art studios - Roma
Presentazione

Pino Musi | "Phytostopia"
05 aprile (inaugurazione) - 14 settembre 2025
Rolla.info - Bruzella (Svizzera)
Presentazione

Sara Rossi | "Rêver"
04 aprile (inaugurazione) - 31 maggio 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
Presentazione

Henri Cartier-Bresson e l'Italia
14 febbraio - 02 giugno 2025
Italo Zannier | "Io sono io. Fotografo nella storia e storico della fotografia"
22 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
Galleria Harry Bertoia - Pordenone
Presentazione

Gli Italiani di Bruno Barbey
21 dicembre (inaugurazione) - 04 maggio 2025 Galleria Harry Bertoia - Pordenone
Presentazione

Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori |...attraverso lo sguardo di Linda Fregni Nagler
05 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
Presentazione




Ilaria Feoli
"Un giardino di poesie fiorite"


11 aprile (inaugura ore 18.00) - 10 maggio 2025
Guidi&Schoen Arte Contemporanea - Genova
www.guidieschoen.com

Una ricerca quella di Ilaria Feoli (Avellino, 1995) basata sulla fotografia analogica e l'autoritratto, che si ispira alla Natura, simbolo di fragilità ma anche di forza, e che si fonde con l'intenso legame intessuto con la poesia (quella di grandi autori da Giacomo Leopardi a Emily Dickinson ma anche versi dalla stessa composti) che rende ciascun titolo delle sue opere dichiarazione poetica ma anche chiave di lettura per interpretare i suoi lavori: «Le fotografie devono essere lette e non soltanto guardate. Questi mondi paralleli in cui la mia presenza abita sono come dei fogli in cui scriverci sopra e proprio per questa concezione la fotografia che più utilizzo e` quella analogica, perchè vedo in lei una parte più veritiera, un'essenza e una vera e propria vita che si crea nei vari passaggi della camera oscura».

Molto spesso la fotografia viene accompagnata da oggetti e ricami che creano una sorta di ready-made che proietta l'osservatore in una surreale dimensione, facendolo immergere in paradossi e in oniriche stanze/istanze. Al visitatore che si addentra in Un giardino di poesie fiorite, verrà chiesto di immaginarsi in un luogo ideale - quale per l'artista un giardino sa essere - aprendosi all'ascolto e alla lettura delle fotografie che scorrono davanti ai suoi occhi come fossero "poesie fiorite", un costante omaggio dell'artista al mondo naturale.

La mostra, a cura di Livia Savorelli, organizzata dall'Associazione Culturale Arteam di Albissola Marina (SV) nell'ambito del progetto Monteforte Irpino Next Generation Dream On!, presenta una selezione di opere recenti dell'artista, come Dall'alveare dell'erbario d'un pettirosso (2024) e rosso cremisi; clorofilla per le tue radici (2025), oltre ad alcune opere iconiche della sua ricerca e ai libri d'artista. (Estratto da comunicato stampa)




Locandina della mostra Olivetti e i fotografi della Magnum Olivetti e i fotografi della Magnum
Wayne Miller - Erich Hartmann - Henri Cartier-Bresson - Sergio Larrain


13 aprile (inaugurazione ore 21.00) - 26 ottobre 2025
Museo civico "P.A. Garda" - Ivrea

La mostra racconta una storia: la straordinaria collaborazione tra l'industria Olivetti e alcuni fotografi dell'agenzia Magnum nel corso del secolo scorso. L'Associazione Archivio Storico Olivetti conserva fotografie in originale, provini, diapositive e inediti carteggi di corrispondenza tra Giorgio Soavi (Ufficio Ricerche Pubblicità Olivetti) e l'ufficio parigino dell'agenzia, in particolare con il responsabile per l'Europa, Michel Chevalier. L'intreccio dei documenti cartacei e di quelli fotografici ha permesso ai curatori di mettere in luce molti aspetti, ancora inediti, della collaborazione avviata nel 1958 per la pubblicazione "Olivetti 1908-1958" e continuata per molta parte degli anni sessanta con documenti fino al 1970. Il percorso espositivo evidenzia l'importanza della fotografia come documento storico e visivo attraverso scatti che sono testimonianze della cultura, della visione sociale e industriale ma anche dell'innovazione tecnologica del medium fotografico.

In mostra opere di:
.. Wayne Miller (1918-2013) per il negozio Olivetti di San Francisco.
.. Erich Hartmann (1922-1999) per i negozi Olivetti di New York e di Buenos Aires, le fabbriche Olivetti in Argentina e Brasile e Harrisburg.
.. Henri Cartier-Bresson (1908 - 2004) per la fabbrica e le abitazioni Olivetti di Pozzuoli.
.. Sergio Larraìn (1931 - 2012) per le fabbriche Olivetti in Argentina e Brasile.

Ogni fotografo ha deciso il taglio dell'inquadratura, la scelta del soggetto da riprodurre, le modalità di ripresa, la composizione dell'immagine, la profondità, l'illuminazione e il contrasto. Sulle scelte artistiche personali influiscono altri fattori quali la tecnologia a disposizione, fattori ambientali impossibili da modificare per esempio in riprese esterne. La "singolarità" dello sguardo del fotografo, a volte, è poi anche influenzata da indicazioni del committente o da comportamenti del soggetto che viene ritratto soprattutto se si tratta di esseri umani.

La lente di ingrandimento sulla relazione Olivetti-Magnum permette anche di indagare procedure interne alla committenza Olivetti nell'affidamento degli incarichi, con indicazioni molto precise sui servizi fotografici da realizzare, le modalità di scelta delle stampe dai fogli provini, le finalità per le quali venivano richiesti tali servizi, i pagamenti. Protagonista emergente dai documenti è, ancora una volta, Giorgio Soavi, curatore di grandi progetti legati all'arte e all'editoria per Olivetti. Nel contempo, proprio sul finire degli anni Cinquanta, l'agenzia Magnum assume i connotati di una grande agenzia di fotografia che pubblicizza anche e soprattutto a livello commerciale l'attività dei suoi soci fotografi.

La mostra fa emergere anche l'esistenza di un Archivio fotografico Olivetti, di un Reparto fotografico interno e di una sistematica attività di riproduzione e catalogazione dei servizi fotografici di tutti i fotografi che lavorarono per la società Olivetti da parte dell'Ufficio Documentazione Fotografica. Lo studio dei carteggi e delle pubblicazioni si intreccia ai servizi fotografici, all'analisi delle stampe vintage, dei fogli di provini, dei negativi e dei servizi a colori in pellicola. Curatori della mostra e del catalogo sono Paolo Barbaro, Claudia Cavatorta, Paola Mantovani e Marcella Turchetti.

Gaetano di Tondo, Presidente dell'Associazione Archivio Storico Olivetti, così commenta Olivetti e i fotografi della Magnum : "Il filmato storico "Sud come Nord" di Nelo Risi e il grande plastico della fabbrica di Pozzuoli, appena restaurato, sono rappresentativi di scelte curatoriali multidisciplinari: esse offrono al pubblico un campione altamente significativo del valore del patrimonio culturale degli archivi del Novecento e rivelano una presa di distanza dall'idea di fotografia pura, esteticamente emozionante, ad alto godimento, ma sradicata dai suoi contesti di relazione. "Archivi negli archivi" che intersecano le vicende Magnum e vanno a comporre altri tasselli di un profilo culturale Olivetti che abbraccia anche la fotografia ." (Estratto da comunicato stampa)




Opera a tecnica acrilico su tela di cm 60x60 denominata Volo di rondini 2 realizzata da Francesco Grasso nel 2017 Opera a tecnica acrilico su tela di cm 50x70 denominata La giostra realizzata da Francesco Grasso nel 2020 Collage a tecnica mista con acrilico su tela di cm 50x70 denominato Albero realizzato da Elena Frazzetto nel 2024 Opera a tecnica acrilico su tela di cm 40x50 denominata Composizione realizzata da Elena Frazzetto nel 2025 Elena Frazzetto | Francesco Grasso
"Dei fiori e altri incanti"


12 aprile (inaugurazione ore 18.00) - 30 aprile 2024
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Ritornano gli Artisti Elena Frazzetto e Francesco Grasso con la nuova mostra alla Galleria Arianna Sartori di Mantova (via Cappello, 17), dove nel 2024 hanno presentato la mostra "Del colore, anzitutto" e nel 2023 la mostra "Fantastiche visioni cromatiche" ed in entrambe le occasioni hanno suscitato interesse da parte del pubblico e della critica. L'esposizione è presentata da Giuseppe Bella e curata da Arianna Sartori

Elena Frazzetto (Catania, 1957) inizia i suoi studi artistici presso il Liceo Artistico Statale di Catania. Frequenta i Corsi di Pittura e di Scultura dell'Accademia di Belle Arti di Catania e consegue la laurea Specialistica di Decorazione. Dal 1986 al 2019 ha insegnato "Laboratorio di Decorazione Pittorica" e "Discipline Pittoriche" presso l'Istituto Statale d'Arte di Siracusa e di Catania e al Liceo Artistico Statale M.M. Lazzaro di Catania. Dal 1976 ha tenuto diverse personali e partecipato a numerose mostre collettive e rassegne d'arte.

Francesco Grasso (Catania, 1952) ha frequentato l'Istituto Statale d'Arte e l'Accademia di Belle Arti di Catania nel Corso di Pittura diplomandosi nel 1977. Nel 1975 ha ottenuto il 1° premio alla quarta edizione del "Premio Lubiam" di Mantova. La sua prima mostra personale è alla New Gallery di Catania nel 1977. Ha insegnato Discipline Pittoriche e Laboratorio di Tecniche Murali. Dal 1979 al 2018 è docente presso l'Istituto Statale d'Arte di Catania e al Liceo Artistico Statale M.M. Lazzaro di Catania. La sua personale ricerca artistica si sviluppa usando la tela pagina per il suo "diario pittorico" raccontando gli eventi e le esperienze in una sorta di notes autobiografico. Ha partecipato a numerose mostre collettive e rassegne d'arte. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.

___ Elena Frazzetto - I fiori, di ogni specie
di Giuseppe Bella

I fiori. Di ogni specie, in varie fogge. Epifania costante, in pittura. Ditemi: c'è mai stato un artista che non abbia subito il delicato sortilegio del loro apparire? Raffigurano ciò che il bello naturale produce come forme di compiuta e fragile eleganza, con il germe tuttavia del progressivo smorire in marcescenza. Si tratterebbe allora, per lo sguardo, di coglierli o nell'attimo del loro splendore o in quello stadio che prelude al loro essiccamento - in quella fase che si situa tra vividezza e rovina, tra colori che principiano a stemperarsi e un'opacità di morte.

Elena Frazzetto sceglie di votarsi a quel tipo di felicità cromatica, a quella voluttà di chiarezza che fu di Matisse; quando pensa ai fiori, li immagina come corpi di colori puri, con predominanza di giallo e di rosso. Ritorna, in questo modo, a quella maniera espressionistica che potremmo definire mediterranea, perché nella temperie solare del Sud trova la sua schietta sorgente. Saremmo persino autorizzati a pensare che la pittura di Elena Frazzetto, pur mantenendo il rispetto della figura, sia, nella sua intima essenza, immateriale.

Non si incontra la materia con la sua labile grazia, nelle sue visioni floreali o campestri; né la materia con la sua corruttibile concretezza, la materia che trattiene la luce ma anche la sua ombra, lo spettro della corruzione che inevitabilmente prenderà il sopravvento. Non la materia pereunte, pertanto. Solo luce: la gaiezza del suo manifestarsi. Con i colori attraverso cui si sostanzia. Se non c'è materia, il dolore non avrà campo. Se la materia è ridotta a semplice concrezione di luce, svanisce ogni dissidio tra la figura e l'ambiente in cui si colloca. La figura avrà la medesima natura e qualità dello sfondo; nessuna prerogativa ontologica la stacca da ciò che la contiene e circonda. Ecco, quindi, un vaso con fiori traboccanti.

I colori di cui i fiori si adornano sono gli uguali di quelli che tingono la base su cui il vaso poggia nonché lo sfondo che potrebbe essere una parete, ma con identica probabilità anche una banda di cielo iperuranico, sì che il vaso appare come fluttuare danzando su onde di colore. Dai fiori sprigiona un campo di energia espulsiva per cui macchie cromatiche si proiettano tutt'intorno, come quelle esplosioni solari che insinuano nelle tenebre dello spazio lingue di fuoco sfrangiate e vibranti. I fiori, in questa poetica di Frazzetto, non hanno nome; non importa che l'abbiano. Come in quel verso balbettante della Stein ("Una rosa è una rosa è una rosa"), possiamo qui ripetere, ribaltando: "Un fiore è luce è luce non altro che luce".

Ma non solo fiori Elena dipinge; anche paesaggi, alcuni ottenuti, con tecnica collagistica, distendendo lembi e scarti di giornali, che costituiscono l'insolita campitura per la successiva applicazione di carte veline percorse da bande di tenui colori (azzurro, giallo paglierino, verde); si colgono pure segni come riccioli o svirgolature ornamentali. Qui c'è materia, ma non è la materia a cui comunemente si pensa; è materia, per così dire, denaturata. Oppure: declinata per allusioni o simulazioni, perciò vuota di sostanza e presentata nel suo nudo profilo di linee e onde e rotondità collinari.

Altrove, il paesaggio è dipinto con l'esplicita intenzione di rappresentare una realtà tangibile: e c'è l'albero, immancabile topos figurale, leggero e snello; e il tronco ha il colore del legno giovane, con nervature di verde - lo stesso verde della fronda. Ma ecco che il terreno su cui l'albero si radica, è un'improbabile sovrapposizione di strisce, un nervoso intreccio di fasci colorati in cui è ripreso il tema cromatico del verde e del marrone, oltre al rosso che combinandosi col verde dà un giallo paglierino. Finzione e pretesto, dunque: per inscenare ancora una volta la chiarità di quell'energia primeva che si addensa in materia per rendere palpabile il mistero del creato.

Ora si tratta di constatare come Elena Frazzetto affronta e risolve il problema della figura umana. Ho disponibile alla mia osservazione un ritratto di donna. Certo è difficile se non impossibile eludere il tema del corpo fisico, della carne, quando l'artista si pone davanti a una persona con il proposito di trasferirne in pittura (in scultura, in concetto) l'essenza umana (il carattere, il temperamento, le qualità morali); si può nobilitare questo corpo o degradarlo o denigrarlo: ma è lì ed è materia mobile. La nostra artista aggira il punto.

Volge lo sguardo al proprio interno, al mondo oscuro del sogno e del ricordo, lì dove le figure sono fantasime, ombre che labilmente si configurano, per poi dissolversi nel nulla come lo spettro della madre, nella Nekyia, che Odisseo tenta inutilmente per tre volte di abbracciare. La donna di questo ritratto flette le braccia unendole ai gomiti e con le mani fa una coppa su cui si adagia il volto; di lei è mostrato soltanto il busto. Tutto è trasparente. Attraverso il corpo si vede lo sfondo; pure qui, ritagli di giornale. Ma è la posa, l'espressione di questo fantasma ciò che si imprime nel nostro sguardo: un fantasma che emerge da un ricordo, un ricordo che nasce da altri sogni.

___ Francesco Grasso - Ritratto dell'artista da fanciullo
di Giuseppe Bella

Da giovane pittore, Francesco Grasso amava le tonalità chiuse e mormoranti; il suo culto era dedicato alle cromie uniformi, estese campiture di verde, di blu o di viola talora striate di arancio o di bianco, spesso composte per bande orizzontali, bagnate marginalmente dalla luce, riportanti in superficie i segni del lavorio del pennello, con marcate rigature impresse come obliqui freghi: si intuiva che, sotto, agivano pulsioni a stento trattenute, ciò che dava alla sua pittura un carattere di ricerca irrequieta.

Era, quello, il tempo del cielo e delle acque (Cielo, Mare n.1, Cielo, Mare n.2, entrambi del 1980) i quali apparivano ai suoi occhi creati da un'identica sostanza, che poteva indifferentemente collocarsi ora in basso ora in alto; tuttavia, si trattava di una sostanza da cui non si sprigionava serenità, ma un senso di allarme, non proprio di minaccia - ma insomma, c'era in essa come un presagio. Si potrebbe addirittura affermare che, in quegli anni, l'energia creativa di Grasso era dominata, pur lui giovane, dalla figura del Senex - entità archetipica incline alla saggezza ma, insieme, alle meditazioni melanconiche.

Poi, in quello stesso torno di tempo, accadde qualcosa, un evento tale da torcere la direzione del suo sguardo; non più rivolto, questo, alle profondità della mente. In ogni momento, tutto, occorre dire, è presente in nuce nel mondo immaginifico dell'artista, quindi disponibile all'utilizzo; possono cambiare, come in effetti variano, le forme dell'espressione, secondo le mutevoli tecniche con cui un'idea viene nel tempo resa operante nello spazio dell'azione creativa; ma le configurazioni simboliche rimangono immutate, uguali a se stesse, sempre, mai in sostanza si trasformano, sia che agiscano come archetipi, sia che sgorghino dalle terre profonde della mente.

Due nobili ombre sono solite visitare Francesco nei giorni più grigi e inquieti, nelle ore dominate dallo spleen, quando gli sforzi dinanzi alla tela non producono i risultati voluti; sono i fantasmi mentali di Klee e Kandinsky. Il primo porta con sé l'idea che l'immaginazione, lungi dall'essere una mera attività della mente, separata dalla realtà per quanto a essa funzionale, è - o dev'essere - un esercizio spirituale che dia senso e nobiliti la presenza nel mondo dell'artista. Kandinsky, dalle visioni ugualmente psicagogiche, offre in dono l'idea che forme e colori debbano entrare in un rapporto di reciproca risonanza, animando forme che riemergono dai territori fabulosi dell'infanzia. Ma non sono venuti a impartire lezioni, i due Maestri. Devono aiutare Francesco a tirar fuori da sé gli eidola che ci sono, celati nel fondiglio brumoso dell'inconscio-mare calmo, ma faticano a nascere. Devono adempiere un compito maieutico.

Il δαίμων che guidava l'occhio e la mano di Francesco si raddolcì, pertanto, tralasciò il diletto degli abissi, sia acquorei sia celesti, e scrutò in alto. Sospeso fantasticamente nell'aria immobile, si svelò l'Aquilone. Questa mirabile visione fu propiziata sia dall'influsso dei due Maestri sia, verosimilmente, anche dal fatto che Francesco conoscesse a fondo, apprezzandole, le esperienze neoavanguardistiche della pop art (Michelangelo, acrilico su tela 1982, et alia). Sia come sia, da quel momento il Fanciullo cominciò a crescere negli spazi insondabili dell'animo di Grasso. L'Aquilone rimarrà a lungo una presenza iconica costante nella sua vita artistica: e insieme a esso, quale sfondo gioioso, ecco che il cielo assume un aspetto versicolore, l'aria si scompone in mille e mille molecole sfavillanti.

Non c'è decennio, nella produzione pittorica di Grasso, in cui l'Aquilone non faccia la sua apparizione. È un emblema di ardita leggerezza, l'aquilone. All'estremità del filo che lo trattiene dall'involarsi, c'è sempre un bambino, che ride e saltella. Però, anche qui si annida un'ombra. Si rammentino quei versi di Pascoli: l'allegria fanciullesca trascina con sé tristi ricordi, ricordi di morte. Questo per dire che, nelle ultime pitture del nostro, le rondini quali creature aguzze lanciate in voli temerari, i fiori sgargianti e d'incredibile esuberanza, l'intera natura infiammata da un tripudio di colori, celano tutti, sotto una patina di idillio, una segreta inquietudine.

Le scene originate dalla fantasia di Grasso, in questi ultimi anni, hanno assunto una valenza vieppiù infantile; quadri ricomposti dagli occhi pieni di stupore di un pittore/fanciullo dinanzi alle fiabe che si rivelano nelle visioni di paesaggi già noti ma riscoperti in nuove configurazioni, e degni di costituire un "diario pittorico", una sorta di registro degli stupori, delle meraviglie che una collina/mondo/seno-materno, un vulcano eruttante, un trenino dal fumo diffuso come una nuvola puntiforme, suscita negli occhi candidi del bambino scaturito dalla canizie. Un digesto degli incanti, nelle cui pagine le immagini riposino, mentre lievitano dentro l'anima nel silenzio dei giorni e delle notti. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Francesco Grasso, Volo di rondini 2, 2017, tecnica acrilico su tela cm 60x60
2. Francesco Grasso, La giostra, 2020, tecnica acrilico su tela cm 50x70
3. Elena Frazzetto, Albero, 2024, collage su tela a tecnica mista acrilico cm 50x70
4. Elena Frazzetto, Composizione, 2025, tecnica acrilico su tela cm 40x50




Ann Veronica Janssens | UP
Ugo Rondinone | ORA BLU


05 aprile - 07 giugno, 2025
Alfonso Artiaco - Napoli
www.alfonsoartiaco.com

Con l'inaugurazione del nuovo spazio espositivo a Palazzo Partanna, in Piazza dei Martiri 58, Napoli, Alfonso Artiaco presenta due mostre personali di Ann Veronica Janssens e Ugo Rondinone. Due ricerche artistiche autonome, che attraverso linguaggi differenti esplorano in modo poetico il tempo, la percezione e la trasformazione.

In UP, la ricerca di Ann Veronica Janssens sulla luce, la trasparenza e la percezione. Strutture in vetro si elevano dal pavimento in un equilibrio sottile, modificando densità e traslucenza con il variare della luce circostante. Sulla parete, un pannello di vetro martellato, stratificato con una pellicola dicroica, frattura e rifrange la luce in velature cangianti, dissolvendo il colore in composizioni fluide e in continua trasformazione. In un'altra opera, i fenomeni di colore strutturale evocano i giochi di luce delle piume di pavone o delle ali di una farfalla, coinvolgendo lo spettatore in un'esperienza in cui la forma non è mai fissa, ma sempre in mutamento.

Con ORA BLU, Ugo Rondinone costruisce una meditazione cromatica sul Vesuvio, rielaborando in chiave pittorica la presenza simbolica del vulcano nel paesaggio napoletano. In una delle sale espositive della galleria, una serie di dipinti avvolge lo spettatore in profondi lavaggi di colore stratificato, evocando la mutevolezza della montagna. Tra realtà e sogno, queste opere aprono uno spazio sospeso, in cui il tempo si misura attraverso sfumature e atmosfere. Ogni dipinto è datato, a sottolineare il carattere rituale del processo creativo e a trasformare la geografia del paesaggio in un'esperienza al tempo stesso intima e universale. (Comunicato stampa)




Renato Casaro
L'ultimo uomo che ha dipinto il cinema


11 aprile (inaugurazione) - 06 luglio 2025
Museo nazionale Collezione Salce - Treviso
www.studioesseci.net

Omaggio a Renato Casaro, il re dei cartellonisti cinematografici, dedicandogli una delle Sale espositive della sede museale di San Gaetano, a Treviso. Nel 2024 il Maestro ha donato allo Stato italiano e per esso alla Direzione regionale Musei nazionali Veneto, Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, un nucleo di opere da lui realizzate nel corso della sua pluridecennale carriera internazionale: disegni, bozzetti, manifesti e locandine.

"Quando Renato Casaro ci ha comunicato la sua decisione, afferma Daniele Ferrara direttore della Direzione regionale Musei nazionali Veneto, indicando come contesto culturale più adeguato a ospitare la testimonianza della sua arte il Museo Salce, dedicato all'arte della pubblicità, abbiamo naturalmente accolto la sua volontà, intitolandogli come omaggio e ringraziamento una sala. La Sala Renato Casaro accoglierà costantemente delle monografie tematiche del Maestro trevigiano. A curare queste monografiche sarà lo stesso artista con opere tratte da quelle donate al museo e dal suo archivio personale."

"Avremo così l'opportunità, davvero preziosa, afferma Elisabetta Pasqualin, che del Museo nazionale Collezione Salce è la direttrice, di approfondire la conoscenza di uno dei più originali cartellonisti del secondo Novecento italiano ed internazionale, e di seguire l'intero processo creativo delle sue opere, dai primi schizzi dettati dall'incontro-confronto di Casaro con i diversi registi, ai bozzetti, sino alle immagini di scena, al lettering che accompagna le immagini e infine alla distribuzione dei manifesti e delle locandine nella sale cinematografiche. Nonché alle diverse versioni del manifesto, che a seconda del paese di proiezione del film, poteva mutare soggetto e veste".

Sarà lo stesso Maestro, in una serie d'incontri con il pubblico a far rivivere il dietro le quinte di suoi capolavori, opere che sono diventate oggetto del desiderio dei collezionisti del settore e hanno fornito l'immagine, che è diventata memoria collettiva, a decine di film di successo della cinematografia italiana e di Hollywood.

Artigiano di genio, sin dagli esordi Casaro misura la sua arte con quanto Cinecittà e il cinema internazionale andavano proponendo. Via via il suo stile conquista i grandi registi: Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Ingmar Bergman, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Boorman, Tinto Brass, Liliana Cavani, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Costa-Gavras, Pietro Germi, Claude Lelouch, Ugo Liberatore, Sergio Leone, Sidney Lumet, Anthony Mann, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Alberto Sordi, John Sturges, Giuseppe Tornatore, François Truffaut, Carlo Vanzina, Carlo Verdone, Quentin Tarantino.

Firma l'immagine grafica di film popolari e serie come Trinità e Rambo o gli indimenticabili manifesti di capolavori quali I magnifici sette, C'era una volta in America, Amadeus, Il nome della rosa, Il tè nel deserto, L'ultimo imperatore, Nikita, Balla coi lupi e molti altri. Era stata la mostra monografica "Renato Casaro. L'ultimo cartellonista del cinema. Treviso, Roma, Hollywood" ad inaugurare il 12 giugno 2021 la nuova sezione del Museo Nazionale Collezione Salce, nella ritrovata chiesa di Santa Margherita. Mostra coronata da un grandissimo successo. Per questa sua prima monografica a tema, nella sede di San Gaetano, Casaro ha scelto di raccontare una parte forse più leggera ma sicuramente popolarissima della sua produzione, quella riservata alla commedia. Seguiranno poi western, fantasy, horror, classic/cult e molti altri. (Comunicato stampa Studio Esseci)




Stampa fotografica di Vukašin Šobot in una immagine dal progetto De Profundis "De Profundis"
Fotografie di Vukašin Šobot


12 aprile (inaugurazione ore 18.00) - 30 giugno 2025
JulietRoom - Muggia (Trieste)
www.juliet-artmagazine.com

Nella JulietRoom di Muggia, spazio promozionale dell'associazione Juliet, la personale del fotografo sloveno Vukašin Šobot a cura di Elisabetta Bacci. La mostra, composta da circa venticinque fotografie, sarà introdotta da Elisabetta Bacci. Vukašin Šobot è fotografo, cameraman e regista indipendente con oltre vent'anni di esperienza nel campo della fotografia e quindici anni nella produzione video. L'apice della sua espressione viene toccato con la fotografia documentaristica e giornalistica. Nel suo curriculum vanta la partecipazione a oltre quaranta mostre collettive e ha realizzato circa nove mostre personali. L'autore è gallerista e curatore nella sua Galerija f 2,8 di Zagorje, uno dei rari spazi dedicati alla promozione della fotografia in Slovenia. Tiene, inoltre, workshops per fotografi oltre a essere anche videogiornalista.

In particolare, il progetto "De Profundis" che verrà presentato alla JulietRoom, è attualmente un work in progress. La mostra è composta da foto dove il soggetto è costituito da vari soggetti ripresi nell'atto di fumare ripresi all'interno di un contesto culturale oltre che nella normalità della vita quotidiana. Ogni singolo ritratto ferma il momento in cui si manifesta il piacere che i fumatori provano in ciò che stanno facendo, senza particolari segni di preoccupazione per la loro salute. Le foto non vengono incorniciate affinché il fumo possa trovare anche un piccolo foro per scivolare via o debordare dai perimetri della foto.

Nella sequenza di queste immagini, la centralità della narrazione risiede nella capacità da parte dell'autore di tradurre la percezione ottica del singolo soggetto, per trasformare il semplice sguardo sulla realtà, in rappresentazione. Nel giocare, per esempio, nei dettagli espressivi su un volto o sulle nuvole di fumo, queste fotografie divengono allora processo di conoscenza per l'autore e per chi le guarda, in una tensione di rimandi e di richiami di responsabilità. (Comunicato stampa)

Immagine:
Vukašin Šobot, immagine dal progetto "De Profundis", stampa fotografica, work in progress

___ Puoi proseguire con la seguente mostra promossa da "Juliet" e presentazione del volume

"Altezza e solitudine"
Bacci | Barone | Barzagli | Fontana | Poloni | Sofianopulo | Zevola


19 marzo - 19 dicembre 2025
AD FORMANDUM - Trieste
Presentazione

Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità
di Roberto Vidali, postfazione: Gabriele Perretta, pagg 206, Juliet Editrice, settembre 2024
Presentazione




Locandina della decima Triennale di Milano Les Monstres Amis. Emilio Scanavino e la X Triennale
04 aprile - 22 giugno 2025
Fondazione Emilio Scanavino - Milano

La prima mostra organizzata dalla nuova Fondazione - curata da Michel Gauthier e Marco Scotini - racconta la Triennale del 1954, momento fondamentale della storia dell'arte e del design, che vide la partecipazione di Scanavino e altri artisti italiani e internazionali in un momento di confronto tra arte e funzionalismo. L'esposizione milanese del 1954 fu infatti un momento fondamentale per la storia dell'arte e del design e di dialogo tra arte e design industriale. La mostra si concentra sulla partecipazione di Scanavino e di altri importanti artisti internazionali, e su quella battaglia per ristabilire il primato dell'immagine sulla forma e la libertà rispetto alla struttura che coinvolse molti di loro, dedicando una particolare attenzione alla sezione della manifestazione dedicata alla ceramica.

Les Monstres Amis ricrea l'ambiente della sala delle ceramiche della Triennale che ospitava, all'interno di una scenografia curata da Joe Colombo, opere realizzate ad Albisola nell'estate precedente da artisti come Enrico Baj, Sergio Dangelo, Corneille, Asger Jorn, Roberto Matta, Lucio Fontana e lo stesso Emilio Scanavino. Inserita in un contesto dedicato a design industriale e funzionalismo, questa sezione si proponeva di sfidare il predominio di quest'ultimo con un progetto che anticipava quel Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista che sarebbe poi diventato l'Internazionale Situazionista.

La X Triennale di Milano divenne una vetrina per l'arte moderna e il design industriale, ma anche un laboratorio di nuove forme di espressione artistica. In quella edizione storica, la sezione dedicata alla ceramica fu un punto di incontro tra artisti e produzione industriale. In quel contesto, Scanavino si distinse non solo come artista ma come protagonista di un processo di innovazione che superava le convenzioni del design funzionalista del periodo, rivelando nella sua produzione ceramica una testimonianza di ricerca sulla deformazione e l'espressione corporea, elementi che caratterizzeranno anche la sua pittura e scultura del tempo.

In quanto materiale ibrido e al tempo stesso popolare, la ceramica si prestava all'esplorazione di nuove potenzialità espressive. Scanavino, con artisti del calibro di Lucio Fontana, Enrico Baj, e Asger Jorn, partecipò attivamente alla costruzione di un dialogo tra arte e industria portando la ceramica a essere riconosciuta come mezzo artistico autonomo. La Triennale del 1954 non si limitò a presentare oggetti, ma divenne un crocevia di idee in cui si sviluppò una riflessione profonda sulla trasformazione sociale e culturale in corso. La collaborazione tra artisti e produttori di ceramiche divenne simbolo di un movimento che sfidava la separazione tra arte e vita.

Les Monstres Amis è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con contributi dei due curatori Michel Gauthier e Marco Scotini e di Luca Bochicchio, Lisa Hockemeyer e Stefano Setti, che approfondiscono il contesto storico, artistico e teorico della Triennale del 1954 e il ruolo cruciale di Scanavino in quell'epoca. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagine:
Enrico Ciuti, Marco Del Corno, Manifesto d'epoca X Triennale di Milano, 1954, litografia




Dipinto a tecnica mista denominato Per una luce che sentivo dentro realizzato da Marco Iannetti nel 2024 Dipinto a tecnica mista di cm 60x70 denominato Presagio realizzato da Marco Iannetti nel 2024 Dipinto a tecnica mista di cm 92x73 denominato Silenzioso stupore realizzato da Marco Iannetti nel 2025 Dipinto a tecnica mista di cm 50x50 denominato Lato segreto realizzato da Marco Iannetti nel 2024 Marco Iannetti
"Κέλευϑος" (Keleuthos, Percorso)


05 aprile (inaugurazione) - 17 aprile 2025
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Presenta la prima mostra personale dell'Artista Marco Iannetti. Curata da Arianna Sartori, la mostra si inaugura alla presenza dell'Artista e con presentazione di Chiara Strozzieri, curatrice del catalogo e autrice del testo critico. Dipinti di Marco Iannetti sono già stati presentati alla Galleria Arianna Sartori in occasione di due precedenti esposizioni: "Gabriella Capodiferro cum Discipulis" nel 2020 e "Pittura Stili Reinvenzioni" nel 2022.

Marco Iannetti (Pescara, 1984), nemmeno adolescente, inizia il suo percorso artistico avvicinandosi all'aerosol art, la quale diverrà il suo primissimo strumento d'espressione. Gradualmente, negli anni a seguire, l'interesse sarà indirizzato verso la pittura su tela. La successiva fase formativa risente pesantemente di due incontri fondamentali, il primo con l'espressionista Pescarese Antonio Matarazzo, docente di pittura, che lo stimola a verificarsi in uno studio più attento dell'arte.

Successivamente, nel 2009, spinto dalla necessità di raggiungere un linguaggio più maturo ed autenticamente suo, incontra il maestro Gabriella Capodiferro. Lei lo porterà alla scoperta delle proprie potenzialità creative tramite la conoscenza del linguaggio visivo, della teoria del colore e dell'immagine. Frequenta lo studio MGC di Chieti con l'interesse rivolto sia alla composizione che alla sperimentazione di tecniche e materiali (tra cui anche le resine epossidiche) ed anche agli esiti percettivi dell'immagine. Diventa socio del Movimento del Guardare Creativo, partecipando attivamente nel corso degli anni, agli eventi ed alle iniziative culturali, presentandosi sempre con opere in cui emerge sicuro il suo stile.

È citato nel "Catalogo Sartori di Arte Moderna e Contemporanea" del 2021 nell'ambito del Movimento del Guardare Creativo e nel "Catalogo Sartori di Arte Moderna e Contemporanea" del 2022 come autore. È stato inserito nell'"Atlante degli Artisti Italiani 2021" edito dalla DeAgostini Arte ed è nuovamente presente nell'"Atlante degli Artisti Italiani 2024".

___ Presentazione di Chiara Strozzieri

"Dopo quasi venti anni di ricerca ininterrotta, Marco Iannetti porta per la prima volta davanti al pubblico una mostra personale che ricapitola l'ultima fase della sua indagine pittorica. Una scelta significativa la sua, che denota la consapevolezza acquisita durante il percorso di apportare ormai la propria firma artistica in qualsiasi lavoro e la certezza di poter mettere una distanza tra sé e i suoi esordi. Mai accademico, neanche nelle prime opere, oggi l'artista si riconosce in una mano più esperta e meno contenuta dalla disciplina.

Quel contenimento del resto, gli è servito ad acquisire una grande padronanza della materia e ad affinare la sua passione preesistente per lo studio della storia dell'arte. I suoi riferimenti sono i più svariati: entrando nel suo studio ci si imbatte in antiche statue africane, mentre nella biblioteca personale spiccano i cataloghi d'arte di mostre tra le più importanti degli ultimi tempi, come quella su Matisse e l'Arabesque presso le Scuderie del Quirinale. Anche nella sua ultima produzione qua e là si intravedono delle citazioni colte: alcune soluzioni sono vicine agli Ukiyo-e di Hokusai e Hiroshige, mentre la matrice vera della sua ricerca è la pittura di Van Gogh.

Del resto lui stesso si definisce un espressionista, riconoscendo che quella fase pittorica è stata superata, in quanto legata a un periodo storico ben preciso, ma trovando delle affinità nella crisi esistenziale dell'uomo del nostro tempo. Eppure le stanze e i paesaggi di Van Gogh a un certo punto venivano distorte, perché erano state talmente tanto interiorizzate da diventare parte della coscienza stessa del pittore. Iannetti invece non distorce nulla, lui è radicato alla terra e attaccato alla realtà delle cose in maniera viscerale. Quello che lo rende di tendenza espressionista è proprio l'esperienza del sé che si concretizza nella realizzazione dell'opera d'arte.

C'è molto di spirituale in questa pratica quotidiana (l'artista vanta un lavoro assiduo che gli permette di essere sempre focalizzato sulla sua ricerca), perché è proprio lo spirito che lo guida nella scelta di scorci paesaggistici e dettagli naturalisitici da riportare nel quadro, e poi lo spinge a donare un po' di sé a questi elementi nel mentre li imprime sulla tela. Dunque è possibile tracciare un percorso fatto di frammenti di spirito mescolati a colori e forme.

Ecco allora venire fuori con grande naturalezza il titolo della mostra: Κέλευϑος (Keleuthos), appunto "percorso", e guai a cercare un filo conduttore tra opere molto sperimentali e diverse, sebbene chiaramente appartenenti alla stessa mano. Non si tratta di un percorso espositivo, inteso come una presentazione esauriente della linea di ricerca condotta dall'artista, ma di un percorso animico che guida l'occhio dello spettatore alla scoperta del mondo reale.

Sì, perché è talmente concreta l'arte di Marco Iannetti, che il mondo vero, non abbiamo dubbi, è quello che si trova sulla tela. È un po' come quelle filosofie del sogno che mettono in dubbio il fatto che esista una vita reale e poi un sogno, perché potrebbe darsi che sia la realtà sognata quella più autentica, mentre noi ci ritroviamo a vivere l'ombra della vera esistenza. Allo stesso modo, guardando i quadri di Iannetti tanto a fondo e per tanto tempo da sentirsene storditi (esperienza che consiglio per entrare davvero nel merito della sua ricerca), si ha la percezione di riuscire finalmente a captare la verità delle cose. Sono talmente concreti quei monti, i vulcani, le pinete, i cieli e i corsi d'acqua, che la mente li concretizza davanti a sé e pare quasi toccarli.

Nonostante il suo sia appunto un modo espressionista di utilizzare il colore, tingendo figure e forme con i colori dell'anima e trasformando magari un prato verde di rosso solo perché l'intensità che brucia dentro l'artista nel momento in cui lo dipinge deve accendere tutto, ogni cosa che noi vediamo è reale. Non facciamo alcuno sforzo a immedesimarci nell'intenzione dell'autore per capire le sue scelte stilistiche, viene anzi naturale accettare i suoi paesaggi per quello che sono. Laddove percepiamo dei massi o degli eterei soffioni non più come elementi naturali, ma come vere e proprie presenze, scatta un ragionamento filosofico profondo che di fatto fa dell'osservazione di un singolo quadro, così come della visita a un'intera mostra, un'esperienza.

L'etimologia latina da cui viene il termine esperienza, ovvero 'experiri', descrive un tentare ragionato che in questo caso riguarda la consapevolezza del mondo. Io mi immergo nell'arte di Marco Iannetti e tento consapevolmente di percepire la natura delle cose, prima di tutto nella loro concretezza (e qui l'abilità magistrale dell'artista di utilizzare i suoi strumenti rende tutto molto semplice), e poi anche nella loro essenza. L'essenza della natura è presenza forte, costante e certa, ed è chiaro che ha guidato il nostro artista per anni nella sua ricerca, bastando da sola alla sua mente e compensando la totale assenza dell'uomo.

Se smettiamo di parlare di essenza e invece parliamo di sostanza della realtà, ecco affacciarsi una concezione aristotelica della sostanza sensibile, di cui materia e forma costituiscono i principi intrinseci. Aristotele propone un'ontologia alternativa a quella di Platone affermando che il livello della vera realtà non è dato da idee o forme separate ma da sostanze capaci di sussistere individualmente in modo determinato. La realtà insomma è un composto di materia e forma, e nella Metafisica aristotelica prende il nome di "sinolo".

Iannetti dal canto suo supera il dualismo tra realismo e idealismo: può concordare col pensiero aristotelico secondo cui a partire dall'osservazione e dallo studio della natura l'intera realtà può essere compresa nella sua razionalità, ma di contro si avvicina alla simbologia del Mito della Caverna di Platone. L'artista ha introiettato talmente tanto la realtà, osservandola e riproducendola in centinaia di schizzi prima ancora che sulla tela, che ora gli basta un aggancio simbolico per conoscerla. Egli non è lo schiavo incatenato che guarda nella caverna le ombre delle statuette e si ferma all'immagine superficiale delle cose, ma è piuttosto l'uomo liberato che arriva alle idee, afferra la sostanza vera del mondo.

Il semplice richiamo umbratile della realtà, se è così che vogliamo interpretare la raffigurazione artistica, in Marco Iannetti si fa verità. Non si tratta più di natura pensata e immaginata, ma di realtà concreta, e questa concretezza si realizza attraverso due elementi fondamentali: l'aspetto sensibile dell'opera e il movimento. La caratteristica tattile di quadri su cui la pittura materica rende viva la rappresentazione ci porta direttamente a una riflessione sulla tecnica utilizzata dall'artista. Innanzitutto la preparazione della tela grezza, non più secondo gli antichi dettami del Cennini, ma in accordo con sperimentazioni moderne che utilizzano il gesso acrilico in previsione di una forte stratificazione.

Quello che Iannetti stesso definisce come fondo-opera è decisivo per il risultato finale in quanto ha già in sé tutte le potenzialità di una materia che accoglie il colore e può donargli svariati effetti. Tra il fondo e gli strati successivi avviene un abbraccio che si scioglie in un gioco di bilanciamenti delicatissimo. È indispensabile evitare uno strato preparatorio troppo presente: se l'artista concepisce un'opera materica, sarà la sovrapposizione dei pigmenti a dare questo effetto, e mai la base del dipinto. Nel fondo c'è in nuce l'opera finale e, sebbene niente è deciso a priori, non c'è un solo elemento lasciato al caso. È tutta tecnica, fatta della gestione di inchiostri altamente pigmentati con emulsioni viniliche e acrilici dati con grande velocità, non solo perché a richiederlo è la resa del quadro, ma anche perché la memoria del corpo del pittore agisce al meglio e con sicurezza.

Per comprendere la confidenza che Marco Iannetti ha con lo strumento, basti pensare che gli inchiostri da lui prediletti sono gli stessi utilizzati per la concia delle pelli e che certi marcatori solidi sono presi in prestito dall'industria dove normalmente vengono usati per il controllo di impianti sottoposti a forti sbalzi termici. Con questi stessi marcatori, stravolgendo la loro proprietà, l'artista alleggerisce certi passaggi rendendoli particolarmente corporei nell'aspetto tattile e abolendo completamente la concezione tradizionale del quadro come rappresentazione bidimensionale.

A tutto questo si sovrappone l'uso dei pennarelli, che rimandano al primissimo approccio con l'arte, intorno ai tredici anni, come writer e graffitista, e qui vengono impugnati con sicurezza per la realizzazione di una serie di scarabocchi. In ogni caso la scelta dello strumento non è mai fine a sé stessa, ma piuttosto motivata da un obiettivo stilistico che puntualmente l'artista riesce a centrare. È stata proprio la frequentazione del mondo della street art, in cui ogni scelta deve essere rapida e definitiva, a dargli coscienza dell'importanza di agire con intenzione, visualizzando fin dall'inizio la resa della tecnica. Dagli interventi pittorici sul tessuto urbano, anche con murales di grandi dimensioni, Iannetti è passato a effetti materici a volte burrosi, altri ancora graffianti, ma comunque sempre espressivi di una creatività fresca, che lo rende molto contemporaneo.

Arriviamo così al secondo carattere, oltre la matericità, che restituisce concretezza alla sua pittura: il dinamismo. Lo ritroviamo nelle linee improvvisamente smagrite, negli scorci prospettici arditi, negli impulsi gestuali intuibili dai segni con cui indaga il movimento intrinseco della natura. E, se guardiamo agli ultimi lavori, troviamo fasce dinamiche di colore che in tutto e per tutto sono linee controvertite che risolvono in maniera sorprendente la composizione. L'andamento del gesto infatti, parte chiaramente da destra verso sinistra, andando contro la naturale direzione dello sguardo. Questo perché l'artista vuole e deve essere scomodo nella sua ricerca per poter davvero sperimentare e portare la tecnica a un livello sempre superiore.

Non è solo la linea ad essere dinamica, ma tutta la materia trattata nell'opera: è qui che il movimento che si sprigiona dall'intervento materico non dipende da causa remota o esterna, bensì risulta congenito alla materia. Ciò significa che Iannetti, pur ammettendo il principio aristotelico 'Quidquid movetur ab alio movetur' (Tutto ciò che si muove viene mosso da altro), non fa riferimento a un essere supremo esterno alla realtà, ma a una forza insita in essa stessa. Nonostante l'attitudine spirituale del suo lavoro, egli non parla di Dio se non nella sua manifestazione nella bellezza del mondo.

Ecco allora che quello nel quadro non è semplicemente un paesaggio, ma è un clima, inteso come una condizione dell'essere nell'ambiente, in relazione ai sentimenti che la natura può suscitare. Lo spettatore vive il clima dell'opera e ne fa esperienza, facendo ritorno a sé stesso almeno in parte cambiato. Se questo avviene, l'artista può definirsi tale, e possiamo affermare che Marco Iannetti abbia raggiunto appieno questa identità. Lo dimostra con questa prima personale, un trampolino di lancio verso l'immediato futuro, in cui ci aspettiamo proponga un nucleo di opere altrettanto importanti, eseguite ancora in assoluto stato di grazia. Non si tratta di un auspicio ma della certezza che un nuovo nome è entrato a buon diritto nel panorama della ricerca contemporanea italiana".

___ Presentazione di Marco Iannetti

"Ci sono momenti nella vita di ognuno, in cui bisogna avere il coraggio di fermarsi anche solo un istante, per potersi guardare con senso critico. Il fine è quello di prendere maggiore consapevolezza del proprio presente e di capire come, sul proprio passato, abbiano potuto influire determinate circostanze apparentemente dettate dal caso, ma nel tempo poi dimostratesi far parte di un disegno più grande.

Il proprio percorso (κέλευθος) quindi, acquista un valore totalizzante, diventando conferma e al tempo stesso rivelazione, tanto maggiore quanto risulti essere più ricco e strutturato, superando per importanza qualsiasi obbiettivo raggiunto. È conferma, perché ribadisce un'intima vocazione nutrita nel tempo, con pazienza e pratica. È rivelazione, perché solo attraverso la sua percorrenza, scopriamo sinceramente chi siamo.

Proprio per questo, avendo vissuto tante esperienze importanti che mi hanno formato nei molti anni, posso affermare con assoluta certezza, che la vera crescita è scaturita dal fondamentale incontro sul mio cammino, con Gabriella Capodiferro e dalla militanza, sia nella sua scuola d'arte per oltre un decennio, che nell'associazione M.G.C (Movimento del guardare creativo) da lei fondata di cui sono orgogliosamente tutt'ora membro. Una palestra magnifica dove, con il metodo e la passione amorevole posseduta da solo chi è veramente grande, mi è stato insegnato ad essere allievo, pittore, uomo, a scoprire felicemente la mia creatività mediante lo studio ed il lavoro serio e costante, a ricevere attraverso me stesso in modo autentico, la ricchezza interiore che ognuno di noi diversamente possiede.

Altro avvenimento cruciale l'incontro con Arianna Sartori, gallerista illuminata, che insieme alla sua splendida famiglia, mi ha accolto e introdotto con altissima competenza nel mondo del mercato d'arte professionale responsabilizzandomi a tale opportunità, dando merito e riconoscimento a tutto il lavoro pregresso che mi accompagna da oltre vent'anni.

In fine, un ruolo incredibilmente prezioso per la mia crescita artistica e personale lo hanno avuto le tante persone incontrate lungo il cammino con le quali mi sono confrontato, dal critico Chiara Strozieri, figura autorevole ed assolutamente essenziale, diventata strumento imparziale di valutazione oggettiva e di crescita personale, al compagno di corso, all'estimatore, condividendo punti di vista, esperienze, formazione, vita, gioie e difficoltà nell'arco di molti anni indimenticabili. Oramai divenuti mia famiglia d'arte, a Voi, con gioia e sincero affetto dico grazie, perché siete tutti parte inscindibile della mia storia. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Marco Iannetti, Per una luce che sentivo dentro, 2024, tecnica mista
2. Marco Iannetti, Presagio, 2024, tecnica mista cm 60x70
3. Marco Iannetti, Silenzioso stupore, 2025, tecnica mista cm 92x73
4. Marco Iannetti, Lato segreto, 2024, tecnica mista cm 50x50




Opera di Andrea Lucchesi Andrea Lucchesi
"Cosa Viva"


01 aprile (inaugurazione) - 03 maggio 2025
A PICK GALLERY - Turin
www.apickgallery.com

L'esposizione, a cura di Emanuela Romano, raccoglie una serie di opere inedite che si sviluppano attorno a una narrazione: il viaggio interiore ed esteriore di una ragazza che, mentre fa il bagno, scorge un bosco al di là della finestra. Da questo istante nasce un racconto visivo che si snoda attraverso la scoperta del paesaggio, dei suoi dettagli e delle vicende che vi prendono forma. Tuttavia, questa storia è solo un pretesto: ciò che realmente interessa ad Andrea Lucchesi (Firenze, 1981) è la pittura stessa, il suo essere materia viva, capace di modellare luci, ombre, personaggi, situazioni ed emozioni.

La sua pittura è un'ossessione, un'urgenza espressiva che si manifesta in una costante tensione tra figurazione e astrazione. L'uso della luce e del colore richiama la tradizione pittorica classica, mentre la libertà del gesto e la dissoluzione dei contorni conferiscono alle opere una dimensione quasi onirica. Tra tele di grandi dimensioni e piccoli dipinti, Lucchesi esplora il confine tra il visibile e l'immaginato, tra la realtà percepita e la visione interiore. I suoi paesaggi non sono semplici rappresentazioni, ma impressioni emotive che emergono dalla materia pittorica.

I volti e i dettagli sembrano ingrandimenti di altri scenari, come se l'osservatore potesse zoomare nell'immagine per addentrarsi sempre più nel mondo creato dall'artista. Le figure affiorano dal buio, immerse in atmosfere sospese, e invitano chi guarda a scrutare oltre, a cercare significati nascosti, a immaginare il non detto. Cosa Viva è una mostra che parla di pittura come linguaggio primario, come bisogno essenziale. Un racconto per immagini che si sviluppa senza un vero inizio o una fine, ma che trova nella pittura stessa il suo centro vitale. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto in acrilico e grafite su telone PVC denominato Qualcosa accade sopra e sotto la citta che non esiste piu realizzato da Salvatore Garau nel 2025 Locandina per la mostra Salvatore Garau
"CORPO non CORPO"


08 aprile - 11 maggio 2025
Spazio Roseto - Milano
www.deangelispress.com

Con "CORPO non CORPO" Salvatore Garau (Santa Giusta - Oristano, 1953) espande il concetto di realtà, facendo sì che l'immateriale acquisisca una rilevanza pari a quella della materia stessa, un concetto che ci spinge a riflettere su come percepiamo il mondo e sulle infinite possibilità che si celano dietro l'apparire. Le quindici opere su tela e su teloni PVC riciclati provenienti dalle pubblicità dismesse, dominate soprattutto dal verde e dal viola sacrale, rappresentano invece la parte tangibile della mostra. Titoli come Università Immateriale di estrema Sapienza invitano a riprendere possesso della nostra immaginazione, senza la quale, sempre più, l'uomo si allinea al pensiero comune perdendo la propria indipendenza e umanità.

Organizzata da Art Relation e promossa da Roseto e Jarves in occasione della Milano Design Week 2025, a sottolineare una volta di più il legame fra impresa, arte e tessuto cittadino, l'esposizione - curata da Milo Goj con testo critico in catalogo di Lóránd Hegyi - presenta quindici tele di grande formato e due video, uno dei quali inedito, che raccontano nell'unione fra il corpo della pittura e il non corpo dell'immateriale, l'interesse che l'artista ha sempre avuto per la materia e, allo stesso tempo, per lo spirito.

Una narrazione sulla presenza e l'assenza, sul visibile e sull'indefinito, tema già anticipato da Garau nella sua prima personale da Cannaviello nel 1984, con grandi tele nere allestite su pareti nere. "Da una parte, dunque, una pura forma astratta, atemporale, trasparente" - come sottolinea nel suo testo in catalogo Lóránd Hegyi - "dall'altra una materialità sensuale, tangibile, imperscrutabile, soggetta a un permanente e intenso processo di trasformazione."

Oggi, a oltre quarant'anni di distanza, quella stessa riflessione torna in una nuova forma poetica e plastica dove la separazione fra ciò che è fisico e ciò che è mentale si dissolve, suggerendo la realtà come una coesistenza dinamica fra materia e immateriale. In un'epoca in cui la tecnologia e l'intelligenza artificiale dominano ogni aspetto della nostra vita, Garau ritiene che sia più che mai necessario riconoscere le peculiarità invisibili che ci rendono unici, speciali, e che neanche l'IA potrà mai replicare.

Un esempio significativo di questo contrasto è il video Autoritratto del 2022, presentato per la prima volta in questa mostra. Un ossimoro per eccellenza, un'opera immateriale che si rivela iperrealista, dove non è più l'artista a imitare il modello, ma è il modello a imitare l'artista. Un pensiero che, con estrema semplicità, coglie il senso profondo dell'esistenza.

Salvatore Garau si è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1974. Dal 1976 al 1983 entra a far parte del gruppo di rock d'avanguardia degli Stormy Six. La prima personale è del 1984 nello Studio Cannaviello di Milano, seguiranno personali a Lugano, Losanna, Barcellona, San Francisco, Washington, Strasburgo, Londra. Nel 2019 ha girato un docu-thriller prendendo spunto dalle ultime opere "Futuri affreschi italiani" (Pale d'Altare per altri pianeti). Nel 2021 la vendita all'asta delle opere immateriali "io sono" e cinque mesi dopo "Davanti a te" hanno creato accesi dibattiti in tutto il mondo. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Salvatore Garau, Qualcosa accade sopra e sotto la citta che non esiste piu, 2025, acrilico e grafite su telone PVC
2. Locandina per la mostra "CORPO non CORPO" di Salvatore Garau




Installazione senza titolo dal ciclo Light Square del 2021 in acrilico su tela di cm 100x100 50x50 25x25 realizzata da Elisabetta Bacci nel giugno del 2024 a Banja Luka, foto scattata da Borislav Brezo, courtesy of Banski Dvor Pittura a tempera su tela a grana sottile realizzata da Oreste Zevola nel 2010
Pittura alchidica su tela di cm 100x150 denominata Due cerchi realizzata da Carlo Fontana nel 2012 "Altezza e solitudine"
Bacci | Barone | Barzagli | Fontana | Poloni | Sofianopulo | Zevola


19 marzo - 19 dicembre 2025
AD FORMANDUM - Trieste
www.adformandum.org

Da AD FORMANDUM (società cooperativa sociale / socialna zadruga), la mostra con le opere di sette artisti. Questa proposta è indice di un confronto tra autori diversi per formazione e per provenienza geografica, e di cui negli anni la rivista JULIET ha seguito il percorso artistico e ne ha promosso il lavoro per mezzo di progetti editoriali ed espositivi di varia natura. Sebbene questi autori, di primo acchito, sembrino rispondere a istanze emotive distanti fra loro, in seconda battuta denotano, tuttavia, nel loro linguaggio espressivo delle note comuni legate alla dinamica di un canto cromatico molto articolato e vivace. Nessun azzeramento, quindi, né rarefazione concettuale che possa farci pensare alla pittura sottrattiva degli anni Settanta è riscontrabile nelle opere esposte all'interno degli spazi del Centro di formazione AD FORMANDUM.

Ricordiamo i nomi degli autori che ritroveremo all'interno di questo percorso: Elisabetta Bacci, Nino Barone, Massimo Barzagli, Carlo Fontana, Ferdy Poloni, Antonio Sofianopulo, Oreste Zevola. Un insieme di opere di grandi e piccole dimensioni saranno quindi disposte in dialogo serrato dove un colore richiamerà quello contermine e una campitura si manifesterà come perimetro di un mondo sconosciuto e il segno diverrà vocabolo primario e primigenio. Questo progetto sarà presentato da Roberto Vidali, direttore della rivista d'arte "Juliet". A fine serata seguirà un rinfresco organizzato dagli allievi del corso di tecniche di cucina e operative per il servizio sala e bar, coordinati dagli insegnanti della scuola alberghiera. La mostra è promossa dall'Associazione Juliet. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Elisabetta Bacci, "Untitled", dal ciclo Light Square del 2021, acrilico su tela cm 100x100 / 50x50 / 25x25, installazione realizzata nel giugno del 2024 a Banja Luka, Photo credit: Borislav Brezo, courtesy of Banski Dvor
2. Oreste Zevola, pittura a tempera su tela a grana sottile, 2010
3. Carlo Fontana, Due cerchi 2012, pittura alchidica su tela, cm 100x150





Progetto di Joseph Kosuth denominato The Question realizzato nel 2025 Joseph Kosuth
"The Question"


inaugurazione il 10 aprile 2025
Galleria Lia Rumma - Napoli
www.liarumma.com

La nuova importante mostra personale di Joseph Kosuth, che segna il ritorno dell'artista in città. L'artista americano Joseph Kosuth (Toledo/Ohio, USA, 1945), considerato uno dei pionieri dell'Arte Concettuale, che ha da poco festeggiato il suo ottantesimo compleanno con varie mostre organizzate tra Europa e America (Sprüth Magers, Londra (gennaio-marzo 2025); Sean Kelly, New York (marzo-aprile 2025)), torna ad esporre a Napoli confermando la solida e duratura collaborazione con Lia Rumma che nel 1971 ha aperto la sua galleria proprio con Kosuth, con una installazione passata alla storia: L'Ottava Investigazione (A.A.I.A.I.) proposizione 6.

In questo nuovo progetto espositivo, Kosuth ritorna a riflettere sul concetto di "tempo" che prende avvio da un'urgenza sia personale che filosofica. Una riflessione che assume la forma di una indagine sul processo di produzione di significato nella sua pratica artistica, presentando una serie di lavori realizzati in vari momenti della sua carriera. Perché come scriveva Borges: "Se lo spazio è infinito, siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo".

'The Question', oltre ad essere il titolo della mostra, rimanda anche ad un nuovo lavoro del 2025: un grande orologio a parete su cui compare la frase Suppose no one asked a question, what would be the answer ("Se nessuno facesse una domanda, quale sarebbe la risposta", citazione del 1928 della scrittrice americana Gertrude Stein). Il tempo è così citato sia letteralmente (con le lancette che segnano un'ora scelta dall'artista) che figurativamente attraverso un rimando ad un altro autore. Ma la presenza di un orologio analogico (nell'installazione del 1971 da Lia Rumma ce n'erano 12), si ritrova in altri due lavori della serie "Existential Time" (2019), questa volta accompagnati da due citazioni al neon di George Eliot e James Joyce, nei quali Kosuth tende a sottolineare la mancanza, i limiti e la sovrabbondanza di significato che circonda l'esperienza del tempo e della vita, esplorando il presente, la sua potenza e il suo spazio circoscritto.

In mostra anche One and three Rakes (1965) con il quale si fa un salto indietro nel tempo e si ritorna alle "Proto-Investigazioni" degli anni 1965-'66. Un lavoro iconico che presenta, accostati, l'oggetto reale (il rastrello), una fotografia del rastrello e la sua definizione tratta da un dizionario che descrive il termine in tutti i suoi vari significati. Assemblando un oggetto, una fotografia di quell'oggetto e una definizione ingrandita tratta da un dizionario, Joseph Kosuth mette lo spettatore di fronte alla complessità di un sistema linguistico tanto più articolato quando si confronta con quello dell'arte. «L'arte che chiamo concettuale è tale perché si basa su un'indagine sulla natura dell'arte - ha sottolineato più volte Kosuth -. Fondamentale per questa idea di arte è la comprensione della natura linguistica di tutte le proposte artistiche, siano esse passate o presenti, e indipendentemente dagli elementi utilizzati per la loro costruzione».

Joseph Kosuth è uno dei pionieri dell'arte concettuale e dell'arte installativa, iniziando negli anni Sessanta con opere che indagano il linguaggio e le strategie di appropriazione. Il suo lavoro ha esplorato coerentemente la produzione e il ruolo del significato all'interno dell'arte. La sua oltre cinquantennale indagine sul rapporto tra linguaggio e arte si è manifestata attraverso installazioni, mostre in musei, commissioni pubbliche e pubblicazioni in Europa, le Americhe e l'Asia. Kosuth ha partecipato tra l'altro a sette Documenta e quattordici Biennali di Venezia una delle quali presentata al Padiglione Ungherese (1993).

Tra i riconoscimenti possiamo citare il Brandeis Award del 1990, il Frederick Weisman Award del 1991, la Menzione d'Onore alla Biennale di Venezia del 1993 e il titolo di Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres assegnatogli nel 1993 dal governo francese e nel 1999 lo stesso governo ha emesso un francobollo da 3.00 Franchi in onore del suo lavoro a Figeac. Nel 2001 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Lettere e Filosofia dall'Università di Bologna. è del 2003 la Croce di Cavaliere di Prima Classe al Merito della Repubblica d'Austria, il massimo riconoscimento nelle scienze e nelle arti.

Nel 2012 Kosuth ha ricevuto la Classe des Arts de l'Academie Royale dall'Accademia Reale delle Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio. Nel 2015 l'Instituto Superior de Arte dell'Università di L'Avana gli ha conferito un Dottorato Honoris Causa durante la XXII Havana Bienial dove ha esposto una grande installazione alla Bibiolteca Nacional. Nel 2025, riceve un Diploma Honoris in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo dall'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. (Estratto da comunicato stampa)

Immagine:
Joseph Kosuth, The Question (G.S.), 2025, (project)




Tessitura a due licci con tecniche miste compiute durante la tessitura denominata Portami il tramonto in una tazza realizzata da Luisa Lanarca nel 2025 Trittico con tessitura di cm 67x50 ognuno denominato Conscio Preconscio Inconscio realizzato da Luisa Lanarca nel 1980 circa Tessitura di cm 120x100 denominata La mente parve traboccare realizzata da Luisa Lanarca nel 2023 Luisa Lanarca
02 aprile (inaugurazione) - 19 aprile 2025
Maja Arte Contemporanea - Roma
www.majartecontemporanea.com

Personale dell'artista italiana Luisa Lanarca, alla sua prima collaborazione con la galleria. L'esposizione è la terza e ultima di un ciclo di tre mostre - "Quando filo, colore, parola s'intrecciano" - a cura di Giovanna Dalla Chiesa, che mette a confronto il lavoro di tre artiste: Alice Schivardi, Luciana Pretta e Luisa Lanarca. In mostra una selezione di arazzi eseguiti dal 1980 a oggi con la tecnica della tessitura a due licci, arricchiti, nel corso del processo tessile, da tecniche miste.

Frutto di un percorso creativo che intreccia l'esperienza diretta della materia con un approfondimento teorico basato sugli studi di Percezione Visiva e di Gestalt, questi lavori rivelano una ricerca stratificata e profonda. In alcune opere, ispirate alle poesie di Emily Dickinson, filo, colore e luce si fondono con la parola poetica, che affiora nella trama tessile trasformandola in un’invocazione con richiami alle insegne e alle affiches di fine Ottocento.

Come osserva Giovanna Dalla Chiesa: "Tessere appartiene alla capacità più articolata del pensiero dell'uomo, al suo destino che non è di separazione, ma di integrazione fra le parti che la natura ha previsto doppie per lui - braccia, gambe, occhi, narici, orecchie e soprattutto i due emisferi cerebrali - per stabilire quella relazione da cui dovrà scaturire una nuova creatura, un'opera che a mano a mano disegnerà anche il suo destino. Luisa Lanarca non è di quelli che arrivano oggi alla tessitura, ma al contrario, che è partita dalla tessitura subito e con maestri importanti, come Laura Marcucci Cambellotti e il suo Laboratorio Tessile.

Ciò che rende piuttosto eccezionale il suo percorso è l'uso speculativo sul piano psicologico che ne ha fatto, grazie agli approfondimenti di Percezione Visiva e di Gestalt, appresi alla Scuola di Luigi Veronesi a Milano. Diversamente da altri, la tessitura ha permesso a Luisa Lanarca, nel suo specifico percorso, quella conoscenza del sé che coincide con la messa a fuoco della propria identità e, nello stesso tempo, un approdo al linguaggio che trova nella poesia la sua liberazione, emozione e pienezza. L'intreccio fra ragione e sentimento, fra eros e psiche, non può trovare il proprio esito, secondo l'artista, che in una sintesi di quella laboriosità che assomiglia a una silenziosa preghiera, con una luce che attraversa ogni confine, come la parola poetica, e in particolare, come quella di Emily Dickinson, capace di dar voce al suo silenzio."

Luisa Lanarca (Roma, 1957) si è formata tra Roma - dove ha frequentato il III Liceo Artistico e, successivamente, il prestigioso Laboratorio Tessile di Laura Marcucci Cambellotti (1975) - e Milano, dove ha studiato Percezione Visiva e Teoria del Colore con Luigi Veronesi presso la Nuova Accademia di Belle Arti. Sino al 1986 ha affiancato all'attività artistica un intenso impegno didattico, collaborando con il Comune di Reggio Emilia per l'introduzione delle tecniche tessili nell'insegnamento. Ha inoltre tenuto corsi di tessitura. Da anni ha scelto una vita appartata, lontana dalle convenzioni sociali, guidata dalla ricerca di libertà e da un profondo legame con le leggi naturali e cosmiche. La lettura - con Thoreau ed Emily Dickinson tra i suoi principali riferimenti - e la tessitura costituiscono il fulcro della sua esistenza, insieme ai suoi telai e al suo fedele cane Mosé. Numerose le mostre personali e collettive.

Immagini (da sinistra a destra):
1. Luisa Lanarca, Portami il tramonto in una tazza, 2025, tessitura a due licci con tecniche miste
2. Luisa Lanarca, Conscio Preconscio Inconscio, 1980 circa, trittico tessitura cm 67x50 ognuno
3. Luisa Lanarca, La mente parve traboccare, 2023, tessitura cm 120x100




Opera di Ramón Enrich nella mostra Architettura e Utopia Ramón Enrich
"Architettura e Utopia"


15 aprile - 30 maggio 2025
Cadogan Gallery - Milano
cadogangallery.com

Attraverso una selezione di opere che spazia per media, stile ed influenze, l'artista catalano introduce una nuova fase della sua ricerca artistica, volta alla creazione di un paesaggio sempre più astratto, dove il colore diventa l'elemento chiave per definire lo spazio dell'opera. Ramón Enrich (1968, Igualada, Spagna) ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Barcellona. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private, tra cui quelle di David Hockney, Donald Judd e della Fondation Hermès.

Attraverso giochi di geometrie e atmosfere tra il surreale e il metafisico, Enrich combina l'architettura e l'arte sulla tela, offrendo scorci su misteriose città ideali e scenari onirici e senza tempo. Tra memoria e sogno, l'arte di Enrich non si esaurisce nella pratica della pittura o della scultura, ma invece naviga in proposte ibride, in equilibrio tra astratto e figurativo. Se da una parte le sue tele esprimono un senso di misteriosa immobilità e sospensione, le sue sculture sono caratterizzate da una vivace dinamicità, capace di ricreare un effetto quasi ipnotico.

In Architettura e Utopia Enrich presenta sculture, dipinti e grandi composizioni che riprendono alcuni degli elementi fondanti della sua produzione, come il soggetto architettonico, la poesia del paesaggio e la memoria. Cadogan ospita dieci opere di piccolo formato in cui il paesaggio è definito per mezzo di architetture razionaliste, le quali, insieme alle loro ombre e il vuoto che le circonda, diventano le principali protagoniste delle tele. La mostra comprende anche cinque opere astratte in cui lo spazio pittorico viene delineato dall'elemento geometrico della diagonale e dall'utilizzo del colore. Nonostante l'ispirazione provenga da contesti differenti, tutte le opere in mostra si uniscono e si sviluppano in modo armonico, rivelando un pensiero profondo e meditativo, in cui la memoria dell'architettura e dei suoi elementi prende una forma tangibile, un'utopia che trascende il tempo. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

----------------

Sam Lock | "Stanza"
26 febbraio (inaugurazione) - 12 aprile 2025
Cadogan Gallery - Milano
Presentazione




Opera fotografica realizzata da Brittany Nelson nella mostra To Leave Is To Return Brittany Nelson
"To Leave Is To Return"


14 aprile (inaugurazione ore 19.00) - 28 giugno 2025
Quartz Studio - Torino
www.quartzstudio.net

Un progetto speciale dell'artista statunitense Brittany Nelson (Great Falls, US, 1984), appositamente concepito per lo spazio, nell'ambito di EXPOSED Torino Foto Festival. Realizzata a partire da un fotogramma del film Solaris (1972), diretto da Andréj Tarkóvskij, una enorme stampa alla gelatina d'argento mostra l'oceano dall'oblò di un'astronave. Basato sull'omonimo romanzo di fantascienza di Stanislaw Lem, il film racconta la storia di un team di ricercatori che prova a comunicare con il pianeta dopo aver scoperto che è un essere senziente.

I tentativi risultano vani e l'equipaggio può solo limitarsi a guardare l'oceano da lontano finché un'ultima prova innesca una reazione nel pianeta, che invia a bordo repliche di persone tratte dai ricordi e dall'inconscio degli scienziati per perseguitarli. Nelson ha stampato l'immagine dell'oblò per poi riprodurla su pellicola ad alta velocità, sviluppandola mediante un procedimento chimico che aggrega i sali d'argento. Il risultato è una foto che sembra delicata, quasi effimera, all'apparenza percorsa da interferenze o fatta con granelli di sabbia.

L'enorme stampa, esposta e sviluppata a mano dall'artista nel suo studio di New York, rappresenta il cuore della mostra. Brittany Nelson ha inoltre prodotto un'opera sonora composta dalle registrazioni ottenute all'Allen Telescope Array (ATA), nella California del Nord. ATA è formato da 42 radiotelescopi realizzati per intercettare i segnali inviati da forme di vita intelligenti extraterrestri. Entrando nello spazio espositivo ci si trova immersi nel ronzio e nei rumori metallici dei telescopi che cercano i segnali.

L'opera dal titolo 'Mordançage 10' è realizzata con lo storico procedimento chimico Mordançage, tecnica che scatena una reazione violenta tra la soluzione chimica e l'argento contenuto nella carta fotografica dissolvendo lo strato di gelatina a formare trame, veli e colori. Si tratta di una nuova opera di una serie più ampia che comprende centinaia di foto in cui l'artista immagina ogni stampa come la creazione di un paesaggio alieno. Per lei quest'opera riflette la topografia viva del pianeta oceanico Solaris e il desiderio di entrare in contatto con le forme di vita aliena che esistono al di fuori della nostra realtà; funge inoltre da 'fantasma' che tormenta chi guarda.

Le due opere approfondiscono l'interesse dell'artista per un'analisi dettagliata del desiderio umano di entrare in contatto con esseri al di là del vuoto cosmico e della nostra incapacità di farlo persino con chi ci è vicino. Nella mostra Nelson prende spunto da Solaris anche per parlare della storia della fotografia. Le repliche umane che tormentano l'equipaggio sono create unicamente da ricordi personali e soggettivi proprio come una raccolta di foto. Per l'artista i fantasmi sono fotografie viventi. (Comunicato stampa)




Croce d'acciaio realizzata da Helidon Xhixha Giubileo di luce di Helidon Xhixha
Una Croce d'acciaio ed altre sculture per l'Abbazia di San Galgano


12 aprile (inaugurazione ore 16.30) - 30 settembre 2025
Abbazia di San Galgano - Chiusdino (Siena)
www.xhixhahelidon.com | www.morinostudio.com

Il Giubileo 2025 si illumina di una nuova luce grazie all'arte di Helidon Xhixha, celebre scultore italo-albanese, che sceglie l'Abbazia di San Galgano per un'installazione monumentale in acciaio inox. Un luogo mistico e affascinante, un artista visionario e un tema universale: la Luce. Helidon Xhixha presenta "Luce Divina", un'opera monumentale che unisce spiritualità e modernità attraverso una croce d'acciaio di sette metri che interagisce con la luce naturale, trasformandosi in un simbolo di fede, speranza e riflessione.

La mostra, promossa dal Comune di Chiusdino e dalla Fondazione San Galgano, con il contributo della Camera di Commercio di Arezzo-Siena, è stata ideata e curata da Carlo Pizzichini. L'inaugurazione sarà accompagnata da un suggestivo concerto per pianoforte e violoncello, con Kristina Petrollari al piano e Dorina Laro al violoncello, che eseguiranno musiche di Faure, Beethoven, Chopin, Gluck, Piazzolla. Questa straordinaria celebrazione è pubblica e un'occasione unica per immergersi nella bellezza della luce, dell'arte e della musica in un luogo senza tempo.

Helidon Xhixha (Durazzo, 1970) è uno scultore di fama internazionale, noto per il suo uso innovativo dell'acciaio inox lucidato e la capacità di creare opere che dialogano con lo spazio e la luce. Le sue installazioni monumentali sono state esposte in prestigiose sedi internazionali, da Dubai a Venezia, da Londra a Miami, e ora trovano in San Galgano un luogo di profonda ispirazione e contemplazione.

Xhixha è rimasto colpito dal fascino mistico dell'Abbazia di San Galgano, una chiesa gotica senza tetto, immersa nel verde delle colline senesi. Un luogo in cui il cielo diventa volta celeste, dove spiritualità e natura si fondono. L'artista ha scelto questo sito per il forte valore simbolico: decadenza e rinascita, storia e modernità, fede e arte si incontrano in un dialogo visivo che invita alla riflessione. Tutte le opere sfruttano la luce naturale per creare un'esperienza immersiva, coinvolgendo i visitatori in un viaggio tra arte, storia e spiritualità.

Luce Divina: la Croce d'Acciaio: posizionata accanto all'Abbazia, la croce in acciaio inox lucente di sette metri riflette la luce solare, amplificandone l'intensità e creando un dialogo visivo con la spiritualità del luogo. L'opera si inserisce in un contesto ricco di storia e sacralità, accogliendo i pellegrini con i suoi bagliori che richiamano il trascendente e l'infinito. L'opera si lega idealmente alla leggenda di San Galgano, il cavaliere convertito in eremita che conficcò la spada nella roccia presso la vicina Cappella di Montesiepi, simbolo di pace e rinuncia alla guerra. La croce contemporanea di Xhixha riprende questa simbologia, trasfigurandola in un faro luminoso di riflessione e spiritualità.

Accanto alla croce, l'esposizione si arricchisce di ulteriori sculture in acciaio inox, posizionate in diversi punti dell'Abbazia: Baia di Luce, Reflexes, Venere e Piramide di Luce: installate tra le maestose navate dell'Abbazia, creano un suggestivo gioco di riflessi e forme, moltiplicando l'effetto delle arcate gotiche e la fusione tra architettura e natura. Inner Peace: collocata nella sacrestia restaurata, rappresenta la ricerca della pace interiore e della spiritualità nel silenzio del sacro. Le opere di Xhixha, grazie alla loro capacità di riflettere l'ambiente circostante, coinvolgono lo spettatore in un'esperienza immersiva, trasformando il visitatore in parte integrante dell'installazione. (Estratto da comunicato stampa Morino Studio di Morino Laura Maria)




Opera nella mostra dedicata a Giacomo Francesco Cipper detto Todeschino Il teatro del quotidiano
Giacomo Francesco Cipper "Tedesco"


12 aprile - 14 settembre 2025
Castello del Buonconsiglio - Trento
www.studioesseci.net

Un'ampia, documentata mostra incentrata su un artista, Giacomo Francesco Cipper (Feldkirch, 1664 - Milano, 1736) comunemente noto come il Todeschini (ma firmava i suoi quadri semplicemente come "Tedesco") le cui opere sono patrimonio dei maggiori musei europei e delle più importanti collezioni d'arte antica, ma sul quale si continuano ad avere più interpretazioni - talvolta suggestive - che reali certezze. Con il titolo "Il teatro del quotidiano", la mostra, a cura di Maria Silvia Proni e Denis Ton, riunisce opere provenienti da una grande raccolta privata milanese e da diversi musei italiani e stranieri e altri collezionisti.

"Non è una monografica pura - sottolineano i curatori - ma propone, accanto ad un vasto corpus di opere del maestro, attivo per lo più a Milano nei primi decenni del Settecento, diverse tele di artisti del contesto, in particolar modo lombardo, che hanno influenzato Cipper o da questi ne hanno tratto ispirazione: Antonio Cifrondi, Felice Boselli, Monsù Bernardo, il Maestro della Tela Jeans, Giacomo Ceruti. Con primizie assolute, come un inedito Ritratto di pellegrino di Ceruti e una versione poco nota della Filatrice di Pietro Bellotti. Accanto ai dipinti vengono esposti talvolta oggetti che aiutano a capire la concretezza e il legame del pittore con la cronaca e la materia: strumenti musicali, bussolotti da elemosina...".

Di certo Giacomo Francesco Cipper o, alla tedesca, Zipper, fu un artista vulcanico. Dipingeva, con anticonformismo e libertà di tratto, scene di vita quotidiana, di cronaca vera. Popolani al mercato, contadini, ambulanti, vagabondi, mendicanti, zuffe o lezioni di musica, arti e mestieri, giocatori di carte e morra. Tutti protagonisti su un palcoscenico, quello della vita, dove ad essere rappresentata non è la desolazione ma la vitalità e il divertimento.

In queste sue "istantanee" Cipper riesce a cogliere ovunque un movimento e un sorriso, vita non tristezza. In ciò distinguendosi dagli altri pittori di "Pitocchi" e dallo stesso grande Giacomo Ceruti, che pur conosceva vivendo entrambi nello stesso quartiere di Milano. "Le scene di vita quotidiana e le nature morte di Cipper incontrano il gusto della committenza italiana ma non solo. Entrano così a far parte delle raccolte di molte grandi famiglie e casate, in area lombarda e italiana innanzitutto,

Nonostante le scene umili, spesso i suoi committenti e collezionisti erano di rango elevato. Una Lezione di musica, già nel Settecento nella residenza inglese di Richard Temple a Stowe sarà presente in mostra. Le sue invenzioni sono apprezzate anche in Austria e Germania, Cecoslovacchia, Polonia e persino in Russia. Sono dipinti che colpiscono per il loro realismo, per la capacità di racconto, quasi ad anticipare il moderno fotogiornalismo, ma anche per l'ironia, la benevolenza, la positività dello sguardo con cui l'artista coglie le situazioni. Cipper racconta la miseria ma non indulge sull'abbruttimento.

Il successo porta l'artista a "riscrivere" i suoi dipinti e stimola altri artisti, meno fantasiosi e dotati, ad ispirarsi ad essi o copiarli. Per questo ancora oggi il mercato è invaso da opere attribuite al maestro, inquinandone la grandezza e la figura. Che questa importante mostra intende mettere correttamente a fuoco. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)




Opera di Enrico Benaglia denominata La zebra e la rosa Opera di Simone Geraci denominata La sognatrice Opera di Lino Tardia denominata Il piccolo aquilone Opera di Franco Fortunato denominata Le città del cielo Collettiva di Primavera 2025
51^ mostra mercato di arte del '900 e contemporanea


28, 29 e 30 marzo (inaugurazione) - 19 aprile 2025
Edarcom Europa Galleria d'Arte Contemporanea - Roma
www.edarcom.it | Locandina della mostra

Dopo il record di visite dell'edizione 2024, in occasione del cinquantesimo anno di attività, torna l'atteso appuntamento con la storica mostra mercato dedicata alle opere di tutti gli artisti presenti nel catalogo della galleria d'arte Edarcom Europa, storica realtà romana fondata nel 1974 da Gianfranco Ciaffi e dal 2021 diretta dal figlio Francesco. Come da tradizione, un lungo weekend con la straordinaria apertura domenicale per poter accogliere tutti gli appassionati e i curiosi che vorranno immergersi tra le oltre 400 opere in mostra negli spazi espositivi.

In tutti gli ambienti della galleria sarà possibile visionare dipinti, sculture, litografie, serigrafie e incisioni degli oltre 40 artisti in catalogo. I nomi storici di importanti autori del '900 verranno affiancati da selezionati interpreti contemporanei già ampiamente apprezzati in Italia e all'estero. (Estratto da comunicato stampa)

Opere di: Ugo Attardi, Giuseppe Barilaro, Enrico Benaglia, Franz Borghese, Ennio Calabria, Angelo Camerino, Claudio Caporaso, Michele Cascella, Tommaso Cascella, Giuseppe Cesetti, Angelo Colagrossi, Roberta Correnti, Marta Czok, Luca Dall'Olio, Mario Ferrante, Salvatore Fiume, Franco Fortunato, Felicita Frai, Franco Gentilini, Gianpistone, Emilio Greco, Renato Guttuso, Franco Marzilli, Piero Mascetti, Maurizio Massi, Renzo Meschis, Francesco Messina, Mauro Molle, Norberto, Sigfrido Oliva, Ernesto Piccolo, Giorgio Prati, Domenico Purificato, Aldo Riso, Carlo Roselli, Sebastiano Sanguigni, Aligi Sassu, Cynthia Segato, Mariarosaria Stigliano, Orfeo Tamburi, Lino Tardia, Renzo Vespignani.

Immagini (da sinistra a destra):
1. Enrico Benaglia, La zebra e la rosa
2. Simone Geraci, La sognatrice
3. Lino Tardia, Il piccolo aquilone
4. Franco Fortunato, Le città del cielo




Opera di Claudia Aschieri dalla locandina della mostra Il tempo che resta Opera di Carlo Alberto Rastelli dalla locandina della mostra Il tempo che resta Claudia Aschieri | Il tempo che resta
Carlo Alberto Rastelli | Galaxy Express


23 marzo (inaugurazione dalle 17.30 - 20.30) - 20 aprile 2025
ranarossa 3.0 - Modena
Locandina

La stagione espositiva della ranarossa 3.0 prosegue con due mostre personali. Il tempo che resta, progetto pittorico di Claudia Aschieri a cura di Esilia Sarrecchia, vede protagonisti una serie di olii di vari formati che indagano la natura con un approccio delicato in cui forme astratte rimandano ad elementi vegetali e talvolta ospitano figure femminili. Ogni opera è una finestra aperta sul dialogo tra memoria e presente, un varco sensibile tra ciò che è stato e ciò che ancora risuona nell'istante vissuto. Le figure femminili che abitano questi spazi emergono con una presenza discreta, come se il loro essere fosse un lento affiorare dalla materia pittorica. Sono presenze sospese tra apparizione e dissolvimento, corpi che dialogano con l'invisibile e con il paesaggio circostante, non come elementi separati, ma come parte di un unico respiro. La loro postura, il loro sguardo rivolto altrove, sembra trattenere un pensiero non espresso, un segreto che la pittura suggerisce senza mai svelare del tutto.

Il tempo che resta non è qui una condanna né una nostalgia sterile, ma un invito a fermarsi, a respirare l'istante prima che svanisca. È il tempo della contemplazione, del silenzio che si fa spazio e del visibile che sfuma nel sussurrato. La pittura di Claudia Aschieri diventa così un attraversamento, un passaggio tra ciò che è percepito e ciò che è sentito, tra la memoria e il possibile, tra la malinconia e la quiete di un altrove ancora da immaginare. L'Artista si è occupata di salute e percezione visiva sviluppando un occhio sensibile all'immaginazione e alle emozioni.

L'immaginario fiabesco e incantato di Carlo Alberto Rastelli attinge alla storia dell'arte, alle icone del passato, alle ambientazioni storiche, intrecciandosi a vicende biografiche. Stesure piatte su legno di abete dai motivi stilizzati si alternano a paesaggi rarefatti e scenari contemporanei, integrandosi in immagini composite, popolate da personaggi dipinti nel dettaglio e al contempo incorporei. Attraverso sovrapposizioni e accostamenti, l'artista esplora la dimensione temporale, dove sagome e volti sono sostituiti da galassie, costellazioni, buchi neri, quasi fossero proiezioni di universi mistici e viaggi astrali.

La personale Galaxy Express, scrive la curatrice Francesca Baboni, il cui titolo rimanda ad un celebre cartoon giapponese degli anni '80, fa riferimento alla nostra capacità di proiettarci in mondi paralleli, secondo anche le ricerche della fisica quantistica, per la quale non esiste un distacco temporale tra passato, presente e futuro ma il tempo stesso ci permette di saltare da una realtà predefinita ad un'altra completamente diversa mediante salti quantici. Tra minotauri, ritratti presi da fotografie di famiglia e bambini immersi in paeasggi romantici di stampo ottocentesco, la figurazione raffinata e sontuosa di Carlo Alberto Rastelli ritrova la sua ossessione attraverso la cancellatura dei volti che divengono galassie di cieli stellati in cui viene attuata una rimozione mnemonica. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Opera di Claudia Aschieri dalla locandina della mostra Il tempo che resta
2. Opera di Carlo Alberto Rastelli dalla locandina della mostra Galaxy Express




Enzo Ragazzini. Aspettando Godot
23 marzo (inaugurazione) - 16 aprile 2025
Ria lussi art studios - Roma

Un reportage fotografico sulla condizione umana metropolitana. Enzo Ragazzini, fotografo classe 1934, indaga le persone del nostro tempo, che sembrano schiacciate dall'attesa di una "felicità" che le "cose" prodotte in eccesso da una civiltà post-consumistica non sembrano riuscire a procurare. Trenta fotografie e un'intervista-documentario di Ria Lussi con Anna Di Paola, Yari Saccotelli e Valerio Leotta, testimoniano la straordinaria originalità di Enzo Ragazzini fotografo, sperimentatore, artista. In mostra una selezione di scatti della serie Aspettando Godot, ritratti fotografici di persone in attesa, realizzati tra il 1965 e il 2022 in tutto il mondo: dal Maracanà di Rio De Janeiro all'Isola di Wight, dal Perù al Nepal, fino alla stazione Termini di Roma.

Grazie al suo sguardo rispettoso, sincero ed elegante, e a una tecnica di stampa straordinariamente sofisticata e in costante evoluzione, Ragazzini riesce a mappare il genere umano, nella sua moltitudine come nella sua solitudine. Gli esseri ritratti infatti emergono dalle fotografie come fossero scolpiti, acquisendo volume e storia, provocando in chi le guarda un'acuta sensazione di empatia. La mostra vuole essere un emozionante viaggio nel tempo per scoprire uno dei più grandi artisti italiani che attraverso la sua instancabile ricerca ci fa capire che i protagonisti siamo sempre noi, che guardiamo loro, che guardano il grande fotografo che li ritrae con sguardo gentile.

Le fotografie saranno in vendita e il ricavato andrà interamente devoluto al progetto di sviluppo globale in Madagascar We Work It Works dell'Associazione Stefano Project odv di cui lo studio è supporter: avviata nel 1987 da Stefano Palazzi, nella piccola isola di Nosy Komba, nel nord del Madagascar, l'associazione sta portando avanti un progetto di sviluppo democratico che punta all'autosufficienza per il villaggio di Antintoro. Curare. Costruire. Coltivare. In trent'anni sono state risolte le emergenze: malattie, povertà, malnutrizione, creando le condizioni per lo sviluppo e costruendo scuole, ospedali, infrastrutture stradali, idriche ed elettriche. Antintoro oggi è un villaggio che funziona.

---

Enzo Ragazzini nasce a Roma nel 1934. Inizia a lavorare come fotografo professionista nel 1958, quando trascorre i primi anni sperimentando in camera oscura, inventando nuove tecniche per elaborare l'immagine, ampliando la ricerca nel campo della percezione visiva e dei fenomeni ottici. Nel 1959 realizza, con lo scenografo Luciano Damiani, tutte le proiezioni scenografiche per una commedia di Cesare Zavattini al Piccolo Teatro di Milano. Già nei primi anni Sessanta inizia la sua collaborazione con "Civiltà delle Macchine" e inizia il suo lavoro di reportage industriale per l'IRI. Nel 1963 realizza per il padiglione degli architetti Gae Aulenti e Carlo Aimonino della Triennale di Milano tutte le immagini elaborate fotograficamente, con Enzo Muzii. Nel 1965 la sua prima mostra, presso la Libreria Einaudi a Roma, dedicata all'arte ottica e alla ricerca grafica in contemporanea con la mostra avvenuta a New York "The responsive eye" sulla Optical Art.

Dal 1965 al 1975 vive e lavora a Londra come freelance e insegna part time 'Tecniche di camera oscura' presso l'Hornsey College of Art. Partecipa alla prima mostra fotografica tenutasi nel 1969 presso l'Institute of Contemporary Arts di Londra (ICA) dal titolo "Four Photographers in Contrast", con Don McCullin, Tony Ray Jones e la fotografa Dorothy Bohm. Realizza una delle prime copertine del magazine inglese "Time Out". Una sua mostra personale ha luogo presso il Modern Art Museum di Oxford sulla sua ricerca ottica in camera oscura. A partire dal 1966 realizza numerose copertine per i Penguin Books.

Nel 1969 è stato invitato da Alan Aldridge ad illustrare con una sua fotografia il pezzo dei Beatles "When I'm 64" nella celebre edizione "The Beatles Illustrated Lyrics", l'unica raccolta originale illustrata esistente di canzoni del gruppo inglese, pubblicata per la prima volta nel 1969. Nel 1971 realizza un reportage in Brasile seguendo lo psichiatra Franco Basaglia. Con Enzo Muzii, lavorando con una speciale Truka, gira un documentario dal titolo "Pensare Brasile" che vince il primo premio a Cannes per il miglior documentario europeo.

Nel 1972 partecipa alla Biennale di Venezia nella sezione grafica del padiglione inglese nella mostra "Grafica sperimentale per la stampa". Nel 1976 realizza un lungo reportage sul quartiere Sanità di Napoli insieme a Ludovica Ripa di Meana. È degli anni Ottanta la sua collaborazione con il Touring Club Italiano, per cui pubblica due ricche monografie. Una di queste, "Tropici Prima del Motore", è stata oggetto di una mostra presso l'International Center of Photography di New York, e presentata da Cornell Capa. Realizza per la Sasib (gruppo Olivetti) un libro sul museo di Ettore Guatelli a Parma. Dal 1989 al 1994 realizza una serie di reportage di viaggio (Russia, Cina, Vietnam, Filippine, Argentina, Guatemala, Colombia) per conto dell'Italtel.

Nel 2001 realizza una mostra personale presso la Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma (GCAMC oggi MACRO) dal titolo "Luci Rosse". In quegli anni collabora con la UCLA (University of California, Los Angeles) ad alcune pubblicazioni di ricerca socio-antropologica. Nel 2017 inaugura a Sarteano (SI), la retrospettiva "Realtà e astrazione" per il Rocca Manenti Art, con introduzione di Paolo Pellegrin. Nel 2020 a cura di Ria Lussi, il Gruppo CDP Cassa Depositi e Prestiti, inaugura la mostra "Reportage d'Industria - Una visione leggera dell'industria pesante" dedicata alla fotografia industriale di Enzo Ragazzini, Mimmo Jodice e Mimmo Frassineti. Nel 2022 per il progetto di evoluzione urbana eUrban, è uno degli artisti internazionali dell'opera di public art "The Walkaround Gallery" a Roma. (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Dipinto in acrilico liquido su tela di cm 70x70 denominato Margot realizzato da Ivan Lorenzo Frezzini nel 2025 Ivan Lorenzo Frezzini
"Dissolvenze. Di volto in volto"


24 aprile (inaugurazione ore 17.00) - 08 giugno 2025
Galleria Bonioni Arte - Reggio Emilia
www.bonioniarte.it | www.csart.it

Mostra personale di Ivan Lorenzo Frezzini (Milano, 1979), artista che, attraverso l'uso di colori liquidi e l'analisi del proprio vissuto, delinea una fase di metamorfosi esistenziale. Curata da Federico Bonioni con un testo di Francesca Manzini, l'esposizione è inserita nel Circuito OFF di Fotografia Europea, manifestazione che nel 2025 compie vent'anni proponendo una riflessione su quel periodo della vita - Avere vent'anni - che più di tutti sembra spalancare le porte a infinite possibilità.

Il tema della trasformazione è centrale nel lavoro di Ivan Lorenzo Frezzini, che crea composizioni in cui il controllo danza con il caso e il colore si espande liberamente. Le sue opere raccontano l'evoluzione dell'essere attraverso la casualità e la fluidità delle forme, partendo da soggetti figurativi declinati in nuove immagini, cariche di vibrazioni positive. Il percorso espositivo comprende una quindicina di opere ad acrilico liquido su tela, alcune delle quali inedite, tutte datate 2024-25.

Si legge nel testo di Francesca Manzini: «La ricerca di Ivan Lorenzo Frezzini ci restituisce nuove possibilità, nuovi orizzonti e campi esperienziali, che inducono lo spettatore a creare con la propria fantasia nuovi mondi possibili, riferiti a quei volti celebri che possono diventare, nella loro assenza di confini precisi, nuovi volti, nuovi personaggi e nuove vite a discrezione dell'osservatore».

«Abbiamo conosciuto Ivan Lorenzo Frezzini nel 2021», spiega il gallerista Federico Bonioni. «Le nostre prime collaborazioni si sono concretizzate nella sua partecipazione ad alcune collettive e fiere d'arte. In particolare, seguiamo con attenzione il suo percorso da quando si è focalizzato sul tema del volto, restituito con grande freschezza e attenzione all'uso del colore. Un linguaggio che può interessare un pubblico giovane e nuove forme di collezionismo, esito di un'attività di scouting che desideriamo alternare alla consolidata proposta di maestri storicizzati, per spaziare dal moderno al contemporaneo». (Estratto da comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagine:
Ivan Lorenzo Frezzini, Margot, 2025, acrilico liquido su tela cm 70x70




Dipinto con colori ad acqua su carta su tavola di cm 16x27 denominato Il Dirigibile II realizzato da Roberto Rampinelli nel 2024 Roberto Rampinelli nel suo studio di Caponago Dipinto con colori ad acqua su tela di cm 79x111 denominato Montagne rosse realizzato da Roberto Rampinelli nel 2024 Roberto Rampinelli
"Sguardi"


28 marzo (inaugurazione) - 21 aprile 2025
Bipielle Arte - Lodi
www.deangelispress.com

Una narrazione visiva capace di rivelare più di quanto lo sguardo possa percepire, una poetica silenziosa dove le piccole cose e gli oggetti quotidiani parlano un linguaggio universale, diventando enigmi, motivi di riflessione e mezzi per entrare in una dimensione altra, fuori dalla routine quotidiana. "Sguardi", curata da Simona Bartolena, si presenta come un'antologica con oltre ottanta lavori a coprire quarant'anni di ricerca, dal 1985 al 2025, dove la grafica riveste un ruolo centrale nell'opera di un artista tanto raffinato quanto complesso e coerente, che ha trovato nella carta un alleato prezioso, utilizzandola per esprimere la sua creatività e sulla quale ha saputo mescolare con grande libertà e maestria disegno, tecniche di stampa e pittura, mettendole in dialogo tra loro.

I lavori di Rampinelli non sono semplicemente rappresentazioni del mondo visibile, ma diventano spazi metafisici, dove nulla è lasciato al caso e dove si manifesta un'intensa indagine psicologica e emotiva. Luce, colore e segno sono i protagonisti di un dialogo che non si limita a riflettere la realtà, ma la trasforma, proponendo una visione in grado di coinvolgere lo spettatore a un livello più profondo.

La tecnica incisoria, campo di esplorazione privilegiato dell'artista, con la sua capacità di trattenere e fissare l'impronta del gesto gli permette d'altronde di dar vita a immagini che sembrano emergere da una tensione interiore. Qui il segno si fa più deciso, ma sempre con una ricerca di equilibrio: ogni incavo nella matrice è pensato per costruire una trama visiva che parli direttamente alla sensibilità di chi osserva.

L'esposizione si apre con due opere giovanili realizzati nella seconda metà degli anni Ottanta e si chiude con un lavoro del 2025, e in tutti e tre i casi compare la figura umana, elemento raro nelle opere di Rampinelli: "Impronta" (1985) e "Angeli" (1990) entrambi a tecnica mista su base litografica, e "L'uomo e la montagna" (2025) in tecnica mista su carta antica. Nel mezzo venticinque anni di lavori che evidenziano come la ricerca di Rampinelli, nelle incisioni così come nei dipinti, sia esteticamente ispirata da Piero Della Francesca e dalla pittura quattrocentesca italiana, ma anche dalla lirica metafisica di De Chirico, Carrà, Morandi.

La natura morta è uno dei temi predominanti nell'opera di Rampinelli, e le sue composizioni con oggetti, frutti e fiori raccontano le ragioni più profonde della sua ricerca artistica, nella quale scorre sempre la vita. Opere che mantengono atmosfere silenziose e sospese pur immergendosi nella realtà quotidiana, ma che riescono a sfuggire alla banalità del quotidiano, arricchendosi di una dimensione magica e, a tratti, metafisica. Gli spazi che ospitano questi oggetti e il rigore con cui sono eseguite le opere sono il frutto della formazione dell'artista ad Urbino con i maestri Renato Bruscaglia e Carlo Ceci.

Un esempio di questa influenza è la serie delle "Urne" (2020), in cui il rigore matematico delle prospettive e l'armonia geometrica delle forme sono accompagnati da un calore tattile nelle superfici. Altre opere, come "Ciotola nera e vasi" (2023) e "Conchiglie remote" (2016), mostrano lo stesso approccio formale e di sintesi, mentre la serie "Classico" (2024), con la testa marmorea, suggerisce una continuità con la figurazione classica e una dimensione senza tempo.

Accanto alle nature morte, i paesaggi sono altrettanto significativi nella produzione di Rampinelli. Per lui, il paesaggio è una visione interiore, un sogno, una poesia che attinge alla tradizione romantica, trovando il suo alter ego nel filosofo americano Henry David Thoreau, la cui riflessione sulla Natura, pur essendo romantica, ha una straordinaria attualità nel suo essere in sospensione, e dove l'uomo è solo sottointeso, osservatore silenzioso. Di fronte alle nature morte e i paesaggi di Roberto Rampinelli ci si rende conto che la leggibilità della sua opera risiede in una intensa pittura d'emozione, non di soggetto, e che la dimensione straniante di solitudine nella quale l'artista si muove liberamente è lo spazio privilegiato della sua pittura e della sua poesia.

La ricerca di Roberto Rampinelli, sia quella semantica sia quella tecnica, è fortemente identitaria, e lui cerca di far entrare chi osserva in questo suo percorso riflessivo e creativo non tradizionale cercando di produrre stupore e nel contempo creare disagio; e come scrive Patrizia Foglia nel suo testo in catalogo dal titolo "L'ermeneutica della visione", le opere proposte da Rampinelli rispondono a un assunto preciso: "Dare senso alle cose è dare senso alla nostra vita, non permettere che tutto passi in un istante fugace ma consentire ad esse di vivere a lungo, di partecipare della nostra contemporaneità. Non siamo abituati a "guardare", non siamo abituati a fermarci incantati davanti alla natura e alla vita, è operazione impegnativa liberare gli oggetti, ma anche gli esseri umani, del mero significato strumentale. Ci viene allora in aiuto l'arte, ci soccorrono le opere di Rampinelli e la sua capacità ermeneutica di farci comprendere cosa si cela oltre le cose, al di là dell'orizzonte, oltre lo sguardo, dentro la visione."

Sottolinea Simona Bartolena nel suo testo in catalogo: "C'è una continuità esemplare nella ricerca di Rampinelli, un filo rosso che unisce tutti i lavori, che li rende, sebbene figli di stagioni diverse, tutti frammenti di un solo grande paesaggio: il paesaggio dell'anima di un artista poetico e profondo, che sfiora le piccole cose quotidiane e le trasforma in icone silenziose, avvolte da un'aura di magia. Roberto entra ed esce dalle diverse tecniche, le mescola, le sovrappone, le confonde. Non ha importanza che si tratti di tempera, di olio, di matita, di inchiostro da stampa: la scelta della tecnica (o delle tecniche) è finalizzata solo all'esito che egli desidera ottenere, nella massima libertà, nella più completa confidenza con i diversi strumenti". (Estratto da comunicato ufficio Stampa mostra De Angelis Press, Milano)

Immagine (da sinistra a destra):
1. Roberto Rampinelli, Il Dirigibile II, 2024, colori ad acqua su carta su tavola cm 16x27
2. Roberto Rampinelli nel suo studio di Caponago
3. Roberto Rampinelli, Montagne rosse, 2024, colori ad acqua su tela cm 79x111




Opera di Melissa Brown nella mostra Flower Games Melissa Brown
"Flower Games"


03 aprile - 31 luglio 2025
Cellar Contemporary - Trento
www.cellarcontemporary.com

Nonostante insista sui soggetti inanimati, la natura morta è un genere pittorico tutt'altro che passivo. Lungo la storia dell'arte, è stata al servizio di messaggi etici ed edificanti, come nelle vanitas olandesi, ricche di allegorie sulla fugacità della vita e sull'impermanenza; o, ancora, il genere è stato precursore della rottura con la pittura tradizionale, con il collasso della prospettiva all'avvento del contemporaneo, presagito dalla sensazione di movimento data dalla luce che si posa sulla buccia di una mela.

Gli artisti a un certo punto, attraverso questo moto, scoprirono che la natura morta, con la sua rappresentazione apparentemente oggettiva, era in realtà il mezzo ideale attraverso cui esplorare la vera controparte della realtà - il suo sostrato, i suoi difetti e i suoi contorni irregolari. Da qui proviene la mistica di Giorgio Morandi, la cui semplicità pittorica, fatta di pose fuori fuoco di oggetti quotidiani sui tavoli, dai volumi caratteristici e dalle palette austere, tradisce la natura fittizia della percezione.

Melissa Brown si inserisce nel solco di questa tradizione di nature morte concepite per mettere alla prova l'esperienza del reale. Le sue opere sono manifestazioni di ricordi duplicati più volte - lei stessa le definisce "le mie impressioni della memoria". Muovendosi a più direzioni tra osservazione, reminiscenza e documentazione fotografica dei luoghi (in tempi recenti la città di Trento, situata nel Nord Est italiano, sul fiume Adige, alle pendici delle Dolomiti), Brown compone tableaux che sono al contempo centrati e dislocati rispetto al soggetto. Nei lavori della serie Flower Games, i fiori tracciano il percorso, dall'impressione iniziale alla rappresentazione pittorica.

Mentre Brown inizia a dipingere i gigli in "Door to the Inner Chamber" (2024), le piante perenni, amanti dell'estate, lasciano il passo alle ortensie, dipinte in altre opere. Ai fiori selvatici e alla flora alpina di Trento si intervallano i fiori recisi che crescono nel suo cortile, ricomposti nei vasi. A ciò si aggiungono altri elementi caratteristici delle composizioni di Brown, che, come nelle serigrafie, appaiono giustapposti, strato dopo strato. Carte, specchi e simboli legati alla futura sorte suggeriscono un gioco di prestigio finale.

In un mondo in cui la maggior parte delle immagini è determinata da un algoritmo, dove così poco spazio è lasciato al caso, ogni minima traccia di mistero prende i contorni del sogno. Di fronte alle opere di Brown, comunque, siamo testimoni non tanto della riflessione di uno stato subconscio, quanto invece dell'unione di molteplici modalità di risveglio. L'artista condivide la serietà con Morandi e la dimensione metafisica con Carrà e de Chirico, ma la sua fissazione rimane legata al fenomeno reale. Nell'opera "The Conversation" sottili steli di fiori digitali spuntano da una tazza di ceramica dipinta, affiancata da due sculture antiche, che si stagliano sullo sfondo giallo di un soffitto voltato.

Ogni elemento è tratto da un segmento della vita dell'artista: i fiori a trombetta provengono fortuitamente da un vivaio all'aperto del New Jersey, vicino a casa di sua zia; la tazza, classico esempio del gusto kitsch americano, è dell'artista; e le figure di bronzo sono state fotografate da Brown l'estate scorsa, durante la visita al Castello del Buonconsiglio di Trento. Una piccola finestra rettangolare si apre su un gradente di cielo, di un blu caramella filante, che non fornisce nessun indizio sull'ora del giorno. L'uso della pittura vinilica Flashe su dibond, la sua tecnica caratteristica, permette a Brown di congiungere questi frammenti narrativi in maniera atemporale.

Non c'è da meravigliarsi se Brown trova ispirazione nel Castello del Buonconsiglio, che già di per sé è una sorta di collage. Eretto nel XIII secolo come sede del principe vescovo che governava la città, il castello fu poi usato come caserma militare, e infine trasformato in carcere, prima dell'ultimo e definitivo restauro avvenuto negli anni Venti del Novecento. Osservandolo dalla strada, sembra che gli elementi architettonici caratteristici dei vari periodi e i loro slittamenti stilistici si affastellino su di esso come una barriera corallina, a partire dalle fortificazioni medievali, fino agli affreschi tardo-gotici e rinascimentali. Le sue molte vite sono testimoniate dalle variegate collezioni del museo del castello, che annoverano oggetti d'uso comune, ornamenti, mappe, monete e altri artefatti, una selezione dei quali è riprodotta nelle opere di Brown; ad esempio, un calice di Murano dell'inizio del XVI secolo nell'opera "Prince's Goblet" (2024).

L'artista re-immagina il vessillo ornato riempito da un bouquet di pallide rose gialle, le stesse che punteggiano i giardini del castello. Queste "nature morte impossibili" - queste le parole dell'artista - sono frammenti di tempo sovrapposti, che si coalizzano nella sua mente e si traducono nella composizione finale. Segmenti di passato, presente, futuro, con il dominio atemporale della memoria, selezionati e ri-assemblati, giacciono sul piano pittorico. I tarocchi, motivo ricorrente nella vita e nella pratica di Brown, appaiono spesso nel suo lavoro, portando la consapevolezza che esistiamo solo nello spazio creato dall'intersezione fra queste realtà. Così, le cime del Monte Bondone fanno capolino da un groviglio di campanule colorate, appena colte dal suo giardino, dispiegandosi come girandole da un vaso da fiori poggiato su una carta degli Arcani minori - il seme è di spade, simbolo di impeto e di arguzia: nonostante non se ne riesca a leggere distintamente il numero, è un invito a ricordarci del nostro destino.

Trento è spesso chiamata la "città dipinta", grazie alla ricchezza degli affreschi, soprattutto rinascimentali, che adornano all'interno e all'esterno le case e gli edifici storici, come il Castello del Buonconsiglio. Questo aspetto deve essere stato irresistibile per un'artista affascinata dall'architettura della soggettività - la realtà non è come è, ma come la si vede. Se nel nostro tempo la maniera più frequente di relazionarsi con gli altri avviene attraverso la nostra immagine, producendo continuamente versioni alternative di noi stessi, l'eccellenza di Brown consiste nell'immaginare le molteplicità degli altri. L'artista ha la capacità di trattenere nella sua mente centinaia di angolazioni della stessa veduta. Amici e sconosciuti le chiedono consigli. Forse è per questo che, quantunque sia improbabile e costruito, l'universo dei suoi dipinti non sembra straniante e innaturale: perché lei crede che sia possibile.

Melissa Brown ha visitato Trento all'inizio dell'estate 2024. Il mondo è già cambiato molto da allora, ma presto le zinnie fioriranno ancora. Il castello rimane inalterato, immerso in un inesplicabile tepore, riflesso sottosopra dentro una sfera di vetro. I portoni pesanti, le sale affrescate, l'ombra degli alberi - tutto è esattamente come lo ricorda. (Valentina Di Liscia)




Alcune copertine in mostra Trieste nella esposizione Trame di genio Particolare da una locandina dedicata a Tamara De Lempika Trame di genio: donne che hanno rivelato il mondo tra architettura, pittura e scultura
13 marzo - 08 maggio 2025
Palazzo delle Poste di Trieste

Una mostra che celebra la creatività femminile nella storia dell'arte. La filatelia incontra l'arte all'interno di un evento imperdibile in cui trova spazio un'esposizione unica dedicata alle figure femminili che hanno lasciato un segno indelebile e ancora tangibile nel mondo delle arti figurative e dell'architettura. Attraverso un viaggio nei francobolli di tutto il mondo, l'esposizione racconta opere e eredità di pittrici, scultrici, architette che hanno lasciato un'impronta molto forte nel panorama artistico e culturale. Dalle eclettiche creazioni di Tamara de Lempicka, alla visionaria interpretazione del mondo e della natura di Frida Kahlo, passando attraverso le installazioni di Gae Aulenti e Joana Vasconcelos, la mostra ripropone paesaggi, colori e ambientazioni che fondono passato e presente, e mettono le radici per il futuro.

Il percorso espositivo narra l'evoluzione della rappresentazione femminile nelle arti visive, nell'architettura e nell'urbanistica. Si pensi ai vari edifici creati dalla matita di Jane Drew, che nel suo studio assumeva solo donne, alla prima donna ad aver praticato l'architettura in modo indipendente, l'urbanista Minerva Parker Nichols. Ma c'è spazio anche per pittrici di eleganza smisurata tra cui Artemisia Gentileschi, punto di riferimento artistico nella Roma barocca o Mary Cassat, che incarnava la vera essenza dell'impressionismo. Properzia de' Rossi, per il cui talento il Vasari coniò lo pseudonimo di Schultora, fu la prima scultrice europea la cui opera è documentata.

Filo conduttore della mostra è l'ingegno, non sempre riconosciuto, di menti raffinate in grado di realizzare opere che ancora oggi ammiriamo stimolando la riflessione sul divario di trattamento tra uomo e donna soprattutto in un ambito poliedrico come l'arte. L'inaugurazione è stata caratterizzata dall'esibizione del violinista serbo Janijc Ognjen, virtuoso e premiato musicista del Conservatorio Giuseppe Tartini di Trieste che ha eseguito dei brani di Bach. (Comunicato stampa)

___ Altre mostre a Trieste presentate in questa pagina:

Dorde Jandric | "Kodikamo hrpa / Far and Away a Heap"
28 febbraio (inaugurazione) - 11 aprile 2025
Studio Tommaseo - Trieste
Presentazione

Gianni Turin | "Attraversamenti"
21 febbraio (inaugurazione) - 24 aprile 2025
Biblioteca statale Stelio Crise - Trieste
Presentazione




Opera di Arild Horvei Instanes Locandina di presentazione della mostra Nordic Perspectives Opera di Soren Krag Søvnrykk
Nordic Perspectives


13 marzo (inaugurazione) - 03 maggio 2025
A PICK GALLERY - Torino
www.apickgallery.com

Collettiva, a cura di Emanuela Romano, con opere di Arild Horvei Instanes (Bergen, Norvegia, 1990), Søren Krag (Silkeborg, Danimarca, 1987), Bjørn Mortensen (Bergen, Norvegia, 1977), Anthony Charles Morton (Sud Africa, 1992) e Manuel Portioli (Reggio Emilia, 1987).

Una visione affascinante dell'arte contemporanea norvegese, mettendo in dialogo le opere di cinque artisti dai linguaggi visivi e sensibilità diverse, ma accomunati dall'interesse per temi universali come identità, ambiente, spiritualità e tecnologia. Questa collettiva crea un terreno di interazione, tensione e arricchimento reciproco, dando vita a un percorso espositivo che intreccia punti di contatto e differenze. Tra i punti di convergenza, emerge una comune riflessione sul rapporto tra materiale e immateriale, che molti degli artisti esplorano con sensibilità diverse ma complementari.

Ad esempio, Søren Krag e Antony Charles Morton, seppur con linguaggi distinti, condividono una ricerca sulla spiritualità: Krag combina tecnologia e immaginario sacro, richiamando simboli religiosi attraverso il mezzo digitale, mentre Morton, con un approccio astratto e teorico, costruisce spazi meditativi che invitano alla contemplazione interiore. Entrambi riflettono dunque su dimensioni spirituali, ma lo fanno in modi che riflettono le loro inclinazioni: Krag con un'estetica lo-fi legata al digitale e Morton con la fisicità della pittura e il simbolismo astratto.

Un altro tema che unisce gli artisti è quello dell'ambiente. Krag e Bjørn Mortensen, in particolare, propongono letture diverse del rapporto tra arte e sostenibilità. Krag si confronta con il problema della plastica attraverso l'uso simbolico dei Lego, richiamando l'impatto ecologico di questo materiale, mentre Mortensen opta per un approccio più materico, lavorando direttamente l'argilla in un modo che richiama un legame ancestrale con la terra. Manuel Portioli, dal canto suo, esplora il rapporto sensoriale con l'ambiente attraverso l'astrazione, invitando l'osservatore a una riflessione percettiva che non si limita a rappresentare la natura, ma vuole coinvolgere emotivamente chi guarda. Le divergenze all'interno del gruppo emergono chiaramente nelle tecniche e nelle influenze culturali.

Arild Horvei Instanes, ad esempio, sviluppa una "pittura estesa" che utilizza l'aerografo su tessuti, superando la bidimensionalità e creando un dialogo visivo che mira a coinvolgere direttamente il pubblico. Di contro, Morton si concentra su una pittura teorica e filosofica, richiamandosi all'astrazione di Miró e Bess per costruire narrazioni simboliche. La street art e la cultura pop caratterizzano invece il linguaggio di Portioli, che, unico italiano del gruppo, aggiunge una nota di espressività urbana e provocatoria al progetto, differenziandosi dal minimalismo spirituale di Krag e dalla ruvidità formale di Mortensen. Le specificità culturali contribuiscono inoltre ad arricchire ulteriormente il progetto. Krag porta il suo background danese attraverso un'estetica che combina immagini sacre e tecnologia, arricchendo l'immaginario della collettiva con elementi di iconoclastia cristiana e geometrie islamiche.

Morton, con radici sudafricane e influenze giapponesi, introduce una complessità teorica che si traduce in un profondo legame tra arte e filosofia. Portioli aggiunge invece un contributo marcatamente italiano e mediterraneo, caratterizzato da colori intensi e un'estetica ispirata alla street culture, in netto contrasto con l'essenzialità delle forme di Krag o la matericità organica delle opere di Mortensen.

In definitiva, Søvnrykk - Nordic Perspectives si presenta come un progetto eterogeneo che riesce a far dialogare artisti dai background e approcci differenti senza forzare una sintesi stilistica. La varietà delle tecniche, dei temi e delle influenze culturali rappresenta il punto di forza di questa collettiva, capace di promuovere l'arte norvegese in Italia e di stimolare una riflessione sui temi universali della spiritualità, dell'ambiente e dell'identità. Questa pluralità di prospettive, anziché frammentare il progetto, ne rafforza il valore, offrendo una proposta curatoriale ricca e polifonica, che apre a nuovi scenari di confronto e connessione tra mondi artistici apparentemente distanti. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Opera di Arild Horvei Instanes
2. Locandina di presentazione della mostra Søvnrykk - Nordic Perspectives
3. Opera di Soren Krag




Locandina della mostra Impronte di pennello con opere di Niele Toroni Niele Toroni
Impronte di pennello n. 50 - Dal 1959 al 2024


15 marzo (inaugurazione) - 17 agosto 2025
Museo Casa Rusca - Locarno
www.aarteinvernizzi.it

In concomitanza e in collaborazione, il Museo Comunale d'Arte Moderna di Ascona presenta la mostra "Omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann", a cura di Bernard Marcadé (15 marzo (inaugurazione) - 11 maggio 2025). Niele Toroni (Muralto, 1937), tra le figure più rilevanti dell'arte contemporanea svizzera e internazionale, è il protagonista della nuova grande retrospettiva del Museo Casa Rusca. Emigrato a Parigi nel 1959, Toroni ha esposto in istituzioni di prestigio come il Centre Georges Pompidou di Parigi e il MoMA di New York, ricevendo riconoscimenti di rilievo quali il premio Meret Oppenheim (2012) e il Rubenspreis (2017), che testimoniano la sua profonda influenza nell'ambito artistico globale. Tuttavia, in Ticino il suo lavoro è rimasto sorprendentemente poco conosciuto, nonostante il suo legame profondo con la sua terra di origine.

Questa mostra, a cura di Bernard Marcadé, rappresenta dunque un'occasione unica per riscoprire Niele Toroni attraverso la prima esposizione a lui interamente dedicata in un museo della Svizzera italiana dal 1991. In mostra si ripercorrono le sei decadi della sua carriera, dalle prime opere degli anni Cinquanta fino alle più recenti, mettendo in luce l'evoluzione del suo linguaggio e la sua visione innovativa della pittura. Accanto a lavori iconici, saranno presentate anche opere più intime e inedite, fondamentali per comprendere lo sviluppo e la profondità del suo approccio artistico.

A partire dal 1967, Niele Toroni adotta una metodologia rigorosa: l'applicazione di "impronte di pennello n. 50 ripetute a intervalli regolari di 30 cm", su superfici e contesti differenti, e soggette a variazioni cromatiche. I suoi dipinti si estendono su una vasta gamma di supporti: dalla tela alla tela cerata, dal vetro al legno, dal cartone alla carta di giornale, dagli spartiti musicali ai tessuti fino alle pareti degli edifici, instaurando un intenso dialogo con il contesto architettonico.

La mostra invita il pubblico a confrontarsi fisicamente con un'opera che, pur nel suo approccio radicale e innovativo, mantiene una potenza visiva straordinaria. Un'occasione per entrare nell'universo di un artista che, con un linguaggio essenziale, ha saputo mantenere una coerenza e una forza espressiva in grado di attraversare decenni senza mai tradire la sua essenza. In concomitanza con la retrospettiva, viene presentata una monografia che raccoglie testi dell'artista, per la prima volta tradotti in italiano, edita da Casa Rusca e da Edizioni Casagrande. Un'ulteriore celebrazione della sua figura si tiene in collaborazione con il Museo Comunale d'Arte Moderna di Ascona, che presenta una mostra omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann, evidenziando il sodalizio unico tra due protagonisti indiscussi della scena artistica internazionale. (Comunicato stampa)




Opera di Claude-Nicolas Ledoux denominata Architect du Roi 1736-1806, Arts et Metiers Graphiques realizzata a Parigi nel 1945, foto realizzata da Matteo Pasin Unbound Architecture
Scomposizioni dell'architettura, pagine, progetti, strutture, utopie


15 marzo (inaugurazione) - 04 maggio 2025
CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) - Foligno
www.ciacfoligno.it | www.sarastangoni.it

L'arte si misura con lo spazio e l'architettura si confronta con la forma artistica attraverso un approccio intertestuale e generativo, che crea relazioni e rimandi tra libri, stampe e documenti. Dieci sezioni tematiche mostrano progetti, disegni, poster, stampati, libri rari di architettura e arte in un arco temporale di un secolo, a partire dal foglio-manifesto dell'architettura Futurista (1914) e un prezioso libro di visioni architettoniche di Virgilio Marchi, edito proprio nella città di Foligno (1924).

Le azioni presentate dalla mostra, a cura di a+mbookstore, sono quelle di squadernare, scompaginare, destrutturare e scomporre l'architettura in tanti brani e microstorie che risuonano con il campo artistico e poetico-letterario. Il risultato si potrebbe definire una mostra di Superarchitettura e Arte elementare costruttiva, una forma di coabitazione armonica ma conflittuale tra due discipline in perenne tensione reciproca. Un clima culturale di attrazione "indisciplinata", dove l'architettura cerca il linguaggio artistico per astrarsi e l'arte conquista le spazialità elementari per edificarsi e concretizzarsi.

L'ordine espositivo parte dalle "stazioni di velocità" dinamiche del Futurismo e dei costruttivismi, passa dai surrealismi magici, attraversa la speranza progettuale del moderno, l'utopia di una società estetica, poi il progetto infelice e l'architettura innamorata del postmoderno per chiudersi con l'architettura "critica" contemporanea che investe le urgenze odierne. L'ordinamento disegna diverse traiettorie culturali e movimenti artistici: Architettura dinamica (avanguardie), Architettura infinita (lo spazio continuo), Architettura elementare (il progetto primario), Architettura razionale-irrazionale (costruzione/decostruzione), Architettura dell'Immagine (Pop), Architettura interplanetaria (Super-architettura), Architettura concettuale (arte strutturale), Architettura del corpo (performance), Mega-architettura (lo spazio della città), Hardcore Architecture (lo spazio della crisi).

I diversi formati di pubblicazione preparano il terreno per una bibliografia inedita, transgenere e sperimentale: dal leggero manifesto-giornale al fascicolo, al pamphlet, al poster, alla tavola disegnata, al libro d'artista, sino ai modelli volumetrici e scientifici del libro catalogo, della pubblicazione di ricerca o del saggio teoretico. In questa mostra, dunque, l'architettura non è più un monologo degli edifici costruiti e l'arte non diventa una teoria di opere presentate; al contrario, entrambe si esprimono con voci infinite e simultanee che concorrono a un discorso di visioni, prospezioni, teorie e applicazioni di futuro. Volumi, astrazioni e scritti che riguardano modelli costruttivi, abitacoli, megastrutture, piastre suburbane, piattaforme abitanti, rivoluzioni domestiche, capsule spazio-temporali, ripari nomadi, chiatte e vele. (Estratto da comunicato ufficio stampa Sara Stangoni Comunicazione)

Immagine:
Claude-Nicolas Ledoux, Architect du Roi 1736-1806, Arts et Metiers Graphiques, Parigi, 1945, ph. Matteo Pasin

Locandina della mostra




Dipinto a olio su tela di cm 160x140 denominato Estate realizzato da Esodo Pratelli nel 1930 Esodo Pratelli. Dal futurismo al "Novecento" e oltre
16 aprile (inaugurazione ore 18) - 13 maggio 2025
CMC Centro Culturale - Milano
www.centroculturaledimilano.it

Una grande restrospettiva dedicata a Esodo Pratelli, curata da Elena Pontiggia, con un corpus di oltre quaranta opere, che tracciano l'intenso percorso di una figura di spicco della pittura italiana della prima metà del '900. La mostra ripercorre con andamento cronologico le fasi artistiche che hanno caratterizzato il lavoro di Esodo Pratelli da un'iniziale espressione legata al realismo e più marcatamente al simbolismo, con la realizzazione di opere pittoriche e di ceramiche, per poi evolvere nel primo decennio del '900 all'adesione al movimento futurista e approdare negli anni Venti al Novecento Italiano.

Una vita molto intensa, intrisa di una fervida cultura legata al contesto familiare, coltivata grazie a viaggi, permanenze a Parigi, a Roma, oltre a incontri e contatti con importanti esponenti dell'epoca fra cui Boccioni, Carrà, Severini, Marinetti, Gris, Delaunay, Sironi. Pratelli partecipa attivamente alle iniziative del suo tempo, si ricordano infatti la collaborazione alla nascita della Corporazione delle Arti Plastiche (1923), la docenza e la direzione a Milano della Scuola d'Arte Applicata del Castello Sforzesco (1924 ca. - 1934), la proposta firmata con Sironi, Sarfatti, Funi, Carrà per l'istituzione di un Consiglio superiore per l'arte moderna (1925), la nomina a segretario del Sindacato Fascista Belle Arti di Milano (1927) e l'anno successivo della Lombardia.

Decenni molto densi in cui l'artista si è dedicato anche alla creazione di bozzetti per scenografie e costumi di opere liriche, durante i quali non sono mancati momenti di allontanamento dalla pittura, tra il 1935 e il 1950, anni che lo vedono protagonista a Roma in ambito cinematografico, nelle vesti di sceneggiatore e regista. Un aspetto che contraddistingue la pittura di Pratelli si ritrova nella costante presenza della natura, seppur con declinazioni diverse a seconda della fase artistica nella quale è immerso.

Anche nelle tele dove il paesaggio non è il soggetto protagonista, l'elemento naturale emerge in maniera preponderante, cattura l'attenzione e appare carico di significati. Talvolta si tratta di agenti atmosferici, che l'uomo non può controllare e che appaiono ancor più catalizzanti all'interno delle opere. L'attenzione al segno e alla linearità, accanto alla raffinatezza e all'eleganza del tratto, i toni morbidi e leggeri sono ulteriori caratteri distintivi del lavoro dell'artista, conservati nel corso di tutta la sua carriera. Importanti i maestri cui si è ispirato e ha fatto riferimento nel tempo, da Klimt a Beardsley durante al giovinezza, da Carrà a Sironi in età più matura.

Nell'approfondito testo in catalogo afferma la curatrice Elena Pontiggia in relazione alla sua pittura: "Merita di essere conosciuta per l'intensità di tanti suoi esiti, ma anche per l'esprit de finesse che la percorre. I suoi colori delicati, le sue raffinate composizioni di figure, i suoi temi confidenziali, i suoi paesaggi urbani e i suoi paesaggi senza aggettivi, tutta la sua traiettoria stilistica, insomma, dal simbolismo al futurismo al "Novecento", cui vanno aggiunti i suoi ultimi decenni tutt'altro che senili, hanno troppo valore per essere relegati nellaScatola delle cose dimenticate, come l'artista intitola un quadro del 1967, che è anche una trasparente metafora della sua vicenda espressiva".

Nel percorso espositivo fra i lavori degli esordi è presente la maiolica policroma Estate nella notte (1911), citata e descritta nel carteggio con il cugino Balilla Pratella; con lui coltiva un profondo rapporto epistolare nel corso di tutta la sua vita. All'interno della lettera, l'artista oltre a dichiararsi ceramista descrive gli intenti di quel momento facendo emergere il suo interesse per il simbolo e gli elementi naturali.

Del periodo futurista, dettato dall'interesse per il movimento, delle linee che tendono alla verticalità e a colori più vivaci, si ammirano le tele Frammento della primavera (1913), caratterizzato dal roteare di segmenti in gran parte circolari e i bozzetti per le scene e i costumi dell'opera lirica del cugino Balilla dal titolo L'aviatore Dro (1913). Si tratta della sua prima progettazione scenografica ufficialmente futurista, eseguita per la prima volta nel 1920, nella quale, sia che si tratti di scene sia nei figurini, si avverte la predilezione per la sintesi, per una linearità ondulata del tratto e di una tensione verso l'infinito.

In linea con il suo avvicinamento al Novecento italiano l'artista volge a delle rappresentazioni in cui emerge la ricerca di una moderna classicità, dove la plasticità, i volumi, la nitidezza delle forme e la supremazia del disegno sul colore assumono un ruolo centrale. Lo si osserva in Maternità (1922) e nel ritratto della figlia Lilia (1925); qui i soggetti dominano la scena con una solida volumetria, una forma precisa e nitida. In questi anni frequenta Mario Sironi, al quale dedica Ritratto di Sironi (1928); con lui condivide l'interesse per la pittura solida, monumentale e viene influenzato nella scelta di soggetti quali cantieri, fabbriche, periferie, ne è esempio Ciminiere (1924).

Sono inoltre in mostra lavori che attestano il successivo allontanamento dal movimento del Novecento italiano verso un maggior interesse per i paesaggi, per una dimensione quotidiana, casalinga, orientata a una visione più serena e cromaticamente più luminosa, in cui predomina la grandezza della natura. Estate (1930) e La favola del bosco (1931), con ambientazioni quasi fiabesche e legate alla vita di tutti i giorni, con scene intime e tenere, ben rappresentano questa inversione di rotta e l'avvicinamento al realismo magico.

Anche nelle opere degli anni Cinquanta, fra le altre Gatto sulla stufa (1957), successive all'isolamento dal mondo pittorico, i temi sono familiari, fino ad arrivare agli anni Sessanta dove la figurazione è legata a particolari, sempre del quotidiano, ma ancor più intimi e quasi nascosti; come nell'emblematica La scatola delle cose dimenticate (1967).

Accompagna la mostra un'importante e dettagliata monografia di Elena Pontiggia, edita da Silvana Editoriale, ad oggi la più completa sull'artista, che traccia un esaustivo ritratto di Esodo Pratelli e del suo lavoro. Accanto alle numerose tavole a colori, oltre un centinaio, sono pubblicati carteggi inediti dell'artista con personalità a lui vicine nel suo percorso di vita e in quello artistico.

Esodo Pratelli (Lugo di Romagna, 1892 - Roma, 1983), formatosi all'Accademia di Via Ripetta a Roma, dopo un'iniziale adesione al simbolismo, si avvicina nel 1913-1914 al futurismo, entrando in contatto con i maggiori esponenti del movimento durante il suo soggiorno a Parigi. Si dedica alla realizzazione di tele, ceramiche e contemporaneamente scenografie e costumi per L'Aviatore Dro, opera del cugino Balilla Pratella, in stile pienamente futurista. Nel 1915 è richiamato alle armi da cui sarà congedato solo nel 1919, quando a guerra conclusa si stabilisce a Milano.

A partire dagli anni Venti è parte attiva della politica culturale del regime fascista, assumendo ruoli di rilievo fra questi la nomina a segretario del Sindacato Fascista Belle Arti di Milano e successivamente della Lombardia. Si sposa con Elsa Martina e dal loro matrimonio nel 1922, nasce la figlia Lilia e successivamente, nel 1928, il figlio Giuliano. Aderisce al Novecento Italiano ed è annoverato da Margherita Sarfatti nel "vivaio di giovani forze" del movimento; partecipa nel 1926 alla I Mostra del Novecento Italiano alla Permanente di Milano e a tutte le esposizioni successive in Italia e all'estero. Anni significativi sono il 1927 e il 1928 grazie alla presenza alla Biennale di Brera, con le opere Giulia e Laura e Paese toscano, e per la prima volta alla XVI Biennale di Venezia, dove tornerà ad esporre nel '30, '32 e '34.

Nel 1931 è tra gli artisti della I Quadriennale e nello stesso anno alla Exhibition of Contemporary Italian Painting, organizzata dalla Quadriennale di Roma al Museo di Baltimora. Il 28 ottobre 1932 nel decennale della marcia su Roma si apre a Palazzo delle Esposizioni la Mostra della Rivoluzione Fascista, per cui Pratelli si occupa della parte artistica di tre sale. Nel 1935 lascia Milano per tornare a Roma, dove si dedica alla scenografia e regia di cinema, abbandonando sia l'insegnamento che l'attività espositiva. Nella seconda metà degli anni Cinquanta riprende l'attività pittorica, che continua fino agli ultimi anni della sua vita. Attualmente importanti opere dell'artista sono custodite in musei nazionali e internazionali, gallerie e collezioni pubbliche e private. (Comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)

Immagine:
Esodo Pratelli, Estate, 1930, olio su tela cm. 160x140




Stampa digitale fine art di cm 128.8x92 denominata Phytostopia #01 realizzata da Pino Musi tra il 2021 e il 2025 Pino Musi
"Phytostopia"


05 aprile (inaugurazione) - 14 settembre 2025
Rolla.info - Bruzella (Svizzera)
www.rolla.info

"Nel 2021, durante il periodo della pandemia Covid-19, ho fotografato in Francia, Belgio e Italia alcuni 'muri vegetali' che non avevano ricevuto manutenzione, ed una serie di situazioni altrettanto bizzarre nella loro forma, quanto inquietanti, dove la vegetazione ha modificato un apparente equilibrio fra natura, cultura e habitat." Pino Musi Phytostopia è la ventiquattresima mostra della Fondazione Rolla. Le undici opere esposte provengono dall'archivio di Pino Musi e dalla collezione privata di Philip e Rosella Rolla. In catalogo un saggio dello storico e teorico del paesaggio Michael Jakob e un breve testo di Pino Musi.

Pino Musi é fotografo e artista visivo con base a Parigi. Il suo lavoro ha intersecato molteplici aree d'interesse come l'antropologia, l'architettura, l'archeologia o, ancora, l'industria. Le opere fotografiche di Pino Musi sono presenti in collezioni private e pubbliche, tra cui la Collezione Rolla, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Fondazione Modena Arti Visive, la Fondazione di Sardegna, il Frac Bretagne, la Fondazione MAST di Bologna, la Art Vontobel di Zurigo, il Canadian Centre for Architecture di Montréal. Sono stati pubblicati finora ventisette libri con sue opere.

Michael Jakob è professore di lettere comparate all'università di Grenoble e di storia e teoria del paesaggio presso l'Accademia di Architettura di Mendrisio e la Graduate School of Design (Harvard University). Saggista, curatore internazionale di mostre e autore di documentari, ha pubblicato da ultimo La Leda scomparsa (Silvana Editoriale). (Comunicato stampa)

Immagine:
Pino Musi, Phytostopia #01, 2021/2025, stampa digitale fine art cm 128.8x92




Veduta dell'installazione Rever a dimensioni variabili realizzata da Sara Rossi nel 2025 Sara Rossi
"Rêver"


04 aprile (inaugurazione) - 31 maggio 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Mostra personale di Sara Rossi (Milano, 1970), artista, fotografa e videoartista italiana di rilievo nel panorama italiano ed internazionale. L'esposizione raccoglie installazioni, opere fotografiche e un video, in un percorso immersivo che sovrappone sogno, memoria, archivio e paesaggio. Il titolo della mostra, Rêver (dal francese: sognare, desiderare, immaginare, fantasticare, pensare, ma anche reverso, rovescio, risvolto, rivisitazione in altre lingue), introduce l'opera principale, un'installazione site-specific che trasforma lo spazio della galleria in un grande panorama visivo. L'opera si sviluppa come una composizione circolare di ritagli di libri fotografici, disposti lungo le pareti della sala grande. Il visitatore, situato al centro, è avvolto dall'opera e può esplorarne ogni dettaglio.

Questo approccio richiama l'antica tecnica del panorama, un'opera circolare disposta in modo che lo spettatore, situato nel mezzo, possa contemplarne con facilità ogni elemento che la compone. Il titolo stesso, Rêver, costituisce una scelta non casuale: è palindromo, leggibile in entrambi i sensi, a suggerire la circolarità dello spazio, dello sguardo e del tempo. Secondo la Rossi, che si ispira fortemente a Bachelard, ogni sogno è una visione materiale; quindi, rêver è uno spectaculum nel senso letterale di ciò che si offre al pubblico sguardo, dove all'interno della visione dell'artista è importante indagare il legame costante che unisce la riproduzione delle immagini allo spettacolo.

Nella mostra, a cura di Glenda Cinquegrana, un'ampia sezione è dedicata al progetto fotografico Abc (2013), ancora in corso di completamento, in cui la Rossi, mettendosi lungo una linea di continuità ideale con il Viaggio in Italia di Ghirri, realizza un'indagine condotta a tutto tondo su territori periferici di città italiane. Sara Rossi esplora il legame tra insegne pubblicitarie e paesaggio urbano: ne isola gli elementi di testo e al tempo stesso li mette in dialogo fra di loro, creando delle vere e proprie poesie visive. Il contrasto tra elementi ironici e profondi apre nuove interpretazioni sulla relazione tra parola, immagine, paesaggio urbano e gli elementi che compongono la nostra memoria collettiva.

L'esposizione, infine, include il video Era (2002), realizzato in pellicola Super-8 e successivamente riversato in digitale. Il film alterna immagini di rovine antiche e paesaggi naturali, riprese del fiume Ciane, dove crescono piante spontanee, che è uno specchio, nel quale una figura femminile si riflette. Il titolo del video gioca sui molteplici significati della parola: è un riferimento alla dea, il passato del verbo "essere", ed anche un'era geologica. Girato in super8 come un documentario amatoriale dei primi anni '70, il video racconta un viaggio più immaginario che reale, trattandosi di una personale interpretazione allegorica della figura dell'artista che superando il suo io Narciso si fa paesaggio. Il video inizia con alcuni frammenti di filmini amatoriali girati cinquant'anni fa in Centro America o nell'isola di Ceylon dal nonno, cui seguono le riprese realizzate sul fiume Ciane, nei dintorni di Siracusa. L'opera riflette sul tempo, sulla memoria. Per la Rossi sperimentare con la pellicola significa restituire profondità e qualità all'immagine. (Comunicato stampa)

Immagine:
Sara Rossi, Rêver, 2025, veduta dell'installazione dimensioni variabili




Dipinto ad acquerelli su carta di cm 21x29.7 denominato Fever Drawings realizzato da Francesca Ferreri nel 2022 Francesca Ferreri
"Endless Repairs"


13 marzo (inaugurazione) - 26 aprile 2025
Simondi Gallery - Torino
www.simondi.gallery

La vita ha una sua temperatura: è nella misura del calore che trova il modo di crescere, continuare a essere, permanere in uno stato funzionale al suo svolgimento biologico. Il corpo ha in sé un flusso caldo che si muove, e che alimenta il mondo sconosciuto che è la forma fisica in cui abitiamo, e in cui ci identifichiamo. Noi siamo anche questo meccanismo in grado di funzionare al meglio a circa 36 gradi centigradi. Abbiamo ancora tutti la memoria recente di quanto peso questo dato abbia avuto negli ultimi anni, di quanto la temperatura fosse diventata il sintomo, il discrimine, il segnale per identificare il grado di pericolo a cui il nostro corpo fosse sottoposto. Certo che quando sentiamo il calore crescere, d'istinto ci allarmiamo: la febbre è un male in sé, ed è un sintomo ipotetico di un altro male più profondo; è il messaggio più chiaro che il nostro sistema organico riesce a formulare per chiederci attenzione.

Francesca Ferreri (Savigliano, 1981) usa la materia per dare forma al sintomo: la galleria è, adesso, un corpo infiammato. Da molto tempo, ma soprattutto dal 2022 (anno in cui la temperatura è salita nel corpo dell'artista facendole fronteggiare il malessere incarnato allora dal covid), il pensiero di Ferreri ha iniziato a orientarsi verso la disamina del significato dell'infiammazione, questo segnale che il corpo usa per parlarci. Nel disegno Ferreri trova la sequenza, la gestualità latente del calore quando cresce sottopelle; i Fever Drawings (2022), finora inediti, sono la prima impressione del trauma, dell'algoritmo impazzito di cui siamo in balia nel picco incontrollato dell'infiammazione.

Noi stessi ci troviamo ora nel ruolo di corpi infestanti, non si sa se ancora benigni o già guastatori: siamo noi i batteri che, camminando, rischiamo di contaminare ciò che tocchiamo, calpestando a terra la spina dorsale dell'anatomia in pericolo dello spazio, gli organi che ci troviamo a percorrere. Il corpo, infiammandosi, ci lancia gridi differenti: li vedremo pian piano. Il dolor (dolore) è l'aculeo incolore che, sporgendo verso di noi, ci racconta della fitta lieve che prelude all'insorgere di qualsiasi danno.

L'artista sa che la manifestazione non possiede mai un significato decisivo, o univoco: ogni sintomo è un segnale che nasce con la volontà di salvarci, non di ferirci. Il corpo vuole questo per noi: toglierci dallo strapiombo e portarci in salvo. Il concetto di restauro, che già appartiene alla ricerca di Ferreri nel pensiero e nei materiali, si fa in questo caso prosecuzione di un discorso, un ampliamento: la riparazione di un danno nasce dalla volontà di conservare o di tornare allo stato indenne precedente di una certa realtà fisica. Quando inascoltati, i segnali propedeutici alla riparazione si trasformano presto in male, un ulteriore squarcio sulla materia rovinata; il corpo deve ricominciare da capo il proprio lavoro di rammendo. Il ciclo eterno della riparazione.

Col dolore, nel processo infiammatorio, arriva il rubor (rossore): il corpo diventa l'altare votivo dedicato al colore del proprio stesso sintomo; le braccia aperte dell'opera lanciano l'appello a guardare l'icona dello spirito, conservata sull'eritema di uno sterno capovolto, orizzontale. Alziamo gli occhi: angeli rossastri e metallici stazionano sul soffitto, ci guardano da lì. Il calor (calore) si muove sull'altezza, ci sovrasta: nel flusso misterioso che fa aumentare i gradi, e quindi scombinare la regolarità chimica da cui dipende il nostro concetto di salute - andiamo a vedere la grande tela di lino dipinta ad acrilico e olio - il calore è un battito d'ali che rende l'aria più pesante, il nostro fiato più corto, la pelle già sudata.

Francesca Ferreri fa in modo che la materia inanimata parli della nostra febbre, del suo significato latente, mentre i batteri sono liberi di muoversi a terra e sulle pareti nella loro forma circolare - quasi primitive ruote - con l'anima cava e mai, ribadiamolo, per forza maligni. Il tumor (gonfiore) è il nostro quarto grido: vediamo la pelle della parete sollevarsi, tumefarsi i suoi tessuti; forse se la sfiorassimo le faremmo male. L'operazione che compie Ferreri non è da intendersi come la mera registrazione del funzionamento della nostra biologia.

L'artista non sta mettendo l'organismo sotto un vetrino come Giuseppe Penone (Svolgere la propria pelle, 1970), né tantomeno l'arte è qui chiamata ad avere come referente il corpo vero e sanguigno della tradizione performativa: questi sono sintomi che parlano a ogni corpo; è l'esplosione termica del terreno vulcanico che diventa talvolta il nostro corpo. Come fossimo tante Terre pronte a nascere dopo l'eruzione di calore di un big bang. Ci infiammiamo, questa è la constatazione: siamo sempre più propensi a una temperatura capace di alterare le nostre funzioni vitali, e senza saperla davvero controllare o comprendere.

Ferreri applica sulle fibre delle proprie opere la visione e la cromia di quanto saremmo solo in grado di percepire sottopelle, e neanche di cogliere pienamente sul piano cognitivo. Cos'è questo calore che pian piano, inascoltato, esonda? Che nome può avere questo fenomeno che, alla fine, mina la salute dell'uomo sfociando in problemi differenti? Ferreri, quando pone a sé stessa e a noi queste domande, pensa agli Iperoggetti teorizzati nell'omonimo libro di Timothy Morton (2013): constatare che il corpo umano sia sempre più spinto verso un'alterazione del proprio equilibrio termico (e ai disturbi che da esso derivano) è qualcosa che risulta inafferrabile, un problema troppo vasto e troppo vago perché se ne possa dare una collocazione intellettualmente sufficiente ed esaustiva.

Tutto sta nel rifluire e nell'ascolto; nel dialogo necessario tra la realtà del corpo e quella dello spirito (concetto preferito da Ferreri a quello di mente, col quale si tende a considerare in modo limitato la sola facoltà razionale), uno spirito che è fatto del sangue che ci irrora, che parla lo stesso linguaggio vitale della cellula, o del nervo. Guardiamo la grande scultura messa ad assorbire i flussi vitali del luogo, come una sanguisuga dipinta del colore dello spirito. Come a dirci che niente è mai davvero disunito; che è proprio nel ricircolo, nell'assorbimento, nello scambio ininterrotto che può compiersi l'intero che formiamo, guarire, avverarsi la sua piena funzione. (Carola Allemandi)

Immagine:
Francesca Ferreri, Fever Drawings, 2022, acquerelli su carta cm 21x29.7




Un disegno realizzato da Dorde Jandric dalla serie Far and Away a Heap, 2024 in una fotografia di Darko Bavoljak, courtesy Institute for Contemporary Art, Zagabria Dorde Jandric
"Kodikamo hrpa / Far and Away a Heap"


28 febbraio (inaugurazione) - 08 aprile 2025 (estesa fino all'11 aprile 2025)
Studio Tommaseo - Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta, in co-produzione con l'Institute for Contemporary Art di Zagabria, l'esposizione dell'artista croato Ðorde Jandric, a cura di Janka Vukmir, un progetto che esplora il confine tra arte fisica e digitale. La mostra è realizzata nell'ambito dei "Dialoghi con l'Arte dell'Europa centro orientale 2025" con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia (e sotto il marchio collettivo Io Sono Friuli Venezia Giulia) e si avvale della collaborazione dello Studio Tommaseo.

Jandric propone a Trieste due serie di opere a matita su carta, in cui sono disegnati a grafite, con meticolosa precisione, "cumuli" (heaps), numeri e codici QR. Sono disegni che confermano e ribadiscono l'importanza del lavoro manuale. Per quanto riguarda il terzo gruppo di disegni che fanno parte dell'esposizione, "inizialmente non si sa affatto che esista..." scrive Janka Vukmir. La proposta espositiva, di Jandric infatti, presentata all'ICA di Zagabria lo scorso aprile, richiede al pubblico di interagire e scansionare i codici QR che conducono a questa terza serie di opere nascoste nel mondo digitale che così si svelano oltre il piano bidimensionale del disegno.

"Ma cosa sono esattamente questi cumuli di Jandric? - prosegue la curatrice - La sua biografia professionale afferma che ha studiato architettura, abbandonandola in favore dello studio della scultura, ma mai una volta nel suo lavoro ha abbandonato i principi di base del pensiero spaziale. È interessato a numeri, disegno, geometria, spazio, volume, concetto, analisi e contesto, praticamente le basi per elaborare un progetto (planning). Quando ha introdotto nel suo lavoro l'idea del cumulo, trent'anni fa, questo era in realtà il riflesso dell'atteggiamento secondo cui un cumulo di qualsiasi materiale è una scultura potenziale e che una scultura può essere realizzata in qualsiasi materiale e mezzo poiché, oltre alla tridimensionalità, raggiunge anche un suo volume non semplicemente tramite la materialità della forma ma anche con l'accumulo di contenuto immaginato. Per Jandric quasi tutto è un cumulo e ogni cumulo è una scultura. Tutto è una scultura, ha affermato in una conversazione durante i preparativi per la sua mostra all'Institute of Contemporary Art. Questi disegni di cumuli devono essere intesi anche in questo modo, come sculture decostruite, suddivise in sequenze di disegni bidimensionali, piani."

Jandric invita dunque il pubblico a riconsiderare il concetto di "cumulo" che nell'opera dell'artista trascende la sua dimensione puramente materiale e diventa simbolo di un processo continuo di accumulazione e trasformazione, sia materiale che concettuale. Questi cumuli, ci dice Vukmir, assumono nei disegni la forma simbolica di un triangolo e un cerchio inscritti in un quadrato, forme che costituiscono un principio quasi euclideo dell'analisi della struttura, dello spazio e dei cambiamenti. Nell'atto codificato di apertura dello spazio digitale dove dimora il terzo gruppo di lavori si aggiungono nuove relazioni e questo ulteriore accumulo solleva interrogativi sul ruolo della partecipazione dell'osservatore e sull'evoluzione della percezione dell'arte nell'ibrido contesto visivo contemporaneo.

Ðorde Jandric (Zara, 1956) studia architettura all'Università di Zagabria dal 1975 ma interrompe gli studi nel 1978 per iscriversi all'Accademia di belle arti e studia storia dell'arte alla Facoltà di filosofia. Si laurea nel 1985 (J. Biffel, J. Poljan). Inizia a esporre al 13° Salone della gioventù di Zagabria nel 1981. Tra il 1992 e il 1994 è art director della rivista «Kinoteka». Nel 2005 rappresenta la Croazia alla mostra Statue and Object a Bratislava e nel 2008 alla mostra Europart a Ginevra. Dal 2007 al 2022 insegna all'Accademia di arti applicate dell'Università di Fiume. Vive e lavora a Zagabria e fino ad oggi ha tenuto oltre trenta mostre personali e partecipato a circa ottanta mostre collettive nel paese e all'estero. Nella sua permanente ricerca sul concetto di scultura, si esprime in quasi tutti i media visivi (scultura, pittura, disegno, performance, video, film).

Janka Vukmir è una storica dell'arte, curatrice e critica d'arte. È cofondatrice (1998) e presidente dell'Istituto per l'Arte Contemporanea di Zagabria. Precedentemente ha ricoperto il ruolo di vicedirettrice (1993-1996) e direttrice (1996-1998) del Soros Center for Contemporary Art di Zagabria. È curatrice del Premio Radoslav Putar che ha fondato nel 2002 e dal 2025 è presidente di AICA - Croazia. (Comunicato stampa)

Immagine:
Ðorde Jandric, un disegno dalla serie Far and Away a Heap, 2024, fotografia di Darko Bavoljak, courtesy Institute for Contemporary Art, Zagabria




Un abito dalla mostra Bianco al femminile Bianco al femminile
Sei secoli di capolavori tessili dalle collezioni di Palazzo Madama


26 febbraio 2025 - 02 febbraio 2026
Palazzo Madama - Sala tessuti - Torino
www.palazzomadamatorino.it

Un'esposizione che racconta la stretta connessione, materiale e simbolica, che lega il bianco, il colore naturale della seta e del lino, alla donna. Attraverso una selezione di cinquanta manufatti tessili custoditi nelle collezioni di Palazzo Madama, di cui sei restaurati in occasione di questa occasione e quattordici esposti per la prima volta, la curatrice Paola Ruffino accompagna lungo una storia secolare che passa per ricami minuti, intricati merletti e arriva al più iconico degli indumenti femminili di colore bianco: l'abito da sposa.

Il ricamo in lino medievale, la lavorazione dei merletti ad ago o a fuselli, il ricamo in bianco su bianco sono arti con cui le mani femminili hanno creato capolavori. Questo legame sottile e indissolubile attraversa i secoli e vede le donne nel ruolo di autrici, creatrici e custodi della tradizione, raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda. Momento clou della moda del bianco è, in Francia e in Europa, il finire del XVIII secolo. Il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana ispira un abbigliamento che guarda all'antico. Le giovani adottano semplici abiti en-chemise, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del cingulum delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent'anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè.

Intorno a questo fulcro, illustrato da abiti, miniature, ventagli e accessori femminili, l'esposizione esplora il passato e il futuro. Al XIV e XV secolo riconducono i ricami dei monasteri femminili, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza, lavorati in lino su tela di lino naturale, dove il disegno, fatto di punti semplici ma ampiamente variati, è delineato soltanto da un contorno in seta colorata. Un tipo di lavoro che, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, si diffuse poi in ambito domestico laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini. In Italia, sui teli domestici perdurarono a lungo motivi decorativi di origine medievale tipicamente mediterranei, quali uccelli, castelli, alberi della vita, delineati in bianco sui manufatti in tela 'rensa', una tela rada e sottile, di cui due rari esemplari sono in esposizione, forse siciliani o sardi.

Tra XVI e XVII secolo nacque in Europa la lavorazione del merletto, che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle merlettaie veneziane e fiamminghe. Una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest'arte esclusivamente femminile, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in manifatture.

Nel XIX secolo, l'inizio della produzione meccanizzata causò la perdita di virtuosismo nell'arte manuale del merletto, virtuosismo che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili tele batista e sulle mussole dei fazzoletti femminili. Quattro splendidi esemplari illustrano l'alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che, a differenza di quello in sete policrome e oro dei grandi parati da arredo e liturgici e dell'abbigliamento, fin dal medioevo praticato anche dagli uomini, restò sempre un'attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.

L'esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l'abito da sposa, con un abito del 1970, corto, accompagnato non dal velo ma da una avveniristica cagoule, una scelta non scontata che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l'immagine della donna e il candore del bianco. La selezione di tessuti è accostata nell'allestimento a diverse opere di arte applicata, fra cui miniature, incisioni, porcellane, legature provenienti dalle collezioni del museo.

In occasione del nuovo allestimento delle collezioni tessili, Palazzo Madama propone un laboratorio di cucitura in forma meditativa a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo e 5 e 12 aprile 2025. Tutte le info sul sito. (Comunicato ufficio stampa Fondazione Torino Musei)




Opera senza titolo a tecnica mista su carta di cm 30.6x22.4 realizzata da Sandro Chia nel 2000 in una foto di Rolando Paolo Guerzoni con courtesy Galleria Mazzoli di Modena Sandro Chia. I due pittori. Opere su carta 1989-2017
22 febbraio (inaugurazione) - 15 giugno 2025
Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS - Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Protagonista della storia dell'arte contemporanea, Sandro Chia (Firenze, 1946) è stato tra i fondatori della Transavanguardia, il movimento teorizzato dal critico Achille Bonito Oliva sul finire degli anni Settanta. Il titolo della mostra a cura di Lorenzo Madaro - che richiama il titolo di importanti opere storiche dell'artista, una delle quali, Due pittori al lavoro - è un chiaro riferimento alla natura metamorfica dell'impegno di Chia, sempre orientato da un lato verso un avanzamento del lessico espressivo e dall'altro verso un rimaneggiamento costante e ossessivo delle immagini provenienti dalla storia dell'arte.

La mostra, che propone una ricognizione sistematica della sua produzione su carta con ben cento opere esposte, vuole essere un vero e proprio viaggio nel suo archivio intimo di immagini che l'hanno reso un maestro riconosciuto della pittura, esemplificando il suo immaginario denso di riferimenti alla storia dell'arte, ma anche di visioni ironiche e beffarde, oscillazioni tra corpi, simboli e allegorie dell'arte e della vita.

La mostra è parte integrante di un lavoro di ricognizione sugli anni Ottanta in Italia avviato dal curatore Lorenzo Madaro, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di belle arti di Brera di Milano. Per l'occasione sarà pubblicato un catalogo (Dario Cimorelli Editore) che accoglie il saggio del curatore, le fotografie delle opere in mostra, materiali d'archivio e una densa sezione di apparati scientifici biografici, bibliografici ed espositivi dell'artista redatti da Simone Melis, assistente curatore della mostra. La mostra è organizzata con il supporto di Galleria Mazzoli, Modena. (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)

Immagine:
Sandro Chia, (senza titolo), 2000, tecnica mista su carta cm 30.6x22.4cm, Foto Rolando Paolo Guerzoni, Courtesy Galleria Mazzoli, Modena




Opera di Anna Dormio nella mostra Trigger Anna Dormio
"Trigger"


08 marzo (inaugurazione) - 31 maggio 2025
Ass. Culturale beBOCS - Catania

Mostra a cura di a cura di Giulia Papa. La ricerca di Anna Dormio è rivolta alla manipolazione delle superfici e delle identità di oggetti e corpi. Attraverso la commistione di varie tecniche artistiche, prevalentemente pittura e fotografia, Dormio compie prelievi/appropriazioni di frammenti, scarti, brevi testi, appunti dimenticati o perduti, antiche fotografie, su cui apporta interventi pittorici o da cui derivano lente e continue accumulazioni, in grado di riconfigurare la loro identità e rigenerarne il senso. Un'azione affettiva e semantica con cui rielabora piccoli eventi originati dalla casualità, dalla perdita o dall'abbandono.

Anna Dormio si è laureata in pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce, città in cui ha fondato il collettivo artistico e project space Kunstschau. È attiva e impegnata nel panorama artistico contemporaneo in Puglia e in tutto il territorio nazionale. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di Giovanni Pintori per pubblicizzare la Olivetti Summa 15 Giovanni Pintori (1912-1999): pubblicità come arte
21 marzo (inaugurazione) - 15 giugno 2025
Museo MAN - Nuoro
www.studioesseci.net

A cura di Chiara Gatti e Nicoletta Ossanna Cavadini, l'esposizione monografica dedicata a Giovanni Pintori, maestro del graphic design italiano e internazionale, che ha legato il suo nome alla nascita della leggendaria immagine Olivetti, si inserisce nel percorso di ricerca che il museo MAN di Nuoro dedica agli autori nati sul territorio sardo e diventati protagonisti del panorama dell'arte mondiale. Il museo MAN di Nuoro, in collaborazione con il m.a.x. museo di Chiasso, con cui ha siglato un progetto integrato per la valorizzazione dell'autore, ne indaga oggi la ricerca attraverso una sorta di lungo "racconto grafico", evidenziandone la modernità del linguaggio e tutte le sue straordinarie scelte creative.

Trecento lavori, fra disegni e dipinti, bozzetti originali, maquette, pagine pubblicitarie di riviste, fotografie e manifesti, punteggiano cinquant'anni di attività premiata dalle più prestigiose istituzioni culturali del mondo: dalla Palma d'oro della Federazione italiana di pubblicità (1950) alla prestigiosa mostra del MoMA di New York (1952) - nel cui giardino Pintori costruisce una scultura pubblicitaria in ferro -, dall'esposizione al Louvre di Parigi (1955) al certificato di eccellenza dell'American Institute of Graphic Arts (1955), dalla Medaglia d'oro della Fiera internazionale di Milano (1956) all'Eight Annual Typographic Excellence Award del Type Director Club di New York (1962). Durante la prima seduta della neo costituita AGI - Alliance graphique Internazionale - Pintori fu nominato socio e poi divenne presidente per l'Italia dello stesso premio, mentre la celebre rivista giapponese "Idea" lo inserì nell'albo dei trenta designer piu` significativi del XX secolo, testimoniando così il suo talento e il suo successo raccolto a ogni latitudine.

Genio assoluto della grafica pubblicitaria, scelto da un capitano d'industria illuminato come Adriano Olivetti per veicolare in tutto il mondo il nome della sua azienda e dei suoi prodotti leggendari, dalla Studio 44 alla popolarissima Lettera 22, Pintori è riuscito mirabilmente a sintetizzare sempre, in ogni singola immagine, forma e contenuto. Luce, colore, composizione e gioco creativo costituiscono i suoi ambiti di ricerca principali, che conducono la sua grafica "alla ribalta come unicum metaforico della comunicazione", disse Paul Rand, il noto designer statunitense autore del logotipo di IBM.

Il ritmo veloce delle dita sui tasti di una macchina per scrivere, i caratteri in libertà, i meccanismi interni dei calcolatori trasformati in motivi dinamici e allegri, sono alcune delle cifre del suo linguaggio e di una vera e propria poetica della scrittura fatta di eleganza e ironia. «La grafica non è sottopittura» rispondeva Pintori a chi lo interrogasse sul linguaggio del segno, l'unico in grado, come sottolineato dall'amico poeta Vittorio Sereni, di «liberare le risorse latenti contenute nell'oggetto o prodotto che [...] viene proposto». La mostra ripercorre l'iter creativo e professionale dell'artista, mostrando il processo ideativo dal quale sono scaturiti i progetti che hanno caratterizzato la sua notevole carriera, che va dalla creazione di manifesti, alle locandine, corporate identity, logotipi per le imprese.

Giovanni Pintori nasce nel 1912 a Tresnuraghes (Oristano), da genitori originari di Nuoro, città dove la famiglia risiede a partire dal 1918. Dopo aver frequentato l'ISIA (Istituto Superiore Industrie Artistiche di Monza) assieme ai conterranei Salvatore Fancello e Costantino Nivola, nel 1936 inizia la collaborazione con l'Ufficio Tecnico Pubblicità Olivetti, del quale diventa responsabile nel 1940, legando il suo nome all'immagine della azienda di Ivrea in una lunga e fortunata serie di manifesti, pagine pubblicitarie, insegne esterne, stand. Nel 1950 ottiene il primo di un lungo elenco di riconoscimenti: la Palma d'Oro della Federazione Italiana Pubblicità e diventa Art Director dell'Olivetti, potendo godere della stima e del rapporto diretto con Adriano Olivetti. Nel 1952 il MoMA di New York organizza la mostra Olivetti: Design in Industry in cui sono esposti anche i lavori grafici di Pintori.

Nel 1953 entra a far parte dell'AGI (Alliance Graphique Internationale) di cui diventerà presidente. Nel 1955, durante l'esposizione al Louvre di Parigi, gli viene dedicata un'intera sala delle grafiche per Olivetti. Sempre nel 1955 gli viene conferito il Certificate of Excellence of Graphic Arts dell'AIGA (l'Associazione dei graphic designer statunitensi) e, l'anno dopo, la Medaglia d'Oro e il Diploma di Primo Premio di Linea Grafica e della Fiera di Milano. Nel 1957 ottiene il Diploma di Gran Premio alla XI Triennale di Milano e partecipa all'annuale mostra dell'AGI a Londra. Le sue immagini accompagnano numerosi articoli sull'azienda Olivetti, il suo design e la sua comunicazione fanno il giro del mondo comparendo in testate come Fortune (USA, 1953, 1957), Graphic Design (Giappone, 1967), Horizon (USA, 1969).

Nel 1962 (due anni dopo la scomparsa di Adriano Olivetti) Pintori ottiene un altro prestigioso riconoscimento internazionale: il Typographic Excellence Award del Type Directors Club di New York, seguito, nel 1964, dal Certificate of Merit dell'Art Directors Club di New York. Nel 1966 gli viene dedicata una grande mostra personale a Tokyo. Dopo il 1967, lasciata l'Olivetti per dedicarsi alla libera professione, collabora, fra gli altri, a progetti per Pirelli, Gabbianelli, Ambrosetti e Parchi Liguria. Nel 1981 inizia una collaborazione con l'azienda di trasporti Merzario, per la quale realizza la grafica dei bilanci annuali e delle pagine pubblicitarie. Dopo questa esperienza lascia la professione di grafico e si dedica completamente alla pittura. Giovanni Pintori muore a Milano il 15 novembre del 1999 e lascia un archivio documentario di fondamentale importanza per lo studio della grafica pubblicitaria legata all'industria nei 5 decenni che vanno dal 1930 al 1980.

La famiglia ha donato una parte dell'Archivio al MAN_Museo d'Arte Provincia di Nuoro e una parte consistente è oggi in comodato d'uso. Da questo lascito trae spunto l'esposizione, che indaga in particolare materiali dell'archivio privato quali schizzi, disegni, dipinti, fotografie, che restituiscono le passioni di Pintori condivise con artisti e cultori dell'arte in una lettura critica innovativa.

Il m.a.x. museo, inaugurato il 12 novembre 2005 su iniziativa della Fondazione Max Huber-Kono di Chiasso, dal 2010 è divenuto un'istituzione pubblica del Comune di Chiasso ed è membro dell'ICOM (International Council of Museums). La missione del m.a.x. museo è quella di divulgare la conoscenza della grafica, del design, della foto- grafia e della comunicazione visiva contemporanea. (Comunicato stampa Ufficio Stampa STUDIO ESSECI - Sergio Campagnolo)

Immagine:
Giovanni Pintori, "Olivetti Summa 15", Archivio Paolo Pintori, ph. Matteo Zarbo




Locandina della mostra Arcaico Moderno Futuro con sculture di Giuseppe Spagnulo Arcaico. Moderno. Futuro: Giuseppe Spagnulo
11 marzo (inaugurazione) - 20 giugno 2025
KROMYA Art Gallery - Lugano
www.kromyartgallery.com | www.csart.it

Omaggio a Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936 - Milano, 2016), uno dei più importanti scultori italiani della seconda metà del '900, capace di dare vita a opere potenti e dinamiche ispirate alla forza dei miti classici, reinterpretati attraverso un linguaggio contemporaneo. L'esposizione, inaugurata alla presenza del curatore, Luca Massimo Barbero, e dei rappresentanti dell'Associazione Archivio Giuseppe Spagnulo, che ha collaborato alla realizzazione del progetto.

«Espressione di una 'distanza zero' tra pensiero e azione plastica. Dal pensare allo scolpire. L'opera di Giuseppe Spagnulo si plasma attraverso l'incontro tre la materia e il fuoco. Un vitale e complesso corpo a corpo con il metallo e l'argilla che consegna all'arte contemporanea questi materiali in origine inerti tutta la potenza di una esistenza antica quanto lo è il mito classico», scrive Luca Massimo Barbero.

La mostra si apre idealmente con una porzione del tavolo da lavoro dell'artista, generoso custode di un pensiero progettuale che nasce già come materia. Una superficie piana sulla quale si materializzano concretamente, attraverso la terracotta, le meditazioni scultoree di Spagnulo. Il percorso espositivo comprende, inoltre, una ventina di opere - Carte, Ferri e Terre cotte - realizzate dal 1964 al 2013; lavori partecipi del medesimo istinto plastico attraverso cui l'artista ha indagato il mondo. Le Carte, trattate attraverso la stesura di ossidi ferrosi, carbone e sabbie vulcaniche, non sono mai studi o bozzetti preparatori, bensì opere a sé stanti, a cui appartiene una vigorosa fisicità che le rende a tutti gli effetti un corpo plastico.

Nelle sculture in ferro, in particolare dagli anni Settanta, la materia viene esibita senza sovrastrutture e appare carne. Materia erotica, come è stata definita dalla critica, solcata da un gesto potente e drammatico che ricorda i tagli di Lucio Fontana. L'argilla, conosciuta nel laboratorio di famiglia a Grottaglie e studiata a Faenza, interessa infine l'artista per la sua suscettibilità alle trasformazioni del fuoco, per il suo fendersi e lacerarsi, senza alcuna volontà di controllo totale. L'esposizione è accompagnata da una monografia disponibile in Galleria con il saggio critico di Luca Massimo Barbero e la documentazione fotografica dele opere esposte.

«La mostra di Giuseppe Spagnulo - conclude Tecla Riva, direttrice di KROMYA Art Gallery Lugano - si colloca all'interno di un percorso che abbiamo costruito nel tempo, presentando artisti operanti sulla materia e sul gesto. Insieme al curatore Luca Massimo Barbero e ad Andrea Spagnulo, presidente dell'Associazione Archivio Giuseppe Spagnulo, abbiamo studiato un allestimento volto ad esaltare la monumentalità e l'intensità delle opere del Maestro, anche nella piccola dimensione, offrendo altresì la testimonianza di un'importante esperienza scultorea del secondo '900 italiano ed europeo, tra spiccata innovazione e rispetto della tradizione». (Estratto da comunicato stampa CSArt - Comunicazione)




Una fotografia scattata da Francesca Cirilli nella mostra Durchgangsland-Terradipassaggio Francesca Cirilli
"Durchgangsland-Terradipassaggio"


11 marzo (inaugurazione) - 26 aprile 2025
Foto Forum Südtiroler Gesellschaft für Fotografie - Bozen/Bolzano
www.foto-forum.it

La mostra personale dell'artista Francesca Cirilli è nata dalla serie di residenze, ideate dal curatore Stefano Riba e organizzate da Foto Forum, tenutesi sul territorio del Comune di Fortezza nel corso del 2024. Il contesto geografico rappresentato dalle immagini di Cirilli e dell'approfondimento testuale di Riba, contenuto in una pubblicazione autoprodotta che sarà presentata in mostra, è racchiuso nei 15 chilometri della SS12 (strada statale dell'Abetone e del Brennero) che corrono tra Fortezza e Mules. Lungo questo breve tragitto è altissima la densità di tracce che raccontano la storia antica, moderna e contemporanea di un territorio che si è sviluppato attorno alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali costruite grazie a manodopera forestiera.

Partendo dal cantiere del tunnel di base del Brennero (che ha il suo campo base a Mules) e dai villaggi temporanei per gli operai (a Fortezza, Sachsenklemme e Mules), il progetto si espande in un racconto che amalgama diversi livelli storici, geologici, sociali. Nelle immagini di Cirilli e nel racconto testuale di Riba troviamo: la stele romana del dio Mitra e i resti della strada romana; la faglia periadriatica (punto di fusione tra la placca europea e quella africana) e l'antico confine tra le regioni "italiche" e quelle "straniere"; la costruzione della galleria ferroviaria più lunga al mondo, il forte e la ferrovia ottocenteschi, il lago artificiale di un secolo fa e l'autostrada degli anni '70.

Il percorso espositivo di Durchgangsland-Terradipassaggio presenta e racconta le presenze umane, architettoniche e infrastrutturali che, in questo territorio, sono emblema di forze e tempi contrastanti. A Fortezza e Mules le grandi opere (la fortificazione, la ferrovia, l'autostrada e ora il BBT) si contrappongono alla velocità del transito di persone e merci e delle comunità temporanee di lavoratori.

Il focus principale della mostra è dedicato ai villaggi temporanei e ai lavoratori e lavoratrici del tunnel di base del Brennero (BBT). Sarà presente anche il cantiere della galleria, tuttavia più che l'enormità dell'infrastruttura a Cirilli interessa il racconto delle persone e di come queste plasmano gli spazi in cui vivono e lavorano. Inoltre, è dedicata molta attenzione anche verso la rappresentazione dell'ambiente naturale, qui il costruito crea (o scava) spazi chiusi che fanno da contraltare al paesaggio alpino e agli spazi aperti. In generale, la mostra e l'approfondimento testuale vogliono stimolare la riflessione in merito alle trasformazioni del territorio in relazione alle contingenze storiche, culturali, ambientali e sociali che hanno plasmato il passato e danno forma al presente e al futuro.

Francesca Cirilli è fotografa, curatrice e docente. Suoi lavori sono stati presentati in musei, spazi espositivi e festival di fotografia in Italia e all'estero. Come fotografa freelance collabora con istituzioni e realtà artistiche e culturali, realtà non-profit e istituzioni pubbliche. È co-fondatrice e curatrice di JEST, spazio indipendente che promuove la fotografia contemporanea a Torino, attraverso mostre, residenze, progetti e attività formative. Dal 2012 insegna presso varie accademie e scuole (IED Torino, Centro Sperimentale di Cinematografia sede Piemonte, Accademia d'Arte Novalia) e in progetti di vario tipo. Laureata in Storia Contemporanea all'Università di Pisa e in Fotografia a IED Torino, sta attualmente completando un master in Visual Arts all'Università di Bologna.

Stefano Riba è curatore indipendente, insegnante, scrittore, project manager e allestitore. In quasi vent'anni di lavoro nel campo delle arti visive ha collaborato, a vario titolo, con: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Fondazione Merz e galleria Giorgio Persano a Torino e Museion a Bolzano. Come giornalista freelance ha scritto per Artribune, Exibart, Teknemedia, Il Manifesto, mentre come saggista ha pubblicato testi per volumi editi da Skinnerboox, Anonima Impressori, ArteSera e PrintAboutMe.

Nel 2012 ha fondato lo spazio espositivo no profit Van Der Gallery, attivo fino al 2019 tra Torino e Bolzano. Tra il 2014 e il 2018, ha ideato e organizzato "Passi Erratici", una serie di residenze d'artista sulle Alpi piemontesi e valdostane. Attualmente collabora con Ar/Ge kunst (produzione mostre e allestimento); Libera Università di Bolzano (docente a contratto presso la Facoltà di Design e Arti); Dipartimento Cultura Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano (membro della consulta culturale italiana dal 2019); SMACH Val Badia (progettista culturale, produzione mostre e allestimento) e Foto Forum (curatela mostre e, dal settembre 2023, membro del direttivo). (Estratto da comunicato stampa)




Bellissima Ester. Purim, una storia senza tempo
12 marzo - 15 giugno 2025
MEIS Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - Ferrara
www.meis.museum

Dopo il successo dell'edizione del 2024 presso il Museo Ebraico di Roma, arriva al MEIS di Ferrara con un allestimento arricchito da nuove opere e spunti inediti, l'esposizione dedicata alla festa ebraica di Purim, una celebrazione di gioia e di riscatto che affonda le sue radici nella figura biblica della Regina Ester. Curata da Amedeo Spagnoletto, Olga Melasecchi e Marina Caffiero, con la collaborazione di Sharon Reichel e l'allestimento firmato dall'Architetto Giulia Gallerani.

Suddiviso in quattro sezioni tematiche, il percorso di mostra si sviluppa attraverso opere d'arte rinascimentali, preziose pergamene e manufatti storici, che raccontano la straordinaria vicenda di Ester: una giovane donna capace di ribaltare il destino del suo popolo, sventando il piano del perfido Aman, consigliere del Re di Persia. Una storia di coraggio e determinazione che da secoli viene tramandata e celebrata con banchetti, travestimenti e rappresentazioni teatrali, e che pone al centro il ruolo della donna, indagando il tema del rovesciamento delle sorti e del riscatto del popolo ebraico.

«L'esposizione segue quattro filoni tematici che si intrecciano tra di loro - spiega il Direttore del MEIS Amedeo Spagnoletto - Prima di tutto, presentiamo un approfondimento sull'enigmatica e affascinante figura di Ester e sulla fortuna che ebbe nella tradizione pittorica rinascimentale; ma proponiamo anche un percorso dedicato alla festa con i suoi precetti e i suoi costumi. Il visitatore troverà poi un focus sul fenomeno dei Purim shenì, ossia le commemorazioni di altri eventi in cui gli ebrei sono miracolosamente scampati dal pericolo ed infine si confronterà con una lettura attuale, contemporanea e interattiva della festa realizzata grazie alle illustrazioni dal tratto moderno. Bellissima Ester sarà l'occasione per far incontrare un pubblico differente: adulti e bambini potranno giocare a reinterpretare la storia, ma anche approfondire arte, storia e storia sociale». (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Locandina della mostra Attraversamenti di Gianni Turin Gianni Turin
"Attraversamenti"


21 febbraio (inaugurazione) - 24 aprile 2025
Biblioteca statale Stelio Crise - Trieste

Gianni Turin sceglie per il proprio progetto artistico Trieste, essendo città di confine e ricca di culture. Il progetto diffuso nella città colloca le opere dell'artista in 9 luoghi simbolo del mondo laico, storico e religioso, per creare un filo conduttore che induca le varie sedi a dialogare. Per la prima volta, partecipano le tre grandi religioni (ebraica, cristiana, islamica). L'artista, per molti anni professore all'Accademia di Belle Arti di Bologna in Discipline pittoriche (da 2 anni in pensione), dal 2012 parte con un progetto artistico, consistente in un percorso di comunione fra il mondo laico e il mondo religioso, includendo la storia socio-economica del secolo passato, il XX, e l'attuale.

Nel passato il progetto ha trovato ospitalità a Bologna in una prima forma embrionale nel 2012, a Bassano del Grappa nel 2016, a Bologna nel 2017, a Venezia nel 2019 e, dopo un periodo di sosta causato dai prolungamenti della pandemia, nel 2025 a Trieste. Le opere di Gianni Turin si presentano come complessi assemblage costituiti da tele dipinte ad olio fuse a elementi di carattere fisico e scultoreo, come il simbolo dell'artista, la "testa non orante", o oggetti di recupero destinati a nuove identità, come una traversina dei binari della ferrovia riproposta come braccio della croce cristiana, oppure come i fili di un vigneto antico divenuti segno indelebile della memoria della Resistenza del '44. I lavori (opere mobili o site specific) dialogano con le sedi espositive e gli elementi conservati, con il fine di creare un concerto a più voci che evochi ciò che è stato, per far sì che la memoria sia utile all'emancipazione umana fondata sull'amore del dialogo e non sulla violenza. (Comunicato stampa)

___ Sedi espositive

- Biblioteca statale Stelio Crise
- Museo della Guerra per la Pace "Diego de Henriquez" (Comune di Trieste)
- Foiba di Basovizza - Centro di documentazione (Comune di Trieste)
- Museo della Comunità Ebraica di Trieste Carlo e Vera Wagner di Trieste
- Cattedrale di S. Giusto Martire (Diocesi di Trieste)
- Chiesa Sant'Antonio Taumaturgo (Diocesi di Trieste)
- Casa Vicco sede della Curia Vescovile (Diocesi di Trieste)
- Chiesa Luterana di Largo Panfili - (Comunità Luterana Valdese Centro Studi Albert Schweitzer)
- Associazione Culturale Islamica di Trieste e della Venezia Giulia




Opera a tecnica mista su tela di cm 170x160 denominata Stanza II realizzata da Sam Lock nel 2024 Opera a tecnica mista su pannello di cm 30x21 denominata Fraction 63 realizzata da Sam Lock nel 2024 Opera a tecnica mista su pannello di cm 150x150 denominata The Blue Tree realizzata da Sam Lock nel 2024 Sam Lock
"Stanza"


26 febbraio (inaugurazione) - 12 aprile 2025
Cadogan Gallery - Milano
cadogangallery.com

L'artista Sam Lock (Londra, 1973) presenta la sua terza mostra a Milano dopo la personale a Scalo Lambrate nel 2021 e la mostra inaugurale della sede milanese di Cadogan Gallery nel 2023. Attraverso più di settanta opere, con questa mostra Lock ripercorre alcuni temi portanti della sua poetica, come la trasposizione visiva del linguaggio, la dicotomia presenza-assenza e il legame tra il frammento e l'infinito. La materialità del linguaggio e il ritmo di narrazione, entrambi alla base della sua sensibilità artistica, invadono lo spazio e il titolo della personale, Stanza, richiama la definizione poetica di un gruppo di versi che fanno parte del medesimo componimento, riassumendo il legame tra le opere esposte.

Come i versi di una poesia, i lavori di Lock sono accomunati dalla stessa struttura: derivano dallo stesso rotolo di tela, ciascuno con segni, colori, somiglianze e differenze... per questo, le singole opere hanno rilevanza nella loro unicità, ma anche come le note di uno spartito, sprigionando nuovo significato quando vengono "lette" tutte insieme, come un unico corpus.

Il percorso espositivo si alterna tra due nuclei, il primo composto da cinque grandi tele accomunate dall'importante dimensione e dal processo creativo: partendo dal medesimo rotolo di tela grezza e servendosi di penna e inchiostro, Lock ha realizzato le tele tagliandole, tendendole e incorniciandole con alluminio. Questo ciclo di creazione ha portato alla nascita cinque opere dedicate a cinque momenti, o stanze, parte di un unico atto in cui si ritrova il tema del frammento e dell'infinito, del valore della singola opera e di quello corale dell'insieme.

Il secondo nucleo della mostra presenta invece un'installazione composta da 70 lavori, ognuno caratterizzato da segni, pennellate e aspetti differenti. Realizzati su carta composta da pannelli ricoperti di resina e poi levigati, i segni rimangono sospesi alla parete, in un gioco in cui si susseguono presenza e assenza, e danno l'impressione di assumere la forma di note o lettere. Solo leggendo l'intera installazione si coglie un unico racconto inedito, o meglio, come lo definisce lo stesso artista, una mappa dello sguardo (Map of Looking). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Sam Lock, StanzaII, 2024, tecnica mista su tela cm 170x160, Photo credit: Pietra Studio, Courtesy: Cadogan Gallery
2. Sam Lock, Fraction 63, 2024, tecnica mista su pannello cm l30x21, Photo credit: Pietra Studio, Courtesy: Cadogan Gallery
3. Sam Lock, The Blue Tree, 2024, tecnica mista su pannello cm 150x150, Photo credit: Pietra Studio, Courtesy: Cadogan Gallery




Fotografia di Henri Cartier-Bresson con Pier Paolo Pasolini scattata a Roma nel 1959 Henri Cartier-Bresson e l'Italia
14 febbraio - 02 giugno 2025
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to

Dopo le mostre dedicate a due grandi maestri della fotografia italiana e internazionale come Tina Modotti e Mimmo Jodice, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia inaugura il programma espositivo 2025. Curata da Clément Chéroux e Walter Guadagnini, la mostra su Henri Cartier-Bresson, l'occhio del secolo, propone un racconto dedicato al legame tra il fotografo francese e l'Italia, uno dei Paesi da lui più frequentati e amati. La mostra è scandita cronologicamente dai viaggi del fotografo attraverso il territorio, da Nord a Sud, dall'effervescenza e profondità che il paesaggio, soprattutto umano, del nostro Paese è stato in grado di trasmettergli, e dalla ricchezza delle testimonianze documentali capaci di raccontare, tra giornali, riviste e libri, le tappe del rapporto del Maestro con l'Italia.

Realizzata in collaborazione con Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l'esposizione presenta 160 immagini che si focalizzano su alcuni periodi centrali della carriera del fotoreporter a partire dagli anni Trenta: è proprio nel corso di questo primo viaggio che il fotografo, ancora giovanissimo, acquisisce nuove consapevolezze sulla sua carriera e definisce la cifra stilistica che lo renderà riconoscibile in tutto il mondo. Nato nel 1908 da una famiglia benestante, dopo aver studiato pittura con André Lhote, si introduce nel circolo surrealista parigino e nel 1932 visita l'Italia per la prima volta.

Nonostante sia all'inizio della sua carriera, Cartier-Bresson definisce in quel periodo alcune tematiche che caratterizzeranno tutta la sua produzione, come la straordinaria gestione dello spazio dell'immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l'istante. In particolare, all'interno di alcuni paesaggi urbani si nota un processo di geometrizzazione del reale che racconta di un uso mentale della macchina fotografica. Dopo aver fondato con Robert Capa, David "Chim" Seymour, George Rodger e William Vandivert l'agenzia Magnum Photos nel 1947 il fotografo torna in Italia nel 1951, in un Paese profondamente cambiato, reduce dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e in corso di ricostruzione.

In qualità di fotoreporter realizza servizi per diverse testate internazionali concentrandosi soprattutto su Roma e sul Sud Italia, due luoghi che presentano caratteristiche sociali e visive ben riconoscibili. Questi scatti documentano il disagio e le criticità del contesto sociale meridionale, ma anche la straordinaria ricchezza delle sue tradizioni e le novità introdotte dalla riforma agraria. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Cartier-Bresson lavora a numerosi servizi sulle città di Roma, Napoli e Venezia, nei quali si può apprezzare da un lato la sua capacità di interpretare la vita quotidiana delle città e dei loro abitanti, dall'altro la sua abilità di ritrattista anche degli intellettuali del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini e Giorgio de Chirico.

L'ultimo periodo italiano risale agli anni Settanta, poco prima di allontanarsi dalla fotografia professionale, quando il fotografo si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina e sull'industrializzazione in particolare del Sud del Paese. La mostra si chiude idealmente con il ritorno a Matera, per raccontare, negli stessi luoghi fotografati vent'anni prima, proprio la nuova realtà che avanza verso la modernità, rimanendo comunque aggrappata all'imprescindibile identità locale.

Immagini (da sinistra a destra):
1. Henri Cartier-Bresson, Pier Paolo Pasolini, Roma, 1959 © Fondation Henri Cartier




Opera RA-4 su carta emulsionata intrecciata e cucita con cotone di cm 108x103x1 denominata Entanglement 013 realizzata da Valentina De' Mathà nel 2015-16 Valentina De' Mathà
"Album di Famiglia"


26 febbraio (inaugurazione) - 30 maggio 2025 (aperta su appuntamento)
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Prima esposizione personale dell'artista italo-svizzera Valentina De' Mathà (Avezzano, 1981) ospitata nella sede luganese della galleria, a cura di Giuliana Montrasio e Beatrice Zanello. In mostra saranno esposte una ventina di opere dell'artista, alcune realizzate appositamente per questa personale, legate tra loro dal medesimo fil rouge: la memoria e il ricordo emozionale e l'inconscio collettivo.

L'arte di Valentina De' Mathà, abruzzese di nascita e ticinese di adozione, mira a esplorare la condizione umana e il concetto di memoria sia individuale sia collettiva in modo intimo e delicato. In mostra sono presentate due serie di lavori: gli "Entanglement", arazzi di carta fotosensibile raffinatamente intrecciata e cucita a mano, e la serie "Album di famiglia", poliesteri emulsionati e poi dipinti in camera oscura attraverso sovrapposizioni sperimentali ed imprevedibili di sostanze chimiche. In entrambe emerge chiaramente il lavoro intimista e introspettivo dell'artista che omaggia la fotografia e la tessitura come pratiche quotidiane e costanti del ricordare e del tramandare.

Le opere in mostra sono astratte narrazioni di uno stato emozionale, racconti evocativi di memorie e reminiscenze familiari. L'artista immagina album di famiglia, pagine di diario fitte di storie personali e intime confessioni e, ancora, libri come contenitori di memorie: "Ho voluto parlare dello stato emozionale che si prova riguardando le immagini del passato raccolte negli album di famiglia. È il ricordo che emerge dall'inconscio. Queste opere parlano di una memoria più emozionale che visiva: ho immaginato che fossero come dei rullini, dei negativi fotografici evanescenti e sbiaditi come spesso sono i contorni di certi ricordi mentre restano ben delineati alcuni dettagli che riemergono dall'inconscio ".

La fluidità dei ricordi, l'imprevedibilità della memoria inconscia e le sue sfaccettature sono figurate dall'artista in un gioco di trasparenza e lucentezza che muta con l'ambiente circostante, in una continua ricerca di luce. Attraverso i chiaroscuri, gli intrecci e le pieghe della carta, la luce scorre fluida sull'opera permeandola di duttile brillantezza e variandone i riflessi e le forme. In costante metamorfosi, le opere vivono e cambiano come eco della mutevolezza del mondo, dei sentimenti e della psiche.

Da sempre fortemente affascinata dalla pittura, il protagonismo e l'utilizzo della luce di Valentina De' Mathà si ispirano alle serie di quadri impressionisti in cui il medesimo soggetto veniva più volte rappresentato al variare dell'intensità della luce solare: "Se Monet cercava di fermare un attimo dipingendo l'incidenza della luce in diverse ore del giorno sullo stesso soggetto, le mie opere hanno la stessa funzione, ossia la ricerca di luce, ma nel mio caso nulla viene bloccato, è l'opera stessa a cambiare e reagire in base alla luce che la illumina, all'ambiente circostante, al fruitore che si riflette e si somma ad essa creando sempre una forma altra".

Con l'Impressionismo condivide anche la poetica dell'attimo fuggente, secondo cui ciò che ci circonda è in perenne movimento e in continuo divenire: la luce varia ad ogni istante modificando gli oggetti che si spostano nello spazio alterandosi in uno stato mai definitivo. È l'idea della mutevolezza, dello scorrere del tempo nello spazio fisico e mnemonico, della luce che evolve, della fluidità delle forme che via via perdono definizione per dar risalto all'impressione e all'emozione.

Fortemente ispirata dal filosofo e antropologo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico, Valentina De' Mathà abbandona le forme reali per immergersi nell'inconscio e nella memoria sia individuali che collettivi. Come teorizzato da Jung, esistono infatti nell'essere umano una serie di memorie emozionali che emergono da un inconscio collettivo attraverso immagini simboliche ed evocative. Si tratta di una serie di ricordi e reminiscenze arcaiche e primitive, di impronte tramandate da un inconscio comune che chiedono di essere interpretate affinché la memoria individuale possa dipanarsi e ricostruirsi.

Queste tracce, sebbene profondamente recondite, possono emergere in varie forme quali il sogno, l'arte o la mitologia permettendo al ricordo di divenire una possibile via d'accesso alla saggezza ancestrale e dunque al conseguente processo di individualizzazione. Individuo e collettività dunque coesistono nelle opere di Valentina De' Mathà che delinea un viaggio in esplorazione della memoria intrecciando e accostando elementi individuali, collettivi e inconsci mediante stati emozionali ed onirici. I medium e le tecniche utilizzate -la fotografia, la carta e la tessitura- rispecchiano una precisa scelta dell'artista che mira a mantenere una forte coerenza tra la poetica artistico-concettuale e la modalità espressiva.

Le opere sono realizzate in camera oscura attraverso una serie di procedimenti chimici sperimentali volutamente non del tutto controllati (come incontrollabile è l'inconscio) in modo da ampliare le possibilità di creazione ed evitare una limitata calibrazione del segno. In questo modo l'artista non circoscrive la propria narrazione ad una lettura univoca ma utilizza l'imprevedibilità per rivolgersi all'universale. Questo processo richiama la psicoanalisi dell'onirico: "Quando si sogna si smargina la causalità, si smargina il principio di non contraddizione, di spazio-tempo e si annulla il nostro Io" (U. Galimberti).

Rivelandosi fin dalla giovane età una fotografa compulsiva, la carta fotosensibile è scelta e utilizzata da Valentina De' Mathà in modo paradossale: se da una parte infatti è un mezzo che comunemente viene usato per imprimere e definire i propri ricordi, dall'altra permette di sperimentare l'indefinibile grazie alla sua capacità di reagire alle sostanze chimiche e alla luce in maniera imprevista e inattesa. Attraverso questa tecnica lavorativa, Valentina De' Mathà utilizza la casualità per smarginare la causalità, distruggendo quella ossessiva barriera di controllo insita nel cervello umano. "Album di Famiglia" è un racconto intimo ed emozionale che si snoda tra arazzi, sculture e carte emulsionate in cui i vasti colori e la luce che li pervade si intrecciano e alternano in un ponderato equilibrio di contrasti. (Comunicato stampa)

Immagine:
Valentina De' Mathà, Entanglement 013, 2015/16, RA-4 su carta emulsionata intrecciata e cucita con cotone, cm. 108x103x1




Manifesto pubblicitario su Agrigento realizzato da Marcello Nizzoli nel 1928 proveniente dal Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso Visitate l'Italia!
Promozione e pubblicità turistica 1900-1950


13 febbraio - 25 agosto 2025
Palazzo Madama - Museo Civico d'Arte Antica di Torino
www.palazzomadamatorino.it

Un racconto inedito sull'avvincente storia della promozione turistica italiana, dalla fine dell'Ottocento ai primi anni della ricostruzione dopo il Secondo conflitto mondiale, attraverso duecento manifesti, centinaia di guide e pieghevoli illustrati, accompagnati da tanti oggetti iconici. A cura di Dario Cimorelli e Giovanni C.F. Villa, Direttore di Palazzo Madama, e con un allestimento di Emilio Alberti e Mauro Zocchetta.

L'esposizione ripercorre l'evoluzione del manifesto turistico attraverso i grandi protagonisti dell'illustrazione italiana dell'inizio del Novecento. Dalle prime testimonianze pubblicitarie firmate da importanti nomi, quali ad esempio Leopoldo Metlicovitz e il giovane Marcello Dudovich, a cui si affiancano artisti come Ettore Tito, Ettore Ximenes, Galileo Chini, fino alla nascita nel 1919 dell'ENIT, l'Ente Nazionale per l'incremento delle industrie turistiche, con il quale le commissioni iniziano a seguire regole diverse. Da questo momento si inizia infatti a privilegiare l'affidamento di campagne promozionali plurisoggetto a uno stesso illustratore - tra questi ad esempio ritroviamo Mario Borgoni, Giovanni Guerrini, Marcello Nizzoli e Virgilio Retrosi - oppure a esecutori rimasti anonimi spesso legati alle tipografie.

Il percorso espositivo si sviluppa in cinque grandi sezioni che consentono un viaggio nella creazione dell'immaginario italiano. Partendo dalle Alpi e seguendo la dorsale appenninica, si giungerà alla meraviglia delle nostre isole per poi risalire l'Italia delle acque termali, del mare e delle spiagge, del divertimento e dello sport, della salute e della Belle Époque, alla scoperta di quello che diventerà il mito dell'Italia del secondo dopoguerra.

Si parte dalla fine del XIX secolo, quando la crescita del commercio e dell'industria, insieme al progressivo benessere del giovane Paese unitario, trovano un valido sostegno nella nascita e nel consapevole utilizzo di nuovi strumenti pubblicitari e di promozione. Nasce così il manifesto, che ben presto diventa uno dei mezzi di maggiore efficacia anche in questo settore, capace di saldare in immagini e parole i capisaldi della creatività italiana, dando un impulso fondamentale alla promozione turistica. Al passaggio tra Ottocento e Novecento località balneari delle Riviere romagnola e ligure, rinomate cittadine montane e lacustri diventano protagoniste di campagne pubblicitarie che, dai muri delle città, echeggiano e anticipano stagioni estive e invernali.

Con il suo sviluppo, il manifesto turistico diviene simbolo dell'immaginario del nostro Paese, dando vita a opere iconiche capaci nel tempo di connettere indelebilmente i ricordi dei viaggiatori di tutto il mondo. Una parabola che parte dalla tradizione del Grand Tour e ha in Johann Wolfgang von Goethe un protagonista in grado di rendere il Bel Paese un fenomeno di moda europeo fin dall'uscita, nel 1816, dei due volumi del Viaggio in Italia, divenendo di fatto il primo travel blogger dell'era moderna e aprendo la via a due secoli di successo del turismo in Italia.

Se sull'onda del viaggio culturale i luoghi inizialmente più ricercati sono i monumenti e le rovine dell'antichità - con Roma, Pompei e la Sicilia a divenire protagoniste assolute -, lo sviluppo dei mezzi di trasporto, primo tra tutti la ferrovia, porta all'Italia una posizione di preminenza a livello europeo, affacciandosi verso un turismo di massa che si rivolge anche oltreoceano, con l'alta borghesia americana che invade lo Stivale e mete quali Capri e Ischia trasformati in veri santuari della vacanza di lusso.

Agli inizi del Novecento il turismo comincia ad avere un peso importante nell'economia italiana e, dopo il drammatico arresto causato dalla Prima Guerra mondiale - che riduce ai minimi termini l'affluenza verso i luoghi turistici e le sue diverse forme di promozione - l'istituzione dell'ENIT consente all'Italia di progettare il riavvio dell'economia del paese e, conseguentemente, anche quella del turismo. L'Ente Nazionale per l'incremento delle industrie turistiche - strettamente legato alle Ferrovie dello Stato - è fortemente voluto dal Touring Club Italiano ed è preposto alla promozione, alla gestione e al coordinamento dell'attività turistica e alberghiera dipendente dal Ministero dell'Industria, Commercio e Lavoro. Un ente capace di portare nuovo sviluppo alla promozione del turismo in Italia e all'estero, ampliando significativamente la riflessione sulle cosiddette attrazioni turistiche italiane.

Nel corso degli anni l'ENIT sostiene un'intensa attività pubblicistica con opuscoli, dépliant, cartine geografiche e manifesti, promuovendo le località e gli eventi artistici e sportivi. La rinascita del turismo italiano è così affidata all'arte pubblicitaria in quella che diverrà l'epoca d'oro del manifesto. Un'illustrazione più duttile, economica e facilmente riproducibile della fotografia, cui spetta il compito di evocare con la grafica le destinazioni più affascinanti. Sono gli anni in cui vedono la luce alcuni tra i manifesti più iconici della pubblicità italiana: le vedute di Capri, Ischia, Pompei e Napoli a opera di Mario Puppo; i panorami di Portofino di Leonetto Cappiello; le Rimini e Padova di Marcello Dudovich. Autori di raffinatissime interpretazioni di un'Italia che diviene un coloratissimo caleidoscopio di luoghi desiderabili e di immagini capaci non solo di proporre una destinazione, ma anche un modo di vivere, un'esperienza totalizzante. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con i saggi dei curatori e di Anna Villari.

Trent'anni separano la prima e l'ultima immagine del video in mostra Visitare l'Italia!. Primi anni Venti del Novecento, operai al lavoro: ponti, strade, impianti diventano i simboli del rapido completamento dell'unificazione d'Italia e del suo ammodernamento. Primi anni Cinquanta: turisti si mettono in posa per una foto di gruppo. In mezzo, l'Italia turistica e delle nuove forme di svago collettivo: mare, lago, montagna, città d'arte. Gli sport acquatici, quelli invernali, le arrampicate estive, le gare motoristiche. La moda che si adegua, il costume - e i costumi - che cambiano. E a fare da filo conduttore, l'impatto dell'infrastrutturazione viaria e ferroviaria, che porta nuovi flussi di villeggianti ed escursionisti dalle città alle grandi spiagge, alle vette, ai lungolago.

Fino al dopoguerra, e alle prime forme di vero e proprio turismo di massa, anche internazionale: con l'Italia che torna ad essere meta privilegiata, preparandosi a incarnare, qualche anno più tardi, il grande sogno della Dolce Vita. Il video, curato da Jacopo Bulgarini d'Elci, esplora tutti questi aspetti, ricorrendo a fonti video-documentarie d'epoca provenienti dall'Archivio Storico Luce. Musiche del periodo accompagnano la selezione di decine di documenti visivi (dal 1922 al 1954). (Comunicato stampa)

Immagine:
Marcello Nizzoli (1887-1969), "Agrigento", 1928, Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso




Sala della Tim Van Laere Gallery con opera di Bram Demunter Bram Demunter
"Swift as a Whirlwind, Through the Marble Sky"


termina lo 03 maggio 2025
Tim Van Laere Gallery - Roma (Palazzo Donarelli Ricci)
www.timvanlaeregallery.com

Terza mostra personale di Bram Demunter (Kortrijk - Belgio, 1993) da quando si è unito alla Tim Van Laere Gallery nel 2019, nonché la sua prima mostra nel nostro spazio romano. L'artista presenta in questa esposizione una nuova serie di dipinti e disegni. Il lavoro di Bram Demunter si distingue per la sua capacità di intrecciare miti, storia e narrazione personale. Una delle sue caratteristiche più sorprendenti è l'uso di motivi visivi che collegano mondi apparentemente distanti.

Figure del mito classico, come dei, eroi e mostri, emergono da o interagiscono con i simboli della vita contemporanea, creando una tensione dinamica che mette in discussione la linearità della storia, offrendo un dialogo tra epoche diverse che invita a una comprensione più fluida e interconnessa dell'esperienza umana. Le pennellate di Demunter, ricche di texture e colori vivaci, sembrano riflettere questa complessità. Creano un senso di movimento ed energia, che evoca tanto il tumulto delle antiche battaglie quanto i momenti di quiete della riflessione personale. Il risultato è un'opera che si percepisce simultaneamente senza tempo e immediata, intrisa di storia ma anche indiscutibilmente moderna nelle tematiche.

Ciò che rende affascinante l'approccio di Demunter alla narrazione è la sua abilità nel bilanciare il monumentale con l'intimo. I suoi dipinti non raccontano solo storie di eroismo o tragedia, ma creano anche spazi in cui le emozioni e le esperienze individuali trovano voce. Attraverso la fusione di temi mitici e simbolismi personali, invita gli spettatori a riflettere sul proprio posto all'interno di queste grandi narrazioni e, forse, li ispira a trovare significato nei miti non raccontati delle loro stesse vite.

In questa nuova serie di dipinti, Bram Demunter esplora numerose tracce di figure mistiche come Mad Meg e storie epiche come Beowulf, Paradise Lost e Don Chisciotte. Come questi racconti, anche le sue opere rivelano il caos e l'assurdità dell'esistenza umana, mettendo in evidenza il nostro impatto sul mondo naturale. L'essenza del lavoro di Bram Demunter risiede nella sua profonda esplorazione della condizione umana, focalizzandosi su temi come la trasformazione, il conflitto interiore e la complessa relazione tra l'umanità e il mondo naturale. I suoi dipinti evocano spesso la tensione tra l'aspirazione umana e le forze travolgenti della natura, rappresentando sia la fragilità che la potenza dello spirito umano in un mondo segnato da lotte ambientali ed esistenziali.

L'arte di Demunter esplora la condizione umana attraverso una visione sfumata della psiche, dove gli individui si trovano a navigare nel caos dell'esistenza, affrontando forze interne ed esterne che plasmano le loro identità. In questo contesto, l'uso di figure mitiche e letterarie, come Beowulf, Don Chisciotte e Mad Meg, non le riduce a simboli di eroismo o follia, ma le presenta come riflessi della vulnerabilità umana e della costante ricerca di significato in un mondo che spesso appare incomprensibile. In queste figure, Bram Demunter esplora aspetti universali della condizione umana, come il desiderio di scopo, la lotta contro i propri limiti e le conseguenze dell'ambizione, sia personale che collettiva.

Le sue rappresentazioni distorte, spesso surreali, suggeriscono che la ricerca dell'eroismo o dell'identità è intrinsecamente carica di pericoli. Le figure epiche che dipinge non sono semplicemente guerrieri trionfanti o incarnazioni di una volontà inespugnabile, ma individui segnati dal dubbio, dal dolore e dalla frammentazione interiore. Queste figure vengono spesso collocate in paesaggi che sembrano inospitali e opprimenti: cieli turbolenti, terreni frastagliati o corpi colti in un movimento violento. Questi scenari sottolineano la precarietà del loro posto in un mondo imprevedibile, riflettendo la nostra vulnerabilità di fronte a forze che vanno oltre il nostro controllo. Che si tratti di forze naturali, sociali o esistenziali, il dialogo tra l'umanità e un ambiente ostile diventa una riflessione sulla condizione umana, intrisa di incertezze e sfide costanti. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Disegno a ricamo su carta da lucido in matita con filo cotone e cornice in resina di cm 22x17 denominato Manipolatrice realizzato da Alice Schivardi nel 2022 Trittico con tessitura di cm 67x50 ognuno denominato Conscio Preconscio Inconscio realizzato da Luisa Lanarca nel 1980 circa Dipinto in acrilico e pigmenti naturali di cm25x20 denominato Reconvexo realizzato da Luciana Pretta nel 2025 Alice Schivardi, Luciana Pretta, Luisa Lanarca
"Tre artiste a confronto - Quando filo, colore, parola s'intrecciano"


Alice Schivardi: 19 febbraio (inaugurazione) - 08 marzo 2025
Luciana Pretta: 12 marzo (inaugurazione) - 29 marzo 2025
Luisa Lanarca: 02 aprile (inaugurazione) - 19 aprile 2025
Maja Arte Contemporanea - Roma
www.majartecontemporanea.com

Un ciclo di tre mostre a cura di Giovanna Dalla Chiesa, che mette a confronto il lavoro di tre artiste alla loro prima collaborazione con la Galleria: Alice Schivardi, Luciana Pretta e Luisa Lanarca.

Come osserva Giovanna Dalla Chiesa: "L'arte della pittura, nella sua ricchezza, ci ha abituato a una tale sovrapposizione di elementi da nascondere la funzione di ciascuno di essi a profitto della rete di significati che ne sostiene globalmente l'insieme. In questa mostra, che sembra fatta apposta per sottolineare i contorni di una costellazione femminile, a ciascuna delle tre artiste è affidato il ruolo di sostenere integralmente la funzione di uno di essi sullo sfondo di un sottile rinvio alla pittura: ad Alice Schivardi il potere del filo, che nei suoi 'disegni a ricamo' prende il posto della matita o della penna per tracciare figure che si librano nell'aria grazie ai supporti trasparenti marcando la dimensione aerea e infinita dello spazio, quanto la sua concentrazione in piccoli dettagli; a Luciana Pretta lo scorrere delle emozioni nelle distese di colore che scivolano come una coltre liquida da cima a fondo, da cielo a terra, simulando la tettonica di un ambiente morbido e accogliente capace di avvolgere il nostro spazio come fanno gli arazzi; a Luisa Lanarca il compito d'intrecciare filo, colore, luce, chiamando in causa la parola poetica attraverso l'arte della tessitura, sino a trasformarla in un'invocazione, trascritta secondo i canoni delle insegne e delle affiches di fine Ottocento.

Il 'quando' del titolo, vuole indicare non una modalità generale del filo, del colore e della parola, ma il frangente specifico e l'evento particolare in cui le cose avverranno non solo per le artiste, ma per i visitatori che vedranno e saranno chiamati a interpretare le tre differenti personali di due settimane ciascuna, intrecciandone i fili, per farne emergere le variabili in un sostrato comune."

Alice Schivardi (Erba - Como, 1976) ha frequentato il corso dell'artista Alberto Garutti all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano diplomandosi con una tesi su Louise Bourgeois. La frequentazione con diversi artisti le ha permesso di approfondire il disegno come metodo d'indagine e di sperimentare continuamente materiali e tecniche, accumulando una molteplicità di esperienze sia in ambito lavorativo che umano e sociale. Ha partecipato a numerosi premi. Tra le sue mostre personali più recenti: "Corvi o colombe?" (performance), Nuvola di Fuksas, Roma (2023); "Alice in Chains", Todi (2023). Ha inoltre partecipato a mostre collettive presso il Museo Pecci di Prato, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Richard Saltoun Gallery di Londra, l'Auditorium Parco della Musica di Roma e l'American Academy in Rome. Ha preso parte a manifestazioni internazionali d'arte, tra cui "Manifesta 12" (Palermo, 2018), "I Martedì critici" a Roma e "TEDx women Navigli" a Milano (2021).

Luciana Pretta (Vitória da Conquista - Bahia, Brasile 1980), Luciana dos Santos - soprannominata familiarmente Pretta ("nera"), per il colore dei suoi capelli - è un'artista che vive e lavora in Italia. Si è diplomata in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, completando poi gli studi con la Laurea in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Roma. Ha inoltre frequentato corsi presso la Scuola di Belle Arti dell'Università Federale di Bahia, in Brasile. Il suo lavoro esplora temi legati alla memoria, all'identità e alla relazione tra passato e presente, attraverso un uso intenso del colore e materiali di recupero. La sua pratica integra elementi naturali e organici - come pigmenti, oli essenziali e cotone grezzo - sottolineando un impegno per la sostenibilità e la consapevolezza ambientale. Ha partecipato a numerose mostre.

Luisa Lanarca (Roma, 1957) si è formata tra Roma - dove ha frequentato il III Liceo Artistico e, successivamente, il prestigioso Laboratorio Tessile di Laura Marcucci Cambellotti (1975) - e Milano, dove ha studiato Percezione Visiva e Teoria del Colore con Luigi Veronesi presso la Nuova Accademia di Belle Arti. Sino al 1986 ha affiancato l'attività artistica a un intenso impegno didattico, collaborando con il Comune di Reggio Emilia per l'introduzione delle tecniche tessili nella didattica. Ha inoltre tenuto corsi di tessitura. Da anni ha scelto una vita appartata, lontana dalle convenzioni sociali, guidata dalla ricerca di libertà e da un profondo legame con le leggi naturali e cosmiche. La lettura - con Thoreau ed Emily Dickinson tra i suoi principali riferimenti - e la tessitura costituiscono il fulcro della sua esistenza, insieme ai suoi telai e al suo fedele cane Mosé. Numerose le mostre personali e collettive. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Alice Schivardi, Manipolatrice, 2022, disegno a ricamo su carta da lucido, matita, filo cotone, cornice in resina cm. 22x17
2. Luisa Lanarca, Conscio Preconscio Inconscio, 1980 circa, trittico con tessitura di cm. 67x50 ognuno
3. Luciana Pretta, Reconvexo, 2025, acrilico e pigmenti naturali cm25x20




Opera dei Andrea Martinucci Andrea Martinucci
"5 Secondi"


Fondazione Baruchello - Roma
15 febbraio (inaugurazione) - 18 aprile 2025
www.fondazionebaruchello.com

Mostra a cura di Serena Schioppa. Per l'occasione, l'artista propone una serie di lavori inediti, realizzati appositamente per gli spazi della Fondazione. In una società dominata dall'ipervelocità, 5 secondi invita a riflettere su un lasso di tempo brevissimo. Un'occasione in cui considerare la possibilità di fermarsi e rallentare, fino a perdere il controllo. È quello che accade nell'installazione che dà il titolo alla mostra, in cui viene documentata un 'azione compiuta dall'artista nello spazio pubblico. Al centro del racconto, scomposto in centoventi fotogrammi, si colloca un gesto apparentemente insignificante - una caduta - destinato a cambiare radicalmente lo stato delle cose.

Andrea Martinucci (Roma, 1991) ci invita a guardare la quotidianità ponendo attenzione a ogni piccolo dettaglio, per lasciare spazio a un'interpretazione del presente dove l 'impossibile e l'onirico possono irrompere in modo imprevedibile. La riflessione si estende nelle altre opere presenti nello spazio[CS1]: tre dipinti di grandi dimensioni - presentati per l'occasione sotto forma di trittico - dove un'apparizione fulminea prende il posto del reale e l'ordinario lascia spazio all'assurdo.

Le tematiche della mostra saranno approfondite attraverso un programma pubblico dedicato. Il primo appuntamento, in programma per l'inizio di marzo 2025, include la presentazione del progetto editoriale omonimo, curato da Lisa Andreani e Arbor Editions. Il secondo evento, organizzato in collaborazione con lo spazio no-profit IUNO e curato insieme a Ilaria Gianni, Cecilia Canziani e Giulia Gaibisso, è previsto per la fine di marzo 2025. Maggiori dettagli saranno pubblicati sui canali di comunicazione della Fondazione e degli enti coinvolti. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di Carlo Ciussi nella mostra Una danza di tracce e colori Carlo Ciussi
"Una danza di tracce e colori"


25 febbraio (inaugurazione) - 29 aprile 2025
Galleria A arte Invernizzi - Milano
www.aarteinvernizzi.it

Mostra personale, a cura di Lorenzo Madaro, in cui vengono presentate opere realizzate tra il 1983 e il 1990. La mostra conferma l'attenzione nei confronti di un artista fondamentale per le ricerche della storia dell'arte italiana del secondo Novecento a cui A arte Invernizzi ha dedicato numerosi progetti, tra mostre personali nei propri spazi e nelle istituzioni museali - come alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia - e mostre corali, oltre ad alcuni progetti editoriali.

Il focus si concentra su una specifica fase del lavoro di Ciussi (Udine, 1930-2012) con circa venti opere di medio e grande formato e opere su carta della medesima fase dell'indagine pittorica. In questi lavori l'artista mette da parte la sistematicità di una astrazione geometrica e la modularità che dagli anni Sessanta ha verificato con impegno inesausto per poi sfociare a esiti più aperti e disinvolti che sono proprio quelli raccolti nel percorso espositivo, in cui dalle tele rettangolari e ovali dalla grossa grana spuntano forme e segni sinuosi, aperti, che con il passare degli anni, nelle tele intorno al 1990, si intrecciano tra loro in una danza di tracce e colori in grado di mutare di volta in volta.

Le mostre - in particolare l'antologica di Casa Cavazzini dei Civici Musei di Udine nel 2011, dedicata alla complessità del suo percorso nelle viscere interne della pittura (anche se l'indagine di Ciussi ha riguardato, tra l'altro con esiti molto felici, anche la scultura e gli interventi in dialogo l'architettura) - hanno rivelato quanto gli anni più tardi del suo lavoro coincidano con una nuova fase in cui convivono sensualità e controllo, come già appuntava Gillo Dorfles in un suo saggio dedicato proprio a questo ciclo in cui, come spesso accadeva per le opere del maestro, i titoli altro non erano che le numerazioni romane in ordinata successione. Una scelta, questa, che chiaramente ha un significato intrinseco, perché evidenzia da un lato l'assenza assoluta di ogni specifico riferimento della sua pittura nella ragione tangibile delle cose e dall'altro la costante e imperterrita ricerca indicata proprio dalla successione di un ordine numerico solo apparentemente asettico.

Le strisce ben demarcate di volta in volta perdono la loro consistenza geometrica e fluida per diventare puro segno, in grado di spargersi nello spazio per coincidere con la voluttuosità della pennellata: mettendo pertanto da parte le geometrie degli esordi e tutto il discorso portato avanti negli anni Settanta intorno a una pittura legata alla percezione delle forme, questi lavori di Ciussi confermano quanto tutta la sua indagine sia una ossessiva, vigilata e colta esperienza di metamorfosi costante di un segno felice e nomade. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un testo critico di Lorenzo Madaro, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, la riproduzione delle opere esposte e un aggiornato apparato bio-bibliografico. (Comunicato stampa)




Maddalena e la Croce Maddalena e la Croce. Amore Sublime
05 aprile - 13 luglio 2025
Museo Civico di Santa Caterina - Treviso

A cura dei Civici Musei, è una mostra che affronta temi universali quali passione, sofferenza, devozione, redenzione, amore. E lo fa attingendo alle interpretazioni che nei secoli grandi artisti hanno saputo elaborare intorno alle figure di Cristo e Maria Maddalena, esplorandone lo straordinario potenziale emotivo. La mostra non si limita a raccontare il sacro ma comprende e trascende la storia evangelica per farne una esperienza universale, capace di toccare corde profonde dell'animo umano. Le figure di Cristo e della Maddalena diventano così specchi della condizione umana, crogiolo in cui si fondono dolore e speranza, emozione e riflessione. Ognuna delle oltre cento opere riunite in questa straordinaria mostra - tra esse molti capolavori della storia dell'arte - stimola a penetrare i misteri più profondi del nostro sentire ed essere.

Tra i capolavori, citiamo ad esempio le miniature bolognesi della straordinaria "Bibbia di San Paolo", fino alla alla grande pittura rinascimentale, con Bellini, Jan Polack, Tiziano, Paolo Veronese, Jacopo Bassano, Giampietrino, Palma il Giovane, Guercino per giungere a Bernardo Strozzi, Ludovico Carracci, Carlo Saraceni, Domenico Tintoretto, Sebastiano Ricci, Mattia Bortoloni, Rutilio Manetti, Antonio Canova, Gaetano Previati, Mosè Bianchi, per approdare ad Alberto Martini, cui è riservato un omaggio, nel suo Centenario.

Nelle dodici sale per altrettante sezioni si è condotti a intraprendere un doppio viaggio: innanzitutto nella creazione artistica e nel tempo, per seguire l'evoluzione che l'arte ha compiuto nel raccontare quell'Amore Sublime. Accanto a un secondo, parallelo ma più personale ed intimo: Maddalena diventa archetipo di una spiritualità universale che supera il credo. Tutti siamo chiamati a immedesimarci nel percorso fatto dalla santa che diventa un modello: dalla difficoltà e la caduta, alla conversione, fino alla redenzione. Un esempio di spiritualità certo, ma soprattutto di speranza, fiducia e amore.

La ricca mostra vedrà l'esposizione di opere che attraversano i secoli, dal Duecento al Novecento, a conferma del fascino che la tematica ha sempre rivestito nelle arti figurative e a riprova dell'universalità del tema, capace di rinnovarsi continuamente nella mente e nello spirito degli artisti di tutta Europa. A trasmettere l'intensità del dramma salvifico della Crocefissone concorre un nucleo di sculture lignee, paramenti e raffinate oreficerie del primo Rinascimento, patrimonio, per quanto riguarda la scultura lignea, proveniente dei Civici Musei Trevigiani. Capolavori che, restaurati, vengono finalmente svelati al pubblico, a confermare come le Collezioni Civiche di Treviso siano tra le più significative del nord Italia relativamente alla scultura lignea. Accanto ad essi, decine di altri prestiti eccezionalmente concessi da musei italiani e stranieri.

La narrazione attorno a Maria Maddalena offre una straordinaria panoramica sull'evoluzione della sua iconografia. Questa figura iconica, simbolo di peccato e redenzione, oscillante tra spiritualità più profonda e sensualità terrena, viene interpretata da generazioni di artisti, che ne hanno catturato sfumature emotive e spirituali in modi sempre nuovi ed affascinanti, raccontandone la complessità, e rivelando come, nei secoli, Maria Maddalena sia diventata il ponte tra il sacro e l'umano, tra divino e terreno". Ogni opera in mostra invita a un viaggio intimo e contemplativo, che supera le barriere del credo e si fa portavoce di una spiritualità universale, in cui la dimensione umana si intreccia con quella divina, svelando i misteri più profondi della nostra esistenza. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)




Una stanza della Fondazione Maria Cristina Carlini Apre la Fondazione Maria Cristina Carlini
Un nuovo centro dell'arte contemporanea a Milano


Inaugurazione
22 gennaio 2025
www.mariacristinacarlini.com

La Fondazione Maria Cristina Carlini apre ufficialmente le porte al pubblico sotto la direzione scientifica di Flaminio Gualdoni, critico e storico dell'arte, profondo conoscitore della scultura contemporanea. Lo spazio si propone come luogo d'incontro, studio e conservazione, con l'obiettivo di valorizzare il vasto patrimonio artistico e documentale dell'eclettica carriera di Maria Cristina Carlini, che abbraccia oltre cinquant'anni di attività artistica. La Fondazione no-profit, nata in un quartiere molto caro all'artista, si pone in dialogo con realtà istituzionali e internazionali e vuole essere un punto di riferimento dedicato a studiosi, appassionati, giovani artisti e a coloro che intendono ampliare la propria conoscenza, nell'ambito della scultura.

La sede è concepita come uno spazio multifunzionale che permette di ammirare le opere di Maria Cristina Carlini, distribuite tra l'area interna e il giardino esterno. Nel calendario sono previsti eventi, conferenze e mostre temporanee, tutti volti a promuovere un dialogo vivace e interattivo sull'arte contemporanea, in linea con la espressione artistica di Maria Cristina Carlini. È presente un archivio in costante aggiornamento, nel quale è consultabile l'intera produzione della scultrice, a cui si accede tramite cataloghi e documenti che illustrano il suo percorso artistico. È inoltre possibile vedere documentari e testimonianze video realizzate nel tempo, che ne raccontano il mondo, e approfondiscono la conoscenza della sua personalità e della sua arte, tra loro quasi inscindibili.

Carlini, infatti, è da sempre trasportata da un profondo amore per l'arte e, finiti gli studi umanistici, comincia il proprio percorso artistico a Palo Alto, in California, negli anni Settanta, dove segue un corso di ceramica. Durante la sua attività ha esplorato nuove tecniche e ampliato il suo linguaggio visivo con l'utilizzo di diversi materiali tra cui il grès, la porcellana, la lamiera, il ferro, l'acciaio corten e il legno di recupero. Nelle sue opere sono presenti riferimenti impliciti ed espliciti che riconducono a temi cardine della sua poetica.

Fra questi il legame a elementi naturali come la terra, nella quale viene ritrovata l'origine, il nesso col passato e con ricordi ancestrali. Ad essa, che viene plasmata con cura, dedizione e forza, è strettamente connessa la memoria, individuale o collettiva, che unisce passato, presente e futuro. I simboli impressi nella terra sono traccia di accadimenti lontani che evocano emozioni, sentimenti e guidano lo spettatore a ripercorrere i propri vissuti o a percepire un senso di appartenenza, di identità e di memoria condivisa.

Le sculture, soprattutto quelle di grandi dimensioni mostrano, attraverso accostamenti di materiali e composizioni, il sottile equilibrio fra leggerezza e potenza, un invito a riflettere sulla fragilità della natura e sulla necessaria salvaguardia dell'ambiente. Nel tempo, l'artista ha esposto in mostre personali e collettive di rilievo e le sue sculture monumentali installate in permanenza lasciano un'impronta distintiva nel panorama artistico internazionale, dall'Europa agli Stati Uniti fino alla Cina. (Comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)




Italo Zannier
Io sono io. Fotografo nella storia e storico della fotografia


22 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
Galleria Harry Bertoia - Pordenone

Italo Zannier (Spilimbergo 1932), intellettuale, docente, curatore di celebri mostre, collezionista e fotografo, primo titolare di una cattedra di Storia della fotografia in Italia nonché figura di riferimento per il riconoscimento della disciplina nel nostro paese; la Mostra, a cura di Marco Minuz e Giulio Zannier, indaga proprio questa "moltitudine" della passione e dell'impegno di Zannier verso la disciplina fotografica. Per la prima volta vengono raccolte le molteplici attività, legate alla fotografia, che Zannier ha portato avanti con una forza e una passione che non ha eguali nel panorama nazionale. Il percorso si sviluppa in tutte le principali sue esperienze prendendo avvio dalla sua partecipazione nel movimento neorealista; appassionato di cinema, si cimenta prima con corti in Super 8 per poi dedicarsi totalmente alla fotografia.

Nel 1955, in una lucida analisi, stila il manifesto del Gruppo friulano per una nuova fotografia, cui aderiscono, tra gli altri, fotografi come Carlo Bevilacqua, Toni Del Tin, Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin, Nino Migliori e gli amici spilimberghesi Gianni e Giuliano Borghesan e Aldo Beltrame. Si riconosce proprio a questo sodalizio il merito di promuovere, tra i primi in Italia, il concetto di una nuova fotografia non più solo concentrata sull'estetizzazione dello scatto indirizzato al bello, ma ricercando una fase sperimentale e analitica in senso innovativo.

Dagli scatti di Zannier, quindi, si rileva subito il suo "racconto critico", leggibile dai suoi personaggi, dagli ambienti, dagli oggetti e dalla tipologia sociale ed ai luoghi cui si riferiscono. Una lettura che si sviluppa anche in riferimento all'ambito dell'architettura dove Zannier indaga il territorio del Friuli che vive di tradizione e cambiamento. Fotografie ricche ed essenziali diventano testimonianza di una comunità intera e, fissando storie, paesaggi e tradizioni trattenute in immagini che si fanno reliquie, nel tempo, ne registra l'evoluzione e il cambiamento.

Una società friulana che Zannier vede diventare italiana ed europea, da contadina diventa industriale. Nella serie delle diacronie - conclusa nel 1976 - Zannier emblematicamente torna a scattare in luoghi dove il suo obbiettivo aveva scattato quasi vent'anni prima, con i medesimi parametri e con gli stessi soggetti realizza un nuovo scatto che lascia emergere chiaro il trascorrere del tempo. Qui il passato diventa futuro e Zannier dichiara il ruolo imprescindibile della fotografia per registrare questo fluire storico che, nel caso degli ambienti da lui immortalati, diventa ancor più emblematico per il rovinoso terremoto che cancellerà molti dei luoghi da lui ripresi.

Ma il rapporto con l'architettura abbraccia anche le collaborazioni con le più importanti testate giornalistiche del tempo, come Il Mondo, Comunità, Casabella e Domus. Docente universitario dal 1971, primo in Italia ad essere titolare di una cattedra di Storia della fotografia, insegna allo IUAV e a Ca' Foscari di Venezia, al Dams di Bologna, alla Cattolica di Milano ed in altre Università Italiane. Si dedica alla pubblicazione di libri, saggi ed articoli, collaborando con riviste di settore come L'Architettura "cronache e storia", Camera, Photo Magazine, Popular Photography, Fotografia Italiana "il Diaframma". Cura collane quali Fotologia "Studi di storia della fotografia" e Fotostorica, "gli archivi della fotografia". Dopo oltre trent'anni, Zannier riprende a fotografare: con un nuovo entusiasmo osserva gli spazi della globalizzazione che rendono standard la contemporaneità della nostra esistenza, come nel progetto "Veneland".

Il percorso espositivo interesserà la sua produzione saggistica (oltre seicento), la curatela di celebri Mostre come la sezione fotografica della mostra The Italian Metamorphosis tenutasi al Guggenheim di New York nel 1994, "L'io e il suo doppio" alla Biennale di Venezia ed i progetti editoriali come il titanico lavoro, sostenuto dall'ENI, su Coste e Monti d'Italia, nove volumi che lo vedranno impegnato dal 1967 al 1976. La mostra sarà presentata dal filosofo Massimo Donà (Università Cattolica di Milano). Il percorso sarà completato da un'intervista inedita al professore Zannier. La Mostra è promossa dal Comune di Pordenone, gode del patrocinio del Ministero della Cultura e sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Autoritratto di Federico Barocci Maschera teatrale da Megara Hyblaea Il Ritratto dell'Artista
Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie


22 febbraio - 29 giugno 2025
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostremuseisandomenico.it

Mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell'artista nella storia dell'arte. Il ritratto dell'artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un'immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell'autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L'occhio si posa sull'immagine riflessa per ritrarsi e l'immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.

L'artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L'artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d'altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico. Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close.

Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l'autoritratto agli occhi degli artisti - e non solo - è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia. L'immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.

«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell'acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato - per ogni artista - una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù». Così Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Federico Barocci, Autoritratto
2. Maschera teatrale da Megara Hyblaea




Opera di Alphonse Mucha denominata Fantasticheria Opera di Giovanni Boldini denominata La signora in rosa Alphonse Mucha / Giovanni Boldini
22 marzo - 20 luglio 2025
Palazzo dei Diamanti - Ferrara

Esposti i capolavori di due protagonisti dell'arte europea tra Otto e Novecento: Alphonse Mucha e Giovanni Boldini, straordinari cantori della bellezza e del fascino femminile. Artista di origini ceche, Alphonse Mucha (Ivancice, 1860 - Praga, 1939) raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle. Sebbene sia noto in tutto il mondo per i manifesti degli spettacoli della celebre attrice Sarah Bernhardt, Mucha fu poliedrico e versatile: oltre che pittore, disegnatore e illustratore, fu anche fotografo, scenografo, progettista d'interni creatore di gioielli e packaging designer.

Le sue opere divennero presto emblematiche della nascente Art Nouveau, alla cui affermazione contribuì elaborando uno stile inconfondibile e seducente (detto appunto "Le style Mucha"), come dimostrano Gismonda (1894), la serie de Le stagioni (1896), Job (1896), Fantasticheria (1897), Médée (1898). Quando nel 1904 visitò per la prima volta gli Stati Uniti la stampa lo celebrò come «il più grande artista decorativo del mondo».

La grande mostra monografica, organizzata da Arthemisia e Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con la Mucha Foundation e curata da Sarah e John Mucha, racconta la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Mucha, il quale era fermamente convinto che la bellezza e la forza ispiratrice dell'arte potessero favorire il progresso dell'umanità e garantire la pace e l'unione dei popoli.

Donne aggraziate ed eleganti furono indiscusse protagoniste non solo delle opere di Alphonse Mucha, ma anche di quelle di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931) che, come l'artista ceco, risiedette stabilmente a Parigi, dove si affermò come ritrattista mondano, ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale. Le sale dell'ala Tisi di Palazzo dei Diamanti ospiteranno una significativa selezione di dipinti, disegni e incisioni dedicati al tema del ritratto e della figura femminile provenienti dal Museo Giovanni Boldini, la più importante raccolta pubblica di opere del grande maestro ferrarese, che riaprirà nel rinnovato complesso ferrarese di Palazzo Massari nel 2026.

Accanto a capolavori come La signora in rosa (1916) e Fuoco d'artificio (c. 1890) saranno presentati studi di donne a figura intera e di singoli volti femminili che documentano il rapporto iperattivo dell'artista con la realtà circostante, nonché la sua abilità e prontezza nel registrare pose e attitudini che gli sarebbero poi serviti per conferire vitalità e dinamismo alle protagoniste dei suoi dipinti, contraddistinti da quella peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata che rende inconfondibile, e unico, il suo stile. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Alphonse Mucha, Fantasticheria
2. Giovanni Boldini, La signora in rosa




Gli Italiani di Bruno Barbey
21 dicembre (inaugurazione) - 04 maggio 2025
Galleria Harry Bertoia - Pordenone

Per la prima volta in Italia viene esposto il progetto fotografico che il celebre fotografo francese Bruno Barbey (Marocco 1941 - Parigi 2020) realizzò in Italia fra il 1962 e il 1966 mentre studiava in Svizzera. All'inizio degli anni '60 Bruno Barbey, cercando di ritrarre gli italiani, fotografò tutti i livelli della società, sia per strada che in interni. Il giovane fotografo presentò questo insieme di immagini a Robert Delpire, celebre editore parigino, che suggerì subito di pubblicarle nella serie "Essential Encyclopedia", una raccolta di libri che comprendeva già The Americans di Robert Frank (1958) e il volume Germans di René Burri (1962).

Le circostanze dell'epoca impedirono la realizzazione del libro, ma il portfolio di fotografie italiane convinse i membri dell'agenzia Magnum Photos delle potenzialità del giovane Barbey, che fu subito accettato nella cooperativa. Dopo decenni di lavoro e numerosi volumi su altri paesi, Barbey pubblicò una prima versione di quest'opera nel 2002, con un'introduzione di Tahar Ben Jelloun. L'idea, alla base di questo progetto, era di "catturare lo spirito di una nazione attraverso le immagini" e creare un ritratto dei suoi abitanti.

All'alba degli anni '60, i traumi della guerra cominciano a svanire mentre albeggia il sogno di una nuova Italia che comincia a credere nel "miracolo economico". Bruno Barbey è uno dei primi a registrare questo momento storico di transizione. «Disegnare il ritratto degli italiani attraverso le immagini era quindi l'ambizione di questo progetto», aveva affermato lo stesso fotografo. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, fotografa tutte le classi sociali: ragazzi, aristocratici, suore, mendicanti, prostitute. Il suo lo sguardo lucido e sempre benevolo coglie una realtà in movimento e rivela gli italiani.

"Les Italiens" è una suggestiva raccolta della moderna comédie humaine; figure archetipiche il cui fascino esotico ha contribuito a rendere così popolari i film di Pasolini, Visconti e Fellini in un immaginario internazionale. L'Italia che "alza la testa" dopo gli orrori e le miserie generati dalla guerra. La classe media, dopo tante sofferenze, ha conosciuto il boom economico, un entusiasmo forse illusorio, una nuova società forse troppo all'americana per certi versi. La musica, la moda, la gioventù con i suoi riti e con le sue mode; la gente cominciava ad esprimere il proprio status in maniera marcata con qualche soldo in più nelle tasche.

Eppure, in questo contesto, c'erano ancora sacche di estrema povertà, soprattutto nel centro-sud del paese. L'Italia era una terra di aspri contrasti e questo ci viene raccontato in modo affascinante con un filo nostalgico da Barbey, che offre ai nostri occhi questo straordinario affresco dell'Italia di quel tempo. Sono stati tanti i fotografi di altri paesi che hanno documentato l'Italia e gli italiani: da Henri Cartier-Bresson a William Klein, ma il reportage di Bruno Barbey è un fulgido esempio di come un fotografo capace di immergersi in un lavoro documentario, possa riuscire ad individuare certe sfumature in modo straordinario. La mostra, curata da Caroline Thiénot-Barbey e Marco Minuz presenta una settantina di stampe. Il progetto espositivo è promosso dal Comune di Pordenone, gode del patrocinio del Ministero della Cultura e al sostegno della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. (Comunicato stampa ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Fotografia di un venditore di fiori in Giappone Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori
...attraverso lo sguardo di Linda Fregni Nagler


05 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
www.maotorino.it

ll nuovo progetto espositivo è dedicato alla pratica dell'artista Linda Fregni Nagler, presente al MAO lo scorso novembre con la performance "Things that Death Cannot Destroy". La mostra esplora il suo meticoloso approccio di selezione e raccolta, rielaborazione e riattivazione di fotografie giapponesi della scuola di Yokohama (Yokohama Shashin). Le fotografie originali, raccolte nell'arco di vent'anni dall'artista e proposte in mostra al MAO per la prima volta, sono affiancate alle opere di Linda Fregni Nagler, che ha rifotografato le albumine originali, stampandole in camera oscura e colorandole a mano con una tecnica simile a quella dell'epoca (1860-1910).

Questo intervento fa assumere nuovi significati alle immagini, illustrandoci la storia di un preciso modo di guardare all'esotismo e all'alterità. Il soggetto indagato al MAO è quello dei venditori di fiori (hanauri), una categoria molto apprezzata di ambulanti (botefuri) nel Giappone dei periodi Edo e Meiji. Considerata l'influenza esercitata dalle stampe ukiyo-e sulla Yokohama Shashin, il progetto espositivo si propone altresì di contestualizzare e approfondire il legame tra le fotografie di Fregni Nagler e le stampe xilografiche, di epoca precedente alla nascita della fotografia, del medesimo soggetto.

In mostra saranno esposte 26 albumine di metà Ottocento, appartenenti alla collezione Fregni Nagler, unitamente a sei grandi stampe ai sali d'argento colorate a mano dall'artista e a 4 positivi su vetro visibili attraverso due visori. Accanto a queste opere sono collocate tre xilografie che declinano l'iconografia dei venditori di fiori: la rappresentazione dei mesi primaverili - l'illustrazione del mese di aprile di Utagawa Kunisada, proveniente dal Museo Orientale di Venezia; All'ingresso del tempio di Kanda di Koikawa Harumachi dal Museo Orientale E. Chiossone di Genova e Toyokuni III di Utagawa Kunisada, dalla serie "Sei venditori nelle sere d'estate", da una collezione privata.

Il tema floreale e vegetale trova un'ulteriore declinazione anche nei preziosi tessuti kesa della collezione del MAO, risalenti al periodo Edo, e nei kimono che arricchiscono l'esposizione, uno proveniente da Palazzo Madama e due esemplari dal Museo d'Arte Orientale di Venezia, oltre a tre lacche pregiate e tre kakemono firmati Yanagisawa Kien, Kawamura Bunpo e Tomioka Tessai (dei periodi Edo e Meiji) in prestito da una collezione privata.

Il riallestimento della galleria giapponese è inserito nel programma espositivo del MAO che, attraverso prestiti provenienti da collezioni di arte asiatica - pubbliche e private, nazionali e internazionali - intende stimolare nuove riflessioni e narrazioni intorno al patrimonio del Museo; Hanauri è anche parte del progetto #MAOtempopresente, che utilizza l'arte contemporanea come mezzo di interpretazione e valorizzazione delle collezioni attraverso l'inserimento di opere contemporanee e produzioni site-specific realizzate all'interno del programma di residenze attivo dal 2022. In parallelo al progetto espositivo nelle gallerie, le tre armature giapponesi della collezione, datate tra la fine del XVII e la prima metà del XIX secolo, sono state riallestite nella cornice di Salone Mazzonis, dove saranno oggetto di un restauro conservativo aperto al pubblico a partire da gennaio 2025.

Linda Fregni Nagler è un'artista che lavora principalmente con il medium fotografico. È nata a Stoccolma e vive a Milano, dove si è diplomata nel 2000 all'Accademia di Belle Arti di Brera. Il suo lavoro è una ricerca alle origini dello sguardo moderno e si concentra sul medium fotografico e la sua storia, attraverso una pratica che intreccia le caratteristiche del lavoro dell'artista, quelle dello studioso e del collezionista. Il suo studio è, prima ancora che luogo di produzione, un luogo di ricezione dove, dopo un percorso di scelta e raccolta meticolose, le fotografie confluiscono per essere rielaborate e riattivate, per assumere così nuovi significati.

Il suo ambito di interesse spazia dalla teoria alla materialità dell'immagine fotografica, dalla storia della fotografia allo studio delle convenzioni iconografiche e dei cliché visivi, dall'immagine anonima e vernacolare all'appropriazione come pratica artistica contemporanea. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive. Linda Fregni Nagler è docente di ruolo di Fotografia all'Accademia Carrara di Bergamo, e insegna "Fotografia: teorie e tecniche" presso l'università IULM di Milano. (Comunicato uffici stampa MAO Museo d'Arte Orientale: Chiara Vittone)




Hammershøi e i pittori del silenzio tra il nord Europa e l'Italia
22 febbraio - 29 giugno 2025
Palazzo Roverella - Rovigo
www.palazzoroverella.com

Curata da Paolo Bolpagni, la prima mostra italiana dedicata a Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916), che fu il più grande pittore danese della propria epoca, uno dei geni dell'arte europea tra fine Ottocento e inizio Novecento. Da pochi anni è in atto la sua riscoperta, e da personaggio quasi dimenticato Hammershøi è diventato uno dei più richiesti al mondo: nel mercato le quotazioni hanno raggiunto livelli strabilianti, con aumenti esponenziali osservabili addirittura di mese in mese; e i musei di tutto il globo si stanno contendendo le sue opere per organizzare retrospettive.

Nel 2025 quella di Palazzo Roverella sarà non soltanto la prima mostra italiana dedicata al pittore danese, ma l'unica a livello internazionale. Ciò rende davvero eccezionale l'impresa rodigina, che si pone anche l'obiettivo di porre a confronto i capolavori di Hammershøi con opere di importanti artisti a lui contemporanei, con un occhio di riguardo - in tali accostamenti - all'Italia, ai Paesi scandinavi, alla Francia e al Belgio. In effetti ci sono elementi che accomunano gli appartenenti a questa poetica del silenzio, della solitudine, delle vedute cittadine deserte, dei "paesaggi dell'anima".

Però i visitatori scopriranno che in Hammershøi c'è qualcosa di più, di sottilmente inquietante, di angoscioso e forse addirittura di torbido: le sue donne sono ritratte quasi sempre di spalle; gli ambienti domestici, in apparenza ordinati e tranquilli, lasciano in realtà presagire o sospettare drammi segreti, o l'attesa di tragedie incombenti, con un senso claustrofobico.

La biografia stessa dell'artista, che viaggiò di frequente (in special modo in Italia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi), ma in verità fu un uomo solitario, induce a riflettere su alcuni aspetti enigmatici: pur sposatosi, Hammershøi mantenne un rapporto strettissimo, quasi simbiotico, con la madre, tornando spesso a dormire da lei; la moglie e modella prediletta, Ida Ilsted, fu colpita da una grave malattia mentale; la sua pittura, che ispirerà il grande regista cinematografico Carl Theodor Dreyer, fu definita "nevrastenica". (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




MonFest 2024
On Stage | Cinema Teatro Musica


Casale Monferrato, 30 novembre 2024 - 04 maggio 2025

Con la direzione artistica di Mariateresa Cerretelli, il MonFest continua il proprio percorso nel segno di un'identità tracciata fin da subito all'insegna del confronto della fotografia con le altre arti, e della contaminazione tra passato e presente. Il tema di questa seconda edizione sarà On Stage e le parole chiave saranno Cinema Teatro Musica, attorno a cui sarà costruito un ricco caleidoscopio di inedite visioni fotografiche articolate in 14 mostre, che andranno ad occupare alcuni dei luoghi più belli e simbolici di Casale Monferrato. A partire dal suggestivo Castello del Monferrato, sede principale del festival dove trovano accoglienza ben 12 esposizioni. A partire dal foyer, dove sarà esposta una selezione di foto di Maria Vittoria Backhaus realizzate negli anni Settanta durante la tournee dei Beatles in Italia. Ad arricchire poi il festival, un programma ricco di incontri, talks, letture portfolio e laboratori declinati su cinema, teatro, musica e fotografia.

La Settima Arte di Mimmo Cattarinich a cura di Armando Cattarinich e Maurizio Presutti, che vuole offrire un'immersione nella magia totalizzante del cinema fino agli anni Duemila. Dai divi come Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Pedro Almodovar, la grande Maria Callas, ai dietro le quinte di grandi protagonisti come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini o John Cassavetes e i ritratti più incisivi di attori come Roberto Benigni, Gigi Proietti fino, Monica Bellucci e Penelope Cruz.

Cinema On the Road di Fiorella Baldisserri a cura di Elena Givone e Mariateresa Cerretelli è invece una mostra/reportage. Nel 2009, Francesca Truzzi e Davide Bortot hanno fatto una straordinaria scelta di vita: hanno comprato un vecchio camion e lo hanno trasformato in una casa mobile, con l'intenzione non solo di viverci ma di viaggiare per il mondo e proiettare film, equipaggiandola con pannelli solari e dotandola di tutte le attrezzature necessarie per creare un cinema sotto le stelle ovunque andassero. Questa mostra, accolta negli spazi del Castello, racconta i loro spostamenti e la loro vita quotidiana dal 2022 sia in Italia che all'estero.

Claudio Abbado di Cesare Colombo a cura di Sabina e Silvia Colombo, che presentano una selezione di fotografie del Maestro Claudio Abbado. La prima parte lo ritrae durante le prove di un concerto al teatro alla Scala nel 1965. Nella sezione seguente è raccolta una serie di immagini relative alla tournée europea di Abbado con i Berliner Philharmoniker nel 1996. Sono presenti anche fotografie del 2008 relative alla rappresentazione di Pierino e il lupo, con Abbado alla direzione dell'Orchestra Mozart e con la voce recitante di Roberto Benigni.

La passione per la scena - Il Living Theatre di Carla Cerati (1967-1984) a cura di Elena Ceratti, è un tuffo negli anni Sessanta in cui la Cerati inizia a interessarsi al lavoro della compagnia newyorkese, fondata da Julian Beck e Judith Malina nel 1947. Tra il 1967 e il 1968 il Living propone in Europa tre degli spettacoli più iconici del suo repertorio e sono Antigone, Frankenstein e Paradise Now che Carla Cerati fotografa a Milano Modena e Avignone.

Prima che accade di Luca Canonici, Teatralità di Patrizia Mussa, Al punto fermo del mondo che ruota di Lia Pasqualino a cura di Andrea Elia Zanini sono tre tappe di una riflessione visiva sul tema del teatro. Luca Canonici propone un'indagine in bianco e nero sui momenti che precedono l'inizio della rappresentazione. Patrizia Mussa racconta, con la sua straordinaria tecnica che mescola fotografia e acquarello, i teatri italiani che sta indagando da oltre un decennio. Lia Pasqualino costruisce una serie di formidabili quadri che fermano alcuni momenti delle rappresentazioni teatrali.

Visioni di Gabriele Croppi a cura di Susanna Scafuri, è un lavoro che parte dai fotogrammi di quattro caposaldi della Storia del cinema, Metropolis di Fritz Lang (1927), Quarto Potere di Orson Welles (1941), Stalker di Andrej Tarkovskij (1979), Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987), per arrivare ad una elaborazione digitale personale e emozionale. Nel solco della sua poetica che si incentra sull'indagine del rapporto tra la fotografia e le altre arti, realizza un corpus di opere trasfigurate in una sintesi estetica pittorialista.

Sounding Pictures di Roberto Polillo a cura di Marco Pennisi. Da Miles Davies a Cecil Taylor, da Duke Ellington a Count Basie, Roberto Polillo a partire dal 1962 fotografa i giganti del jazz nei concerti di Milano e dintorni, al seguito di suo padre Arrigo Polillo. Continua fino al 1975 e le sue immagini di grande impatto riflettono la documentazione delle performance ma rappresentano una magica rappresentazione visiva della musica stessa.

SPD di Ando. In questa performance, SPB è l'acronimo di Sensitive Portrait Box: una cabina nera, una sorta di scatola in cui una volta entrati ci si isola dal mondo esterno. La persona che partecipa alla performance deve solo entrare, sedersi e sentirsi libera. Di fronte al viso un foro e l'obiettivo della macchina fotografica. Due scatti, due pose: una in silenzio, l'altra con la musica. Due pose che verranno messe insieme in un'unica foto stampata immediatamente in formato 10x15 in bianco e nero.

Jazz Spirit di Pino Ninfa è un altro bel viaggio all'interno del mondo del jazz. Storie su e giù dal palco, fra luoghi sacri e architetture profane, in mezzo alla natura o in riva al mare, inseguendo un gesto o un riflesso, aspettando il momento decisivo, sempre e comunque all'insegna di un racconto.

Ten Years of Rock and Roll di Mathias Marchioni a cura di Luciano Bobba. Marchioni festeggia al MonFest i 10 anni di carriera con l'esposizione di ritratti di big indimenticabili ed eventi seguiti da folle oceaniche. Dal palco di Bruce Springsteen nel tour italiano The River tour a Lenny Kravitz, da Liam Gallagher agli Iron Maiden, Red Hot Chili Peppers e molti altri ancora.

Pictures of You di Henry Ruggeri a cura di Mattia Priori, una raccolta di immagini memorabili e di ricordi, estrapolati dalla storia di concerti ed eventi partecipati da Ruggeri. Attraverso una app gratuita, l'iconica voce del giornalista e dj radiofonico Massimo Cotto sarà messa al servizio di questa mostra spettacolare, a raccontare quegli attimi di gloria grazie al contributo di una memoria orale indimenticabile. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Dattiloscritto nero e rosso su carta con interventi a biro Senza titolo e senza data realizzato da Emilio Prini, Courtesy Archivio Emilio Emilio Prini
"Typewriter Drawings. Bologna/München/Roma - 1970/1971"


28 settembre (inaugurazione) - 03 maggio 2025
Fondazione Antonio Dalle Nogare - Bolzano
www.fondazioneantoniodallenogare.com

Mostra dedicata a Emilio Prini (1942-2016), una delle figure più radicali ed enigmatiche del panorama artistico italiano e internazionale. Tra il 1970 e il 1975, Emilio Prini realizza una serie di circa duecento disegni su carta con l'ausilio di una macchina da scrivere Olivetti 22.Utilizzandola come fosse una matita, l'artista disegna, elabora formule matematiche e architetture bidimensionali, compone filastrocche, registra intuizioni, verifica idee.

La mostra propone una selezione di opere su carta connesse alle tre mostre seminali Gennaio '70 - comportamenti, progetti, mediazioni (Museo Civico Archeologico, Bologna, 1970), Arte Povera - 13 Italian Artists (Kunstverein München, 1971) e Merce Tipo Standard (Galleria L'Attico, Roma, 1971), in cui Prini riflette sulla logica del produrre attraverso l'uso di dispositivi tecnologici, indaga lo standard informativo pubblico e privato, riflette sul valore della merce (arte) prodotta, attenendosi alla teoria dei tipi di B. Russell. I disegni sono corredati da alcuni scritti teorici e una selezione di fotografie documentative, perlopiù inedite, delle tre mostre. Il progetto costituisce l'avvio di una ricerca e di una catalogazione in corso, a cura dell'Archivio Emilio Prini. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

Immagine: Emilio Prini, Senza titolo, senza data, dattiloscritto nero e rosso su carta con interventi a biro, Courtesy Archivio Emilio




Fotografia con carta cotone certificata in formati di cm 50x70 e 60x90 denominata Sicilia - Scala dei Turchi realizzata da Claudio Argentiero realizzata nel 2017 Claudio Argentiero
"Paesaggi"


Barbara Frigerio Gallery - Milano
www.barbarafrigeriogallery.com/artisti/claudio-argentiero

Alcune fotografie di Claudio Argentiero, personalità attiva da più di trent'anni nel mondo della fotografia, tra progetti personali e curatela di mostre. Da sempre interessato alla documentazione del territorio e ai mutamenti avvenuti nel tempo, legati al decadimento dell'industria manifatturiera e alla trasformazione del paesaggio. Nelle sue corde l'interesse per il territorio che non fa clamore, ambito da indagare e rivelare attraverso sguardi personali che riportano il quotidiano alla poetica delle piccole cose. (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagine:
Claudio Argentiero, Sicilia - Scala dei Turchi, 2017, carta cotone certificata, formati cm 50x70 e 60x90




Fotografia che ritrae la scultrice Regina Cassolo Bracchi Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it

Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.

Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.

Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».

Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.

Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.

Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


Presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali


Scultura in pietra denominata Il mostro di Palagonia Panorama di Bagheria in una foto di Giuseppe Sorce Logo del Baaria Film Festival BFF Baarìa Film Festival
"La Sicilia e le altre isole"


Bagheria (Palermo), 02-06 luglio 2025
www.baariafilmfestival.com

È stato presentato oggi a Bagheria (Palermo), il Baarìa Film Festival (BFF), primo festival italiano di lungometraggi interamente dedicato al "cinema insulare" che si tiene nella città natale di Giuseppe Tornatore (regista), Renato Guttuso (pittore), Ferdinando Scianna (fotografo) e Ignazio Buttitta (poeta). IL BFF si propone di promuovere il racconto cinematografico della condizione insulare a livello nazionale e internazionale, con particolare riferimento alla Sicilia, offrendo un affascinante approdo a registi emergenti e già affermati. Il festival si propone inoltre di valorizzare il patrimonio artistico e paesaggistico della Sicilia, di favorire il dialogo interculturale e offrire spunti di riflessione su temi ecologici.

All'affollata conferenza stampa, hanno partecipato il Sindaco di Bagheria Filippo Maria Tripoli, Daniele Vella, Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Bagheria, Andrea Di Quarto ideatore del progetto e Direttore generale BFF e, con videomessaggio, il Direttore artistico Alberto Anile. Durante l'incontro, sono state delineate le linee guida della prima edizione del Festival, che offrirà al pubblico la possibilità di vedere opere che parlano di isole, girate o ambientate su un'isola, a cominciare da quella che ospita la manifestazione.

Come suggerisce il sottotitolo "La Sicilia e le altre isole", il BFF prevede infatti una sezione competitiva con lungometraggi provenienti da isole di tutto il mondo, a cui si alterneranno film riguardanti la Sicilia, inclusi muti d'inizio Novecento e corti realizzati da under 30. I premi saranno assegnati da una giuria composta da personalità del mondo el cinema e da una giuria popolare formata da studenti delle scuole superiori.

La rassegna avrà proiezioni pomeridiane in sala, e serate all'aperto in una delle spettacolari ville nobiliari di Bagheria: Villa Cattolica, sede permanente del Museo Guttuso. Attorno al nucleo centrale di film, la programmazione del festival porterà in vari luoghi della cittadina altri appuntamenti ed eventi: convegni, presentazioni di libri, omaggi, incontri con il pubblico. Le mattine del BFF saranno dedicate a eventi dal vivo, fra cui incontri con cineasti, e una tavola rotonda su "Fare cinema in Sicilia".

Atolli è la sezione dedicata ai cortometraggi, con una scelta dei migliori saggi di documentario degli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo (direttore artistico Costanza Quatriglio) e altri di finzione a tema insulare, proiettati al Cinema Excelsior nel primo pomeriggio.

Arcipelaghi è la sezione più ampia e internazionale del BFF. Dieci lungometraggi di finzione provenienti da tutto il mondo racconteranno storie "insulari". La giuria assegnerà un premio al miglior film e uno al miglior interprete (maschile o femminile). Gli "Arcipelaghi" saranno proiettati al Cinema Excelsior, due al giorno, dopo gli "Atolli".

Serate in Villa: 5 serate a Villa Cattolica. Una sarà interamente dedicata a Giuseppe Tornatore; un'altra vedrà la premiazione di un cineasta come "siciliano ad honorem", con la proiezione di un suo film; nell'ultima sarà proiettata l'opera giudicata miglior film della sezione "Arcipelaghi" e consegnati anche i riconoscimenti al miglior attore o attrice e il Premio assegnato dagli studenti superiori bagheresi. Ogni serata in Villa sarà aperta da cortometraggi muti d'inizio secolo girati in Sicilia, 5 preziosi minuti, musicati dal vivo, provenienti dagli archivi del Museo del Cinema di Torino, della Cineteca del Friuli, della Cineteca di Bologna e della Cineteca Italiana di Milano.

Andrea Di Quarto, fondatore e direttore del "Baaria Film Festival", citando Sciascia che diceva che «il cinema si interessa della Sicilia perché la Sicilia è cinema», ha ricordato che «l'Isola, dopo il Lazio con Roma, in cui ha sede Cinecittà, è la regione italiana in cui sono stati girati più film. Palermo (e la sua provincia) è stata, ed è a tutt'oggi, la città-set siciliana più prolifica, e molti di questi film sono stati girati a Bagheria, il luogo dove sono cresciuto e ho scoperto la bellezza del grande cinema e dove ho imparato a guardare il mondo con occhi diversi, tra le immagini di tutti quei registi che hanno saputo raccontare la realtà e la sua complessità, che un ragazzo un po' più grande di me, "Peppuccio" Tornatore, ci mostrava in un cinemino che aveva trasformato nel "Circolo culturale l'Incontro". Per me, il Baaria Film Festival è un modo per ritornare alle mie radici attraverso qualcosa che amo, il cinema. Spero che questa prima edizione sia solo l'inizio di un lungo viaggio».

«Sarà un'occasione per "isolarsi" in un paradiso di buon cinema», ha anticipato il Direttore artistico Alberto Anile, «per riscoprire la regione e salpare verso le altre "sicilie" sparse per il globo. Ci è sembrato interessante unire un discorso sull'Isola con la I maiuscola, alle cinematografie che realizzano film all'interno di territori simili. Si dice che in Sicilia tutto è esasperato, più passionale. È vero, ma è vero un po' per tutte le isole. I luoghi circondati dall'acqua, isolati dal continente, hanno elementi che vengono esaltati, sottolineati. Diventano più vitali solo per il fatto di essere chiusi all'interno di un territorio. Attraverso questo filo rosso cercheremo di raccontare la condizione isolana. Della Sicilia e delle altre isole».

Il Sindaco di Bagheria Filippo Maria Tripoli ha aggiunto: «Il Baarìa Film Festival, che abbiamo il piacere di patrocinare, non è solo un evento cinematografico, ma un vero e proprio progetto culturale che mira a valorizzare il nostro territorio, ricco di storia, arte e tradizioni. La città di Bagheria, che ha dato i natali a illustri figure come Giuseppe Tornatore, Renato Guttuso, Ferdinando Scianna e Ignazio Buttitta, si conferma un luogo di fermento culturale e di promozione del talento».

Per Daniele Vella, Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Bagheria, «la nascita di un festival Cinematografico nella nostra Città è un evento da salutare con entusiasmo. Pensare di sviluppare il Baarìa Film Festival significa anche che il lavoro culturale e amministrativo di questi anni ha creato in città delle condizioni positive e feconde, e di questo siamo contenti. L'amministrazione sarà sempre a sostegno delle iniziative culturali provenienti da privati propositivi e animati di buona volontà».

Le iscrizioni per partecipare alla prima edizione del Baarìa Film Festival sono aperte fino al 30 aprile 2025 sulla pagina dedicata di filmfreeway.com o direttamente sul sito internet.

Il BFF è prodotto dall'Associazione culturale bagherese Kinema con il patrocinio del Comune di Bagheria, della Regione Siciliana Assessorato Sport e Turismo, della Sicilia Film Commission, del Museo Guttuso e con il sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia sede di Palermo, del conservatorio di Musica Alessandro Scarlatti, del Museo Nazionale del Cinema di Torino, della Cineteca di Bologna, della Cineteca di Milano e della Cineteca del Friuli. (Comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Il mostro di Palagonia
2. Panorama di Bagheria in una foto di Giuseppe Sorce
3. Logo del Baaria Film Festival
4. Villa Palagonia a Bagheria in una foto di Giuseppe Sorce




Copertina del numero di marzo e aprile 2025 della rivista Archeologia Viva Archeologia Viva
marzo/aprile 2025 - Anno XLIV

È in edicola Archeologia Viva n. 230




Tra gli articoli...
__ Sutera: Castello con vista in Sicilia
Un borgo e una rupe dimenticati
www.archeologiaviva.it/24145/sutera

Siamo in un luogo straordinario e semisconosciuto della provincia di Caltanissetta. L'abitato, già insignito del titolo di civitas (città) almeno dal XVI secolo, contava duemilacinquecento anime nel Seicento e quattromilacinquecento alla metà del secolo scorso. Un'immagine eccezionale di Sutera e del monte San Paolino nel volume Sicilia della collana Attraverso l'Italia del TCI fece scoprire il luogo ai viaggiatori nei primi anni Trenta del Novecento, mentre più di recente Sutera è entrata nel novero dei Borghi più belli d'Italia. (Estratto da articolo)




Locandina con scene tratte da spettacoli al teatro GRRRANIT Il FINC Festival dalla Sicilia alla Francia: nasce il FINC on Tour a Belfort
02-13 aprile 2025
Théâtre GRRRANIT - Scène nationale de Belfort
fincfestival.com | www.grrranit.eu

Il FINC - Festival Internazionale Nouveau Clown debutta in Francia con la sua prima edizione itinerante ospitata dal Théâtre GRRRANIT di Belfort, proponendo grandi nomi della clownerie contemporanea. Il pubblico siciliano e italiano del FINC è invitato a seguire il festival in Francia, dove gli abitanti di Belfort sono pronti ad ospitarlo nelle proprie case per un'esperienza unica di condivisione culturale. In senso contrario, Il GRRRANIT sta informando il suo pubblico che la 4a edizione del FINC Festival si terrà in Sicilia, a Giardini Naxos e in altri comuni siciliani, dal 26 giugno al 13 luglio 2025, in modo che chi lo desidera possa organizzarsi per il viaggio e la partecipazione. Una collaborazione internazionale di prestigio tra Sicilia e Francia, che valorizza i due territori e ne rafforza il legame celebrando il potere della risata senza confini.

- Un evento che celebra il clown senza confini

Dopo il successo delle edizioni siciliane, il FINC - Festival Internazionale Nouveau Clown inaugura la sua prima edizione itinerante, il FINC ON TOUR, con una tappa d'eccezione a Belfort, in Francia, dal 2 al 13 aprile 2025. L'evento, ospitato dal prestigioso Théâtre GRRRANIT Scène Nationale de Belfort, porterà in scena alcuni tra i migliori artisti internazionali della clownerie contemporanea senza parole, offrendo al pubblico francese di qualsiasi età un'immersione nel mondo del clown contemporaneo.

L'idea di portare il festival oltre i confini italiani è nata nel 2023, quando gli ideatori e direttori, i clown Daniele Segalin (in arte Dandy Danno) e Graziana Parisi (in arte Diva G), hanno incontrato Eleonora Rossi, direttrice del Théâtre GRRRANIT, durante la seconda edizione del festival in Sicilia. Colpita dalla qualità e dall'originalità della proposta, la direttrice ha deciso di ospitare il FINC a Belfort, inaugurando la prima nuova esperienza internazionale del festival.

Il FINC ON TOUR rappresenta una grande e prestigiosa opportunità per il festival siciliano e per il pubblico di Belfort, che potrà scoprire una forma d'arte innovativa e inclusiva, capace di affascinare grandi e piccoli. Senza parole, ma ricchi di emozioni, i clown contemporanei selezionati dal FINC mettono in scena il potere della risata e dell'espressione autentica, senza confini culturali, in un dialogo universale che unisce e arriva direttamente al cuore degli spettatori.

- Un ponte culturale e sociale tra Sicilia e Francia

Nel segno del clown e dell'ospitalità diffusa, il FINC invita il suo pubblico a seguirlo a Belfort. Il legame tra la Sicilia e la Francia si esprime non solo attraverso gli spettacoli, ma anche grazie a una reciproca e speciale accoglienza, per il pubblico italiano in Francia e quello francese in Sicilia. Il FINC sta invitando e supportando il suo pubblico ad organizzarsi per seguirlo a Belfort attraverso il suo sito e i suoi social network, ricevendo sino ad ora sono già 15 adesioni a questo straordinario Fan Tour. La città di Belfort è pronta ad accoglierli. Come sottolineato da Eleonora Rossi nel suo video di invito, gli abitanti si stanno organizzando per accogliere nelle proprie abitazioni il pubblico italiano del FINC, offrendo loro l'opportunità di immergersi nelle tradizioni e nello spirito della città, vivendo l'evento non solo come spettatori, ma anche come ospiti privilegiati di una comunità che ha scelto di aprire le proprie porte per condividere un'esperienza artistica e umana.

In senso contrario, il Théâtre GRRRANIT sta informando il suo pubblico sulla prossima edizione del FINC Festival, in modo che chi lo desidera possa organizzarsi per il viaggio e la partecipazione. La residenza artistica sostenuta dal Ministero della Cultura francese è un riconoscimento importante per la qualità artistica della coppia che ha ideato e dirige il FINC Festival. Oltre agli spettacoli, il festival proporrà anche due masterclass dedicate agli studenti di teatro del conservatorio di Belfort e all'associazione Clown Chiffon, guidate dagli stessi Dandy Danno e Diva G, per approfondire le tecniche della comicità fisica muta.

- Una collaborazione internazionale di prestigio

L'approdo del FINC Festival a Belfort è il frutto di una collaborazione di grande valore artistico e culturale. Il Théâtre GRRRANIT fa parte della prestigiosa rete delle Scènes Nationales, un riconoscimento assegnato dal Ministero della Cultura francese a circa 70 teatri e centri culturali d'eccellenza, distribuiti su tutto il territorio francese. Le Scènes Nationales sono istituzioni chiave nella promozione delle arti performative contemporanee, con particolare attenzione a teatro, danza, circo e musica. Oltre a ospitare spettacoli di alta qualità, hanno il compito di sostenere la creazione artistica, favorire l'accesso alla cultura e valorizzare le nuove forme di espressione. Questa collaborazione è quindi un riconoscimento dell'alto livello artistico del FINC Festival, che con questa edizione itinerante entra a far parte di un circuito culturale di grande prestigio.

- Il FINC Festival - Chi, cosa, dove, quando...

Il FINC è un festival che nasce dalla visione di Daniele Segalin (in arte Dandy Danno) e Graziana Parisi (in arte Diva G), artisti e direttori del festival, con l'obiettivo di ridefinire la visione tradizionale del clown, offrendo una nuova prospettiva sull'umorismo e una visione diversa sulla comicità visuale. Il suo tema principale è l'autoironia, una qualità che il Clown domina con maestria. Il FINC amplia il concetto stesso di clown e lo porta in una dimensione più contemporanea e universale. La sua comicità si esprime senza parole, affidandosi a gesti, espressioni facciali e movimenti del corpo, in un linguaggio immediato e accessibile a tutti, che supera le barriere linguistiche e culturali.

Il FINC è riconosciuto dal Ministero della Cultura italiano, che lo sostiene sin dalla sua prima edizione, e fa parte di EFFEA - The European Festivals Fund for Emerging Artists, rete di festival di alta qualità artistica promossa dalla European Festivals Association e co-finanziata dall'Unione Europea. La IV edizione si svolgerà tra il 26 giugno e il 13 luglio 2025 a Giardini Naxos e in atri comuni siciliani in via di definizione, con il sostegno del Ministero della Cultura, dell'Ente Parco Archeologico di Naxos, del Comune di Giardini Naxos dove Theatre Degart ha sede e degli altri Comuni, in partenariato con importanti operatori del turismo e associazioni culturali del territorio. (Comunicato ufficio stampa LP Press - Luigi Piga, Giardini Naxos, 17 febbraio 2025)




Atena Nike Premio Atena Nike
Quarta edizione a fine giugno 2025 a Taormina
www.premioatenanike.it

Lavori avviati per il Premio cinematografico Atena Nike, che si terrà nella suggestiva città di Taormina a fine giugno 2025. Il riconoscimento, che giunge alla quarta edizione, sarà un'intensa due giorni interamente dedicata alla celebrazione della Settima Arte e dei suoi protagonisti.

Dietro le quinte, una rinnovata direzione artistica che vede tra gli altri il fondatore del Premio Fabio Saccuzzo, che ha posto le basi per un rinnovamento della direzione artistica, con la presenza di due condirettori, il produttore Giampietro Preziosa e la corrispondente internazionale Alina Trabattoni e un management artistico con l'attore e direttore di doppiaggio Fabrizio Apolloni, l'agente cinematografica Emanuela Corsello, il casting director Armando Pizzuti, l'attore e producer musicale Salvo Saverio D'Angelo. L'Academy è guidata da Claudia Gerini, affiancata dall'attrice Lucia Sardo, il duo Colapesce Dimartino e la produttrice Federica Vincenti.

Nato per valorizzare le tematiche sociali trattate nel cinema, con particolare riguardo a quello emergente, con autori e artisti di nicchia, il Premio si pone di restituire la giusta attenzione e rilevanza a chi ha dimostrato ingegno e creatività, facendo di questo mestiere non solo una professione, ma una missione. Per questo l'Atena Nike gode da sempre di prestigiosi patrocini - tra cui anche la Regione Siciliana - e coinvolge ogni anno numerosi e celebri personaggi del mondo della cultura e del cinema, dando così vita a un evento unico.

Suddiviso in due sezioni - Lungometraggi e Cortometraggi - con due distinte giurie e con diversi premi ciascuna, l'Atena Nike vanta anche una Sezione Speciale che annovera tra gli altri il Premio Atena Nike Impresa Donna, il Premio Speciale al Talento Siciliano e il Premio Atena Nike Legalità. I film finalisti verranno annunciati nei prossimi mesi e saranno selezionati dalla giuria dell'Academy, che si compone anche di una speciale sezione stampa, composta da giornalisti di prestigiose testate della stampa nazionale e internazionali, presieduta dalla giornalista della stampa estera Vera Naydenova. Le candidature si chiudono alla fine di gennaio, con le valutazioni e votazioni della giuria e si completano alla fine di febbraio. Tutte le informazioni sono disponibili al sito Premioatenanike.it.

«Anche quest'anno - spiega il patron e fondatore Fabio Saccuzzo - celebreremo la vittoria dell'Arte. Questa manifestazione è nata per sostenere e restituire il giusto valore al cinema italiano in qualità di modello e punto di riferimento in tutto il mondo. Ed è questo che desideriamo essere: un punto di riferimento dove attori, professionisti del settore, addetti ai lavori e cinematografi si incontrano e confrontano non solo con l'obiettivo di celebrare le opere, ma l'intera industria».

Si riconfermano in questo ambito anche i workshop di Cinema&Imprese, appuntamenti di alta formazione professionale organizzati dallo stesso Fabio Saccuzzo - commercialista esperto di diritto cinematografico e fiscalità d'impresa - per mettere in connessione il mondo cinematografico e quello dell'imprenditoria per far conoscere le opportunità di investimento e i benefici finanziari del settore. Un'occasione di crescita che si svolgerà in collaborazione con tutta l'Academy e il management artistico.

E così, in linea con l'espressione simbolica dell'Atena Nike - dea alata della vittoria - il Premio diventa esso stesso icona perfetta in cui identificare questo particolare momento storico di rinascita e riscoperta, in cui l'arte, la cultura e la bellezza si incontrano e si mescolano, per celebrare e premiare coloro che contribuiscono a fare del nostro Cinema un modello e un esempio in tutto il mondo. (Comunicato ufficio stampa NowPress)




Copertina del libro Teoria del rembetiko di Carmelo Siciliano Carmelo Siciliano
Appuntamenti relativi alla musica greca

www.carmelosiciliano.it

.. Pisa, 8-9 febbraio: presentazione libro Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Milazzo (Messina), 22 febbraio: presentazione del libro I canti greci di Niccolò Tommaseo
.. Trieste, 15-16 marzo: presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Torino, 28-29 marzo: presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Bologna, aprile (date da definire): presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Salonicco, 11-12-13 luglio: progetto Sentire Salonicco (visita la pagina per scoprire di cosa si tratta!)

Per partecipare ai laboratori Suonare la Grecia è necessaria una preiscrizione, gratuita e senza impegno. Questo vi permetterà di ricevere in anticipo i materiali che saranno oggetto dell'incontro. Potete trovare il link al form di registrazione nella pagina dedicata all"evento: Pisa | Trieste | Torino. (Estratto da comunicato stampa)

Immagine:
Copertina del libro Teoria del rembetiko, di Carmelo Siciliano




Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


Pagina dedicata







FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri


Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Walter Rosenblum. Master of photography
di Angelo Maggi, Silvana Editoriale, 2025

Il volume è stato presentato il 4 aprile 2025 alla Sala Rossini Caffè Pedrocchi (Padova)

Walter Rosenblum (1919-2006) è stato un esponente di spicco nella storia della fotografia per oltre mezzo secolo. La nuova monografia di Angelo Maggi esplora la vita di Rosenblum, il suo lavoro e gli eventi storici significativi che egli ha documentato, offrendo uno sguardo completo sui suoi contributi nel campo della fotografia. Durante la giovinezza, l'esperienza diretta delle condizioni degli immigrati in America ha plasmato il suo approccio empatico alla fotografia e il suo impegno per la giustizia sociale. Come membro attivo della Photo League, ha documentato molte istanze pressanti del suo tempo, dagli anni turbolenti della Grande Depressione alle realtà sanguinose della Seconda Guerra Mondiale.

L'eredità fotografica di Rosenblum fornisce intensi affondi nelle vite di coloro che ha immortalato e mette in risalto la sua appassionata determinazione nel cogliere l'essenza dei soggetti. L'architettura della fotografia si riferisce al potere del fotografo di comporre l'immagine con magistrale lucidità visiva. Delineare i confini dello sguardo fotografico stabilisce un dialogo tra soggetto e contesto proprio come in un progetto architettonico. La mostra fotografica "Walter Rosenblum. Master of Photography" allestita alla Galleria Civica Cavour è aperta fino al 4 maggio 2025. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Gastone Biggi Trilogia 1960-2013 Gastone Biggi | TRILOGIA 1960-2013
a cura di Leonardo Conti e Giorgio Kiaris, PoliArt Edizioni 2025, €120,00


Il cofanetto contenente tre cataloghi è stato presentato il 5 aprile 2025 alla PoliArt Contemporary (Milano)
www.galleriapoliart.com

... Concerto per due fisarmoniche Duo Dissonance (Roberto Caberlotto, Gilberto Meneghin)
Musiche di J.S. Bach e R. Caberlotto

Una vera e propria "impresa editoriale", per come l’ha definita il Presidente delle Fondazione Biggi, Giorgio Kiaris. Un cofanetto di tre cataloghi, che ripercorrono antologicamente la vicenda artistica di uno dei maestri della pittura contemporanea, nel centenario della nascita. Nella scelta di una fruizione lenta, in un percorso espositivo di quasi tre anni, i curatori Leonardo Conti e Giorgio Kiaris, prendono in esame tutti i cicli più rilevanti di Biggi, da Informale, Continui, Variabili del primo volume (1960-1969), ai Cieli e i Campi del secondo volume (1978-1987), sino alle Costellazioni, Icone, Cosmocromie, Ayron, Puntocromie, Fleurs, New York, Partiture, del terzo volume (1991-2013).

Con un approccio scientifico originale, gli approfondimenti critici di Leonardo Conti sono affiancati dai contributi di Giorgio Kiaris che, nella sua veste di "testimone oculare" (avendo affiancato Biggi per venticinque anni) racconta il clima culturale e creativo, e anche rivelazioni inedite, per mettere a fuoco Gastone Biggi come uomo, artista e intellettuale. Ogni volume contiene, poi, approfondimenti tematici a cura di Sara Bastianini, con ampie sezioni di documenti (anche inediti) lungo tutta la parabola creativa del maestro e un’approfondita nota biografica, con anche rare immagini di repertorio, facendo di TRILOGIA |1960-2013 una pubblicazione di divulgazione per tutti e uno strumento di approfondimento per gli studiosi. In Gastone Biggi | TRILOGIA 1960-2013 emerge la ricerca di un artista coerente eppure sempre integralmente libero, in cui la creazione di nuovi linguaggi, mai disgiunti da una profonda elaborazione teorica, edifica una pittura in grado di fondere intelligenza ed emozione. (Comunicato stampa)




Itinerari della rabbia
La rabbia. Malattia del corpo, della mente, dello spirito

a cura di Renato Rizzi, Edizioni NEMS

Il libro è stato presentato il 25 marzo 2025 alla Fondazione Mudima (Milano)
www.mudima.net

La rabbia, altrimenti declinata come ira, collera, bile, sdegno è un sentimento ancestrale. Spesso viene detto che la rabbia è un sentimento positivo, che ci aiuta a non rimuginare sul torto subito e perciò impedisce una sua deriva nell'astio o, peggio, nel rancore. Questo stato emotivo, perciò, è una reazione a ciò che si percepisce come ingiusto o sbagliato e che si tramuta in indignazione, irritazione, contrarietà. A titolo di esempio si può citare l'elaborazione di un lutto o di una prognosi infausta, che passa attraverso cinque fasi.

La rabbia, dopo la negazione/rifiuto occupa il secondo posto, ed è una fase molto delicata e bisognosa di aiuto. Altro esempio banale è la rabbia scatenata da un insulto o presunto tale nei confronti non solo di se stessi, ma di un amico, parente, consorte: Will Smith che dà uno schiaffo al comico Chris Rock che aveva fatto una battuta sulla calvizie della moglie. Ognuno di noi almeno una volta al giorno è rabbioso o arrabbiato. Al primo termine si dà solitamente una valenza caratteriale, al secondo comportamentale. D'altra parte, la rabbia è stata sin dall'inizio sia malattia che metafora, un groviglio di significati dove medicina e politica, sapere e potere sono avviluppati in modo irrimediabile.

L'approccio a tale tema viene svolto in questo volume prendendo in considerazione tutti gli argomenti che girano intorno al termine "rabbia". Per tale ragione verranno commentate non solo le basi psicologiche e sociologiche, comprese le tecniche di "sollievo", ma anche gli ambiti interessati alla rabbia, dalla pittura alla letteratura, dalla etologia alla medicina, dall'anziano al bambino, dalla religione alla storia, dalla economia alla politica. Gli autori provengono sia dal mondo accademico che dal mondo della comunicazione, in modo che il volume sia fruibile da gran parte dei lettori. (Comunicato stampa)




Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto
di Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti, Shake Edizioni, 2025

Il libro è stato presentato il 18 marzo 2025 alla Nonostante Marras (Milano)
www.antoniomarras.com

Un ritratto intenso e approfondito di Yoko Ono, artista che ha rivoluzionato il sistema dell'arte e le sue regole. Il volume indaga l'impatto che "la donna più odiata del rock" ha avuto sulla musica sperimentale, sul punk, sulla new wave e sulla cultura underground, ridefinendo il concetto stesso di artista e icona, esplorando le opere e le mostre più recenti dedicate a Ono ed intrecciandole con il contesto sociale, artistico e politico che ha reso possibile quella stagione di sperimentazione radicale.

Come dice Francesca Alfano Miglietti: "si colma finalmente un'irrazionale lacuna: l'assenza nel panorama editoriale di un testo organico su Yoko Ono, figura centrale della controcultura artistica del Novecento. Negli anni cinquanta Yoko Ono iniziò a scrivere quelle che definiva "istruzioni", ovvero delle "partiture" per l'arte più e più volte interpretabili dal pubblico, rifiutando così l'aura mistico-borghese dell'artista ma anche il concetto di opera d'arte come oggetto materiale e tangibile e pertanto idoneo al mercato. Anticipando il concettualismo emerso nel decennio successivo, abbatté i confini tra musica, performance, poesia e arte visiva, inaugurando l'utilizzo dei concerti e degli eventi artistici quali luoghi per incoraggiare il pubblico a prendere coscienza delle proprie idee. È stata pioniera dell'arte concettuale e partecipativa, ma anche della musica underground di fine secolo".

Per Yoko Ono arte e attivismo andavano di pari passo e molte delle sue opere sono manifesti contro la guerra. Di questi la più nota è sicuramente la performance Bed-In del 1969, durante la quale Yoko Ono e John Lennon rimasero a letto per tutta una settimana per protestare contro la guerra in Vietnam. "La trasformazione della loro luna di miele in performance, - osservano gli autori - ha cambiato la tradizione pacifista dei sit-in, un'ulteriore forma di condivisione di un momento privato e felice, trasformato in una campagna internazionale per la pace che includeva la diffusione del loro famoso slogan: War is over - if you want it". (Estratto da comunicato stampa)

---

Yoko Ono
"Wish Tree for Sicily" ("L'albero dei desideri per la Sicilia")


Taormina, 27 luglio - 30 settembre 2024

Progetto di arte interattivo e itinerante avviato da Yoko Ono diversi anni fa che questa estate approda in Sicilia, allestito a Isola Bella. Il progetto della celebre artista sceglie Taormina per lanciare a tutto il mondo messaggi universali di pace e solidarietà. Protagonisti i visitatori internazionali che, come in Giappone, esprimono i loro desideri su bigliettini di carta appesi agli alberi dell'isolotto.

Presentazione mostra




Locandina per la presentazione del libro Cose scritto da Giulio Paci "Cose"
di Giulio Paci, ed. Clinamen, 2025, p. 62, euro 13,50

Il libro è stato presentato l'01 marzo 2025 a Lo Spazio (Pistoia)

Giulio Paci presenta la sua nuova raccolta poetica. Dialoga con l'autore Andrea Ulivi. Se considerassimo l'uomo solo dal punto di vista delle cose che possiede e che lo circondano smarriremmo del tutto il senso del tempo e gli eventi apparirebbero solo come una inafferrabile evanescenza. Più nessun sapere, allora. Ma l'uomo non è solo le sue cose: ogni volto rimanda a simboli e segni vitali, disvelando la vita nella sua continua interruzione e rinascita. Ogni volto è anche lo scorrere delle parole che l'uomo confida a se stesso, un sapere che pur sembra arenarsi nello sconforto di non poterle superare, nella stasi della loro ripetizione quotidiana.

Nella nostra radicale distanza da noi stessi e da quel mondo che le parole dicono, sempre si chiede di poter andare oltre il confine delle cose mostrate. Ricordare certi frammenti del tempo talvolta reca un po' di pace, crea la possibilità di rigenerare quella sfida originaria che è la vita stessa, ripercorrendone i passi, così da acquietare la radicale insoddisfazione di trovarsi nudi di fronte a un paesaggio umano fatto di cose e da cose limitato.

Giulio Paci si è laureato in Filosofia presso l'Università di Firenze e, sempre presso quella Università, ha conseguito la laurea in Scienze Filosofiche. Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo: Niente (2018) e La Soglia (2019) con Giuliano Ladolfi Editore. Con Edizioni della Meridiana ha pubblicato i seguenti lavori: Io sono già morto (2021), Profugo (2022), Anche il nulla riposa (2023), Nessuna Moltitudine (2024).




Locandina per la presentazione del libro Martire a domicilio scritto da Beatrice Beneforti Martire a domicilio
di Beatrice Beneforti, ed. Castelvecchi, 2025, p. 128, euro 19,50.

Il libro è stato presentato il 20 febbraio 2025 alla Libreria Lo Spazio di Pistoia

"Sogno i morti di tutto il mondo" scriveva Carlo sui fogli che gli davano in ospedale. Ora è un anziano schizofrenico incapace di qualunque interazione. Lei, la protagonista senza nome, lo ha conosciuto nel duemilaventi. In mezzo alla strada che costeggia il vecchio manicomio di Pistoia, aveva trovato la sua cartella clinica, tutta piena di disegnini fatti con la biro. Alberto ha invertito il giorno con la notte, preferisce la luna. Ha un materasso singolo nella struttura di un letto matrimoniale. Pare non soffrire mai. Segue una terapia piuttosto forte. Come sarebbe senza? Violento? Lui che è così innocuo. Lui che, buono buono, segue le indicazioni del medico, al contrario di lei che cerca sempre di fare di testa sua, di negare ogni potere alla malattia.

La malattia mentale come inciampo ma anche come lente d'ingrandimento per cercare una forma di verità non melliflua come quelle persone educate che non sai mai se fanno qualcosa perché devono o perché vogliono. Una storia che si muove in una provincia di gesti semplici e rassicurazioni facili ma che sa essere crudele, che non perdona lo scarto e si accanisce con chi non sa ubbidire. Con chi si porta appresso ombre pesanti, con gli indecisi. Coi pazzi, soprattutto.

Beatrice Beneforti, fotografa e autrice. Ha lavorato come artista di Trash Art per l'azienda Hera Ambiente, in Officina Scart. Insieme ad altri coetanei ha creato il collettivo "BUG! Bollettino Urgenze" che si occupa di salute mentale. Da anni lavora sul tema della malattia mentale, intervistando ex pazienti manicomiali e raccogliendone le testimonianze: da qui nasce questo primo romanzo. (Comunicato stampa)




"0 1 2"
di Daniel Wisser


Il libro è stato presentato lo 05 febbraio 2025 al Forum Austriaco di Cultura a Roma www.austriacult.roma.it

Daniel Wisser, «una delle voci più interessanti della letteratura austriaca contemporanea» (Süddeutsche Zeitung), già insignito del Österreichischer Buchpreis nel 2018 per "Königin der Berge", presenta a Roma "0 1 2", il suo ultimo romanzo, uscito in lingua tedesca. L'incontro e le letture sono in lingua tedesca. In cooperazione con l'Österreich Institut Roma e l'Associazione Austriaci in Roma.

__ Sinossi

Morto da trent'anni, al programmatore Erik Montelius viene concessa una seconda vita: è il primo paziente al mondo a uscire dalla conservazione criogenica. Ora vede la propria esistenza non più divisa in vita e morte, ma in prima vita, seconda vita e morte. Ma anche nella seconda vita il mondo non è migliore: sua moglie ha sposato il socio in affari di Erik, che ha anche rubato le sue idee. Le persone indossano mascherine a coprire naso e bocca, scorrono i propri computer portatili e hanno rinunciato alla possibilità di una società giusta e rispettosa dell'ambiente. Erik non ha nulla, né soldi, né casa, né documenti. Ma ha un sospetto sulla persona da ringraziare per la sua prima morte. E ha un contratto per un libro e quindi l'opportunità di portare alla luce la verità... (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione del libro Trentasei Minuti scritto da Sandro Cappelli Trentasei Minuti
di Sandro Cappelli, Nuove Esperienze, 2025


Il libro è stato presentato il 17 gennaio 2025 presso Lo Spazio (Pistoia)

È solo attraverso l'immaginazione più intima, quella che rievoca sensazioni e ricordi che si può pensare di unire il confine che delimita il sogno dalla realtà. Di questo fanno parte anche i dialoghi impossibili instaurati con chi non è più presente, o più semplicemente, si è allontanato da noi. Questo libro descrive, con malinconica ironia, la necessità di ogni uomo di calarsi in una dimensione diversa per ricreare il contatto diretto con qualcuno con cui si è venuto a creare un legame indissolubile. Un viaggio nei ricordi che testimonia come nel profondo dell'anima, presente e futuro, così come sacro e profano, possano fondersi fino a diventare irriconoscibili.

Oltre alla scrittura Sandro Cappelli (Pistoia, 1960) è impegnato in attività di volontariato in ENPA e come attore e adattatore di testi nella compagnia teatrale Teste fra le Nuvole, che opera per scopi benefici. Nel 2023 ha pubblicato il suo primo romanzo "È quasi ora di andare". (Comunicato stampa)




"Il carteggio con Heinz Riedt"
di Primo Levi, ed. Einaudi, 2024, p. 420, euro 23,00


Il libro è stato presentazione l'11 gennaio 2025 alla Libreria Lo Spazio (Pistoia)

Martina Mengoni presenterà "Il carteggio con Heinz Riedt" di Primo Levi, da lei curato per Einaudi. Dialogheranno con lei Massimo Bucciantini, Giovanni Capecchi e Donatella Giovannini, mentre Massimiliano Barbini inteverrà con letture dal carteggio.

Heinz Riedt era un tedesco molto diverso da quelli che Primo Levi conobbe ad Auschwitz: fu soldato nella Wehrmacht e poi partigiano nella Resistenza veneta; lavorò con Brecht e tradusse Goldoni, Calvino e Pinocchio; visse a Berlino Est e poi fuggí in Germania Ovest con la famiglia. E fu lui a tradurre in tedesco Se questo è un uomo e Storie naturali. Ai quesiti lessicali che Riedt gli pone, Levi risponde rievocando il gergo e le espressioni del Lager. La ricerca della parola piú adatta costringe Levi a rituffarsi nella sua drammatica esperienza per riportarla nella lingua in cui l'ha vissuta: il tedesco. Ma le loro lettere non riguardano solo il lavoro tecnico della traduzione: a poco a poco diventano un dialogo fra amici che si scambiano opinioni sulla letteratura, sulla politica, sul mondo editoriale, e sulle rispettive vite. Questo con Heinz Riedt è il primo carteggio di Levi pubblicato in volume.

«Non ho mai nutrito odio nei riguardi del popolo tedesco, e se lo avessi nutrito ne sarei guarito ora, dopo aver conosciuto Lei. Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è, ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere. So anzi, da quando ho imparato a conoscere Thomas Mann, da quando ho imparato un po' di tedesco (e l'ho imparato in Lager!), che in Germania c'è qualcosa che vale, che la Germania, oggi dormiente, è gravida, è un vivaio, è insieme un pericolo e una speranza per l'Europa». (Primo Levi a Heinz Riedt 13 maggio 1960)

«E al Suo libro, cosí necessario e giusto, posso solo augurare che venga letto con intelligenza in Germania, che "parli" non a pochi, ma a molti, moltissimi, che abbia la sua "reazione". E cosí sarà anche per me in un certo senso una risposta, una delle risposte che attendo dai tedeschi con chiarezza». (Heinz Riedt a Primo Levi 8 giugno 1960) (Comunicato stampa)

---

Articoli di Ninni Radicini sulla Germania contemporanea




Locandina della presentazione del libro Croce e il fascismo Croce e il fascismo
di Mino Franzinelli, Laterza 2024

Il libro è stato presentato il 29 novembre 2024 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini (Firenze)
www.fondazionerossisalvemini.eu

Per vent'anni Benedetto Croce fu l'unica voce libera del nostro Paese. L'unico intellettuale a cui il regime fascista, per il suo prestigio e il suo carisma, concedeva una certa libertà di espressione. Da solo, attraverso i suoi libri, la sua rivista e le sue relazioni, riuscì a tenere accesa la fiamma della speranza in tanti giovani. Un racconto che ripropone l'eterna battaglia tra libertà e asservimento della cultura. Benedetto Croce non è stato soltanto uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento ma ha svolto una funzione fondamentale durante il Ventennio fascista, impedendo al regime di ottenere una egemonia assoluta sulla cultura del nostro Paese.

Con un taglio originale, questo libro, oltre a seguire l'atteggiamento di Croce dinanzi al fascismo - accolto con simpatia, poi combattuto con tenacia e inventiva -, ricostruisce non soltanto la biografia del filosofo nel ventennio più tormentato del Novecento, ma ricollega lo studioso liberale ai protagonisti della cultura italiana ed europea, da Thomas Mann a Stefan Zweig.

Con una ricca documentazione inedita, Franzinelli illustra l'offensiva degli squadristi e la 'macchina del fango' scatenata contro il filosofo dissidente. Emerge il ruolo di Croce nella formazione di giovani che - da Giorgio Amendola a Vittorio Foa, da Leone Ginzburg a Piero Gobetti - lo presero quale riferimento in momenti decisivi della loro esistenza. Una particolare attenzione è dedicata alla battaglia di Croce contro il razzismo: era nota la sua contrarietà alla persecuzione degli ebrei, ma ora emergono la continuità e la profondità del suo impegno, che non trova pari in nessun altro intellettuale italiano. (Comunicato stampa Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)

---

Articoli di Ninni Radicini




Copertina del volume Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità pubblicato da Juliet Editrice ad ottobre 2024 con progetto grafico di Piero Scheriani Roberto Vidali a Lubiana in una foto di Elisabetta Bacci a maggio 2023 Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità
di Roberto Vidali, postfazione: Gabriele Perretta, pagg 206, Juliet Editrice, settembre 2024, extra issue Juliet n 219 / ottobre, pubblicazione con apparati iconografici, progetto grafico di Piero Scheriani
www.juliet-artmagazine.com

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della scrittura proteiforme che l'autore ha iniziato a praticare fin dal 1975, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità e all'esondazione immaginifica. Questo fascicolo si basa su collage di testi pubblicati nell'arco di tempo che va dal 1985 al 2023, tutti rielaborati e rivisitati, in modo da poter dare una veste organica e una cornice di riferimento ad argomenti e spunti che altrimenti sarebbero stati visti come dei frammenti privi di alcun fondamento di attualità. L'aspetto più curioso di questa pubblicazione è che raccoglie un insieme di cento testi dedicati ad altrettanti artisti e che all'epoca sono stati (in parte) pubblicati con i più diversi pseudonimi.

A ben vedere il risultato non è per nulla filologico, dal momento che asseconda quella modalità di approccio che vede la forza della parola in gara con la potenzialità espressiva di qualsiasi immagine e la sua perenne possibilità di essere rielaborata. La stessa scelta di ricomporre i singoli testi senza la separazione in capoversi e privandoli delle originarie note a piè di pagina rende la scrittura compressa e soffocata. Questa scelta non è stata dettata da un vuoto manierismo, quanto dalla semplice volontà di rappresentare la concatenazione delle frasi come una valanga irrefrenabile.

L'insieme di questa narrazione trae origine, in massima parte, da una selezione di articoli stampati, a partire dal 1985, sulle pagine della rivista "Juliet". Altri scritti, inseriti in questa silloge, sono stati divulgati sul sito juliet-artmagazine.com. Solo uno di questi è stato recuperato da un catalogo, un altro è stato pubblicato sul sito olimpiainscena.it e l'ultimo della sequenza, peraltro, è inedito. Infine, per continuare questo gioco di ombre, in questo cumulo di parole addensate ne sono state inserite alcune che non furono camuffate da uno pseudonimo, giusto per aprirsi all'idea che, forse, finanche la firma di Roberto Vidali, messa ad architrave di tutto questo progetto la si possa far apparire come un puro gioco della fantasia. A ben vedere la questione trova una porta aperta. Il resto, quello che rimane in disparte, è il silenzio.

Roberto Vidali (Capodistria, 1953), sotto il segno del Sagittario; dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012, "Tutto intorno a noi" del 2021 e "Tre bacche di rovo", datato 2022. Nel 2024 ha dedicato la cura di un catalogo al lavoro di Aldo Damioli. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Copertina dell'extra issue firmato da Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, ott 2024
2. Lubiana, Cukrarna, maggio 2023, Roberto Vidali in una foto di Elisabetta Bacci

___ Altre pubblicazioni Juliet editrice presentate nella newsletter Kritik

Aldo Damioli | "Venezia New York"
testo di Roberto Vidali, gennaio 2024
Presentazione

Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun
Presentazione

Poligoni platonici
di Carlo Fontana, gennaio 2023
Presentazione

"Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, dicembre 2022
Presentazione




"Trieste è un'isola"
Francesco De Filippo, ed. Castelvecchi, €17.50


Il libro è stato presentato il 13 giugno 2024
Ufficio di collegamento della Regione FVG - Bruxelles

Trieste, una città lacerata dai conflitti e dalle travagliate vicende del confine orientale nel Novecento, secondo il giornalista e scrittore Francesco De Filippo, è un'isola della mente, ovviamente non della geografia: un posto unico, che si riconosce in codici specifici, a partire dal dialetto, linguaggio usato universalmente da ogni strato sociale, e tradizioni che assumono quasi il ruolo di rituali civili, che servono per comunicare un'identità fortissima, uno scudo che si è formato dopo un lungo periodo segnato da un senso di continua minaccia di invasione.

Quest'isola inoltre "galleggia" sul non detto ma non rimosso, su vicende del passato che rimangono rilevanti ma non emergono quasi mai nel discorso pubblico. Sono alcune delle riflessioni che sono emerse nel corso della presentazione del volume all'Ufficio di collegamento della Regione Friuli Venezia Giulia a Bruxelles, in cui l'autore ha dialogato con Marianna Accerboni, curatrice della mostra "L'arte triestina al femminile nel '900", visitabile all'Istituto italiano di Cultura di Bruxelles e nell'ambito della quale si è svolta la presentazione della spy story di De Filippo.

Insomma, per tutte queste caratteristiche, una città, o meglio, un'isola da scoprire, svelare lentamente con l'oculatezza dedicata a un oggetto antico e prezioso. Un'isola bifronte: da un lato isceralmente attaccata al passato, dall'altro proiettata nel futuro con una imprenditoria illuminata e un numero altissimo di enti di ricerca scientifica, all'avanguardia.

"Ho scelto lo stile poliziesco perché mi ha permesso di accompagnare il lettore nella scoperta non solo della trama del libro ma anche della città stessa", ha specificato De Filippo. Trama che porta il lettore tra Trieste, Napoli - la città d'origine dello scrittore e del suo personaggio principale, Vincenzo Tagliente, di cui si leggono "le prime e involontarie indagini" - e gli Stati Uniti d'America. Ma tutto parte dal campo profughi di Padriciano, a pochi chilometri dal centro del capoluogo giuliano, dove migliaia di esuli istriano-dalmati sono transitati. Il libro racconta come la catena di violenze e ingiustizie operate dai regimi totalitari si sono ripercosse sulla gente comune.

Ma lo fa "mescolando al dramma il sorriso come nella migliore tradizione partenopea", come ha sottilmente ricordato Accerboni che, introducendo l'autore, ha sottolineato l'intreccio del pathos del racconto poliziesco alla tragicità di eventi storici epocali come l'esodo di 350.000 istriani e le foibe - che segnarono la città nel difficile periodo del dopoguerra. Più altri "momenti di divertissement d'ispirazione quasi teatrale com'è nella cultura partenopea, cui l'autore appartiene". All'incontro erano presenti intellettuali e artisti italiani, belgi e francesi e anche Enrico Tibuzzi, responsabile della sede del Belgio dell'Agenzia Ansa, e Italo Rubino, vicepresidente del Circolo di Bruxelles dell'Associazione Giuliani nel Mondo.

Francesco de Filippo (Napoli, 1960), è stato inviato all'estero per Il Sole 24 Ore ed è responsabile dell'Agenzia Ansa per il Friuli Venezia. È autore di oltre venti libri, tra romanzi, saggi e varia, diversi dei quali tradotti in Francia, Germania e Repubblica Ceca. Il romanzo d'esordio, Una storia anche d'amore (Rizzoli, 2001), ha vinto il premio Cypraea, è entrato in cinquina per il Premio Berto ed è stato finalista al Premio Arezzo. Il successivo, L'affondatore di gommoni (Mondadori, 2004), è stato pubblicato nella Repubblica Ceca e in Francia, dove è stato selezionato per il Supercampiello Europa e per il prestigioso premio Polar. Nel 2001 ha vinto il Premio Paris Noir con il romanzo L'Offense (Métailié). Numerosi suoi racconti sonostati pubblicati su quotidiani e periodici (la Repubblica, Carta, Il manifesto) e compaiono in varie antologie. Fra le sue ultime opere Filosofia per i prossimi umani (con Maria Frega - Giunti, 2020), e per Castelvecchi La nuova via della seta (2019), No vax: il grande sogno negato (2022) e i romanzi Le visioni di Johanna (2019), Prima sterminammo gli uccelli... (2020).

Il progetto espositivo è promosso e sostenuto da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Associazione Foemina APS di Trieste e realizzato in coproduzione con Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, con il patrocinio del Comune di Trieste,  media partner  Il Piccolo, quotidiano di Trieste, e con l'organizzazione di Associazione Giuliani nel Mondo e Circolo AGM di Bruxelles, Ente Friuli nel Mondo e Fogolâr Furlan di Bruxelles e il contributo di Fondazione CRTrieste, Ciaccio Arte - Big Broker Insurance Group (Milano), Francesco Katalan casa di spedizioni S.r.l. (Muggia, Trieste), Azienda Agricola Zidarich (Trieste), Rotary Club Trieste Alto Adriatico, Biesse Forniture elettriche Studio Luce, Videoest Trieste, Grafica Goriziana. (Ufficio stampa per l'Italia Studio Pierrepi - Alessandra Canella)




Copertina del libro Valeria D'Obici Dizionario di una attrice Valeria D'Obici
Dizionario di un'attrice "sui generis"

di Francesco Foschini con Stefano Careddu, Falsopiano 2023

Il volume è stato presentato il 9 maggio 2024 a Nonostante Marras (Milano)
www.antoniomarras.com

A presentare il libro dialogano con Francesco Foschini, autore del volume, Rocco Moccagatta, docente IULM e critico, e la protagonista Valeria D'Obici.

Scheda libro: "Se quel giorno del 1966 fossi andata all'appuntamento con Lucio Battisti, che voleva formare un gruppo musicale tutto al femminile, alle ore 17.30 all'ex Trianon di Milano, forse avrei fatto la cantante e non l'attrice... ma questo non lo saprò mai, perché gli diedi buca". "A un certo punto della mia vita ho deciso di diventare attrice, non che prima di quel momento non ci avessi mai pensato: da bambina mi piaceva prendere parte alle recite scolastiche, poi scrivevo e interpretavo delle scenette umoristiche, inventavo spettacolini con le mie compagne di classe... Ma la cosa fondamentale era poter esprimere le emozioni che avevo dentro. Quindi, se avessi suonato bene uno strumento musicale, tipo il pianoforte, non so se avrei fatto l'attrice, perché mi sarei sfogata suonando".

Con una prefazione di Rocco Moccagatta. Francesco Foschini è critico cinematografico e programmatore. Ha preso parte a progetti redazionali promossi da Milano Film Network e da La Biennale di Venezia. Collabora, e ha collaborato, con "Alias/il manifesto", "duels.it", "Film Tv", "Taxidrivers", "Sentieri selvaggi", Festival MIX Milano. Stefano Careddu è videomaker, montatore e organizzatore di eventi. Collabora con alcune riviste online di informazione cinematografica e, dal 2017, dirige l'Alessandria Film Festival e altre rassegne cinematografiche nel Monferrato. (Comunicato stampa ufficio stampa Maria Bonmassar)




Dipinto in acrilico su tela di cm 80x100 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022 Copertina della pubblicazione Venezia New York Dipinto in acrilico su tela di cm 60x60 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022, un surfista nel mare davanti alla metropoli statunitense Aldo Damioli
"Venezia New York"

testo di Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, gen 2024, 72 pp, 150 x 210 mm

www.juliet-artmagazine.com

Juliet Editrice ha concluso la realizzazione di una pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, l'autore conosciuto a livello internazionale per il ciclo pittorico "Venezia New York" e che a Trieste, ancora più di vent'anni fa, era stato proposto dallo Studio Arte 3, in primo luogo da Mariagrazia Avidano Bonzano e in seguito dal figlio Paolo Bonzano. Il testo che accompagna la pubblicazione è firmato da Roberto Vidali, direttore editoriale della rivista Juliet. Il progetto grafico è di Piero Scheriani.

Il testo di Roberto Vidali, intitolato "Paesaggi elettivi", è incentrato sul ruolo che questo autore ha avuto nella pittura del nuovo millennio e sui rapporti che il suo processo ha con la storia dell'arte. In particolare il testo si sofferma sulle possibili (e insolite) connessioni con la pittura di Botticelli, Canaletto e Guardi. Un lavoro di meticolosa esecuzione, giocato sul dettaglio e sulla forma, sulla prospettiva e sul capriccio, da intendersi come spunti capaci di fornire il pretesto all'invenzione e all'evasione. Il ciò vale a dire che queste opere non parlano di puro realismo, ma di fantasia, di invenzione, di pretesti per dimostrare come la pittura possa essere falsificazione, narrazione fantasiosa, montaggio di parti incongrue e che per essere moderna deve essere anche concettuale.

E la pittura di Damioli è concettuale proprio perché nel titolo evoca (o indica) qualcosa che non c'è o che non viene rappresentato: per esempio nelle sue tele la città di Venezia (pur indicata nel titolo) è solo evocata per confronto con la città di New York o con altra città (sia questa Parigi o Pechino) giusto per dare l'impressione che se di tanto si può parlare, tutto non può (o non deve) essere mostrato. Questa poetica pittorica va contro la durezza ideologica e materica propugnata da Joseph Beuys o in avversione a quei postulati delle neoavanguardie che hanno condotto alla disseminazione del linguaggio oltre che alla sottrazione della centralità dell'esperienza estetica. E questo perché se Damioli, riguardo alla sua pittura cerca un confronto o deve pensare a un autore dei nostri giorni non pensa a Cattelan, ma a Sean Landers, non pensa a Damien Hirst, ma a John Currin.

Damioli, che ha esordito ancora negli anni Novanta con la Galleria di Guido Carbone a Torino, ha poi intessuto per anni rapporti di collaborazione con la mitica Galleria del Milione di Milano e con Santo Ficara di Firenze, il tutto giocando di sponda e in rapporto di collaborazione con critici come Edoardo Di Mauro, Elena Pontiggia e Luca Beatrice. Ricordiamo, infine, che il lavoro di Aldo Damioli, incentrato sul ciclo "Venezia New York", fu presentato anche in una mostra che si tenne nel foyer del Teatro Verdi di Trieste, ancora nel 2012. (Comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 80x100
2. Copertina della pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, Juliet Editrice, gen 2024
3. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 60x60




Locandina della presentazione del libro Cannoli Siciliani scritto da Roberta Corradin Cannoli Siciliani
Mare, amore e altre cose buone
di Roberta Corradin, Giunti editore, p. 320, euro 18,00


Il libro è stato presentato il 10 novembre 2023 presso Lo Spazio Pistoia - Libreria Bacaro

Mare, sole, amore: la Sicilia d'estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l'isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po' arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent'anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto.

Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un'opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d'amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.

Classe 1964, Roberta Corradin ha scritto Ho fatto un pan pepato... Ricette di cucina emotiva (Zelig 1995), Un attimo, sono nuda (Piemme 1999), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi 2008), La repubblica del maiale (Chiarelettere 2013), Piovono mandorle (Piemme 2019). Traduce dal francese e dall'inglese le fortunate serie di Katherine Pancol e Richard Osman. Ha avuto il privilegio di vivere in luoghi affascinanti, tra cui Parigi, New York, Cambridge, la Sicilia sudorientale, dove ambienta i suoi libri. Su Instagram @rocorradin per conoscere i suoi nuovi progetti in Sicilia e per visitare e soggiornare con lei nelle location del libro. (Comunicato stampa)




Gaetano Rapisardi. Architetto 1893-1988
a cura di Clementina Barucci e Marco Falsetti, Campisano Editore, Roma 2022

* Il libro è stato presentato il 16 ottobre 2023 all'Accademia Nazionale di San Luca - Roma
www.accademiasanluca.it

Il volume si propone di far luce sull'opera del progettista siciliano ricostruendone un profilo quanto più possibile esaustivo, al fine di colmare una pagina rimasta troppo a lungo incompleta. Noto soprattutto per gli edifici della Sapienza - le Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza - e per il grande complesso della piazza e della basilica del Don Bosco al Tuscolano degli anni Cinquanta, Gaetano Rapisardi è ricordato nella storiografia perlopiù come fidato collaboratore di Marcello Piacentini.

Tale inquadramento, a nostro avviso riduttivo, dimentica (e talvolta omette) la complessità dell'opera rapisardiana nonché l'interessante sfida tipologica che ha visto l'architetto confrontarsi con una eccezionale varietà di temi, specialmente nel periodo del dopoguerra quando Rapisardi, insieme al fratello Ernesto (spesso coautore delle opere), interrompe la collaborazione con il Maestro (mantenendo comunque rapporti molto cordiali). Si è cercato di restituire, attraverso questo studio, tutto il complesso del suo lavoro, che annovera oltre 150 opere conosciute ad oggi, alcune delle quali solo mediante riferimenti contenuti in carteggi o documenti d'archivio.

I progetti e le realizzazioni di Rapisardi interessano un arco temporale molto ampio, che va dall'inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta, e che copre dunque oltre un cinquantennio di attività professionale. A fronte di una instancabile opera di disegno, di progettazione e di cantiere non si registra, sfortunatamente, un'altrettanta intensa produzione teorica (se si eccettua qualche relazione di progetto) alla qual cosa si deve l'equivoca interpretazione della sua opera.

Rapisardi fu infatti, per quanto ci è dato di sapere dalle rare testimonianze dirette raccolte, dedito soprattutto all'attività progettuale e di disegno, assorbito al punto dal non trovare il tempo di sistematizzare questa sua opera all'interno di un corpus teorico, il che non implica naturalmente che tali realizzazioni mancassero di "spessore critico", come è stato talvolta ingiustamente sotteso. Il volume è pubblicato con il supporto del Dipartimento di Storia disegno e restauro dell'architettura dell'Università di Roma "Sapienza". (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Piero Gobetti L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023


Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli
www.fondazionerossisalvemini.eu

Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

---

The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

---

David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

---

- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





Mappa del sito www.ninniradicini.it

Home page

La newsletter Kritik non ha periodicità stabilita. Le immagini allegate ai testi di presentazione delle mostre, dei libri e delle iniziative culturali, sono inviate dalle rispettive redazioni e uffici stampa con l'autorizzazione alla pubblicazione.