Lettera K come iniziale di Kritik
Logo della newsletter Kritik di Ninni Radicini
Per ricevere la newsletter Kritik, inviare una e-mail (senza testo)
Prima del nuovo numero di Kritik...
Mostre
  
Iniziative culturali
  
Libri
  
E-mail
Link Arte
   Numeri precedenti    Cataloghi da mostre

Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

| [] | Agrigento Capitale italiana della cultura 2025 | [] |

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2022-2023 | 2020-21 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2023-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007



Eterno femminino
Arte a Trieste tra fascino e discrezione 1900-1940


21 dicembre 2023 (inaugurazione ore 11) - 01 aprile 2024
Museo Sartorio - Trieste

Più che un melting pot Trieste è una costellazione, più che un crogiolo ove tutto si mescola e amalgama, è una partitura a più voci. «Gente con premesse diverse che deve tentare di conciliare gli inconciliabili, che naturalmente non ci riesce e saltan fuori tipi strani, avventurieri della cultura e della vita [...]» (Bobi Bazlen).

La mostra, a cura di Federica Luser, Michela Messina e Alessandra Tiddia, riunisce in quel luogo fascinoso e a suo modo intimo che è il Museo Sartorio, una trentina di ritratti di donne triestine dei primi decenni del '900. I dipinti provengono dalle collezioni del Museo Sartorio, dal Museo Revoltella, dalla Collezione d'Arte della Fondazione CRTrieste e da collezioni private, e vogliono offrire uno sguardo particolare su Trieste, attraverso alcune opere dei suoi migliori artisti del secolo.

Una galleria di ritratti femminili propone una Trieste osservata nelle sue pieghe più intime, nei volti e nei corpi di donne di quella borghesia cosmopolita e pluriconfessionale che ha contribuito alla crescita economica e culturale della città nel diciannovesimo secolo e nel primo '900. Il soggetto della mostra è il mondo femminile, l'eterno femminino. Il focus è su quelle donne triestine i cui sguardi, pose, movenze riflettono la caratteristica principale per cui sono conosciute: quel fascino discreto ma volitivo legato al loro essere indipendenti e sicure di sé. Una sorta di proiezione della coscienza segreta delle donne, ritratte nella loro diversità: muse, amiche, mogli, amanti, donne bellissime e sfrontate, provocanti e soddisfatte, timide e riservate, specchio della Trieste di allora. Un fascino discreto, enigmatico e ambiguo a volte, colto nella mondanità e nel segreto delle stanze.

Franco Asco, Antonio Camaur, Glauco Cambon, Bruno Croatto, Cesare Cuccoli, Oscar Hermann Lamb, Mario Lannes, Pietro Lucano, Giannino Marchig, Piero Marussig, Giovanni Mayer, Argio Orell, Gino Parin, Nino Poliaghi, Arturo Rietti, Ruggero Rovan, Edgardo Sambo, Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo, Vito Timmel, Carlo Wostry sono gli autori delle opere scelte per questa esposizione.

L'arco temporale in cui sono state realizzate le opere si concentra sui primi quattro decenni del XX secolo, anni particolari e di grandi cambiamenti, sospesi tra euforia e dramma a causa delle trasformazioni epocali di una città che, dopo la Prima Guerra Mondiale, vede il proprio mondo sgretolarsi e poi ricostruirsi in forme e modi diversi. Diverse ed eterogenee sono le sensibilità artistiche e i linguaggi espressivi che, pur strettamente determinati da un'esigenza di realtà - una costante dell'arte a Trieste per tutto il '900 - oscillano tra i riferimenti simbolisti e postimpressionisti e le atmosfere legate al mondo del Déco come a quelle del Realismo Magico.

Ma ciò che raccorda queste raffigurazioni del femminile, il comune denominatore delle opere selezionate, sta in quell'equazione sottile, talvolta celata, altre volte più manifesta fra queste figure e Trieste, quel fascino discreto e perturbante, quella "scontrosa grazia" che affiora nelle pose, nelle espressioni dei volti, ma anche in uno sguardo, nel rapporto fra l'effigiata e il contesto, spesso espresso da un dettaglio o raccontato nello spazio della tela e che riflette l'immagine di un'essenza sottile, quella di una città controversa: Trieste, appunto. Scultura e pittura si intrecciano nelle splendide sale del Museo Sartorio, luogo ideale per l'esposizione di questi capolavori della scuola triestina che negli interni di una dimora storica vengono idealmente restituiti all'atmosfera per i quali erano stati concepiti. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI - Sergio Campagnolo)

---

Mostre su Trieste

Nidia Robba
I libri pubblicati da Nidia Robba, scrittrice e poetessa triestina con origini a Pola in Istria, ambientati nella Mitteleuropa e in Italia tra Friuli Venezia Giulia, Germania e Austria con riferimenti alla Grecia.




Locandina della mostra Giorni felici a Palermo ai Cantieri culturali alla Zisa Giorni felici?
05 dicembre 2023 - 03 marzo 2024
ZACentrale (Cantieri culturali alla Zisa) - Palermo
www.fondazionemerz.org

Artisti: Yuri Ancarani, Per Barclay, Silvia Giambrone, Joanna Piotrowska, Genuardi/Ruta, Chen Zhen

L'esposizione, a cura di Agata Polizzi, trae spunto da una riflessione innescata dal romanzo Nudi e crudi (The Clothes They Stood Up In) di Alan Bennett (2001), nel quale possiamo cogliere dall'ironia paradossale della vicenda una domanda semplice ma necessaria: è davvero questa la vita che vogliamo?

Come scrive la curatrice "Giorni Felici? prova invece a immaginare che è tempo di rispondere alla domanda partendo dai propri conflitti e limiti. Il sé è un elemento marginale se commisurato alla collettività, ma è anche l'elemento minimo costituente, che può determinare il cambiamento su grande scala." Affidando l'esplorazione allo sguardo degli artisti in mostra "Giorni Felici? è concepito come narrazione progressiva che lascia intravedere quanto vicende personali e sociali siano legate, quanto forte sia il valore di azioni capaci di innescare quelle rivoluzioni che diventano poi ‘fatto culturale'."

Il film di Yuri Ancarani, Séance (2014), è un viaggio visivo in un ambiente domestico rarefatto, custode di vita e morte. Una situazione rassicurante solo in apparenza. Per Barclay con l'installazione Senza titolo (1992), materializza l'idea della casa come luogo misterioso; colma di acqua trasmette energia attraverso una luce intensa. Silvia Giambrone con i suoi specchi, Mirror realizzati tra il 2019 e il 2023, di diverse misure, lavora sull'alter ego insito in ognuno di noi e custode di ciò che avremmo voluto essere, mentre gli scatti fotografici (2016-2019) di Joanna Piotrowska focalizzano l'attenzione sul tema della fragilità dell'infanzia e sulle sue proiezioni nel presente, rileggendo il concetto di casa inteso come rifugio oppure prigione. La promessa della primavera che sta per arrivare è alla base dell'installazione site-specific Vestita di color fiamma viva (2023) del duo Genuardi/Ruta, un tripudio di colore e speranza, mentre i cortocircuiti che caratterizzano la ricerca di Chen Zhen, qui con l'opera Jardin Lavoir (2000), concedono una "seconda vita" agli oggetti simbolo delle contraddizioni della società contemporanea e della storia.

Le poetiche dei sei artisti coinvolti si intrecciano nello spazio del Padiglione ZAC a Palermo, costruendo un'esperienza che invita il visitatore ad approfondire lo scenario contemporaneo cercando risposte all'interrogativo proposto dal titolo, celebrando "il valore dell'esistenza, il senso di comunità fatto di rispetto reciproco nutrito dalla cura che parte da piccole azioni significative, dal riconoscere il valore delle differenze e dell'inclusione e dalla spinta che permette di desiderare con stupore."

Completa sottovoce il percorso espositivo, il monologo tratto dal dramma Happy Days di Samuel Beckett, qui nell'interpretazione di Nicoletta Braschi per il Teatro Stabile di Torino, che vede la protagonista Winnie riflettere sulle ragioni più profonde dell'esistenza umana, accogliendo al contempo il forte senso di attaccamento alla vita che percepisce come spinta al superamento di ogni dolore e delusione. (Comunicato stampa Fondazione Merz)




Locandina della mostra Texas Tornados Texas Tornados
Adrian Landon Brooks | Sophie Roach | Esther Pearl Watson | Bruce Lee Webb | Adam Young | special guest Tom Russell


30 novembre (inaugurazione) - 03 febbraio 2024
Antonio Colombo Arte Conteporanea - Milano
www.colomboarte.com

Il cinema classico lo ha soprannominato The Giant, il gigante, perché il Texas, dopo l'Alaska, è lo stato americano più esteso. Anche se nell'immaginario collettivo è legato a rappresentazioni di cowboy e del deserto, il Texas da alcuni anni è considerato come la nuova frontiera dell'arte negli States. Sono sorte diverse fondazioni private, grandi architetti hanno realizzato diverse commissioni, si è ulteriormente sviluppato il fenomeno del collezionismo e la scena artistica risulta particolarmente vivace, divisa tra gusto mainstream che si dedica soprattutto allo stile minimalista e le tante ricerche alternative che ne incarnano l'anima più veritiera e curiosa.

Bisogna infatti considerare che la cultura americana alternativa affonda in una tradizione molto particolare, che taglia fuori completamente l'avanguardia europea del primo '900 e rivisita forme artistiche molto particolari su cui le nuove generazioni compiono interessanti studi e approfondimenti, a partire da una semplice domanda: come coniugare stili e linguaggi studiati solo marginalmente nei canali ufficiali con le numerose forme di cultura outsider del presente?

Sulla vitalità del Texas oggi si è scritto molto. Austin è considerata la capitale della musica live; uno dei più importanti scrittori contemporanei, Cormac McCarthy scomparso pochi mesi fa ha ambientato in Texas i suoi romanzi più importanti, come Cavalli selvaggi e Non è un paese per vecchi. Dalla scena letteraria sono usciti il pirotecnico Joe Lansdale, Philipp Meyer, autore del new western Il figlio. È normale incontrare alle inaugurazioni delle mostre l'attore Ethan Hawke, nato ad Austin, oppure Wes Anderson, che è di Houston.

Dopo aver esplorato a lungo l'arte della West Coast, l'indagine della Galleria Antonio Colombo si sposta nel cuore dell'America e intitola questa nuova mostra Texas Tornados, il supergruppo attivo dal 1989 che ha lavorato sulla modernizzazione dello stile Tex Mex, contaminando con ritmi country-rock il cosiddetto stile norteno-messicano. Sta qui dunque la chiave interpretativa di questo rapporto, molto vivace, con la tradizione dell'arte folk e outsider del XX secolo, incrociato con il consueto mondo di contaminazioni culturali che da anni costituiscono la cifra poetica e la ricerca della galleria. Gli artisti che partecipano a Texas Tornados - da un'idea di Antonio Colombo, a cura di Luca Beatrice - sono quasi tutti inediti in Italia e taluni anche in Europa.

Adrian Landon Brooks (Houston, 1983) ha studiato al San Francisco Art Institute, si definisce "muralist", infatti ha realizzato diverse opere murarie, anche per grandi aziende, prevalentemente in Texas. I murales a cui Adrian lavora gli permettono di esplorare forme, colori e composizione in una scala maggiore rispetto alle opere che dipinge in studio. Lavora con pittura e illustrazione impiegando supporti attentamente selezionati come ciocchi di legno locali, vecchie foto e oggetti antichi collezionati negli anni. Dall'esperienza in California sostiene di essere rimasto influenzato dall'arte di Barry McGee e della Mission School era. Rielabora l'arte tradizionale folk sui temi dell'amore, del peccato e della redenzione, non esente da un certo personale misticismo che trascende le nozioni di razza e credo. Adrian ha esposto in gallerie e musei di tutto il mondo, e il suo lavoro è stato pubblicato in riviste come Juxtapoz, VNA e Art Mag Magazine.

Sophie Roach (Indiana, 1988) è un'artista visiva multidisciplinare che utilizzando forme e modelli familiari e la propria intuizione, ha creato un linguaggio visivo unico basato su spontaneità e ritmo. Ha iniziato a dipingere murales nella città dov'è cresciuta, Austin, nel 2013 e da allora ha creato opere su larga scala in tutti gli Stati Uniti e all'estero, lavorando anche per brand internazionali. I temi del suo lavoro murale si estendono alla sua pratica in studio, dove crea disegni e dipinti intricati. Dando priorità ai segni intuitivi piuttosto che ai progetti pre-pianificati, il suo lavoro colorato e astratto cerca di riflettere la diversità e la ripetizione di un giardino, di una città o di una canzone - tutte cose che sono riconciliate con le loro forze interiori. Trova ispirazione contemplando i modelli di ordine, crescita e distruzione nei nostri linguaggi condivisi, nell'ambiente costruito e nel mondo naturale. Il lavoro di Sophie coniuga lo stile astratto e stilizzato con il gusto per la grafica contemporanea. Nei suoi grandi lavori murali è come se la pittura di Paul Klee si fosse incontrata con l'illustrazione tradizionale americana in un'unione tra geometria e mondi visionari.

I dipinti di Esther Pearl Watson (Francoforte - Germania, 1973) sono strettamente autobiografici, attingendo principalmente dalle pagine del suo diario, dai fatti recenti e dai ricordi della sua infanzia, caratterizzata da una straordinaria educazione e da una vita familiare fuori dal comune. Esther ha trascorso gran parte della sua giovinezza in Texas. La sua famiglia è stata sempre inseguita dal sogno ossessivo di suo padre, un quasi scienziato visionario, di costruire un disco volante funzionante e venderlo. Il suo stile artistico ha radici nei primi anni della sua carriera, quando ha realizzato che la sua migliore fonte d'ispirazione era la sua vita. Esther ha esposto in importanti galleria internazionali come Maureen Paley di Londra e a fiere internazionali tra cui Art Basel e Frieze London.

Bruce Lee Webb (Waxahachie - Texas, 1966) è cresciuto in un contesto di amore e religione, sviluppando poi un interesse per l'occulto. Figlio unico in un mondo di fede, si è avvicinato all'arte attraverso le decorazioni della scuola domenicale, i vecchi libri e l'arte popolare riportata dagli anni di missione in India. Insieme alla moglie Julie ha vissuto per alcuni anni a Dallas, dove ha studiato la tradizione Hobo attualizzandola nel mondo della cultura skate e punk. I Webb si sono poi trasferiti a Waxahachie e hanno fondato una propria galleria nel 1987, e ora un'altra sede a Fort Davis, Texas dove espone fra l'altro arte e manufatti di nativi, sculture folk e artisti hobo. Le opere di Bruce sono un diario di ciò che accade nella sua mente. La sua ricerca artistica è spesso legata al mondo della musica "Americana". Preferisce il carattere di vecchie tele, vecchi sacchetti di semi o carta da registro con un semplice inchiostro per riversare i suoi pensieri.

Adam Young è originario delle comunità fluviali vicino a Lake Charles, in Louisiana, dov'è nato nel 1986. Ha un legame profondo con il legno, derivante dall'eredità del nonno falegname. La sua poetica, a partire dagli anni del college, affonda le sue radici nell'universo naturale, ed è stata poi influenzata dalla presenza di colleghi artisti che lo hanno ispirato. Il processo creativo di Adam comincia con la sua affinità per le parole e le citazioni, che combina con testi e immagini sulle sue opere dipinte su pannelli in legno meticolosamente lavorati. Il suo lavoro serve a ricordare il codice nascosto per scoprire la gioia e la bontà nel mondo.

La guest star di Texas Tornados è Tom Russell (Los Angeles, 1947), naturalizzato texano, è un personaggio di culto nel mondo della musica alternativa, il più grande cantautore folk-country vivente secondo il critico John Swenson, fin dal 1976 in parallelo alle canzoni ha sviluppato la passione per la pittura e per la letteratura. Laureato in criminologia, ha scritto un libro di citazioni con Sylvia Tyson, un romanzo giallo e un volume di lettere con Charles Bukowski. Definito un Hemingway dei tempi moderni, autore di canzoni memorabili, spesso ambientate nelle terre di confine del Texas, quali Gallo del cielo, la storia di un fattore caduto in disgrazia, che ruba un gallo da combattimento senza un occhio (rooster born in heaven) che vincerà tutto finché non incontra Zorro... oppure Blue Wing, il racconto di un tatuaggio e del galeotto che lo porta sulla pelle. Desperados, emarginati, perdenti, avventurieri sono i protagonisti della sua umanità diversa.

Secondo Monte Hellman, regista del mitico anti-western La sparatoria, la tensione primitiva si ritrova sia nella musica sia nell'arte di Russell, mentre la scrittrice Annie Proulx ha parlato della sua curiosità irrequieta e dell'immaginazione violenta. Il poeta beat Lawrence Ferlinghetti dice di lui che il suo stile rappresenta l'incontro tra Johnny Cash, Jim Harrison e Bukowski. Nel corso della sua lunga carriera di musicista ha lavorato, tra gli altri, con Lucinda Williams e i Calexico. Luigi Grechi, il fratello di Francesco De Gregori, ha tradotto alcuni suoi brani e proprio il Principe ha interpretato Angel of Lyon di Russell, nell' album Per brevità chiamato artista (2008). Tom Russell ha esposto in musei e gallerie negli Stati Uniti, in Canada e in Svizzera, e le opere sono state acquisite dal El Paso Museum of Art. (Comunicato stampa)




Scultura in bronzo denominata Nuvolari realizzata da Antonio Lengua nel 2011 Scultura in bronzo denominata Il ritorno realizzata da Antonio Lengua nel 2012 Scultura in bronzo cm 71x40x23 denominata La siesta realizzata da Antonio Lengua nel 2020 Scultura in bronzo denominata L'Artigiano e Il Padre realizzata da Antonio Lengua nel 2017 Antonio Lengua
Sussurri della terra. Scolpendo il viaggio dell'anima


09 dicembre (inaugurazione ore 17.00) - 23 dicembre 2023
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Questa straordinaria esposizione, curata da Arianna Sartori, esplora l'intersezione tra l'arte tradizionale e le dinamiche della società moderna. Le sculture in bronzo presentate, con la loro fusione unica di forme tradizionali e influenze contemporanee, incarnano un'espressione vibrante della complessità umana e dell'ambiente mutevole. Antonio Lengua, pittore e scultore (Cervinara - Avellino, 1946), cresciuto artisticamente ad Avellino, nel cuore dell'Italia, a due passi da Napoli, vissuto a lungo in Svezia e Danimarca, attualmente vive e opera a San Marino.

Attraverso un linguaggio visivo distintivo, ogni opera d'arte trasmette una narrazione evocativa di sfide e cambiamenti, invitando il pubblico a riflettere sulle interconnessioni della vita moderna. Questa mostra invita gli spettatori a esplorare la bellezza intrinseca della metamorfosi artistica e a considerare il ruolo in continua evoluzione dell'arte nell'interpretare il mondo di oggi.

"Lo stile di Lengua", scrive il giornalista Alessandro Carli, "miscela elementi di surrealismo con una visione mitica e simbolica di un futuro arcaico proiettato oltre il tempo storico. Una pittura che richiama, per certi versi, il grande movimento culturale del Futurismo. E lo rinnova".

Scrive Annalisa Cattani: "Ed è tutto nel battere e levare di due luoghi opposti e ossimori - la calda Avellino della nascita, il freddo nord della giovinezza che si sviluppa la creatività e il modo di pensare e di creare il futurismo di Lengua. Il caldo e il freddo caratterizzano, infatti, la scelta della gamma cromatica e hanno trasformato la sua pittura da gesto primario, una pittura metafisica e archetipica". (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Lengua, Nuvolari, 2011, bronzo
2. Antonio Lengua, Il ritorno, 2012, bronzo
3. Antonio Lengua, La siesta, 2020, bronzo cm 71x40x23
4. Antonio Lengua, L'Artigiano e Il Padre, 2017, bronzo

---

Ylli Plaka | "Nido dell'anima"
02 dicembre (inaugurazione) - 23 dicembre 2023
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
Presentazione

Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione
Presentazione




Bologna pittrice | il Lungo Ottocento | 1796 - 1915
01 dicembre 2023 - 17 marzo 2024
Bologna e San Giovanni in Persiceto, varie sedi
www.museibologna.it

Il progetto espositivo, ideato e coordinato dal Museo civico del Risorgimento del Settore Musei Civici Bologna a partire dai tre album fotografici che documentano la produzione artistica e architettonica a Bologna nella seconda metà del XIX secolo donati da Raffaele Belluzzi (1839-1903), promotore del museo stesso e successivamente suo primo direttore, ha trovato l'adesione di numerosi enti, musei, gallerie, associazioni e studiosi da lungo tempo impegnati nella valorizzazione e nello studio del patrimonio artistico e culturale del XIX secolo conservato in ambito cittadino.

Dopo diversi decenni in cui la città di Bologna non dedica al tema una ricognizione monografica - risale al 1983 l'ultima occasione espositiva che ha consentito una lettura storicizzata di ampio respiro con la mostra Dall'Accademia al vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità curata da Renzo Grandi alla Galleria d'Arte Moderna - la mostra si prefigge l'ambizioso obiettivo di proporre con nuovo slancio interpretativo una visione complessiva sulla ricchezza e la complessità di questa fervida stagione pittorica, facendo il punto sulle nuove scoperte e ricostruzioni biografiche acquisite negli ultimi anni.

Con la fine del dominio pontificio e l'entrata nel Regno d'Italia, Bologna entra in un periodo tumultuoso ed estremamente complesso: i mutamenti urbanistici, sociali ed economici, l'avvio dell'industrializzazione, l'acuirsi delle lotte sociali e politiche, fino all'entrata in guerra nel 1915. Similmente agli altri centri urbani della nazione, questo susseguirsi di eventi si riflette anche nell'ambito della cultura e delle arti, favorendo un serrato confronto tra cultura d'accademia e avanguardia. Ancora oggi è forte la propensione a definire tout court la scuola artistica locale "accademica", senza però mai andare oltre questa considerazione, che sebbene importante, non deve essere considerata esclusiva. E ciò porta a non valutare pienamente neppure il ruolo dell'Accademia di Belle Arti, che con i suoi Concorsi Curlandesi e Baruzzi, è stata tra i principali crocevia del confronto artistico nazionale.

Nel corso del "Lungo Ottocento", inoltre, in città si costituiscono istituti quali il Collegio Venturoli (1825), associazioni come la Francesco Francia (1894) o il Comitato per Bologna Storica e Artistica (1899), il movimento artistico dell'Aemilia Ars cresciuto intorno alla figura di Alfonso Rubbiani, altre gilde e cenacoli di minore durata: tutte occasioni per poter declinare il gusto contemporaneo. (Estratto da comunicato stampa)




Locandina del convegno sulla pittura e architettura degli Anni Trenta in Italia Arturo Bonfanti e Alberto Sartoris
Pittura e architettura nel clima culturale degli Anni Trenta in Italia


12 dicembre 2023, ore 18.00
Lorenzelli Arte - Milano
www.lorenzelliarte.com

Incontro in occasione della chiusura della mostra Contingenze e armonie: Arturo Bonfanti, Lorenzelli Arte. Salvatore Aprea, docente di Storia dell'architettura e direttore degli Archivi d'architettura del Politecnico di Losanna, dialogherà con Roberto Borghi. In questa occasione verrà presentata la mostra Terragni e Sartoris a Como, capitale del Razionalismo italiano 1926-1943, a cura di Salvatore Aprea, in corso nella ex chiesa di San Pietro in Atrio, a Como, fino al 31 dicembre 2023. Uniti dalla visione dell'astrattismo enunciato dal critico d'arte Carlo Belli nel suo ormai celeberrimo saggio Kn pubblicato nel 1935, Arturo Bonfanti, artista, e Alberto Sartoris, architetto e critico d'arte, saranno i protagonisti di questo incontro, che metterà in luce i punti di convergenza presenti tra le loro espressioni e ricerche artistiche. (Comunicato di presentazione)




Dipinto a olio su tela di cm 50x80 denominato Sera a Trieste realizzato da Fabio Colussi nel 2020 Fabio Colussi. Venezia e oltre
02 dicembre (inaugurazione) - 15 gennaio 2024
Sala Xenia della Comunità Greco-Orientale di Trieste

Mostra curata dal critico Marianna Accerboni, che introdurrà l'esposizione assieme a Gabriella Pastor. In mostra una quarantina di oli dedicati alle vedute marine di Trieste e di Venezia, per la maggior parte inediti e realizzati negli ultimi due anni prevalentemente su tela.

Presentazione




Locandina della mostra di Alketa Delishaj Alketa Delishaj
"Alkèta. Le Tuffatrici no.04"


01 dicembre (inaugurazione) - 23 dicembre 2023
LUAR Bovisa Concept Store - Milano
www.alketa.art

Il titolo della mostra, a cura di Luigi Marastoni, fa riferimento ad una serie iconica dell'artista -"Le Tuffatrici" - ispirata alle imprese di Jane Fauntz, Katherine Rawls e di tutte le tuffatrici olimpiche che, partecipando ad Anversa 1920, divennero un manifesto visivo per la parità di genere. Il percorso esposito comprende una trentina di opere, molte delle quali inedite, realizzate nel 2022-2023. Acquerelli di piccolo formato, lavori a tecnica mista su carta di medie dimensioni e grandi dipinti ad acrilico su tela accomunati da una pittura liquida, fatta di trasparenze e stratificazioni. Unitamente alle opere delle serie "Le Tuffatrici" e "I Paesaggi", sono esposti per la prima volta a Milano gli "Astratti minimalisti", acrilici su tela in cui la figura lascia definitivamente posto ad una gestualità ampia e articolata, portatrice di un rinnovato senso di libertà.

«Figure eteree popolano un'atmosfera rarefatta», scrive il curatore Luigi Marastoni. «Il segno leggero che le armonizza all'ambiente non nega la loro funzione ordinante: stasi, ortostasi, logos. La ricerca è condotta per"arte del levare". Ordinate, composte, come gli innocui soggetti delle illustrazioni americane degli anni Trenta del secolo scorso, alla stessa maniera fiduciosi, ma in diversa maniera ingenui; le figure, nell'atto del tuffo, dimostrano l'intento liberatorio ed eroico. Diafane, liquide (come la pittura morandiana) introducono uno spazio che appare vacuo, leggero: pavimento-acqua-cielo sono presenze delicate ma già mutevoli. Nelle opere più grandi, su tela, la figura si riduce a segno sintetico, minuta presenza, punteggiatura, mentre lo spazio, mutevole sempre più mutevole, si fa più materico, espressivo, con gesti che rompono l'equilibrio associato alla bidimensionalità. Tensione dei corpi, eros».

Alketa Delishaj, nata in Albania ma veronese d'adozione, porta avanti dal 2005 una ricerca che intreccia pittura, fotografia e storia. Vincitrice di premi e riconoscimenti, ha preso parte a numerose mostre personali e collettive. Nel 2021, ha collaborato con ARTIQgram di Londra per un progetto artistico sulle tuffatrici, successivamente acquisito dal Gruppo Belmond, leader internazionale del lusso. Nel 2023 il suo viaggio creativo l'ha portata al Festival del Cinema di Bastia, consolidando la sua presenza nella comunità internazionale del cinema e dell'arte. (Estratto da comunicato stampa)




EMOTION l'arte contemporanea racconta le emozioni
29 novembre 2023 - 07 gennaio 2025
DART Chiostro del Bramante - Roma
www.adicorbetta.org

Più di venti artisti, più di venti opere molte delle quali site specific: EMOTION porta il pubblico in un viaggio di emozioni perché se ne possano sentire molte, molte di più. In mostra: AES+F, Mat Collishaw, Subodh Gupta, Carsten Höller, Eva Jospin, Kimsooja, Luigi Mainolfi, Masbedo, Annette Messager, Paul Morrison, Luigi Ontani, Tony Oursler, Piero Pizzi Cannella, Laure Prouvost, Pietro Ruffo, Alessandro Sciaraffa, Gregor Schneider, Paolo Scirpa, Nedko Solakov e Adrian Tranquilli.

Quante emozioni ispirano un artista? E quante vengono trattenute dentro l'opera? E quali prova uno spettatore davanti a quell'opera? E quante si mantengono nel tempo e quante cambiano e come cambiano? Quando si ha a che fare con le emozioni sono più le domande delle risposte, sono sempre più le emozioni delle certezze. Sul rapporto tra verità e finzione si interrogano da sempre gli artisti di ogni tempo, così come sull'emozione che l'opera provoca in chi la realizza e in chi la guarda. La verità non è mai un traguardo ma un lungo e accidentato percorso che non può escludere gli errori e gli inganni.

Ogni verità si accompagna al proprio inganno, Abele al suo Caino, ogni esistenza al suo peccato originario. Verità e Inganno sono fratelli siamesi che non si possono separare e l'arte è il metro del loro confronto. Sono gli artisti che agiscono in tale territorio e sono loro che accendono il brivido dell'emozione. EMOTION è un dialogo fitto e inatteso fra verità e apparenza, è il segno di un confronto guidato dalla sorpresa e dall'emozione. (Danilo Eccher, curatore)

Con EMOTION esprimiamo un desiderio: che il pubblico del Chiostro del Bramante prenda tempo per emozionarsi. In un momento come quello che viviamo dove tutto va veloce, dove ogni cosa è consumata con rapidità, questa mostra dedicata ai sentimenti ci piacerebbe fosse un'opportunità per stupirsi e commuoversi, per gioire ma anche un poco per imbarazzarsi, per sentirsi orgogliosi, per provare paura ma anche tranquillità, per essere nostalgici ma anche psichedelici e tornare poi alla felicità e alla pace. Un viaggio grazie all'arte e agli artisti, per entrare in contatto con le tante emozioni che ci permettono di sentire, di capire, di essere. Un necessario take your time per far vivere, anche fuori dal Chiostro, EMOTION. (Natalia de Marco, direzione DART Chiostro del Bramante) (Estratto da comunicato ufficio stampa adicorbetta)




Locandina della mostra Vrtti con opere di Joanna Brzescinska-Riccio e Giuseppe Joh Capozzolo Opera realizzata da Joanna Brzescinska denominata Riccio, Portali I II III IV Joanna Brzescinska-Riccio e Giuseppe Joh Capozzolo
"Vrtti"


08 dicembre (inaugurazione ore 18.00) - 23 dicembre 2023
Spazio Cappella Marchi (Chiesa della Madonna del Carmine) - Seravezza (Lucca)
www.joannabrzescinskariccio.com - www.giuseppejohcapozzolo.com.

Installazione artistica realizzata da Joanna Brzescinska-Riccio e Giuseppe Joh Capozzolo con la curatela di Lorenzo Belli. Il duo artistico concentra la propria ricerca sulle tematiche concernenti la conoscenza e la comprensione del mondo attraverso l'analisi delle diverse modalità percettive possibili, ovvero quella sensoriale, emotiva, razionale ed intuitiva, e indagando il nesso potenzialmente esistente, sotto il profilo artistico, tra scienza e spiritualità. Il termine Vrtti, che in sanscrito significa "vortice", flusso turbinoso di pensiero, informazione, che, secondo la conoscenza vedica, è trasmesso da ogni individuo e che si imprime in modo indelebile nell'etere o akasha, è assunto a metafora della descritta complessità.

La base concettuale dell'installazione Vrtti è infatti che la comprensione, l'acquisizione e la giustificazione della realtà sono conseguenza della continua interazione dell'individuo con il mondo circostante. Da qui l'esigenza di riflettere sull'opportunità di selezionare i flussi della conoscenza per cercare di discernere dalla mole delle informazioni, oggi più che mai "ammassate", le nozioni funzionali alla promozione di un sistema di vita più coerente rispetto alle leggi universali dell'armonia cosmica.

In realtà l'essere umano è bidirezionale, trasmette e riceve costantemente informazioni, flussi di pensiero che si registrano da qualche parte nell'etere e che vengono riassorbiti secondo l'intenzione di chi li riceve: l'idea di Vrtti è quindi associata dagli artisti a quella dell'onda elettromagnetica trasmessa da un apparato radio ricetrasmittente, che riceve e trasmette costantemente informazioni che si diffondono nell'etere radiofonico e che possono essere sintonizzate secondo l'intenzione specifica di chi le riceve.

L'ancestrale e incessante flusso vorticoso dei pensieri generati dagli esseri umani in ogni tempo e luogo, registrato massivamente nell'Akasha/Etere, forma innumerevoli realtà provvisorie, parvenze di verità frutto dei condizionamenti indotti, che allontanano dalla compressione dell'armonia universale e che, distanti dalle leggi cosmiche, generano da tempo immemore condizioni autodistruttive, cosi come testimoniato dagli eventi della stessa storia dell'uomo, non sempre edificanti. Secondo gli artisti è estremamente importante che l'essere umano si riappropri del potere di controllo del proprio pensiero, selezionando, filtrando, purificando - sintonizzando, appunto, come una radio - i flussi d'informazione nella prospettiva di recuperare le condizioni di armonia e di equilibrio necessarie alla propria esistenza di individuo come parte integrante dell'universo intero.

Joanna Brzescinska-Riccio (Polonia), si è laureata in Belle Arti con la specializzazione in Grafica (acquaforte) all'Università Maria Curie - Sklodowska di Lublino nel 1985; dal 1989 vive e lavora in Italia. Il disegno a china a tratto finissimo su carta e tela è la sua forma prediletta di espressione artistica, con una tecnica propria sviluppata e perfezionata nel corso degli anni, fondata sull'esperienza degli studi effettuati nel campo della grafica. Tutti i disegni sono realizzati rigorosamente a mano libera con penna a china o inchiostro su carta o tela, in assenza di qualsivoglia tipo di ausilio meccanico o informatico.

Come soggetti artistici orienta la sua scelta prevalentemente su temi rappresentativi della natura cosmica e metafisica del Mondo. Ha realizzato 41 mostre personali e ha partecipato a circa 200 mostre collettive e Fiere d'Arte. Per la sua opera artistica ha ottenuto circa 40 importanti premi e riconoscimenti. È presente in numerosi dizionari, cataloghi, riviste e libri d'arte. Sue opere fanno parte di collezioni pubbliche, museali e private in Italia e all'estero.

Giuseppe Joh Capozzolo è artista multimediale e sound designer. Ha composto musiche e ambientazioni sonore per numerosi cortometraggi, mediometraggi e lungometraggi, esperienza culminata con la realizzazione delle colonne sonore di alcune importanti produzioni cinematografiche internazionali come The Perfect Husband (2014) e The Alcoholist (2016), entrambe dirette dal regista argentino Lucas Pavetto, che gli sono valse il premio per la migliore musica da film all'European International Film Festival di San Pietroburgo (2015) e la nomina ufficiale per la migliore musica da film al Philadelphia Independent Film Festival (2016). Ha prodotto diversi audiovisivi per la divulgazione dell'arte nonché particolari trasposizioni audio-video-fotografiche di opere che hanno segnato la storia dell'arte italiana ed internazionale. Compone musica di genere ambient elettronico, di cui realizza video proiettati anche nel corso di performance sonore live. (Comunicato stampa CSART - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Locandina della mostra Vrtti,
2. Joanna Brzescinska, Riccio, Portali I II III IV




Locandina di presentazione della rassegna Christmas Showcase Christmas Showcase
01 dicembre (inaugurazione) - 23 dicembre 2023
Galleria Doppia V - Lugano
www.galleriadoppiav.com

Il prossimo Natale sarà possibile portare sotto l'albero un pensiero speciale e molto originale, da scegliere tra le realizzazioni degli artisti della Galleria Doppia V che presenta una selezione di dipinti di piccolo formato, opere su carta, sculture e oggetti realizzati appositamente per l'occasione. (Comunicato di presentazione)




Opera di Ozmo Ozmo
Amalgama


inaugurazione 19 dicembre 2023, ore 18.00
Studio d'Arte Raffaelli - Trento
www.studioraffaelli.com

Il poliedrico artista OZMO, all'anagrafe Gionata Gesi, con una mostra personale che si ispira ai miti iconografici del Rinascimento, in dialogo con la volta affrescata dello Studio Raffaelli. L'esposizione si apre con una monumentale installazione nella sala principale della galleria, nella quale OZMO propone una visione onirica della montagna, che rappresenta metaforicamente l'Athanor, la fornace cuore del processo di trasformazione. Questa immagine cardine è resa accessibile dall'inserimento di elementi effimeri e contemporanei ed allude ambiguamente all'ambiente alpino della città di Trento. L'installazione è attorniata da opere di grande formato, che mettono in scena le icone del sapere alchemico e ricreano l'atmosfera della Wunderkammern.

Il visitatore si trova immerso tra le suggestioni esoteriche ed i prodigi del mondo minerale, animale e vegetale. Una coppia di grandi mascheroni di sapore Arcimboldesco echeggia il decoro a grottesche della volta. Al tempo stesso, due tele interpretano lettere capoverso tratte da opere a stampa del sedicesimo secolo, che raffigurano la "O" e la "Z", iniziali del nome di OZMO, alludendo al lettering della street art e creando ironicamente una parola d'ordine di due lettere, come d'uso nelle antiche società segrete. I simboli ambigui dell'alchimia si affollano sulle pareti celebrando il prodigio della trasmutazione, che si fa metafora della dimensione circolare del tempo, della vittoria della vita sulla morte e del conflitto tra principi opposti. "Amalgama" mette in scena una sfaccettata visione alchemica, che si fa metafora della dimensione fluida della società contemporanea.

Il carattere ambiguo ed inaccessibile del mistero alchemico, che governa la trasformazione materiale e spirituale, si mescola nello stile di OZMO, con l'immediatezza delle icone pop, che trasportano nel tempo presente una carrellata di immagini di ispirazione rinascimentale. L'artista rimescola la sacralità del mistero e la natura incerta e disorientata del tempo presente, dove sete di spiritualità e progresso scientifico si rincorrono in un ancestrale percorso senza fine. Oltre alla serie di opere site-specific, completa l'esposizione una ricca selezione di opere recenti ispirate al tema della rivisitazione del passato in chiave contemporanea, allestite negli ambienti della galleria. La mostra è accompagnata da un catalogo con testo di Cristina Boschetti. (Comunicato stampa)




Terracotta smaltata di cm e altezza 50x24x34 denominata Cera una volta... realizzata da Ylli Plaka Ylli Plaka mentre sta lavorando ad un opera artistica Installazione di ceramica e fieno con diametro di cm 150 denominata Nido dell'anima realizzata da Ylli Plaka Ylli Plaka
"Nido dell'anima"


02 dicembre (inaugurazione) - 23 dicembre 2023
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Ylli Plaka ritorna alla Galleria Arianna Sartori con un nuovo ciclo di opere realizzate con le tecniche della scultura alcune in ceramica smaltata ed altre in grés. L'esposizione è curata da Arianna Sartori. La sua prima personale a Mantova alla Galleria Arianna Sartori risale a vent'anni fa con la mostra "Mistero - Donna" nel 2004, a seguire "Forme di vita" nel 2010, "Forma del pensiero" nel 2011, "La terra del mare" nel 2013 con altri quattro scultori di Savona, e la personale "Luna tra le donne" nel 2020.

___ Intervista tratta da: Kélyfos art design book online n.1, 2020 - intervista a cura di Gianluca Cutrupi

- Perché la ceramica?
"Perché mi sono diplomato all'Accademia di Tirana, come scultore ceramista. Ho seguito i corsi di scultura sotto la guida del Prof. Thoma Thomai e di ceramica con il Prof. Kristo Krisiko. Inoltre, arrivato in Italia nel marzo 1991 mi sono trovato a vivere e lavorare ad Albisola, paese della ceramica, e perché la ceramica è la mia vita".

- Due parole sul tuo lavoro: le tecniche, i soggetti, ecc...
"Credo nell'espressione figurativa però mi comporto con estrema libertà. Molto spesso non creo figure ma simboli in forma di figure. Il mio spazio è tra realtà ed immaginazione, tra la rappresentazione e l'invenzione. Il mio percorso ha uno sviluppo orizzontale che si muove in tante direzioni. Sono uno scultore che ha scelta la ceramica.  Il mio rapporto con le tecniche della ceramica è di sfida continua, delle volte sono io che cavalco la tecnica e a volte è la tecnica che si impadronisce di me e fa da faro nelle mie scelte. Le mie tematiche sono universali e al tempo stesso arcaiche e attuali.  Ho un rapporto quasi paterno con le mie tematiche, non sono mai un capitolo chiuso, possono tornare in qualsiasi momento".

- Che cosa vuoi esprimere con la tua arte?
"La mia arte è un gran desiderio di comunicare, possibilmente a voce bassa. Invece di urlare, è un invito a riflettere, sul nostro rapporto con il passato, presente e futuro. Riflettere sui valori della nostra esistenza, scoprire e trasmettere nuove visioni sul mondo. Prerogativa della mia arte è la diversità rispetto alla convivenza degli esseri viventi del nostro pianeta".

- Cosa rappresenta il tuo studio/laboratorio?
"Il mio studio è il mio habitat. Ho creato un luogo adatto alle mie caratteristiche da scultore-ceramista. Sono sempre alla ricerca degli attrezzi che mi permettano di lavorare con tutte le tecniche della ceramica: dalla terracotta smaltata 1000° sino al grès oltre i 1200, lavorazione con tornio, collaggio e modellato a mano, dalle piccole figurine sino alle sculture da parco. Il mio studio, quindi, è il luogo dove creo le mie opere, dove realizzo i miei sogni".

- Artisti che ammiri di più (nella storia)
"Direi che l'artista che vive in me dai tempi dell'Accademia di Tirana, fine anni 80', sia Constantin Brancusi, artista romeno del 900' che ha vissuto a Parigi. Tra gli artisti contemporanei mi intriga per le sue idee Maurizio Cattelan".

- Il rapporto con altri artisti e gli ospiti che lavorano nel tuo studio
"Durante la mia attività, di quasi trent'anni, ho avuto l'opportunità di lavorare e collaborare con artisti e designer di notorietà internazionale, tra i quali, ne cito due: Alessandro Mendini e Michelangelo Pistoletto. Negli ultimi 10 anni, lavorando in uno studio-laboratorio abbastanza grande, mi permetto di ospitare altri artisti che vogliono confrontarsi, creare e fare ceramica. Cerco un rapporto di empatia ma soprattutto di amore e rispetto per il materiale ceramico. Si cerca di condividere i sogni".

Ylli Plaka (Tirana, 1966) si diploma in scultura e ceramica all'Accademia di Belle Arti di Tirana, dove segue i corsi dello scultore Thoma Thomai per la scultura e dello scultore ceramista Kristo Krisiko per la ceramica. Nel 1991 si trasferisce in Italia. Vive e lavora a Savona ed Albisola, luoghi di millenaria tradizione nel campo della ceramica e, dal secolo scorso, tra i capitali della ceramica d'arte contemporanea. Qui Ylli Plaka entra in simbiosi con l'argilla e con spirito del luogo, divenendo uno delle più belle realtà in campo ceramico a livello nazionale, senza seguire le "sirene" di mode e modi del momento ma semplicemente il proprio sapere e il proprio istinto.

Nell'anno 1993 realizza il primo sogno, la prima Personale ad Albissola Marina al Circollo degli Artisti in Via Stefano Grosso, mentre nell 2022 al Museo della Ceramica Manlio Trucco, espone la Nona Personale ad Albisola e la Venticinquesima in totale. Indimenticabile la Personale nell'anno 2011 al Museo Civico Arte Contemporanea, sempre ad Albissola Marina con titolo "i miei primi 20 anni Intenzioni e immagini". Altrettanto importante nell'anno 2015 la Personale al Museo Civico "Rocca Flea" a Gualdo Tadino (Perugia).

Sono state realizzate oltre quaranta mostre collettive in Italia ed Europa. Le sculture di Ylli Plaka fanno parte di numerose collezioni private e publiche in Italia e all'estero e sono esposte in permanenza nelle gallerie private e musei e luoghi publici. Nella attività artistica di Ylli Plaka occupa un posto particolare la collaborazione con Designer e Artisti di fama Internazionale come Mendini, Branzi, Deganello, Venturini e Pistoletto. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Ylli Plaka, Cera una volta..., terracotta smaltata, fuoco platino, cmh50x24x34
2. Ylli Plaka
3. Ylli Plaka, Nido dell'anima, instalazione di ceramica e fieno, diametro cm 150




Opera di Cristina Corvino ed Elvira Panno in una locandina di presentazione della mostra Cristina Corvino | Elvira Panno
02 dicembre (inaugurazione) - 14 dicembre 2023
Galleria d'Arte Contemporanea Wikiarte - Bologna
www.wikiarte.com

Immagini intaccate e logorate, quale di evidenza del tempo trascorso, i cui segni coniano un linguaggio visuale innovativo che supera il confine del restauro, elevando quest'ultimo a forma d'arte. Se non libertà, espressa tramite diverse tecniche, pittoriche e scultoree, nella cui valenza, sostenuta da una solida padronanza, leggervi un messaggio che valorizzi e privilegi la purezza ormai persa del sentire umano.

Trasformazione, cui ispirarsi per convertire un processo in 'status', posto a fondamento di un nuovo linguaggio visuale la cui estetica riprende i dettami della tecnica del restauro. Da cui Arte Conservativa, sintesi compiuta dall'artista piemontese Cristina Corvino, qui declinata nelle diverse serie dei picozzati, dei consumati, degli animali fantastici e dei surreali: riflesso, tutte, dell'erosione cui l'artefatto è soggetto ad opera del tempo e degli agenti deterioranti, la cui poetica rispecchia il valore universale del recupero della bellezza originaria, qui sinonimo di ritrovato equilibrio, dalle connotazioni psicologiche e soggettive, soventi riferite alla figura della donna come alle rispettive peculiarità, in termini di creazione e di emancipazione, se non di violenza subita. Oltre l'opera, allegorie di noi stessi, già leggibili sui muri circostanti, colte da un profilo artistico di indiscussa valenza attestato dalle numerose pubblicazioni dedicate, dai prestigiosi riconoscimenti assegnati e dalla partecipazione, tra le altre rassegne di rilievo, alla 59^ edizione della Biennale di Venezia. 

'Fare arte è come se fosse una preghiera', citando le parole di Elvira Panno, artista poliedrica formatasi al liceo artistico e, a seguire, presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Cui si associa una padronanza tecnica pulsante di creatività, spontanea e genuina quest'ultima, che rinnova il valore catartico dell'arte in termini di liberazione dai moti negativi dell'animo, elevandola a vitale strumento di crescita, personale e collettiva, se non a fondamento di una visione, avversa ad ogni omologazione, volta al recupero della più profonda autenticità umana. Tradotta in pittura e scultura, tra cui meritano menzione i bassorilievi ed altorilievi realizzati, la cui cifra stilistica, coerente con la poetica di Panno, è scandita dal rifiuto dei 'vuoti', definendo un'estetica che risponde all'horror vacui con marcata densità, visuale e spaziale, leggibile nelle persone e negli animali rappresentati come nella composizione, di figure costituite a loro volta da altre, già complete ma non più a sé stanti, se vive del loro armonico insieme. (Testo critico e presentazione: Pietro Franca)




Opera a tecnica mista su carta intelata di cm 200x159 denominata Condottiero realizzata da Roberto Barni nel 1983 Dipinto a olio su tela di cm 122x915 denominato Natura morte realizzato da Roberto Barni nel 1986 Roberto Barni
Opere 1978-1990


02 dicembre (inaugurazione) - 11 febbraio 2024
Galleria Open Art - Prato
www.openart.it

La mostra ripercorre la produzione pittorica di Roberto Barni (Pistoia, 1939) che, dopo le esperienze pop e concettuali, approda a un "Rinascimento sognato". Si tratta della pittura anni Ottanta, dove le composizioni presentano, come indicato dal critico Lemaire, un ambiente dove «tutto è irreale e prodotto da associazioni spesso giocose dove l'umano è al centro delle sue preoccupazioni». L'uomo si manifesta nelle composizioni di Barni tramite diversi personaggi, che traggono riferimento dalla mitologia e dalla letteratura cavalleresca, a simboleggiare la perenne condizione di contrasto con le vicissitudini che attanagliano la società.

Da Sisifo ai pastori addormentati, passando per l'uomo bendato, concludendo con i cavalieri. Le armature pesanti, un tempo utilizzate per battagliare, divengono elemento di protezione e controffensiva verso le brutture che pervadono il mondo. È un'ironia fredda quella di Barni, «l'eroe si è armato per dar da mangiare alle oche, non è lì per evocare guerre sanguinose o terribili assedi, ma piuttosto rappresentare l'unica vera forma di audacia», ovvero la salvaguardia dell'intima quotidianità. Il percorso espositivo comprende oltre trenta opere di diverso formato, tra cui una delle prime sculture: "Cariatide" del 1982. La Galleria Open Art promuove il lavoro di Roberto Barni dal 2001, anno di inizio della propria attività, attraverso esposizioni collettive, fiere d'arte e pubblicazioni dedicate all'arte contemporanea.

La mostra è accompagnata da una monografia curata da Mauro Stefanini con un testo di Gérard-Georges Lemaire, che ricostruisce l'intera vicenda critica di Roberto Barni, dalla formazione agli anni Ottanta, anche attraverso la partecipazione ad importanti esposizioni nazionali e internazionali, premi, collezioni e opere d'arte installate negli spazi pubblici. (Comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)

Immgini (da sinistra a destra):
1. Roberto Barni, Condottiero, 1983, tecnica mista su carta intelata cm.200x159
2. Roberto Barni, Natura morte, 1986, olio su tela cm.122x915




Dipinto a olio su tela di cm 70x130 denominato Nu couchè realizzato da Piero Mascetti nel 2022 Scultura in bronzo alta cm 40 denominata Europa realizzata da Ugo Attardi Dipinto il acrilico su tela di cm 30x50 denominato A volte è bello vivere con te... realizzato da Luca Dall'Olio Collettiva di Fine Anno 2023
01-02-03 dicembre (inaugurazione) - 17 dicembre 2023
Galleria d'Arte Contemporanea Edarcom Europa - Roma
www.edarcom.it

Alla vigilia del traguardo dei cinquant'anni di attività che verrà tagliato nel 2024, Gianfranco e Francesco Ciaffi dedicano l'intero weekend di venerdì 1°, sabato 2 e domenica 3 dicembre all'inaugurazione della 49^ edizione della tradizionale mostra mercato di fine anno. Per questo importante appuntamento, tutti gli ambienti saranno allestiti per dar spazio a oltre quattrocento tra dipinti, sculture e grafiche originali in edizione limitata di tutti gli artisti trattati dalla galleria. Oltre 40 i nomi, tra Maestri storici del '900 e selezionati autori contemporanei, tra i quali poter scovare l'opera più affine ai propri gusti e alla propria sensibilità.

Opere di: Ugo Attardi, Giuseppe Barilaro, Enrico Benaglia, Franz Borghese, Ennio Calabria, Angelo Camerino, Claudio Caporaso, Michele Cascella, Tommaso Cascella, Giuseppe Cesetti, Angelo Colagrossi, Roberta Correnti, Marta Czok, Luca Dall'Olio, Mario Ferrante, Salvatore Fiume, Franco Fortunato, Felicita Frai, Franco Gentilini, Gianpistone, Emilio Greco, Renato Guttuso, Ivan Jakhnagiev, Franco Marzilli, Piero Mascetti, Maurizio Massi, Renzo Meschis, Francesco Messina, Mauro Molle, Norberto, Sigfrido Oliva, Ernesto Piccolo, Giorgio Prati, Domenico Purificato, Aldo Riso, Carlo Roselli, Sebastiano Sanguigni, Aligi Sassu, Cynthia Segato, Mariarosaria Stigliano, Orfeo Tamburi, Lino Tardia, Renzo Vespignani. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Piero Mascetti, Nu couchè, 2022, olio su tela cm 70x130
2. Ugo Attardi, Europa, scultura in bronzo, altezza cm 40
3. Luca Dall'Olio, A volte è bello vivere con te..., acrilico su tela cm 30x50




Opera di Stefania Langfelder per presentazione mostra Stefania Langfelder
04 dicembre (inaugurazione) - 20 gennaio 2024
Galleria Previtali - Milano
www.galleriaprevitali.it

La produzione di Stefania Langfelder è caratterizzata, per la maggior parte delle sue opere, da campiture dimezzate, bianche, rosse e azzurre, abitate da aggregati di figure all'apparenza filiformi, schierate lungo perimetri areali della coscienza impegnata risolutamente a districarsi dall'enigma del quotidiano. Un mistero fitto e stratificato sull'asse portante del proprio destino, dipinto come forma scolpita nel legno o incastonato nel marmo lucido e freddo di un'esistenza liquida e informe. Il movimento dei corpi metamorfizzati, scrutato dall'occhio anfibio, è collocato spazialmente nell'etere dell'indecisione, gerarchicamente disposto non secondo valori di sostanza ma catturato dall'intensità etica di uno sguardo che sconfina nell'ambiente disteso dal dolore.

In alcune tele s'intravedono poi grumi di verità alla deriva, dalla tinta rosso violaceo, che galleggiano tra arcipelaghi di passione per annunciare l'inizio delle danze urbane accompagnate da un florilegio di volti goffi, segni dell' immaginaria inconsistenza oggettivata in polveri dalle tinte cirrotiche. Figure evanescenti in dialogo, consumate dal tempo, tra borbottii e coaguli di pensieri, svaporati in reticoli di cristalli esagonali pieni di turbamento, sullo sfondo di epifaniche dolcezze che irritano l'incoscienza ma che incantano. (Comunicato stampa)




Fotografia scattata da Francesca Spedalieri nella mostra Fuori raccordo Francesca Spedalieri
"Fuori raccordo"


06 dicembre 2023 - 09 gennaio 2024
Leica Store - Roma

Mostra a cura di Simona Antonacci, nuovo appuntamento di Roma ChilometroZero, il progetto di Leica Camera Italia in collaborazione con Contrasto, per trovare nuovi talenti e nuovi sguardi per raccontare la capitale attraverso l'uso di una fotocamera Leica. "A Roma le periferie sono realtà che si sono sviluppate nel tempo a macchia d'olio e oggi appaiono come città che non si parlano tra loro, spesso isolate a causa di collegamenti inadeguati al resto del nucleo urbano. Attraversarle significa percorrere ampi spazi di enormi quartieri costituiti per la maggioranza da palazzi residenziali. Povere, ricche, abitate, deserte, sempre diverse, eppure sempre uguali. Francesca Spedalieri ha percorso e indagato queste realtà, a volte per la prima volta, individuando punti di vista inconsueti e cercando dissonanze, particolarità, similitudini e differenze. Ho esplorato questi luoghi e ho scoperto una Roma diversa, una città galassia fatta di tante contraddizioni, una metropoli fatta di tante città. Roma è le sue periferie". (Francesca Spedalieri)

Roma ChilometroZero è un progetto voluto da Leica Camera Italia che, presente su tutto il territorio nazionale anche con Store a Firenze, Torino, Roma, Bologna oltre alla Galerie di Milano e alle tante attività tra esposizioni, talk, workshop, masterclass, letture portfolio e Leica Akademie Italy, conferma la volontà di essere parte attiva della cultura fotografica proponendo, grazie a prodotti di eccellenza, racconti sempre nuovi.

Fuori raccordo è una serie di fotografie realizzate con Leica SL2-S, la fotocamera che, grazie alla sua straordinaria velocità e alle due modalità di ripresa separate per foto e video, permette un approccio intuitivo e un'esperienza unica. Solida ed elegante, rappresenta l'esperienza e la tradizione manifatturiera tedesca Leica. "Utilizzare Leica SL2-S è stata una grande opportunità. La qualità dell'immagine e la semplicità di utilizzo della macchina sono stati un aiuto fondamentale nello sviluppo del mio progetto". (Francesca Spedalieri)

Francesca Spedalieri (Roma, 1991), dopo una laurea in Astrofisica presso l'Università La Sapienza di Roma, si è dedicata alla fotografia laureandosi con lode all'Istituto Europeo di Design di Roma. Ha ottenuto riconoscimenti in vari concorsi e festival fotografici e ha partecipato a diversi workshop. È stata selezionata dalla Fondazione Studio Marangoni di Firenze per un workshop curato da Michele Borzoni, Terraproject. La sua ricerca si concentra sui luoghi, sul paesaggio e sulla loro interazione con l'attività` dell'uomo, con interesse particolare a temi sociali, architettonici e storici. (Comunicato Ufficio stampa adicorbetta)

___ Presentazione di altre mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Pietro Bologna | "Ettaro"
21 novembre (inaugurazione) - 20 gennaio 2024
Lab 1930 Fotografia contemporanea - Milano
Presentazione

Christof Klute | "Mindscape"
25 novembre 2023 (inaugurazione) - 11 febbraio 2024
Fondazione Rolla - Bruzella (Svizzera)
Presentazione

David "Chim" Seymour. Il Mondo e Venezia 1936-56
06 dicembre 2023 - 17 marzo 2024
Museo di Palazzo Grimani - Venezia
Presentazione

I vincitori della 14. edizione di URBAN Photo Awards 2023
Presentazione

Eve Arnold. L'opera, 1950-1980
23 settembre 2023 - 07 gennaio 2024
Museo Civico San Domenico - Forlì
Presentazione

Mario Cravo Neto. "Destino"
27 ottobre 2023 (inugurazione) - 02 marzo 2024
Paci Contemporary Gallery - Brescia
Presentazione

Francesca Galliani - Empty New York
Barbara Frigerio Contemporary Art
Presentazione




Fotografia di Pietro Bologna realizzata con iPhone6 e stampata su carta di cotone e cornice in ferro Pietro Bologna
"Ettaro"


21 novembre (inaugurazione) - 20 gennaio 2024 (chiusa 22 dicembre - 08 gennaio 2024)
Lab 1930 Fotografia contemporanea - Milano

Con testi critici di Angela Madesani e Lóránd Hegyi, "Ettaro" è un progetto fotografico unico, concepito e realizzato dal 2017 al 2022, esplorando la periferia sud di Milano, in particolare la zona della Cascina Battivacco, dove l'artista ha catturato giornalmente immagini del terreno durante le passeggiate con il suo cane, utilizzando un semplice telefono cellulare. Questo processo artistico, iniziato quasi per caso, si è trasformato in una pratica rituale e temporale, sospesa nel tempo, dove ogni fotografia inviata a un gruppo ristretto di amici generava risposte diverse, creando un dialogo tra immagini e parole. Con l'evoluzione del progetto, l'autore ha iniziato a esplorare l'idea di costruire un archivio, un ettaro di fotografia che cresce su se stesso, filtrando consapevolmente le immagini attraverso la lente di un vecchio cellulare per mettere in luce i limiti del mezzo.

Pietro Bologna, un outsider nell'ambiente artistico, ha sempre cercato di indagare le fragilità e le limitazioni dei mezzi fotografici, utilizzando tecniche originali e empiriche. La sua ricerca, focalizzata sulla carta, la stampa e le riflessioni sulle dimensioni, come dimostrato nell'ampliamento delle 7 fotografie in mostra da Lab 1930 su un corpo di 18 (tutte cm 100x100), evidenzia una coerenza e un valore intrinseco nel suo approccio artistico. La poetica attenta del suo sguardo trasmuta quella distesa di terra, in apparenza senza memoria né identità, in tante brevi ed intense narrazioni, in cui ci si può davvero perdere, svelando i particolari che lui rimette in ordine, in fila uno per uno, vocaboli di una storia visionaria infinita.

Angela Madesani: "Le sue immagini sono intense, poetiche, rifinite, sia quando escono dalla sua camera oscura, luogo amatissimo, che quando vengono realizzate con un cellulare come in questo caso. Analogico, digitale: questioni marginali. I suoi lavori sono curati, mai affettati, ricercati nel senso più banale e vacuo del termine."

Con "Ettaro", Bologna si distacca dal concetto convenzionale di bellezza, cercando una sua autentica dimensione che possa svelare l'essenza dei fenomeni. Queste fotografie, prive di soggetti riconoscibili, ci invitano a immergerci in un viaggio iconico, in una terra di nessuno, dove il casuale e il trascurato trovano riscatto. Le opere di Bologna rappresentano una cronaca di tracce umane e naturali, in un paesaggio dove l'uomo è fisicamente assente ma la sua presenza è palpabile attraverso segni di esistenza.

Pietro Bologna (Milano, 1972) è autodidatta. Nei primi anni Novanta si trasferisce in Germania e successivamente in Argentina lavorando come modellista, assistente fotografo, fotogiornalista e docente di camera oscura. Oggi affianca alla sua ricerca in ambito artistico la professione di designer. La sua prima mostra personale risale al 1998 al centro Cultural J.L. Borges di Buenos Aires. Negli anni successivi ha esposto in Italia e all'estero in spazi pubblici e privati.

La ricerca di Lab 1930 - nata da un'idea di Elena Carotti si incentra principalmente sulla "post photography", recente tendenza della fotografia contemporanea in cui lavori fotografici, spesso a tiratura unica e dalla forte narratività, dilatano i confini classici della fotografia. Le mostre sono accompagnate da piccoli photobook o "quaderni" d'artista in edizione limitata come parte della stessa proposta espositiva. Lo spazio espositivo, ripensato dall'architetto Emanuela Terrile, è caratterizzato dall'originale pavimento in cementine degli anni Trenta, mentre il progetto di illuminotecnica, studiato insieme a Biffi Luce, prevede faretti a led ad alta efficienza con un indice di resa cromatica molto alto per evitare le alterazioni di colore. Montati su binari elettrificati sono orientabili e si adattano al variare dei formati delle opere. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagine:
Pietro Bologna, Scatto con iPhone6 stampa su carta di cotone e cornice in ferro, 2020-21




Fotografia realizzata da Christof Klute nel 2001 denominata Cinquième Promenade I St.Petersinsel - Bieler See Christof Klute
"Mindscape"


25 novembre 2023 (inaugurazione) - 11 febbraio 2024
Fondazione Rolla - Bruzella (Svizzera)
www.rolla.info

Ventiduesima mostra della Fondazione Rolla allestita nel Kindergarten di Bruzella. In questa occasione la Fondazione presenta ventinove lavori del fotografo tedesco appartenenti alla collezione privata di Philip e Rosella Rolla, concentrandosi sui luoghi della riflessione e del pensiero. Temi cari a Klute che, prima di diplomarsi in fotografia, studia filosofia, teologia e letteratura. La mostra è in contemporanea con Revisited - Christof Klute alla Consarc/Galleria.

Christof Klute (Münster, 1966) dopo aver studiato teologia all'Università di Münster (1986-88) e filosofia all'Università di Colonia (1990-1995), Christof Klute ha studiato fotografia con Bernd Becher e Thomas Ruff (con cui ha conseguito il master) all'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf (1995-2002). Nei suoi lavori indaga luoghi dove filosofi come Spinoza, Rousseau e Wittgenstein hanno scritto importanti trattati, oppure spazi spirituali come chiese e monasteri. Anche l'architettura è presente, in particolare i concetti dell'architettura moderna. In questo contesto, ha realizzato serie fotografiche sugli architetti Le Corbusier, Terragni, Niemeyer e un importante lavoro sulla città di Tel Aviv.

Ha esposto con la Galleria Löhrl (Mönchengladbach, Germania), la Galeria Maior (Pollenca, Spagna), la Stiftung St. Matthäus (Berlino, Germania), Cons Arc Gallery (Chiasso, Svizzera), SK Stiftung Kultur (Colonia, Germania), Mamco Musée d'art moderne et contemporain (Ginevra, Svizzera), International Museum of the Reformation (Ginevra, Svizzera), Museum Couvent de Jakobins (Tolosa, Francia), Huis Marseille, Museum for photography (Amsterdam, Paesi Bassi), Museum für Photographie (Braunschweig, Germania), Kunstmuseum Magdeburg (Germania). (Comunicato stampa)

Immagine:
Christof Klute, Cinquième Promenade I St.Petersinsel - Bieler See, 2001




David "Chim" Seymour
Il Mondo e Venezia 1936-56


06 dicembre 2023 - 17 marzo 2024
Museo di Palazzo Grimani - Venezia

È a David 'Chim' Seymour che il Museo di Palazzo Grimani dedica il secondo appuntamento con i maggiori protagonisti della fotografia internazionale del Novecento e che hanno, nella loro carriera, scelto di interpretare quell'unicum che è rappresentato da Venezia. Il progetto, promosso dalla Direzione regionale Musei Veneto - Museo di Palazzo Grimani in collaborazione con Suazes, ha debuttato lo scorso anno con la fortunata monografica su Inge Morath presentata con il titolo "Fotografare da Venezia in poi".

Molti non sanno che la celebre fotografia realizzata a Venezia che coglie l'approdo apparente del gondoliere alla stazione di rifornimento della Esso sul Canal Grande è stata realizzata da David Seymour nel 1950 in concomitanza di un progetto dedicato all'Europa del dopoguerra. In quell'occasione il fotografo realizzò un importante reportage dedicato a Venezia caratterizzato da uno sguardo attento, curioso e a volte ironico. Scatti che ritraggono momenti di vita quotidiana o particolari specifici della città lagunare come gli onnipresenti pennuti dell'universo veneziano, i colombi.

Nel caso di questa mostra, a cura di Marco Minuz, dedicata a David Seymour saranno circa 200 i pezzi esposti tra fotografie, documenti, lettere e riviste d'epoca. Ad essere rappresentati nelle 150 immagini selezionate, collocate cronologicamente tra il 1936 e il 1956, saranno i più importanti reportage del fotografo polacco, come la Francia del 1936, la Guerra Civile spagnola, l'Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, il progetto del 1948 intitolato "Children of War", commissionato dall'UNICEF e dedicato agli orfani di guerra, Israele ed Egitto negli anni Cinquanta del secolo. A questi si aggiungono le serie Ritratti e Personalità, nonché il già menzionato nucleo di foto realizzare a Venezia.

A completare la descrizione del "mondo" di Chim, una cinquantina di documenti, tra cui una sezione con alcuni documenti dedicati alla Maleta Mexicana, la celebre valigia messicana piena di tesori fotografici che si credevano perduti per sempre (riferiti alla guerra civile spagnola) e invece ritrovati con commozione e sorpresa a Parigi nel 1995 ed ora di proprietà dell'ICP di New York.

David Szymin nacque nel 1911 a Varsavia da una famiglia di editori che realizzavano opere in yiddish ed ebraico. La sua famiglia si trasferì in Russia allo scoppio della prima guerra mondiale per tornare successivamente a Varsavia nel 1919. Dopo aver studiato stampa a Lipsia, chimica e fisica alla Sorbona negli anni Trenta, Szymin decise di rimanere a Parigi. David Rappaport, un amico di famiglia proprietario della celebre agenzia fotografica Rap, gli prestò una macchina fotografica. Uno dei primi servizi di Szymin, dedicato ai lavoratori notturni, registrava l'influenzata del lavoro di Brassaï "Paris de Nuit" del 1932. Szymin - o "Chim" - iniziò in questo periodo a lavorare come fotografo freelance.

Dal 1934 i suoi reportage apparvero regolarmente su riviste illustrate come Paris-Soir e Regards. Attraverso Maria Eisner e la nuova agenzia fotografica Alliance, Chim incontrò Henri Cartier Bresson e Robert Capa. Dal 1936 al 1938 Chim testimoniò la guerra civile spagnola e, dopo la sua conclusione, si recò in Messico con un gruppo di emigrati repubblicani spagnoli. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si trasferisce a New York dove adottò il nome di David Seymour. Entrambi i suoi genitori furono uccisi dai nazisti. Nel 1947, insieme a Cartier-Bresson, Robert Capa, George Rodger e William Vandivert, fondò a New York l'agenzia Magnum Photos.

L'anno successivo venne incaricato dall'UNICEF di fotografare i bambini europei bisognosi. Continuò a fotografare avvenimenti importanti in Europa, star di Hollywood in location europee e la nascita dello Stato di Israele. Dopo la morte di Robert Capa nel 1954 divenne presidente di Magnum. Mantenne questo incarico fino al 10 novembre 1956, quando, viaggiando nei pressi del Canale di Suez per fotografare uno scambio di prigionieri, fu ucciso dal fuoco di una mitragliatrice egiziana. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Opera di Enrico Prampolini Futurismo Italiano
Il contributo del Mezzogiorno agli sviluppi del Movimento


20 ottobre 2023 - 10 gennaio 2024
Museo Nazionale di Matera
www.museonazionaledimatera.it

Più di 130 dipinti, sculture, disegni, provenienti da musei pubblici, fondazioni, archivi e collezioni private. Completano il percorso documenti d'archivio editi e inediti provenienti da diverse istituzioni. Dal Museo nazionale Collezione Salce sono giunti alla mostra di Matera ben 25 manifesti futuristi, a conferma della collaborazione tra il Museo nazionale di Matera e la Direzione regionale Musei Veneto intorno al progetto "Futurismi". Mostra ideata da Annamaria Mauro e Daniele Ferrara e curata da Massimo Duranti, promossa dal Museo nazionale di Matera in collaborazione con la Direzione regionale Musei Veneto - Museo nazionale Collezione Salce.

"Una rilettura del ruolo avuto dal Mezzogiorno nella diffusione ed elaborazione del Movimento che vuole riprendere il discorso dell'Italia, dalla Campania e dall'Abruzzo in giù e fino alle isole maggiori, come il più grande 'luogo' del Futurismo, luogo animato non solo dai futuristi nati e vissuti nel Mezzogiorno, ma anche da tutti i futuristi italiani che negli eventi e manifestazioni svoltesi nel Meridione parteciparono attivamente da protagonisti, comprimari e attori", evidenzia la direttrice del Museo nazionale di Matera, Annamaria Mauro.

"Nel catalogo - sottolinea il curatore Duranti - nell'ambito degli esiti della 'Ricostruzione futurista dell'Universo', è richiamato il manifesto del 1915, firmato da Giacomo Balla e Fortunato Depero, che segna la continuità e l'evoluzione della prima stagione 'eroica' del Futurismo e che teorizzava l'interesse del movimento per ogni forma di espressività e dunque letteratura, poesia, cinema, teatro, musica, arredo, cucina. Per questo motivo, una sezione della mostra è dedicata alle arti applicate: mobili, arazzi, abiti, maioliche. Importante è la presenza dell''Intonarumori' di Russolo, nella ricostruzione di Pietro Verardo che ripropone sonoramente l'invenzione del futurista in materia di musica-non musica. Accanto a questo apparato e sempre in materia musicale, vengono esposti gli spartiti, conservati al Conservatorio di musica Lorenzo Perosi di Campobasso, di Nuccio Fiorda".

Accanto ai nomi dei protagonisti Boccioni, nativo della Calabria, Balla, Severini, Carrà, Depero, Prampolini, Dottori, Benedetta ci sono anche quelli di personaggi meno noti, ma non meno significativi come Roherssen, Bologna e Castellana. Per quanto riguarda gli aeropittori, saranno presenti opere di numerosi futuristi le cui peculiarità furono declinate da Marinetti stesso nel 1939: Prampolini e Crali inseriti nella "Aeropittura stratosferica cosmica biochimica"; Fillia e Diulgheroff nell' "Aeropittura essenziale, mistica ascensionale simbolica"; Dottori, Benedetta, Bruschetti, Peruzzi, Tano e Angelucci in quella trasfiguratrice lirica spaziale; Tato nella "sintetica e documentaria". Opere di Dottori, Fillia e Bruschetti rappresentano l'Arte Sacra Futurista, codificata dal manifesto del 1931.

Oltre all'Aeropittura, negli sviluppi futuristi si manifesta la tendenza meccanicistica che viene rappresentata da opere di Depero, Pannaggi e Prampolini che manifesterà poi l'idealismo cosmico, presupposto dell'astrattismo. Particolare attenzione è riservata in mostra, guardando specificatamente al Meridione, ai "Circumvisionisti", il gruppo dei futuristi campani attivi già dal 1914: pittori, poeti paroliberi, scrittori e intellettuali che animarono la presenza futurista a Capri e Napoli. Vengono così presentate opere dei fratelli Francesco e Pasqualino Cangiullo, Buccafusca, Cocchia, Peirce, Lepore, Maino protagonisti di un percorso culturale che dal Futurismo giunge al teatro napoletano di Antonio De Curtis.

Un focus è riservato al contributo al Futurismo della Lucania: ad essere esposte sono due rarissime opere di Joseph Stella, nativo di Muro Lucano, ma trasferitosi a 19 anni negli Stati Uniti, definito "il primo futurista d'America". (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Opera di Plinio Codognato denominata Circuito di Cremona 8-9 Giugno 1924 Futurismo di carta
Forme dell'avanguardia nei manifesti della Collezione Salce


28 ottobre 2023 - 11 febbraio 2024
Museo nazionale Collezione Salce (Complesso di San Gaetano) - Treviso

Con il titolo il "Futurismo di carta", si accenderanno i riflettori su un aspetto non ancora sufficientemente indagato delle multiformi espressioni della più vitale delle avanguardie italiane, in due successivi momenti con altrettante mostre. La prima, con la declinazione "Forme dell'avanguardia nei manifesti della Collezione Salce", a cura di Elisabetta Pasqualin e Sabina Collodel. A seguire, dal primo marzo al 30 giugno 2024, la seconda parte, contrassegnata dal sottotitolo "Immaginare l'universo con l'arte della pubblicità". Unico il catalogo, edito da L'Erma di Bretschneider, che riunisce le immagini e le considerazioni scientifiche sull'intero percorso espositivo.

"Che il Futurismo sia risultato pervasivo di ogni aspetto della quotidianità, editoria e grafica pubblicitaria comprese, è cosa ben conosciuta", ricorda la direttrice Pasqualin. "Proprio quest'ultima si rileva essere l'espressione che più si adatta al linguaggio futurista che trova in Fortunato Depero il massimo esponente: nel manifesto Il futurismo e l'arte pubblicitaria, del 1931, dichiara "l'arte dell'avvenire sarà potentemente pubblicitaria".

Tra gli artisti presenti in mostra si ricordano Mario Sironi, Marcello Dudovich, Fortunato Depero, Federico Seneca, Marcello Nizzoli, Gino Boccasile, Nicolai Diulgheroff, Xanti Schawinsky, Giulio Cisari, Lucio Venna, Umberto di Lazzaro, Luigi Martinati. Ed è proprio sulla declinazione grafica dell'arte futurista che questa mostra si concentra "perché, sebbene le opere su tela e di scultura siano ben note e di facile riconoscimento, i manifesti pubblicitari rimangono tutt'oggi un settore di nicchia e sviluppano un loro linguaggio specifico.

Innanzitutto, l'utilizzo degli elementi tipografici è innovativo, le lettere si fanno più solide e vistose, le parole vengono disposte liberamente nello spazio secondo linee forza oblique o assecondando le sinuosità delle sagome, la scelta dei colori ricade su quelli più accesi che vengono accostati per contrasto, la luce e il suono si fanno visibili tanto da essere rappresentati attraverso fasci e anelli circolari, anche la prospettiva perde tutte le certezze consolidate nei secoli e viene scomposta per piani che si compenetrano. Le figure umane sono meno definite e in alcuni casi si assiste all'"animazione del prodotto" che viene composto in modo da simulare un soggetto diverso, come l'esempio di Mario Bazzi che compone per Lampo un omino costruito con latte".

La mostra, nei suoi due momenti, abbraccia un arco di tempo che va dal 1915 ca al 1940, considerando tre principali filoni all'interno della produzione futurista: l'interpretazione della figura umana, la velocità e il movimento, l'espressione della cultura e della società. Il primo appuntamento vede i manifesti dal 1915 al 1930 disposti nelle tre sale del museo, ognuna delle quali dedicata ad uno dei temi principali. Il secondo appuntamento vedrà le opere dal 1930 al 1940, quando il futurismo raggiunto l'apice dello sviluppo si caratterizza nell'aeropittura che, trasposta in grafica, esalta il volo e le imprese aviatorie, la vista dall'alto e un avvicinamento al surrealismo. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Immagine:
Plinio Codognato, Circuito di Cremona 8-9 Giugno 1924




Lo sguardo di Dante - The Mimetic Observer
15 novembre 2023 - 29 febbraio 2024
Gallerie Nazionali di Arte Antica - Palazzo Barberini - Roma
www.barberinicorsini.org

In mostra, a cura di Alessandro Coco e Peter Lang con il coordinamento di Giorgio Di Noto, le 27 opere fotografiche realizzate da Carlotta Valente, con la collaborazione di Joaquin Paredes, sul tema della luce e dell'immaginario dantesco nella Divina Commedia e organizzate in tre serie di nove immagini che riprendono le cantiche dantesche, a loro volta presentate secondo una diversa e precisa intensità di luce.

Se nell'Inferno il Poeta trova l'oscurità e nel Purgatorio vede finalmente un bagliore, nel Paradiso viene sopraffatto da un accecante fulgore. I procedimenti fotografici utilizzati per la realizzazione delle opere caratterizzano le tre cantiche alternando la stampa ai sali d'argento su carta opaca, alla cianotipia su vetro e alla dagherrotipia su lastre di metallo. Carta, vetro e metallo sono i tre supporti fotosensibili utilizzati con l'intento di offrire una sorta di traduzione visiva, o più semplicemente una suggestione, dell'immaginario dantesco secondo quei fenomeni luminosi descritti realisticamente nella Divina Commedia.

Avviato e realizzato grazie al contributo del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, il progetto è frutto di una profonda analisi e riflessione che ha coinvolto diversi professionisti e studiosi oltre agli esperti di fotografia dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). Il mondo del Poeta viene analizzato in modo del tutto inedito: si concentra sugli oggetti, sui paesaggi e sugli altri elementi naturali di cui Dante Alighieri si occupa nella sua opera maggiore. La narrazione luminosa e fotografica prende vita attraverso una meticolosa ricostruzione di immagini e illusioni ottiche tratte dalle tre cantiche.

La luce e le sue proprietà sono l'elemento che accompagna il Poeta lungo tutto il suo viaggio, da un punto di vista simbolico ma anche scientifico. L'interpretazione, resa attraverso la fotografia e gli antichi processi di stampa utilizzati per la realizzazione delle opere, restituisce al visitatore il senso di una composizione sapiente e complessa che lega il presente al passato, nel pieno spirito del lavoro portato avanti dall'ICCD.

In mostra, nella Sala delle Colonne, un video di 17 minuti diretto da Stefano Ribaldi, racconta la genesi e lo sviluppo del progetto, impreziosito dagli interventi del dantista Giulio Ferroni e della teologa Miriam Savarese. La mostra è accompagnata da un volume - The Mimetic Observer. A visual reading on Dante's Divine Comedy - edito da Viaindustriae Publishing, frutto di una lunga ricerca sui materiali e le tecniche di stampa tipografica con saggi di Giulio Ferroni e Carlo Birrozzi. Le fotografie degli animali sono state realizzate grazie alla collaborazione del Museo Civico di Zoologia di Roma. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




"Beginnings"
Elena Aya Bundurakis, Mark Dorf, Daniele Marzorati, Marit Wolters


14 novembre 2023 (inaugurazione) - 07 gennaio 2024
Nonostante Marras - Milano
www.antoniomarras.com

In mostra, a cura di Marcella Manni, le opere degli artisti Elena Aya Bundurakis, Mark Dorf, Daniele Marzorati e Marit Wolters che indagano la dicotomia tra Artificiale e Naturale, concetto chiave nel sistema di sviluppo della tecnologia e della filosofia; dicotomia che oggi, stando a teorie diffuse e condivise, si traduce in ciò che è computabile e ciò che non è computabile. Naturale e artificiale, pensiero e gesto, generazione e rigenerazione, tra prova ed errore, la pratica artistica non esaurisce la sua spinta a testare i limiti che siano essi online oppure onlife, si tratta sempre e solo di avviare un processo che rigenera sé stesso in differenti beginnings.

Il retaggio della cultura illuminista, come ci ricorda l'artista e scrittore inglese James Bridle, fondante della cultura del progresso negli ultimi secoli, è l'assunto che maggiore conoscenza e quindi maggiore quantità di informazioni conduca a decisioni migliori. Quello che oggi invece è assodato è il concetto di 'automation bias', il pregiudizio che porta a considerare le informazioni che provengono da software o sistemi automatizzati come più affidabili delle nostre esperienze. Un pregiudizio che si applica già da tempo ai sistemi visivi e ai sistemi di produzione e circolazione delle immagini.

Qual è la posizione di oggettività che ricerca scientifica e fotografia possono garantire oggi? In un mondo interamente costruito lo spazio è completamente modificato, plasmato e definito secondo le necessità e le esigenze della specie umana. Elena Aya Bundurakis, Mark Dorf, Daniele Marzorati, Marit Wolters, artisti con background differenti declinano in maniera del tutto originale una rigorosa ricerca artistica che si serve di strumenti di produzione, di interazione, di condivisione e comunicazione digitale e analogica come base della propria pratica.

La ricerca di Mark Dorf coinvolge varie discipline in modo ibrido come la fotografia, i digital media e la scultura e, con un forte interesse per la tecnologia e la scienza, analizza in modo lucido e accurato l'influenza dell'età dell'informazione per comprendere il nostro 'abitare' contemporaneo. Elena Aya Bundurakis percepisce la fotografia come un sensore di percezioni, accompagna letteralmente lo spettatore alle origini dell'elemento vitale secondo il principio Ancient is more cyborg than cyborg: organismi invertebrati vivevano milioni di anni prima della specie umana e con tutta probabilità ci sopravviveranno.

Daniele Marzorati si concentra su oggetti ed elementi applicando il concetto di spostamento che si compie sulla pellicola di grande formato. Attraverso l'accostamento a più riprese su un'unica pellicola si compone un'inquadratura singola, la sintesi di molti luoghi, di molti oggetti e di molti punti di vista: non un meccanismo di ripetizione ma di moltiplicazione. Marit Wolters interpreta la scultura come ricerca sui materiali e sui luoghi: la presenza, il presente e la transitorietà dell'esperienza sono offerti nei loro elementi di impermanenza, del materiale e della sua genealogia, che Wolters lascia esprimere come elemento strutturale e di forma, non solo di sostanza.

Elena Aya Bundurakis (Creta, Grecia, 1988) è un'artista greco-giapponese. Laureata in fotografia presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, nel suo lavoro combina diversi media tra i quali fotografia, disegno, video e poesia haiku. Bundurakis concepisce allestimenti specifici e combinazioni inusuali, sviluppati sia in progetti editoriali che in installazioni ambientali.

Mark Dorf (Laconia, Stati Uniti d'America, 1988) si è laureato in Fine Arts presso il Savannah College of Art and Design, per poi conseguire un master presso la School of the Art Institute di Chicago. Nelle sue ricerche più recenti, esplora le percezioni della società contemporanea e l'interazione con il dominio digitale, l'ambiente urbano e architettonico e il 'Paesaggio Naturale', con un forte interesse per la tecnologia e la scienza.

Daniele Marzorati (Cantù, Italia, 1988) ha conseguito un Master in Arti Visive e Studi Curatoriali presso la NABA di Milano. Utilizzando fotografia, pittura e disegno, focalizza la sua ricerca sulle logiche rivelatrici generate dal passaggio dell'immagine fra i diversi media.

Marit Wolters (Achim, Germania, 1985) ha frequentato la Academy of Fine Arts di Dresden e la University of applied Arts di Vienna. Wolters opera principalmente con la scultura e l'installazione focalizzando il suo intervento sul contesto fisico e architettonico del luogo in cui espone. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Dipinto in acrilico, olio, carboncino e grafite su tela di 180x150 cm denominato Protest Paintings/Miller-Urey Paintings No. 33 realizzato da Andreas Breunig nel 2023 Andreas Breunig
"L'informazione e i suoi apparati"


11 novembre 2023 - 05 gennaio 2024
alfonsoartiaco - Napoli
www.alfonsoartiaco.com

Andreas Breunig presenta due serie di opere su tela che studiano il ruolo dell'informazione nella società odierna. Le sue opere a prima vista possono sembrare puro gesto pittorico, ma è proprio quello stesso gesto che in realtà rileva una ricerca seriale e oggettiva. L'informazione è inevitabilmente vittima dell'interpretazione. La sua origine potrebbe essere la scienza o semplicemente una credenza comune. Così le nozioni sono in grado di produrre esiti differenti, soprattutto nella generazione attuale che si basa sull'immagine.

L'artista cerca di trovare un nuovo modo di trasmissione senza perdere di significato ma cercando di descrivere ciò che sta accadendo. Il primo corpus di opere, intitolato EXTANT (extended), si distingue per la sua audace ricerca di significato all'interno delle superfici e dei livelli della tela: rendere visibile il suo fondo, rivelare la differenza tra la tela e la sua base. La stratificazione delle opere e la sovrapposizione di più livelli, avvicina la pittura di Breunig alle tecniche di elaborazione digitale.

Così come l'intelligenza artificiale anche la sua pittura attraversa fasi modulari e ripetitive fatte di regole autoimposte. Le campiture di colore e le forme bidimensionali eliminano l'illusione di una spazialità tridimensionale e provocano una spaccatura tra primi piani e sfondi enfatizzando lo spazio. Questo approccio innovativo alla pittura crea un'esperienza visiva in cui l'osservatore è invitato a esplorare l'arte in profondità, a cercare il punto in cui la superficie diventa visibile. Della tela si può così notare i singoli elementi pittorici, i contorni unidimensionali, i tratti e le sottili sfumature di colore, che assumono il ruolo di oggetti variabili disposti sul piano. L'informazione si trasforma in un mezzo, in un sistema diverso di crescita del valore.

Nella seconda serie Protest Paintings/Miller-Urey Paintings si rivela come approccio per la formazione di proteste. Conoscere permette di sviluppare quel senso critico che sta alla base di qualsiasi tipo di opposizione nei confronti di un sistema. Così queste sagome, dai contorni definiti sullo sfondo a ricordare quasi delle forme di vita viste al microscopio, sono pervase da colori e forme che riconducono a volte a figure più sinuose e articolate, altre volte a puri schizzi di colore senza riferimenti apparenti.

Sono le nozioni che permettono di analizzare un'opera, così come un intero contesto sociale, politico o culturale. È l'informazione che plasma gli individui e ne fa ciò che sono. Qui subentra il riferimento all'esperimento del chimico Stanley Miller e del suo docente, il premio Nobel Harold Urey. L'esperimento condotto a metà degli anni '50 dimostra che le molecole inorganiche nelle giuste condizioni ambientali possono far nascere molecole organiche, la creazione della vita. La vita, così come la conoscenza, nasce anche nei luoghi più impensati facendosi forza generatrice di idee. Nei suoi quadri l'artista ricrea quella particolare condizione, le pennellate si fanno elementi originari che, se posti nel giusto ambito, nella sagoma della nascita, scoprono la possibilità di iniziare a poter essere.

Andreas Breunig (Eberbach, Germania - 1983) ha frequentato la Kunstakademie di Düsseldorf dove si è formato con Albert Oehlen. Seguendo le orme del suo maestro Breunig ha sviluppato una ricerca artistica basata sulla pittura non figurativa. A prima vista i suoi dipinti sembrano essere puro caos visivo, anche se le opere seguono in realtà una composizione ponderata e attentamente organizzata fatta di linee, forme e gesti. I contrasti tra lo sfondo chiaro e le pennellate generano strati di significato che sviluppano riflessioni sulla pittura come modo per mettere in discussione la nozione di creazione. (Comunicato stampa)

Immagine:
Andreas Breunig, Protest Paintings/Miller-Urey Paintings No. 33, 2023, acrilico, olio, carboncino e grafite su tela, 180x150 cm




Opera di Ewa Doroszenko denominata Impossible Territory 13 Ewa Doroszenko, Jacek Doroszenko
"Impossible Horizon"


21 novembre (inaugurazione) - 23 dicembre 2023
Foto Forum Südtiroler Gesellschaft für Fotografie - Bozen/Bolzano
www.foto-forum.it

Prima mostra italiana di Ewa e Jacek Doroszenko, un duo polacco di artisti intermediali. Nelle loro ultime opere (fotografie, installazioni sonore, oggetti fotografici, video), il duo Doroszenko affronta un tema classico nell'arte, quello del paesaggio. Le opere sono state realizzate durante residenze artistiche a Kunstnarhuset Messen A°lvik (Norvegia), The Island Resignified LeQada (Grecia), Klaipeda Culture Communication Center (Lituania), e a Varsavia, grazie ad una borsa di studio del Ministero della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica polacco.

Per comprendere meglio le cause dell'attuale crisi ambientale, gli artisti esaminano la storia della tradizione occidentale della pittura di paesaggio, in cui il concetto di 'paesaggio naturale' viene definito secondo la visione del mondo dominante come un elemento separato ed esterno al soggetto. Nelle loro opere, Ewa e Jacek Doroszenko mirano a mettere in discussione la separazione tra il soggetto - l'osservatore - e l'ambiente a sè stante. Un elemento significativo della pratica artistica del duo Doroszenko è trattare i fenomeni sonori come un elemento a pieno titolo nel campo dell'arte visiva e sottolineare l'importanza dell'"ascolto profondo" nella vita quotidiana.

Di conseguenza, gli artisti si interessano all'esperienza olistica del paesaggio, che implica necessariamente il fattore acustico. Nei loro progetti multimediali, gli artisti esplorano come le immagini digitali e le ultime tecnologie medino la percezione del mondo naturale. Affascinati dagli strumenti moderni dell'informazione e dal loro immenso potenziale nel plasmare gli stili di vita, Ewa e Jacek Doroszenko cercano di cogliere l'atmosfera del presente fisico ma anche virtuale. Guardando le textures dei paesaggi, sia naturali che simulati, loro evidenziano il ruolo della fotografia nell'esplorazione odierna del mondo.

Utilizzando Google Street View, popolari videogiochi, guide turistiche e altre risorse in linea, gli artisti esaminano come la cultura digitale contemporanea stia cambiando la percezione del paesaggio. Le loro opere si concentrano sull'impatto positivo del paesaggio sul benessere psicologico umano. Come residenti di Varsavia che subiscono regolarmente l'"inquinamento acustico" urbano, conoscono la necessità di sdoganare l'"ecologia del paesaggio sonoro", ovvero la scienza delle relazioni acustiche tra organismi viventi, umani e non, e il loro ambiente. Rifacendosi a questa funzione terapeutica del paesaggio, presentano opere che rivelano sottilmente la connessione inscindibile tra l'uomo e il proprio ambiente naturale. (Comuncato stampa)

Immagine:
Ewa Doroszenko, Impossible Territory 13




Scultura di cm 15x15 denominata Libro raku realizzata da Armanda Verdirame nel 2005 Armanda Verdirame
"Epitome 1980-2023"


07 novembre (inaugurazione) - 16 dicembre 2023
Spazio d'Arte Scoglio di Quarto - Milano
www.galleriascogliodiquarto.com

Mostra dedicata al percorso artistico degli ultimi quattro decenni della scultrice Armanda Verdirame: un compendio nei suoi contenuti essenziali, un'esemplificazione estetica di una poetica senza tempo, dove ogni singola opera è pervasa di profonde metafore e suggestioni simboliche. La mostra, composta da circa venti opere, esalta la forte passione di Armanda Verdirame per la ceramica, materia che ha indagato in tutte le sue potenzialità sin dalla metà degli anni '80, con particolare attenzione alle sue implicazioni ecologiche ed umane.

Opere magiche che esplorano l'intima relazione che si è sempre posta l'artista tra l'io e l'universo, sollecitando l'osservatore a un'introspezione e ad una contemplazione acuta, promuovendo un dialogo incessante tra l'individuo e la natura. L'opera principale intorno alla quale è stata pensata e costruita la mostra è Amnios T, un tavolo dalla forma ovale irregolare (Amnios T) alto 90 cm. Sopra e sotto questo imponente elemento sono dislocate le creazioni più emblematiche della tensione artistica di Armanda Verdirame: scudi, colonne, stalagmiti e lune in terracotta.

Ogni opera, spesso dalla presenza imponente, presenta frammenti di fragilità che invitano a una riflessione sulla caducità della vita, a partire dagli "Scudi" che, sebbene richiamino i primi oggetti di difesa dell'uomo, nella loro imperfezione, nella loro forma irregolare e nelle crepe mostrano il bisogno di un'ulteriore riflessione: increspature che per Armanda Verdirame diventano punti di forza della sua stessa ricerca poetica e artistica. La superficie degli scudi, così come di tutte le altre opere dell'artista, sono cosparse dall'impronta di semi di cereali impresse sull'argilla ancora fresca, a sottolineare significati ulteriori che offrono al visitatore, di fronte a esse, un'esperienza unica e meditativa.

"Colonne" e "Stalagmiti" partono invece da terra per levarsi verso l'alto dividendo lo spazio in un gesto quasi solenne, mentre le "Lune", tutte a struttura semicircolare e sostenute talvolta da steli di ferro, evocano la superficie del nostro satellite, ma al contempo ne offrono una lettura romantica. Completano l'esposizione alcune "opere su carta". Infatti, disposte lungo le pareti dello spazio espositivo, affiorano i fogli bianchi dove compaiono solo impronte di semi, bianco su bianco. Il massimo della essenzialità a cui Armanda tendeva da sempre!

Lo spazio espositivo Scoglio di Quarto nasce su iniziativa di Gabriella Brembati nel 1998 in via Scoglio di Quarto 4 dove ancora oggi si trova, sul Naviglio pavese, in uno dei quartieri più caratteristici e affascinanti di Milano. Una casuale, storica concomitanza con la "Partenza dei Mille", che coincide con l'esigenza che l'arte contemporanea ha di conquistare spazio e consenso della gente, per aprire un mercato ancora inadeguato al tanto che avviene in questi anni. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagine:
Armanda Verdirame, Libro raku, cm 15x15, 2005




Dipinto a olio su tela di cm 65x81 denominato La Falaise et la Porte d'Aval realizzato da Claude Monet nel 1885 Opere in viaggio
Un dipinto di Claude Monet alla Collezione Cerruti


25 novembre 2023 - 18 agosto 2024
Castello di Rivoli
www.castellodirivoli.org

Esposizione di La Falaise et la Porte d'Aval, di Claude Monet (Parigi, 1840 - Giverny, 1926), a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Fabio Cafagna. La prima collaborazione del programma Opere in viaggio coinvolge il Museum Barberini di Potsdam che, insieme alla Staatsgalerie Stuttgart, ha richiesto il prestito del dipinto di Amedeo Modigliani, Jeune femme à la robe jaune (Renée Modot), 1918, olio su tela, 92x60 cm, in occasione della mostra Modigliani: Modern Gazes, a cura di Ortrud Westheider e Christiane Lange con Nathalie Frensch, che si terrà dal 24 novembre 2023 al 17 marzo 2024 alla Staatsgalerie Stuttgart e dal 26 aprile al 18 agosto 2024 al Museum Barberini di Potsdam.

Il Museum Barberini, inaugurato nel 2017 nel centro storico di Potsdam per volontà dell'imprenditore, collezionista e mecenate Hasso Plattner, fondatore di una delle più grandi società di software, la tedesca SAP, ospita una collezione straordinaria, che comprende sculture antiche, dipinti barocchi e impressionisti, oltre a opere di Rembrandt van Rijn, Vincent van Gogh, Pablo Picasso e Gerhard Richter, mostrando, in linea con la Collezione Cerruti, un'idea di collezionismo che attraversa epoche e stili diversi.

Alla partenza dell'opera di Amedeo Modigliani corrisponde l'arrivo nelle sale di Villa Cerruti del dipinto di Claude Monet, La Falaise et la Porte d'Aval, 1885, olio su tela, 65 x 81 cm, del Museum Barberini. La presenza a Villa Cerruti di un'importante opera di Monet, artista mai acquistato da Cerruti, integra l'interesse dimostrato dal collezionista per il movimento impressionista, che negli anni si è manifestato con l'acquisizione di opere di Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne e dell'italiano Federico Zandomeneghi.

Claude Monet è annoverato tra i più grandi protagonisti della rivoluzione impressionista francese, di cui fu probabilmente lo spirito più risoluto, prolifico e coerente. Per tutta la vita rimase fedele agli innovativi principi del movimento, per esempio dipingendo sempre en plein air - all'aria aperta - e praticando una pittura di paesaggio fatta di piccoli tocchi di colore e di rapide pennellate che, evitando una rappresentazione dettagliata del reale, era in grado, invece, di cogliere a pieno i mobili riflessi della luce del sole sull'acqua e di trasformare la solidità di una scogliera in una massa fluida d'impressioni vibranti.

Infaticabile, Monet viaggiava armato di pennelli per catturare le variazioni atmosferiche, il mutare dei cieli e delle nuvole, lavorando sul motivo in serie divenute celebri, dalla cattedrale di Rouen ai covoni, ai pioppi, fino a questa scogliera. La casa di Giverny in Normandia, nella quale si trasferì nel 1883, si trasformò negli anni della vecchiaia in un paradiso privato, un esclusivo giardino d'acqua con ninfee e un ponte giapponese pensato per i suoi occhi stanchi, ormai minacciati dalla cecità.

Il dipinto La Falaise et la Porte d'Aval di Monet, scelto per la casa-museo di Rivoli, è stato realizzato alla metà degli anni ottanta dell'Ottocento, periodo in cui l'artista viaggiò intensamente visitando più volte le coste settentrionali della Francia e, in particolare, la località di Étretat, in Normandia, famosa per le sue spettacolari scogliere e il caratteristico arco in pietra naturale della Porte d'Aval. Di tutte le regioni visitate in quel periodo, la costa normanna, con le sue località balneari, fu senza dubbio quella che affascinò maggiormente l'artista.

Fu durante un'escursione a Étretat al principio del 1883 che, di fronte alle drammatiche formazioni rocciose della Porte d'Aval, Monet iniziò a interessarsi al motivo della falesia, traendo ispirazione, inoltre, dal precedente di Gustave Courbet (Ornans, 1819 - La Tour-de-Peilz, 1877) La Falaise d'Étretat après l'orage, 1870, opera ben accolta dalla critica al Salon di Parigi del 1870 e oggi conservata al Musée d'Orsay di Parigi. Monet scriveva, infatti, alla futura moglie Alice Hoschedé: «Voglio dipingere un grande quadro delle scogliere di Étretat, anche se è piuttosto audace da parte mia farlo dopo Courbet, che lo ha fatto in modo così mirabile; ma cercherò di farlo in modo diverso».

Monet dedicò alla falesia di Étretat svariati dipinti, tutti realizzati tra il 1883 e il 1885, nei quali scelse di variare metodicamente non solo l'ora del giorno e le condizioni meteorologiche della ripresa, ma anche il punto di osservazione. Étretat fu anche il luogo in cui Monet conobbe lo scrittore Guy de Maupassant (Tourville-sur-Arques, 1850 - Parigi, 1893), che in seguito tracciò un folgorante ritratto dell'artista:

«Ho seguito spesso Monet alla ricerca di "impressioni", ma in verità, egli non era ormai più un pittore, ma un cacciatore. Camminava, seguito da alcuni bambini che portavano le sue tele [...]. Le prendeva o le lasciava, seguendo ogni mutamento del cielo e aspettava, spiava il sole e le ombre, catturava con qualche colpo di pennello il raggio a perpendicolo o la nube vagante e, eliminato ogni indugio, li trasferiva rapidamente sulla tela. L'ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l'effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante. Un'altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, nient'altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio».

In La Falaise et la Porte d'Aval del Museum Barberini, lo sguardo dell'osservatore si muove, lungo una traiettoria a forma di arco, dalle scogliere illuminate dal sole in primo piano a sinistra verso il centro della composizione. Una materica pennellata di rosa intenso segna la breccia nella scogliera e crea un suggestivo accento cromatico, sottilmente echeggiato dai riflessi che si propagano sulla superficie dell'acqua. Come nella maggior parte delle tele dedicate alla costa atlantica, anche in questo caso il pittore ha scelto una scena deserta, priva di esseri umani, in modo da evocare un sentimento assoluto di contemplativa osservazione della natura.

Se nel dipinto di Courbet gli elementi erano chiaramente tracciati e resi figurativamente nel dettaglio, la tela di Monet si caratterizza per la pennellata sciolta e la resa degli effetti luminosi cangianti tipiche della sua produzione impressionista degli anni ottanta del XIX secolo. Questo movimento verso una sempre maggiore libertà espressiva, accompagnato da un progressivo distacco dal figurativo, si compirà in pieno nelle ultime tele del pittore, quelle che ormai anziano, nei primi decenni del Novecento, dedicherà alle ninfee del giardino di Giverny.

Il dipinto è appartenuto al cantante lirico parigino Jean-Baptiste Faure (Moulins, 1830 - Parigi, 1914), tra i più importanti e primi sostenitori degli impressionisti, che lo acquistò nel 1886 direttamente dall'artista, per poi passare, agli inizi del nuovo secolo, alla galleria Durand-Ruel di Parigi. Dopo essere transitato in alcune collezioni parigine, negli anni settanta del Novecento fu acquisito da una raccolta privata statunitense. L'ingresso nella collezione di Hasso Plattner avvenne nel 2010. (Comunicato ufficio Stampa Castello di Rivoli)

Immagine:
Claude Monet, La Falaise et la Porte d'Aval, 1885, olio su tela cm 65x81




Opera di Guenter Umberg Günter Umberg. Zeit-bild
30 novembre 2023 (inaugurazione) - 08 febbraio 2024
Galleria A arte Invernizzi - Milano
www.aarteinvernizzi.it

Mostra personale di Günter Umberg in cui vengono presentati sia lavori storici, che ripercorrono alcuni momenti della sua ricerca artistica, che opere recenti. Il percorso, interamente ideato dall'artista tedesco come nelle precedenti occasioni espositive, prevede una relazione diretta tra l'opera e l'ambiente. A partire dagli anni Settanta Umberg ha concentrato la sua ricerca sull'utilizzo di tavole monocrome, principalmente in legno, dove pigmenti colorati stesi in orizzontale e verticale aderiscono alla superficie, precedentemente preparata con resine e talvolta con l'uso del bolo armeno, ottenendo un effetto di forte densità e saturazione che genera delle presenze totalmente indipendenti.

Al piano superiore della galleria viene presentata una installazione costituita da opere monocrome che disposte sulla parete, a distanza di intervalli calcolati, ne costruiscono e ridefiniscono le coordinate. Nella seconda sala del piano superiore sono invece esposte alcune opere degli anni Settanta costituite da due tavole in legno affiancate sulla parete, interamente ricoperte di pigmento nero. Al piano inferiore è presentata una installazione con opere monocrome di blu differenti in dialogo con le recenti opere FELD 1 e FELD 4,dove su pannelli di legno ricoperti di cemento sono disposti i singoli Ohne Titel il cui ritmo viene scandito e accentuato.

"Dal 1985 ho realizzato mostre in cui installazioni, strutture spaziali, contenitori, stand, rampe, passaggi sono componenti dei progetti espositivi. Non vedo lo spazio espositivo come uno spazio neutro dove le opere sono disposte seguendo una sorta di logica simmetrica o geometrica, ma piuttosto secondo la relazione dell'opera con la rispettiva posizione della corporeità dello spettatore nello spazio". (Günter Umberg)

La mostra permette di entrare nuovamente in dialogo con le superfici vibranti di Günter Umberg che, come delle vere e proprie aperture sulla parete, grazie al particolare uso dei pigmenti colorati sono pervase da un senso di profondità che cattura lo sguardo del visitatore e lo conduce ad indagare una dimensione "altra", al di là della superficie pittorica. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un saggio di Francesco Castellani, la riproduzione delle opere in mostra e un aggiornato apparato bio-bibliografico. (Comunicato stampa)




Copertina del numero di giugno, luglio e agosto 2021 del mensile d'arte Archivio Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione

___ANNO XXXV
N. 10 - Dicembre 2023
N. 9 - Novembre 2023
N. 8 - Ottobre 2023
N. 7 - Settembre 2023
N. 5 - Maggio 2023
N. 4 - Aprile 2023
N. 3 - Marzo 2023
N. 2 - Febbraio 2023
N. 1 - Gennaio 2023




Locandina della mostra Marionette e Avanguardia Marionette e Avanguardia
Picasso · Depero · Klee · Sarzi


17 novembre 2023 - 17 marzo 2024
Palazzo Magnani - Reggio Emilia

L'esposizione si sviluppa attorno al concetto di "quarta parete", ovvero la capacità di coinvolgimento emotivo che fa di uno spettacolo ben riuscito una realtà capace di immergere lo spettatore nella storia messa in scena. Quando una marionetta rompe la quarta parete, conquista la fiducia del pubblico, dando allo spettacolo il potere di sfumare quella divisione tra palcoscenico e mondo, tra arte e vita. A capirlo bene sono stati gli artisti che, piuttosto che liquidare le marionette come semplici giochi per bambini, hanno preso sul serio il loro entusiasmo e anzi, hanno guardato al gioco creativo come a una fonte di ispirazione estetica per cercare nuove modalità di espressione visiva.

Mentre alcuni artisti vedevano il potenziale delle marionette per immaginare un mondo migliore, i satirici usavano spettacoli trasgressivi e pungenti per attaccare l'establishment politico. Rivolgendosi a un pubblico adulto e attingendo a una solida tradizione di satira politica del "teatro di figura", gli artisti moderni hanno usato i burattini per criticare le condizioni politiche e sociali. La miniatura di un burattino, infatti, lo rende un portavoce sicuro per una protesta a voce alta, perché la sua mordacità è mitigata dalla carineria. Chi potrebbe essere infastidito da un pupazzo?

I burattini dicono la verità al potere in un modo in cui gli attori teatrali tradizionali non possono mai farlo. A Palazzo Magnani ad accogliere i visitatori saranno i costumi a grandezza naturale disegnati da Pablo Picasso per Parade, balletto coreografico che i Ballets russes di Sergej Djaghilev portarono in scena a Parigi nel 1917. Poi una folla di marionette "alte e basse", ovvero manipolate dal basso, con le mani o attraverso un bastone, dall'alto, dagli esemplari più antichi, come i Pulcinella o gli Arlecchino della Commedia dell'Arte, a quelle di Otello Sarzi, reggiano di adozione, realizzate con materiali di recupero.

Due teatrini da fiera, allestiti nelle sale a piano terra, consentiranno ai più piccoli di cimentarsi con il teatro di animazione e nei fine settimana, sarà interpretato anche da alcuni degli ultimi burattinai italiani. Vedendoli all'opera c'è da chiedersi: "I burattini vanno in paradiso quando muoiono?", domanda del tutto naturale, collocandosi le marionette in una zona grigia, tra creature viventi e oggetti inanimati.

Il modo in cui gli oggetti possono essere portati in vita e le conseguenze della loro autonomia hanno affascinato scrittori e artisti da Collodi a Capek, ma anche tanti artisti futuristi italiani come Ettore Prampolini e Fortunato Depero: le marionette esprimevano un'estetica macchinica, erano astratte e, dopo la devastazione della Prima guerra mondiale, catturavano la triste realtà dei soldati di ritorno amputati e mutilati, come illustrato da Sironi, Carrà e De Chirico. Grazie alla riscoperta da parte di Oskar Schlemmer del classico di Kleist Sul teatro delle marionette (1810), le marionette, i giocattoli e i giochi per bambini divennero un elemento centrale della pratica del Bauhaus nella Weimar degli anni Venti: Paul Klee, Andor Weininger, Lothar Schreyer, Sophie Täuber Arp e Oskar Schlemmer.

L'indagine si sposta quindi sull'avanguardia russa con "Le marionette e la Rivoluzione". Quando Lenin e la moglie Natalia Krupskaya decisero di combattere l'analfabetismo e di formare il nuovo cittadino sovietico, capirono che l'uso delle marionette era l'ideale e, lavorando con artisti, architetti e scrittori di primo piano, figure come Natalia Sats, Samuil Marshak, El Lissitzky, Aleksandra Ekster, Nina Efimova, hanno sperimentato nuove forme di teatro per bambini. Fino alla fine degli anni Venti, Vienna era una delle capitali culturali europee e, insieme a Berlino, una fucina di creatività nell'arte, nel teatro, nella musica, nella filosofia e nelle scienze.

Alla fine del XIX secolo, sull'onda dell'orientalismo, le classiche marionette giavanesi cominciarono ad apparire sulle scene europee. L'artista e illustratore austriaco Richard Teschner, in particolare, sviluppò l'arte della marionetta a bastone fino a raggiungere un punto culminante, che influenzò artisti da Parigi a Mosca. A raccontarlo in mostra la sezione "Sogni dell'Estremo Oriente - Espressionismo viennese".

L'esposizione si completa con un Omaggio a Otello Sarzi (Vigasio, Verona 1922 - Reggio Emilia 2001) e con lui a Fellini, Strehler e Rodari, grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Famiglia Sarzi. Nato da una tradizione di burattinai che durava da generazioni, Otello fu un giovane aiutante della compagnia itinerante di famiglia, per la quale vide il passaggio di novizi poi diventati famosi: tra gli altri, un giovane Federico Fellini. L'impegno della compagnia non venne meno nemmeno durante il difficile ventennio fascista. Nel novembre 1951 Otello inizia la collaborazione con Gianni Rodari a Novara, realizzando maschere per i bambini con i personaggi Cipollino, Atomino e altri inventati da Rodari. Da quel momento Otello si dedica esclusivamente al teatro dei burattini, drammatizzando Alfred Jarry, Samuel Beckett e Bertold Brecht e realizzando, con tecniche innovative, anche figure molto grandi. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Giorgio Morandi, Alain Urrutia
"Pensare con lo sguardo"


30 novembre 2023 (inaugurazione) - 16 febbraio 2024
MAAB Gallery - Milano
www.maabgallery.com

La mostra mette in scena un dialogo rarefatto e sommesso tra una selezione di importanti incisioni di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), datate tra il 1915 e il 1956, e una nuova serie di quadri di Alain Urrutia (Bilbao, 1981). La pittura come cosa mentale, con il suo potere di liberarsi dalla rappresentazione naturalistica degli oggetti per aprirsi sull'essenza delle cose è dunque il punto di partenza di questo ideale dialogo pittorico. Entrambi gli artisti procedono infatti non forgiando immagini secondo verosimiglianza, ma costruendo idee attraverso le sembianze degli oggetti, che diventano membrane, diaframmi, confini, che aprono la visione su presenze nascoste, trasposizioni figurate di stati d'animo, consonanze ed echi interni al mondo delle immagini e al mistero che esse portano con sé.

Cosa riflettono le immagini? La domanda sembra aleggiare da un'opera all'altra: le immagini di Morandi scambiano la corporeità con l'ombra e puntano all'archetipo, tanto quanto quelle dipinte da Urrutia sono lasciate libere di circolare nel flusso della coscienza. Le immagini riflettono quindi la loro capacità di riflessione, che è quella dei loro due autori, mai dimentichi del fatto che, come scriveva Leonardo da Vinci: "La pittura è il maggior discorso mentale". Questo vuole anche dire, nell'opera dei due artisti, dare voce all'inesprimibile, a ciò che abitualmente non si lascia vedere.

Nel caso di Morandi è la qualità incorporea della luce che trapela dall'uso magistrale del chiaroscuro dell'incisione, e che porta queste opere allo stesso livello della pittura, come già evidenziato da Cesare Brandi. Gli oggetti escono così dalla loro sembianza quotidiana, come ad estrarre un nocciolo dal frutto, e acquistano una verità che va oltre la loro apparenza. In modo analogo, seppur con una diversa tecnica espressiva e un mutato orizzonte culturale, Alain Urrutia sa spingersi oltre i confini della rappresentazione dipingendo l'assenza, anche attraverso il riflesso in uno specchio, o un piedistallo deserto della sua scultura, una figura di spalle, il nodo di una tenda o una clessidra in cui il tempo scorre all'indietro. (Comunicato stampa)




Quadro in esposizione nella mostra dedicata ai Macchiaioli I Macchiaioli e la pittura en plein air tra Francia e Italia
04 novembre 2023 - 03 marzo 2024
Logge dei Tiratori - Gubbio

I Macchiaioli sono uno dei movimenti più importanti e più celebri della scena culturale italiana nella seconda metà dell'Ottocento. Ha proposto ricerche pittoriche d'avanguardia che per molti aspetti hanno anticipato, con sorprendente modernità, quelle proposte successivamente dagli impressionisti francesi. L'esposizione, curata da Simona Bartolena, analizza la rivoluzione macchiaiola in un contesto europeo e in particolare i rapporti con la Francia, focalizzandosi sulle novità tecniche che i padri dell'arte en plein air hanno sviluppato sul tema del paesaggio e della pittura di genere.

La rassegna presenta oltre 80 opere, provenienti per lo più da collezioni private e quindi difficilmente visibili al pubblico, oltre che da alcune importanti istituzioni pubbliche. La mostra di Gubbio diventa quindi l'occasione per poterle ammirare in modo esclusivo. Le cinque sezioni indagano i protagonisti e l'evoluzione di questo importante movimento, fondamentale per la pittura moderna italiana: dalla nascita della pittura en plein air all'eredità artistica della macchia, movimento che prese forma intorno ai tavoli del Caffè Michelangelo di Firenze.

Sono esposti alcuni capolavori firmati da artisti della Scuola di Barbizon quali Corot, Daubigny, Troyon, Rousseau, ma anche degli italiani Giuseppe e Filippo Palizzi, per esplorare il tema del paesaggio e della scena all'aria aperta prima della nascita dell'impressionismo. Il racconto prosegue nell'esplorazione delle straordinarie novità proposte dai macchiaioli nella scena artistica italiana del tempo, con opere firmate da artisti quali Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi.

"La mostra - afferma la curatrice Simona Bartolena - permette ai visitatori di immergersi in un momento storico e culturale molto vivace, da cui emergeranno i fermenti di rivolta di questi nuovi pittori, insieme alle loro forti personalità artistiche e umane. La scena artistica francese del XIX secolo è notissima e sempre molto apprezzata dai visitatori delle grandi mostre. L'Ottocento italiano, invece, è ancora poco raccontato. Proprio per questo riserva ancora numerosi motivi di interesse, sorprendendo per la sua complessità e per la straordinaria qualità degli artisti. A Gubbio si dipana un suggestivo racconto che farà rivivere un ventennio d'oro dell'arte italiana, tra l'esperienza a Barbizon e le gustose caricature realizzate al Caffè Michelangelo, tra scene nei campi e un pomeriggio a Montemurlo.

Si tratta perlopiù di opere di piccole dimensioni, adatte ad essere trasportate appunto en plein air, a volte anche su supporti improvvisati che celano aneddoti e storie personali. Come ad esempio uno splendido quadro di Giovanni Fattori, dipinto dietro il coperchio di una scatola per sigari. Sono opere che sembrano piccoli studi, come appena abbozzati, e hanno tutto il sapore di quadri realizzati al volo, appunto dal vero. Il clima in cui nasce la macchia era goliardico, fatto di amici e personaggi di tutta Italia che si incontravano a Firenze e trovano qui spunto per la loro piccola rivoluzione. Lo spettatore della mostra scoprirà, mediante citazioni, stralci di racconti scritti, approfondimenti biografici e spiegazioni tecniche, la vera importanza storico-artistica della pittura macchiaiola, troppo spesso nota solo per la piacevolezza delle sue tavolette".

Nella seconda metà dell'Ottocento, Firenze è una delle capitali culturali più attive in Europa e diventa ben presto - prima grazie alle politiche moderate del Granduca e poi per il suo ruolo nevralgico nelle vicende unitarie - punto di riferimento per molti intellettuali provenienti da tutta Italia. Intorno ai tavoli di un caffè cittadino, il Michelangelo, si riunisce un gruppo di giovani artisti accomunati dallo spirito di ribellione verso il sistema accademico e dalla volontà di dipingere il senso del vero. Il nome "macchiaioli", usato per la prima volta in senso dispregiativo dalla critica, viene successivamente adottato dal gruppo stesso in quanto incarna perfettamente la filosofia delle loro opere. Un'attenzione particolare sarà data in mostra al rapporto con la Scuola di Barbizon, come riferimento fondamentale nella nascita della pittura di paesaggio en plein air.

Sullo sfondo di un'Italia impegnata nelle fasi finali del Risorgimento, la mostra analizza la rivoluzione macchiaiola nei suoi più diversi aspetti, dalle sue origini nella seconda metà degli anni cinquanta, agli anni settanta, quando la ricerca pittorica del gruppo, ormai perduta l'asprezza delle prime prove, acquisisce uno stile più disteso, aperto alla più pacata tendenza naturalista che andava diffondendosi in Europa. I Macchiaioli furono un fenomeno di dimensione europea, non qualcosa di provinciale come spesso la critica ha presentato, ma piuttosto parte fondamentale di una nuova tendenza europea alla lettura del paesaggio dal vero e del realismo. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di Jean Fautrier denominata Interférences II realizzata nel 1963 Reveries
Tredici artisti francesi del dopoguerra
Atlan, Bury, Doucet, Fautrier, Hartung, Lanskoy, Manessier, Marfaing, Messagier, Morellet, Nemours, Poliakoff, Schneider


16 novembre 2023 (inaugurazione) - 26 gennaio 2024
Studio Gariboldi - Milano
www.studiogariboldi.com

In mostra un nucleo di opere che testimoniano un modo armonico e raffinato di interpretare l'arte informale. Tredici maestri dell'arte moderna che hanno attraversato le strade di Parigi negli anni in cui scrittura, musica e arte costituivano un connubio inscindibile. Alcuni di loro hanno firmato anche romanzi e poesie, altri sono transitati dal cinema e dal teatro, tutti grazie alle loro esperienze sono arrivati a portare sulla tela accostamenti cromatici eleganti, producendo il miglior informale degli anni '50 e '60. Reveries è un sogno ad occhi aperti, una ballata romantica attraverso le forme astratte che ricordano il mondo animale di Jean-Michel Atlan, le composizioni a puzzle e incastro di Serge Poliakoff, gli arrangiamenti accurati e potenti di linee nere su sfondo colorato di Hans Hartung e ancora l'eleganza di Jean Fautrier, il più importante precursore dell'informale.

In mostra anche l'opera geometrica dell'artista astratta Aurélie Nemours, il cui lavoro si caratterizza per il rigore e la spiritualità. Tra le scelte di Studio Gariboldi ci sono anche gli artisti Jean Messagier e Maurice Estève, presenti nei più grandi musei francesi, protagonisti dell'astrattismo lirico. Chiudono l'esposizione Alfred Manessier, pittore poliedrico, famoso non solo per i suoi dipinti ma anche per le sue scenografie teatrali, l'artista cinetico Pol Bury, gli astrattisti André Lanskoy, André Marfaing, Gérard Schneider, e François Morellet, precursore del minimalismo in Europa e maestro dell'astrazione geometrica. (Comunicato stampa)

Immagine:
Jean Fautrier, Interférences II, 1963




Locandina della mostra West di Francesco Jodice Francesco Jodice
"WEST"


08 novembre 2023 - 08 gennaio 2024
Museo Archeologico Nazionale di Napoli

L'esposizione è composta da 20 opere fotografiche di Francesco Jodice provenienti dalle collezioni del Mufoco Museo di Fotografia Contemporanea, presentate per la prima volta in Italia. La mostra racconta il sorgere e il declino dell'ultimo grande impero occidentale in un arco di tempo compreso tra l'inizio della Gold Rush (1848) e il fallimento della Lehman Brothers (2008). Percorrendo in tre lunghi viaggi, effettuati tra il 2014 e il 2022, una delle più antiche strutture geologiche del pianeta, Francesco Jodice rilegge una parte della nostra storia attraverso un repertorio visivo di miti e di ruderi, di utopie, di miraggi e di fallimenti.

Archeologia di un presente che è già passato. California, Nevada, Utah, Wyoming, Arizona, Colorado, New Mexico, Nebraska, Texas, con l'inclusione delle aree contigue messicane sono alcuni degli stati dove ha avuto luogo la corsa all'oro, territori percorsi da Francesco Jodice per il suo articolato progetto di ricerca WEST. Il fulcro dell'intero lavoro si ritrova nel crocevia tra la peculiare geologia di quest'area e i ruderi archeologici (miniere, ghost town, utopie, complessi e infrastrutture abbandonate) di una stagione animata da un'irrefrenabile bramosia di ricchezze immediate.

Le opere fotografiche di Jodice in mostra sono accompagnate da una serie di testi e di immagini d'archivio, "minerali e detriti culturali" come definiti dall'artista, relativi alla storia economica, geologica, politica e culturale del secolo americano, che costituiscono le basi teoriche e poetiche del progetto. L'opera Atlante (2015), primo capitolo di una trilogia video che Jodice ha dedicato al Secolo Americano e che è stata parzialmente realizzata nella Sala della Meridiana del MANN, completa il progetto espositivo e crea un ulteriore cortocircuito negli spazi del Museo.

La relazione tra il progetto WEST e lo spazio espositivo, con la messa in scena di un'archeologia visiva della cultura occidentale moderna, contribuisce a ridiscutere la nozione stessa di archeologia, in termini sia spaziali che temporali, in sintonia con il dibattito più attuale della disciplina. Al contempo, alimenta un dialogo tra le espressioni visive del passato e quelle della contemporaneità a cui il MANN dedica una grande attenzione all'interno dei propri programmi espositivi temporanei. Infine, l'esposizione rappresenta per la città di Napoli l'occasione di poter celebrare un artista di fama internazionale di origini partenopee. Alla mostra si accompagnerà il volume edito da Electa, che presenterà l'intero corpus di WEST, costituito da 70 immagini. (Estratto da comunicato stampa)




Paul Jenkins
"La pittura assoluta"


28 ottobre (inaugurazione) - 07 gennaio 2024
Centro Italiano Arte Contemporanea (CIAC) - Foligno
www.ciacfoligno.it

Mostra dell'artista americano Paul Jenkins (1923-2012). Conosciuto per il colore luminoso delle sue astrazioni, Paul Jenkins incarna la New York School ed è uno dei principali rappresentanti dell'espressionismo astratto di seconda generazione. La mostra, a cura di Italo Tomassoni, è stata organizzata in onore dei 100 anni dalla nascita di Paul Jenkins, in collaborazione con la Galleria Ronchini di Londra.

I primi studi di Paul Jenkins (Kansas City - Missouri, 1923) furono al Kansas City Art Institute. Attratto da New York e con il supporto del GI Bill, frequentò poi la Art Students League e divenne allievo di Yasuo Kuniyoshi e infine si associò agli espressionisti astratti, ispirato in parte dalla "sfida catastrofica di Pollock e dal totale consumo metafisico dell'arte" - (Mark Tobey). Jenkins era amico e contemporaneo di molti altri artisti importanti tra cui: Jean Dubuffet, Mark Rothko, Jackson Pollock e Willem de Kooning, che hanno tutti ispirato la sua pittura. Viaggiò anche in tutta Europa, compresa la Sicilia, poi la Spagna e successivamente la Francia, che sarebbe diventata la sua seconda casa per tutta la vita. Infatti, la prima mostra personale di Jenkins si tenne a Parigi nel 1954.

Le sue opere sono ora di proprietà di più di 100 istituzioni tra musei e fondazioni in 10 paesi diversi, e il suo lavoro continua ad essere ampiamente esposto presso importanti gallerie in tutto il mondo. Spaziando da opere monocromatiche come Phenomena Cardinal Sign (1972) a tele dalla colorazione più varia come Phenomena Listen Listen (1968), questa mostra si focalizza sui dipinti dell'artista realizzati nei decenni successivi alla sua transizione critica dall'olio all'acrilico avvenuta negli anni '60.

La lavorazione con l'acrilico permise a Jenkins di esplorare a fondo la maggiore traslucenza insieme all'opacità che è possibile ottenere con questo mezzo. Infatti, il processo di creazione e i materiali sono protagonisti nelle opere dell'artista, che si dedicò a raffinare la tecnica della colatura dei colori sulla tela, coreografandola metodicamente per realizzare delle astrazioni incredibilmente fluide nella forma, quanto drammatiche nel contrasto cromatico. Influenzato dalle teorie sui colori di Goethe, Jenkins iniziò nel 1960 a intitolare i suoi dipinti Phenomena seguiti da una frase o parola chiave. In questo fondamentale passaggio all'acrilico, il coltello d'avorio - donato all'artista nel 1958 - divenne presto uno strumento essenziale per guidare il flusso della vernice colata nelle sue opere.

Questa mostra ci rende testimoni della continua sperimentazione con il colore, la luce, la forma e l'espressione, alle quali l'artista si dedicò a pieno fisicamente e spiritualmente nel corso della sua carriera. Dalle tele scure ed intense della fine degli anni '50 piene di mistero e contrasto, a quelle audaci e tattili degli anni '90 con i loro tratti spessi ed impastati, alle composizioni più effimere degli anni 2000. Gli strati orizzontali di colore in Phenomena Ancestral Striations (1995), sembrano pulsare sotto pressione.

Con un dinamismo simile, Phenomena Invocation at the Anvil (1998) è altrettanto potente con forme chiaramente definite dipinte con uno spesso impasto che sembrano esplodere con calore incendiario e fiamme dai veli di colore sottostanti. Al contrario, Phenomena Initiation (2007) è composto da veli verticali dai toni brillanti, sia trasparenti che opachi, che si sovrappongono e si fondono per riempire l'intera tela di colori vibranti. Osservando anche solo questi tre quadri si coglie in maniera evidente la continua esplorazione di Jenkins di nuovi modi di gestire i colori sulla tela, creando composizioni travolgenti, che uniscono la materia e la spiritualità. (Estratto da comunicato ufficio stampa Sara Stangoni Comunicazione)




Premiazione URBAN Photo Awards 2023 I vincitori della 14. edizione di URBAN Photo Awards 2023
www.urbanphotoawards.com

La fotografa russa Natalya Saprunova con lo scatto Going to save themselves from the abnormal heat è la Vincitrice Assoluta di URBAN Photo Awards 2023, scelta dal presidente della giuria Alec Soth tra i primi classificati delle quattro categorie Streets, People, Spaces and Creative della sezione Foto Singole. La Vincitrice è stato annunciata e premiato dal vivo durante la cerimonia degli URBAN Photo Awards, sabato 28 ottobre presso l'Auditorium del Museo Revoltella di Trieste, nell'ambito della decima edizione del Festival Internazionale di Fotografia Urbana Trieste Photo Days 2023. Secondo Alec Soth, "lo scatto di Natalya è l'esempio perfetto di come la ricerca della perfezione tecnica diventi un ostacolo quando si tratta di giudicare l'arte".

Il vincitore della sezione Projects & Portfolios è The Post-industrial Rust Belt, del fotografo americano Andrew Borowiec. Il progetto di Andrew racconta il degrado e la desolazione della ruggine post-industriale in America, il territorio che fu il cuore industriale americano e che si estende dallo stato di New York alle sponde del lago Michigan, a ovest e negli Appalachi a sud del fiume Ohio, in costante declino dagli anni '80. The Post-industrial Rust Belt è stato scelto da Jérôme Sessini, che ha dichiarato: "Ho scelto il lavoro di Andrew perché mi sembra il lavoro più riuscito, tecnicamente e giornalisticamente. Vedo l'impegno del fotografo, la sua giusta distanza e il suo rifiuto dei soliti espedienti per cercare di sedurre il pubblico".

Kadir van Lohuizen, giurato designato della sezione URBAN Book Award, ha premiato CAFUNÉ del fotografo spagnolo Rafael Fabrés. Il nuovo premio URBAN Press Award è stato vinto dall'autore polacco Krzysztof Bednarski con il suo progetto Parisian Night Stories. Il vincitore del premio URBAN Press Award sarà selezionato e pubblicato dalla migliore stampa specializzata nel campo della fotografia. Il vincitore riceverà un premio internazionale e importanti opportunità di branding e promozione. Il fotografo tedesco Martin Wacker è il vincitore del Premio Speciale Icons of Architecture offerto da Matrix4Design, con la foto Bierpinsel. Premiati anche gli autori selezionati per le mostre-premio al Civico Museo Sartorio (Alain Schroeder, Andrea Bettancini, Giovanni Sacco e Martina D'Agresta) e al Museo di Parenzo in Croazia (Francesco Aglieri Rinella).

Il 2023 è stato anche anno di novità e ampliamento per URBAN Photo Awards che vede la nascita di URBAN Photo Arena, la nuova sezione dedicata ai giovani talenti della fotografia under 35. URBAN Photo Arena è l'evoluzione di Trieste Photo Young e ha come obiettivo scoprire, supportare e premiare i giovani fotografi, offrendo loro un prestigioso spazio espositivo durante il festival internazionale Trieste Photo Days. Il vincitore di questa prima edizione di URBAN Photo Arena è il fotografo francese Romain Miot con la sua foto Becoming an Adult. (Comunicato stampa)




Franzi Kreis
"Generazione Beta - La grande opera"


02 novembre (inaugurazione) - 26 gennaio 2024
Forum Austriaco di Cultura - Roma
www.austriacult.roma.it | www.franzikreis.com

La fotografa viennese Franzi Kreis presenta in mostra le storie delle famiglie di 16 persone fra Roma e Vienna: le donne illustrano la vita delle proprie madri, gli uomini quella dei propri padri. La mostra è composta da fotografie e cuffie che permettono in pochi secondi di immergersi nella profondità di ciascuna storia di vita.

Una signora, per esempio, si è abbandonata ai ricordi del marito, famoso cantante lirico siciliano, conosciuto al Teatro alla Scala di Milano, lei appena diciassettenne. Sulle note delle opere liriche ha raccontato della fuga di sua madre da Vienna durante i tumulti della Seconda guerra mondiale. I suoi genitori, di famiglia ebraica e attivisti del movimento comunista, sono sopravvissuti all"Olocausto anche grazie a un matrimonio di facciata a Praga e a un soggiorno in Francia. Una storia di famiglia che illumina la storia europea contemporanea da un punto di vista più personale. Veronica, invece è giornalista d"inchiesta e ha accompagnato Franzi Kreis col suo motorino nella frenesia del traffico di Roma: "Sono cresciuta in un matriarcato" dice, strizzando gli occhi al sole. Nel pulsare della città di fine estate, ponti narrativi collegano Roma e Vienna.

Franzi Kreis ha richiamato l"attenzione con le mostre "Finding Motherland" e "Father Earth" da Vienna a Sarajevo. La giovane artista si esprime attraverso la fotografia, l"audio e il video e vive a Vienna. Dal 2015 Franzi Kreis mostra le proprie produzioni narrative e artistiche in numerose presentazioni. Ha all'attivo progetti per (selezione): Wiener Festwochen, Brut e i teatri austriaci Landestheater Niederösterreich e Volkstheater Wien. Il suo primo volume fotografico, "Limelight", è stato pubblicato nell"autunno 2020. Attualmente è possibile vedere il suo lavoro per la mise en scène de "La vergogna" di Annie Ernaux sul palco Dunkelkammer del Volkstheater Wien. Le immagini dipinte create durante le rappresentazioni sono esposte presso la galleria Lukas Feichtner. (Comunicato stampa)




Opera di Esther Stocker Esther Stocker
"Uno scenario mentale"


11 novembre 2023 - 03 marzo 2024
Nuova Sant'Agnese - Padova
www.fondazionealbertoperuzzo.it

Mostra personale di Esther Stocker (Silandro - Bolzano, 1974), a cura di Riccardo Caldura, le cui opere vengono messe in dialogo con una serie di lavori della Collezione della Fondazione non ancora esposti. La mostra dedicata all'artista altoatesina, che vive e lavora in Austria, presenta una serie di tele e sculture, alcune concepite per questa occasione, allestite nella navata dell'ex chiesa, mentre nella sacrestia trovano posto quelle realizzate da artisti italiani e internazionali che fanno parte della sua formazione: da Joseph Albers ad Alberto Biasi, da Dadamaino a Fernand Léger e Paolo Scheggi.

Le sculture di Stocker, realizzate in volumi variabili e collocate a pavimento, a parete o sospese come installazioni ambientali, sono caratterizzate da superfici in bianco e nero coperte di pattern di griglie geometriche: ogni scultura sembra nascere da un processo di compressione, un accartocciamento delle superfici che deforma la regolarità della griglia evidenziandola come residuo, scarto: ciò che resta di un processo di parziale distruzione. Nelle grandi tele a fondo nero dell'artista, la dinamicità dei frammenti geometrici che le abitano ricorda la vertigine della profondità cosmica, dove troviamo sia processi esplosivi che implosivi della materia. Nell'allestimento pensato per la navata della Nuova Sant'Agnese, le sculture e le tele compongono uno scenario non virtuale, in cui lo spettatore si aggira come in un sogno di paradossale precisione.

Nella poetica dell'artista è centrale il riferimento alla matematica che Stocker elabora fino a renderlo parte essenziale del suo metodo artistico: le sue strutture geometriche si basano infatti su moduli ripetitivi che creano un ritmo visivo apparentemente ordinato, a cui aggiunge deviazioni che stimolano nuovi ritmi. L'introduzione delle deviazioni nell'equilibrio ottico genera sorpresa ed emozione nello spettatore, interrompendo deliberatamente l'ordine e la bidimensionalità: la griglia ortogonale, dispositivo d'ordine e principio compositivo dell'artista, viene sottoposto a disarticolazioni, spostamenti di asse, scivolamenti di piani senza mai smentire del tutto la sua origine ordinativa.

I lavori di Esther Stocker sono spesso collegati al costruttivismo, all'Op Art, alla psicologia della percezione, riferimenti che trovano un ulteriore legame nelle ricerche svolte a livello internazionale negli anni Sessanta proprio a Padova, dove il gruppo N diventerà uno dei riferimenti imprescindibili di quelle ricerche, e di cui la mostra Uno scenario mentale rappresenta un approfondimento e sviluppo contemporaneo. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Claudio Olivieri
"L'Apparire della Pittura"


28 novembre 2023 (inaugurazione) - 15 gennaio 2024
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Mostra personale dedicata al pittore italiano scomparso nel 2019. Realizzata in collaborazione con l'Archivio Claudio Olivieri di Milano, l'esposizione, attraverso un nucleo significativo di opere degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, vuole raccontare la raffinatissima ricerca del maestro romano, ma milanese di adozione. Accompagnata da un'intervista al critico Giorgio Bonomi realizzata dalla curatrice dell'archivio dell'artista Arianna Baldoni, il titolo della mostra allude ad una possibile rilettura dell'opera del maestro che possa andare ben oltre la sua posizione di protagonista della Pittura Analitica.

Secondo i due critici, la forma pittorica di Olivieri manterrebbe una vocazione visiva del tutto particolare leggibile sulla base del concetto di apparizione, nel senso di pittura come atto di manifestazione. All'interno di una pur forte concentrazione concettuale, l'astrazione di Olivieri si manifesta come un sapiente e calibrato equilibrio di opposti, un ossimoro di visibile e invisibile, un continuo bilanciamento fra il celarsi e lo svelarsi, fra nulla e tutto.

La personalità dell'artista, che amava scrivere aforismi densi di contraddizioni, riaffiora chiaramente nella pittura che mantiene una posizione costantemente ambigua fra profondità e superficie, fra passione e lucidità razionale. Del resto, la durata nella pittura di Olivieri, come diceva Vittorio Fagone nel 1969, assume una dimensione tutta particolare: la somma delle distanze interne al campo pittorico non è considerata come una successione di assenze ma uno specificarsi di relazioni (Fagone V., Claudio Olivieri, in Il Milione n. 136, Milano, 15 novembre - 4 dicembre 1969)

In una suddivisione che è solo parzialmente cronologica, l'esposizione presenta alcune opere inedite e di qualità museale degli anni settanta accanto ad una selezione di opere degli ottanta e novanta, allo scopo di delineare un carattere evolutivo nella pittura di Olivieri, che da cupa e drammaticamente assertiva, acquisisce una maggiore sensualità delle forme, accanto ad un tempo più cadenzato. Infine, la mostra è completata da una selezione di lavori su cartone di grande formato pressoché inediti, che testimoniano il procedimento di lavoro di Olivieri nel passaggio da opere di grande concentrazione su tela al medium meno impegnativo della carta: Olivieri sembra essere capace di esprimersi in una pittura che, togliendo peso, conquista maggiore sottigliezza e rarefazione, e perfino una spontanea gestualità. La mostra sarà accompagnata dal catalogo Claudio Olivieri, con un'intervista a G. Bonomi realizzata da A. Baldoni, ed. Glenda Cinquegrana Art Consulting, Milano, 2024. (Comunicato stampa)




Arte Povera 1967-1971
31 ottobre - 09 dicembre 2023
Wits Art Museum - Johannesburg

Il 27 settembre 1967 a Genova, presso la Galleria La Bertesca, Germano Celant presenta la mostra "Arte povera Im-spazio" in occasione della quale conia la definizione di Arte povera per indicare, come scrive in catalogo, il processo linguistico di alcuni artisti italiani che "consiste nel togliere, nell'eliminare, nel ridurre ai minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi". La mostra "Arte Povera 1967-1971", curata da Ilaria Bernardi, desidera celebrare i 56 anni da quella prima esposizione nel 1967, realizzando la prima mostra dell'Arte povera nel Continente africano e la prima mostra sull'Arte povera dopo la scomparsa del suo teorizzatore Germano Celant, avvenuta nel 2020. Ha dunque un'importante valenza dal punto di vista storico.

La mostra, grazie alla collaborazione con gli artisti, con i loro archivi, con importati collezionisti e musei che si sono resi disponibili a prestare le opere di loro proprietà, accoglie storici lavori dei 13 artisti che, dopo aggiunte e sottrazioni avvenute dopo il 1967, sono ormai considerati gli esponenti canonici dell'Arte povera: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

La curatrice Ilaria Bernardi, anziché proporre una retrospettiva generale sulle ricerche di questi 13 artisti, ha preferito adottare un concept maggiormente analitico e filologico, capace di restituire la vivacità e il dialogo esistenti tra artisti tra la seconda metà degli anni Sessanta e i primissimi anni Settanta. Al Wits Art Museum saranno infatti esposte opere emblematiche della ricerca di ogni artista, datate tra il 1967 - anno in cui Celant conia il termine Arte povera - e il 1971 - anno in cui egli postula che l'etichetta Arte povera deve dissolversi affinché ogni artista possa assumere la sua singolarità. Mediante questa specifica circoscrizione temporale, la mostra desidera approfondire la prima fase dell'Arte povera, ma al contempo si propone di coglierne i comuni denominatori che hanno portato Celant a definire tale quella ricerca. Da qui l'aggiunta di alcune opere realizzate negli anni immediatamente precedenti al 1967.

La maggior parte delle opere presenti in mostra sono state presentate in storiche esposizioni collettive dell'Arte povera e in mostre personali dei rispettivi artisti, tenutesi tra il 1967 e il 1971. Tra le opere esposte: Direzione (1967) di Giovanni Anselmo; Senza titolo (porte) (1966) di Alighiero Boetti; Piombo rosa (1968-2018) di Pier Paolo Calzolari; Pavimento (Tautologia) (1967) di Luciano Fabro; Senza titolo (1968) di Jannis Kounellis; Sitin (1968) di Mario Merz; Scarpette (1968) di Marisa Merz; Averroè (1967) di Giulo Paolini; Scoglio (1966) di Pino Pascali; Svolgere la propria pelle (1970-1971) di Giuseppe Penone; Orchestra di stracci - Quartetto (1968) di Michelangelo Pistoletto; Identico alieno (1967-1968) di Emilio Prini; Letto (1966) di Gilberto Zorio.

Accompagna la mostra un'area dedicata a una cronologia illustrata delle mostre collettive tenutesi in quegli anni da considerarsi cardini per la storia dell'Arte povera, corredata da teche con i relativi cataloghi. Conclude il percorso espositivo il video-documentario Arte povera, a cura di Beatrice Merz e Sergio Ariotti (Hopefulmonster, Torino 2011) che fornisce una panoramica dell'Arte Povera con ampio materiale d'archivio, filmati di mostre personali recenti e a spezzoni di interviste con Germano Celant, alcuni artisti, critici e galleristi.

La mostra fa parte di un più ampio progetto espositivo intitolato "Arte Povera and South African Art: In Conversation" che include, nelle stesse date della mostra curata da Ilaria Bernardi, un'altra mostra dal titolo "Innovations in South African Art, 1980s-2020s" a cura del curatore sudafricano Thembinkosi Goniwe dedicata ad artisti sudafricani che, per alcuni aspetti della loro pratica, si dichiarano o risultano affini all'Arte povera: Lucas Seage, Jane Alexander, David Thubu Koloane, Kagiso Pat Mautloa, Moshekwa Langa, Usha Seejarim, Bongiwe Dhlomo-Mautloa, Willem Boshoff, Kemang Wa Lehulere, Thokozani Mthiyane, Kay Hassan.

"Arte Povera and South African Art: In Conversation" sarà accompagnato da un libro/catalogo illustrato, edito da SilvanaEditoriale, bilingue (italiano/inglese) e "doppio", da sfogliare in due versi. Il primo verso del volume sarà dedicato alla mostra sull'Arte povera curata da Ilaria Bernardi e includerà un suo ampio saggio, approfondimenti sulle opere e sui 13 artisti e una cronologia delle più importanti mostre dell'Arte povera dal 1967 a oggi. Il secondo verso sarà dedicato all'esposizione curata da Thembinkosi Goniwe e includerà un suo saggio, nonché approfondimenti sulle opere e sugli artisti sudafricani esposti. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Vincenzo Castella. Architetture oblique
19 ottobre 2023 - 07 gennaio 2024
Triennale Milano
www.triennale.org

La mostra a cura di Lorenza Bravetta - curatrice per fotografia, cinema e new media di Triennale Milano - presenta due temi indagati da Castella: le città e gli orti urbani. La città rappresenta da sempre uno dei soggetti privilegiati da Castella: sono fotografie di grande formato dove le città sono per lo più viste dall'alto e in lontananza. Emblematiche #1 Milano, #2 Milano, #3 Milano del 2014 esposte come un maestoso trittico che guarda sulla parete di fronte i giganteschi sei 'ritratti' di piante esotiche presenti negli orti botanici; una natura antropizzata nella quale lo sguardo dello spettatore s'immerge assorbito dagli elementi naturali. Particolarmente significativa la grande installazione di fotografie originali stampate a contatto che Castella ha realizzato negli anni ottanta dedicate al cantiere dello stadio di San Siro. Video, fotografie di formato più piccolo e provini a contatto e completano la mostra. (Comunicato stampa)




Opera di Peter Blake dedicata a Marylin With Love. Peter Blake
19 ottobre 2023 - 18 gennaio 2024
Mucciaccia Gallery - Roma
www.mucciaccia.com

La mostra più ampia e approfondita finora realizzata in Italia dell'acclamato artista britannico Peter Blake, pittore, scultore, disegnatore e stampatore, spesso definito "il Padre della Pop-Art Britannica". La mostra, a cura di Jonathan Watkins - curatore, ex direttore della Ikon Gallery (Birmingham, UK), per la quale ha curato anche progetti al Castello di Rivoli di Torino, alla Biennale di Venezia e alla Tate di Londra - vuole ripercorrere la lunga carriera di Peter Blake, oggi novantunenne, con più di 160 opere esposte, tecniche miste, collage su carta e su legno, tele e sculture, datate dal 1956 al 2023. Il titolo dell'esposizione pone l'accento sul profondo affetto dell'artista verso i soggetti umani, sia che appartengano al mondo del jet set che agli strati sociali più poveri, ai quali è legato per la propria storia familiare.

Peter Blake (Dartford - Kent, 1932) nelle sue opere inizia presto ad utilizzare immagini tratte dalla pubblicità, dall'intrattenimento, dalle music hall, per trarne dei collage. Tra i più noti lavori sono le copertine di album musicali, come ad esempio quella di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967) dei Beatles, ideata con la moglie Jann Haworth, in occasione della quale l'artista ha allestito un vero e proprio set fotografico con sagome di persone a grandezza naturale da cui è stata poi tratta una fotografia. Ad accogliere il visitatore in Galleria è proprio un'opera nella quale campeggia una grande foto dei Beatles, lo schermo pieghevole LOVE (2010-15), un collage scultoreo che evoca con forza il pop e il glamour del dopoguerra.

In diverse opere di Blake ricorre la parola LOVE, spesso composta su legno con materiali di recupero. Sono assemblaggi che sembrano evocare al famoso brano dei Beatles "All you Need is Love" e che, in qualche modo, si inseriscono nel solco di un'altra serie di opere, ugualmente in mostra, quella dei Generals (2012), sculture che rappresentano dei soldati formati con palle da bowling al posto delle teste, spalle squadrate e corpi fatti grossolanamente di legno, con medaglie costituite da monete, tappi di bottiglia o distintivi. Nell'utilizzare materiali di recupero, ovvero decisamente non "da ufficiali", Blake ci comunica quell'umorismo leggermente irriverente che caratterizza la sua intera produzione artistica, un umorismo molto inglese, che nasce nel solco della tradizione di Edward Lear e Lewis Carroll, ed è tipico dei nonsense.

Da associazioni di idee simili nascono i suoi collage, nei quali utilizza le immagini di Elvis Presley, Brigitte Bardot, Kim Novak e tanti altri personaggi. Tra questi ben quattro sono dedicati a Marilyn Monroe, di cui uno, molto intenso, è intitolato con il vero nome dell'attrice seguito dalle date di nascita e morte: Norma Jean Baker 1926-1962 (1988), ed è composto da una serie di fotografie in bianco e nero con le quali ripercorre per fotogrammi il corso della sua vita, pieno di sorrisi per la macchina fotografica, e li contrappone all'ultima, tragica, su fondo nero, che la ritrae ormai cadavere e coperta da un lenzuolo, mentre viene portata via su una barella d'ambulanza.

Una vasta serie di collage esposti in mostra sono i Joseph Cornell's Holiday. Si tratta di piccole e poetiche opere su carta, realizzate a più riprese tra il 2017 e il 2019, nelle quali egli guarda alla storia umana e artistica di Joseph Cornell, il famoso collagista americano che non ha mai lasciato gli Stati Uniti, pur essendo affascinato dalla cultura europea.

In queste opere Blake immagina di fare amicizia con lui e di viaggiare insieme attraverso l'Europa; lo fa andare in barca a Copenaghen, pescare in Scozia, visitare un mercatino delle pulci a Parigi e rendere omaggio a Las Meninas di Velasquez al Prado di Madrid. In diverse opere è alla Farley Farm, la casa inglese degli artisti Roland Penrose e Lee Miller, che negli anni Cinquanta e Sessanta era una sorta di Mecca per amici artisti, tra cui Picasso, Man Ray, Henry Moore, Eileen Agar, Jean Dubuffet, Dorothea Tanning e Max Ernst. In questo modo offre all'artista americano avventure bohémien da lui mai vissute nella realtà e, ad esempio, gli fornisce occasione di riunirsi, anche se solo con la fantasia, con Marcel Duchamp, spesso anche nelle vesti del suo alter ego femminile, Rrose Selavy.

Concludono il percorso espositivo la selezione dei lavori più recenti, tra cui quelle sui Clown e sui Wrestler, soggetti molto popolari nella società operaia inglese - con i quali l'artista ci ricorda le proprie radici e la sua identificazione con le persone che vivono e lavorano ai margini - e gli acquerelli su carta Studies for 'Party' (2018), che raffigurano volti di bambini dietro una pioggia di coriandoli. Essi sono sorridenti, anche se a tratti malinconici, giovani e ingenui. L'anziano artista è attratto dalla loro giovinezza e ingenuità e si identifica con loro. Confida Blake al curatore Jonathan Watkins: "Forse questi dipinti parlano dell'invecchiamento e forse un po' della mia infanzia". La mostra sarà accompagna da un catalogo (Silvana editoriale) che contiene le riproduzioni di tutte le opere in mostra e un saggio introduttivo di Jonathan Watkins. (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Opera in cera molle su rame denominata Arianna realizzata da Sara Montani nel 2012 Sara Montani
"abito l'abito"


27 ottobre (inaugurazione) - 22 dicembre 2023
Galleria delle Lavagne (Scuola Secondaria di Primo Grado Statale Sperimentale Rinascita Livi) - Milano
www.saramontani.com

L'esposizione, a cura di Carla Zaffaroni e Martina Lolli segna un ulteriore passaggio della poetica di Sara Montani, sin dagli anni Settanta impegnata nell'esplorare l'arte come mezzo educativo e di espressione, sperimentando vari linguaggi artistici e proponendo nelle scuole attività volte a promuovere e sostenere l'istruzione e la formazione nel campo della cultura e dell'arte. Dedicando da sempre gran parte del proprio percorso creativo all'educazione al bello delle nuove generazioni nel ruolo di curatrice ed educatrice di diversi progetti didattici ed espositivi, con un'impostazione decisamente innovativa Sara Montani porta ancora una volta l'arte contemporanea dentro le scuole, con il chiaro obiettivo di creare un dialogo diretto con un pubblico giovane, estremamente ricettivo e aperto a nuove forme di espressione visiva.

L'esposizione "abito l'abito" si integra, inoltre, in un percorso didattico più ampio, svolto dall'artista in collaborazione con i docenti della scuola. Durante tutto il periodo espositivo saranno infatti organizzati laboratori dedicati all'incisione calcografica, una delle tecniche predilette da Sara Montani: momenti che permetteranno ai giovani visitatori di interagire direttamente con le opere, costruendo un proprio bagaglio culturale essenziale per la loro crescita personale, umana ed emotiva.

Attraverso 14 opere realizzate dal 2006 al 2019 - alcune in stampa calcografica, altre su carta (cianotipia, incisione a cera molle, acquaforte e monoprint) - l'artista rende tangibile la memoria del passato. Per Sara Montani, infatti, gli abiti e gli accessori esposti non sono solo oggetti, ma portatori di storie, di emozioni e di vissuti che attraversano il tempo e lo spazio. Il titolo stesso della mostra è estremamente evocativo e gioca con il concetto dell'indossare, riferendosi non solo ai singoli capi di abbigliamento, qualunque essi siano, ma anche all'identità e al significato culturalmente a loro associati. La mostra suggerisce un'esplorazione dell'abbigliamento come oggetto fisico e di come questo influisca sulla percezione di sé stessi e sugli altri.

Le opere offrono possibilità di riflessioni sull'importanza nella costruzione dell'identità personale e nella comunicazione sociale; "abito l'abito" può suscitare, dunque, l'interesse dei ragazzi, stimolandoli a considerare il significato simbolico e culturale degli abiti che quotidianamente indossano. La scelta di allestire la mostra "abito l'abito" all'interno di una scuola mostra come per Sara Montani l'aspetto educativo sia sentito come una missione da portare avanti.

Il tema della mostra e le opere esposte, compendio del lavoro di ricerca degli ultimi vent'anni dell'artista, creano un dialogo tra presente e passato, interrogando i visitatori sulla loro storia personale e sugli avvenimenti che hanno modellato le loro vite: un lavoro di delicata ricerca artistica su identità e memoria, caratterizzato da una profonda leggerezza e sensibilità, tipiche dell'anima e del lavoro di Sara Montani.

Artista impegnata nell'indagine della realtà sociale, la produzione artistica di Sara Montani, abbraccia più linguaggi, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia all'incisione, alle installazioni e ai libri d'artista, impiegando materiali e tecniche varie. La sua ricerca affonda le radici nella memoria, individuale e collettiva e nella trasmissione della conoscenza, di generazione in generazione. Predilige progetti tematici, trasferendo il vissuto personale all'interno dell'opera d'arte. Formatasi all'Accademia di Belle Arti di Brera con Tito B. Varisco e Guido Ballo, Sara Montani espone dal 1970 ed è stata invitata a prestigiose manifestazioni conseguendo premi e segnalazioni.

Le sue opere figurano in collezioni e raccolte di enti pubblici e privati in Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Romania, Svizzera, Egitto, Germania, Cina, Giappone, Stati Uniti, Polonia, Repubblica Dominicana. Sara Montani è attualmente membro del Consiglio direttivo del Museo della Permanente di Milano, e continua a contribuire attivamente al panorama artistico milanese ed italiano. (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagine:
Sara Montani, Arianna, 2012, cera molle su rame




Locandina della mostra Il ritratto veneziano dell'Ottocento Il ritratto veneziano dell'Ottocento
21 ottobre 2023 - 01 aprile 2024
Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna - Venezia
capesaro.visitmuve.it

Un secolo di grande storia e di grande pittura, di profonde trasformazioni sociali, politiche, economiche. Un secolo popolato da liberali e da patrioti, rivoluzionari e reazionari, nobili e borghesi, intellettuali e artisti romantici, neoclassici, realisti, veristi, fino alla soglia delle Avanguardie, che ha visto la nascita delle Pinacoteche, dei musei civici, de La Biennale di Venezia. Un secolo da riscoprire nei volti e nelle opere dei suoi protagonisti con la mostra a cura di Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo.

Un'esposizione che intende raccontare il primo secolo dell'età contemporanea che a Venezia apre, idealmente, con la caduta della Serenissima e prosegue in tutto il Paese con la Restaurazione, passando per i moti del '48, il Risorgimento, l'Unità d'Italia. Ma è anche, e soprattutto, un progetto che rimanda in modo preciso e puntuale all'intuizione e alla grande mostra che Nino Barbantini, primo Direttore della Galleria di Ca' Pesaro, organizzò e allestì esattamente cento anni fa, nel 1923, sullo stesso tema e con lo stesso titolo: Il ritratto veneziano dell'Ottocento.

Tra le prime retrospettive dedicate a questo secolo, un'esposizione "blockbuster" per il tempo, coronata da un grande successo di pubblico, di stampa e di critica, realizzata con criteri museografici attualissimi e con un numero eccezionale di opere e prestiti, provenienti da tutto il Triveneto: 241 lavori di 50 artisti, pittori, scultori, miniaturisti, tutti operanti dall'inizio dell'Ottocento fino al penultimo decennio del secolo, che per lo studioso si apriva con Teodoro Matteini e si chiudeva con Giacomo Favretto.

Un excursus tra autori celebri come Hayez, Molmenti, Grigoletti, Schiavoni, Lipparini, scoperti e riscoperti, artisti che a Venezia avevano vissuto, si erano formati, lasciando testimonianze preziose della società, dello spirito dell'epoca, dei suoi protagonisti e dei suoi grandi stravolgimenti: un patrimonio di immagini di famiglie, di intellettuali, di artisti, di patrioti, di donne - alcune, artiste a loro volta - persone che hanno animato il territorio da Venezia, luogo privilegiato d'incontro, fino a Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Pordenone, Trieste, Trento, Treviso, Belluno.

Volti eterni del secolo più lungo della modernità e, non ultimo, primo esempio - confermato ai nostri giorni - della grandezza artistica di un secolo dimenticato, a favore della mitizzazione di quello precedente. Per dirla con le parole dello stesso Barbantini: per portare un poco di luce su un periodo della storia artistica della nostra città ingiustamente oscuro. Tutto questo rivive oggi in un prezioso e lungo lavoro di ricerca condotto dai curatori per ricostruire l'allestimento e il catalogo della storica esposizione: un enorme sforzo critico che in due anni ha portato a rintracciare ben 166 opere di 52 artisti già della mostra originale, ora conservate in Musei e collezioni su tutto il territorio nazionale.

Accanto, i capolavori rimasti a Venezia, provenienti dalle collezioni di Ca' Pesaro, del Museo Correr, e dalle Gallerie dell'Accademia, insieme a numerose raccolte private. Una ricostruzione che ha permesso di sviluppare importanti nuovi contributi rispetto al progetto di Barbantini, tra cui riattribuzioni - con 11 nuovi autori riconosciuti - e aggiornate schede scientifiche - 279 per 60 artisti - grazie al lavoro di una rete di studiosi, conservatori e ricercatori di tutto il territorio. Nelle quattro sezioni in cui è articolata, l'esposizione ripercorre quindi La nascita di un secolo, che parte dal Congresso di Vienna (1815) per arrivare in un lungo travaglio all'unificazione del Paese; significativi approfondimenti monografici de I grandi protagonisti, seguiti da Vita e società dell'Ottocento, tra nobili e borghesi, tra città e campagna; infine il Ritratto verso la modernità in cui la materia pittorica si sgrana e si illumina, arrivando alle soglie del '900.

«La mostra del 1923 - ricordano i curatori dell'attuale, Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo - riscosse grandissimo successo di pubblico e una vivace risposta della stampa. Ancora oggi è considerata una rassegna di capitale importanza per la riscoperta dell'arte veneziana di un intero secolo, per l'avvio della conoscenza dei suoi protagonisti e la valorizzazione di molti dei capolavori che vi furono esposti. L'iniziativa inaugurava anche un nuovo corso della Galleria veneziana e dell'attività di Barbantini, indirizzata, durante gli anni Venti, alla progettazione di significative esposizioni monografiche su periodi o singoli protagonisti dell'arte italiana.

Il ritratto veneziano dell'Ottocento è inoltre centrale nella definizione della storia delle mostre e costituisce un valido e precoce esempio museografico di rassegna dedicata a un tema o a un preciso arco temporale, concepita come una rassegna filologica di un'esposizione che fece storia e al contempo un omaggio al suo geniale curatore, la cui lezione storico-artistica permane nelle collezioni e la cui voce risuona nelle sale di Ca' Pesaro. La riproposizione nella medesima sede di così tanti capolavori dei più rappresentativi artisti veneziani dell'Ottocento, ripalesati quando perduti, ristudiati quando già noti, permetterà anche di visualizzare i tratti dei protagonisti veneziani di un intero secolo, scelti nel 1923 da Barbantini per istinto e grazie alle sue pionieristiche conoscenze di allora e, un secolo dopo, ancora capaci di affascinare e stupire il pubblico di Ca' Pesaro».

L'elenco realizzato da Barbantini, organizzato per ordine alfabetico, oltre a scarne notizie biografiche degli autori, riportava i nomi dei proprietari di allora. Da queste informazioni ha preso avvio lo strenuo lavoro di ricerca e di identificazione delle opere dopo cento anni dalla loro esposizione a Ca' Pesaro. Molte di esse, anche grazie al successo dell'esposizione, confluirono in raccolte pubbliche, mentre altre rimasero presso gli eredi o confluirono in collezioni private. Se un esiguo numero è andato definitivamente perduto, tuttavia altre opere attendono di essere rintracciate poiché l'ubicazione è ad oggi sconosciuta.

Una decina di lavori furono donati proprio a Ca' Pesaro dopo la mostra del 1923, e l'istituzione passò così da essere galleria ad essere un museo accogliendo il primo nucleo di autori del XIX secolo e arricchendo la propria collezione, dove i ritratti dell'Ottocento trovarono posto accanto ai Maestri internazionali, acquisiti dal Comune di Venezia sin dalle prime edizioni di Biennale e ai capesarini di inizio secolo come Arturo Martini, Felice Casorati e Gino Rossi. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Locandina mostra Rubens e la scultura a Roma Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma
14 novembre - 18 febbraio 2023
Galleria Borghese - Roma

Con la mostra, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, la Galleria Borghese inaugura la seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea, un grande progetto realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova che racconta i rapporti tra la cultura italiana e l'Europa attraverso gli occhi del Maestro della pittura barocca, e si inserisce anche in una più ampia ricerca della Galleria dedicata ai momenti in cui Roma è stata, all'inizio del Seicento, una città cosmopolita.

Con quasi 50 opere provenienti dai più importanti musei al mondo - tra cui il British Museum, il Louvre, il Met, la Morgan Library, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, il Prado, il Rijksmusem di Amsterdam, solo per citare alcuni - la mostra è divisa in 8 sezioni: Il tocco di Pigmalione sottolinea il contributo straordinario di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell'antico e dei concetti di naturale e di imitazione, mettendo a fuoco la novità dirompente del suo stile e come lo studio dei modelli costituisca un'ulteriore possibilità per un nuovo mondo di immagini. Per questo la mostra tiene conto non solo delle opere italiane che documentano lo studio appassionato e libero dagli esempi antichi, ma anche della sua capacità di rileggere esempi rinascimentali e confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Hayez. L'officina del pittore romantico
17 ottobre 2023 - 01 aprile 2024
GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea - Torino
www.gamtorino.it

Arte, storia e politica si intrecciano nella grande mostra dedicata al genio romantico di Francesco Hayez (Venezia 1791 - Milano 1882), accompagnando il pubblico alla scoperta del mondo dell'artista, nell'officina del pittore, per svelarne tecniche e segreti. Un percorso originale che pone a confronto dipinti e disegni, con oltre 100 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private cui si aggiungono alcuni importanti dipinti dell'artista custoditi alla GAM, come il Ritratto di Carolina Zucchi a letto (L'ammalata) e l'Angelo annunziatore.

L'esposizione, a cura di Fernando Mazzocca ed Elena Lissoni, è organizzata in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti, molti dei quali si trovavano nello studio del pittore, per quarant'anni professore di pittura all'Accademia. Oltre alle opere inedite o poco viste, si potranno ammirare in mostra alcuni dei capolavori più popolari, come La Meditazione dei Musei Civici di Verona - Galleria d'Arte Moderna Achille Forti e l'Accusa segreta dei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, cui è accostato Il Consiglio alla Vendetta, prestigioso prestito proveniente da Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz-Vienna.

Attraverso dieci sezioni in successione cronologica, il percorso espositivo inizia dagli anni della formazione tra Venezia e Roma, dove Hayez ha goduto della protezione e dell'amicizia di Canova, fino alla prima affermazione a Milano e alle ultime prove della maturità. Una speciale sezione focus è dedicata ai disegni per la Sete dei Crociati, la sua opera più ambiziosa e impegnativa, che il pittore aveva programmato come il suo capolavoro, eseguita tra il 1833 e il 1850 e destinata al Palazzo Reale di Torino, dove si può ancora ammirare. La mostra rievoca l'intensa vicenda biografica e il percorso creativo dell'artista, indiscusso protagonista del Romanticismo.

"Pittore civile", interprete dei destini della nazione italiana, capace di estendere il respiro della sua pittura dalla storia all'attualità politica, è stato anche tra i più grandi ritrattisti di tutti i tempi, che ha saputo interpretare con la sua produzione lo spirito della propria epoca. Cantore della bellezza, dell'amore e dei valori risorgimentali, nella sua lunga vita è stato protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo. Celebrato da Giuseppe Mazzini come vate della nazione, ha condiviso con Manzoni e Verdi gli stessi ideali stringendo con loro un rapporto unico, di amicizia e di intesa culturale. L'Italia risorgimentale si è riconosciuta nel suo linguaggio, che ancora oggi riesce a comunicare sentimenti e valori universali, anche attraverso una dimensione civile che attualizza la storia.

La novità di questa mostra sta nel mettere in rapporto per la prima volta i dipinti e i disegni, che ci consentono di ricostruire e di comprendere il suo procedimento creativo, introducendoci nel suo atelier. Nell'opera di Hayez, che si considerava l'ultimo rappresentante della grande tradizione della pittura veneta e che si era formato sullo studio di Tiziano e dei pittori veneziani del Quattro e del Cinquecento, il disegno può sembrare a una prima analisi secondario rispetto al colore. I suoi contemporanei rimanevano colpiti dal suo particolare modo di procedere basato sull'estro del momento, con continui ripensamenti, anche e soprattutto in corso d'opera, che in molti casi sono riconoscibili persino ad occhio nudo. L'eccellenza e la singolarità di questa tecnica costituiscono il fascino e la forza di una pittura ammirata sia dal pubblico che dalla critica.

Ma di Hayez si conoscono anche centinaia di disegni - la maggior parte dei quali conservati all'Accademia di Belle Arti di Brera - il più delle volte tracciati con un gesto rapido e immediato, quasi fossero appunti visivi da impiegare poi nella creazione delle composizioni, e solo in rarissime occasioni riportati dettagliatamente nelle grandi dimensioni per la successiva traduzione su tela. Oltre agli "schizzi, pensieri fermati rapidamente, studi" sopra citati, che costituiscono un'eccezionale testimonianza del metodo di lavoro del pittore, l'artista ha lasciato una raffinatissima produzione di d'après: disegni e acquerelli che riproducono fedelmente alcune delle sue opere più celebri - verosimilmente destinati in dono ai collezionisti più affezionati - e che hanno costituito un formidabile strumento di diffusione delle sue invenzioni.

"Francesco Hayez, testimone da bambino della caduta dell'antica Repubblica, ha trascorso quasi tutta la vita e ha raggiunto il suo successo a Milano, dove è scomparso nel 1882, carico di anni e di gloria come un novello Tiziano, il pittore cui amava paragonarsi. Nella sua lunghissima vita, quasi un secolo, è stato dunque protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, di cui è stato uno dei creatori, alle nuove istanze realistiche affermatesi dopo l'Unità d'Italia.

Non solo per la sua arte, ma anche per le idee politiche è da considerarsi, insieme a Manzoni e Verdi, tra i Padri della Patria. Fondamentale è stata la sua formazione a Roma con Canova, che lo ha sostenuto con la convinzione che diventasse l'artista capace di riportare la pittura italiana alla sua grandezza perduta, così come lui aveva fatto in scultura. Questo merito gli è stato riconosciuto dai suoi maggiori sostenitori, come Stendhal che lo considerò 'il maggiore pittore vivente' e Mazzini che lo consacrò come l'interprete delle aspirazioni nazionali.

La sua è stata una vita eccezionale sia dal punto di vista personale, essendosi riscattato dalle umilissime origini e dall'abbandono da parte della sua famiglia, sia sul versante di una strepitosa carriera che lo ha visto dialogare con i grandi artisti del suo tempo, cultori, letterati e musicisti. I suoi moltissimi amori e un grande slancio vitale sono documentati dalla sua pittura che ha espresso una serie di valori universali, celebrando la bellezza femminile e la forza dell'amore, come nella serie dedicata a Giulietta e Romeo" - commenta il curatore Fernando Mazzocca. La mostra è accompagnata dal catalogo "Hayez. L'officina del pittore romantico" edito da 24 Ore Cultura, disponibile presso il bookshop della mostra, nelle librerie e online. (Comunicato stampa)




Opera ad olio e pietra pomice su tela di cm 54x81 denominata Muffa realizzata da Alberto Burri nel 1951 Informale. Dialogo tra Italia e Europa
27 ottobre (inaugurazione) - 10 dicembre 2023
Galleria Tornabuoni Arte - Milano
www.tornabuoniart.com

L'esposizione offrirà una selezione di opere scelte di importanti artisti informali, italiani ed europei, i quali hanno contribuito in modo significativo a plasmare un linguaggio pittorico che ha profondamente influenzato e caratterizzato il secondo Novecento nell'ambito del panorama artistico internazionale. Opere intense, vigorose e allo stesso tempo raffinate, realizzate nel solco di una ricerca che trova nel segno, nella gestualità e nella libertà espressiva svincolata dalla forma i suoi elementi distintivi. Nato all'alba di una nuova epoca dopo il trauma della seconda guerra mondiale, l'informale è stato un movimento artistico profondamente Europeo, che ha dato voce ad una generazione segnata da visioni del conflitto, per la quale la figurazione non era più in grado di trasmettere completamente la sua esperienza.

"Una realtà nel cui regno l'uomo può finalmente rischiare tutto", così descrive il critico d'arte francese Michel Tapié il nuovo linguaggio elaborato all'inizio degli anni '50 da artisti quali Albero Burri, Lucio Fontana, Jean Fautrier e Jean Dubuffet. Nel loro lavoro segno e materia prevalgono sulla forma per una pittura più libera e autentica, che non rappresenta ma esprime una realtà al di là del mondo visibile.

In mostra, si troveranno così a dialogare importanti opere di artisti Italiani come Lucio Fontana presente con un lavoro tratto dalla serie Barocchi del 1956. In quest'opera è ancora radicata una tensione legata all'utilizzo mirabile della materia pittorica e che già prefigura la sua ricerca dello spazio attraverso i buchi nella tela che, da lì a poco, culmineranno nei primi tagli. Si prosegue con Alberto Burri, riconosciuto come il principale esponente dell'informale italiano. In particolare, si evidenziano in mostra, opere di notevole suggestione, come Muffa risalente al 1951 ed un Catrame del 1957, tra i lavori tipici di questa fase della sua produzione artistica. A questi due maestri si affiancano opere di artisti di primo piano, come Afro, Tancredi, Emilio Vedova, ai quali si aggiungono interessanti lavori di Renato Birolli, Antonio Corpora e Giuseppe Santomaso, per giungere infine ad opere di Giulio Turcato e Gualtiero Nativi.

In ambito europeo, si segnalano due lavori di Hans Hartung, T 1957-3 e T 1961 - H16 B, artista che, con la sua pittura, così legata al segno gestuale ed espressivo di forte impatto, ha profondamente influenzato l'intero mondo informale. Completano e arricchiscono l'esposizione l'opera Cortèges (1963) di Jean Fautrier, anch'egli artista cardine del movimento informale Europeo, e lavori d'artisti di rilievo come George Mathieu, Serge Poliakoff, Jean Paul Riopelle, Asger Jorn, così come una selezione di preziose opere su carta di Nicolas De Staël, Jean Dubuffet e Mark Tobey. All'interno del contesto espositivo, il visitatore potrà perciò immergersi in un'esperienza ampia e diversificata dell'arte informale, comprendendo come alcuni degli artisti più significativi del Novecento abbiano interpretato e vissuto in modo così profondamente personale questo movimento. (Comunicato stampa)

Immagine:
Alberto Burri, Muffa, 1951, olio e pietra pomice su tela cm54x81




Dipinto di Alan Gattamorta nella mostra Al Bar "Al bar"
22 ottobre - 24 dicembre 2023
www.alangattamorta.it

Sul sito antologico il pittore Alan Gattamorta presenterà una rassegna di 20 acrilici su carta.






Dipinto a olio su tela di cm 170x225 denominatao Atelier Negativ realizzato da Thomas Huber nel 2015 Acquerello su carta di cm 59x1075 denominato Raum im Raum realizzato da Thomas Huber nel 2014 "On Perspective"
Venti opere iconiche di Thomas Huber


24 ottobre (inaugurazione) - 09 dicembre 2023
KROMYA Art Gallery - Lugano
www.kromyartgallery.com

Una panoramica sui principali temi trattati nell'ultimo decennio dal noto artista svizzero, celebrato dal MASI Lugano con una personale nella sede del LAC. L'esposizione, in collaborazione con Ditesheim & Maffei Fine Art di Neuchâtel, propone una scelta di lavori che comprende dipinti a olio e acquerelli, due tecniche che accompagnano la produzione artistica di Thomas Huber sin dagli albori della sua carriera. Dai primi anni '80, Huber ha sviluppato una pratica che si può considerare come una sorta di narrazione visiva dedicata all'arte della pittura stessa. Nonostante la sua estetica possa apparire immediatamente "accessibile", l'arte di Thomas Huber conduce in un mondo onirico, immaginario e al tempo stesso straordinariamente realistico, che interagisce con lo spettatore in un modo singolare.

L'architettura svolge un ruolo centrale lungo tutto il suo percorso creativo: l'artista ritrae spazi che richiamano sia quella classica, che quella utopica. Questi luoghi, sebbene potenzialmente reali, sono avvolti da un'aura enigmatica che offre una profonda esperienza agli osservatori. La prospettiva non è solo uno strumento di rappresentazione spaziale ma diventa parte integrante dell'opera, superando la semplice resa visiva, la profondità e il punto di vista. È tutto un gioco di percezione e di prospettiva come si intuisce dall'opera che di questa esposizione è il "manifesto": Besucherandrang (serie Am Horizont, 2015). Il grande dipinto mostra la stessa sezione architettonica ripetuta tre volte, fedele a sé stessa ma mai uguale agli occhi dello spettatore. On Perspective parla di percezione della prospettiva, ma anche di prospettive di visione.

Così l'atelier di Thomas Huber, uno dei soggetti ricorrenti nella sua opera, non è più un semplice studio, ma prende vita e si legittima attraverso la scelta del punto di vista da cui è stato ritratto o da cui l'artista desidera che lo spettatore lo contempli. In mostra da KROMYA sono presenti diversi esempi che indagano questo tema. Uno dei più emblematici è l'olio su tela Atelier Negativ (2015), che svela lo studio dell'artista a Berlino. In questo spazio dipinto Huber introduce due tele, creando così dei "quadri nel quadro". In questo modo, l'artista sfida il pubblico a esplorare la dualità e la rospettiva all'interno delle sue opere, evidenziando la sua capacità di creare narrazioni visive complesse. Narrazioni che è possibile approfondire in diversi acquerelli presenti in mostra, che ritraggono lo studio dell'artista da varie prospettive.

Ma c'è di più: la riflessione che scaturisce da questi lavori si fa ancora più profonda, perché ci si chiede quali siano i luoghi più adatti a presentare l'arte. E, ancora una volta, lo spazio dipinto sembrerebbe avere la meglio sullo spazio fisico. «Mi chiedo sempre quale sia il luogo ideale per esporre le mie opere», scrive Thomas Huber. «E alla fine arrivo sempre alla conclusione che non debba necessariamente essere uno spazio espositivo, ma che le opere possono esprimersi al meglio quando fioriscono nel loro elemento naturale, ossia quando vengono nuovamente presentate all'interno di un dipinto».

Tale concetto prende vita nella grande tela esposta nelle sale di KROMYA Art Gallery: si tratta di Massgaben (2013). L'opera raffigura una stanza piena di quadri: dal pavimento al soffitto, pareti incluse. Tutte le opere raffigurate nella tela esistono non solo al suo interno, ma anche nella realtà. Sono lavori che Thomas Huber ha realizzato nel passato, nel presente, oppure dei work in progress che troveranno compimento nel futuro. L'artista dipinge poi delle piccole porte sulle tre pareti visibili della sala, in modo da lasciare una "via di fuga" all'osservatore, qualora si sentisse sopraffatto da questo spazio che, come gli altri che caratterizzano le sue opere meno recenti, sono connotati da una sorta di "tensione".

La riflessione sugli spazi dell'arte si declina anche nel tema degli Aushub (lett. scavi), cui Thomas Huber dedica numerosi dei suoi lavori più iconici. In mostra, gli acquerelli Aushub im Atelier (14 Luglio), realizzato nel 2014, e O.T (Senza Titolo) del 2015. Nelle immagini si vede l'atelier dell'artista in cui sono installati dei cavalletti vuoti. Al loro fianco, dei cumuli - simili a quelli di sabbia che si vedono nei cantieri edili - le cui dimensioni sono variabili.

A fare da contrappunto a queste opere, in mostra è possibile ammirare altri due acquerelli. Qui, i cumuli sono scomparsi, e ora sui cavalletti appaiono delle tele. Nella visione di Thomas Huber, le tele sono spazi che è possibile "scavare", perché hanno una infinita profondità: i cumuli rappresentano il materiale derivato da questo scavo. Sono le idee, la creatività, i sogni e le visioni dell'artista. Una volta che questi prendono vita sulla tela, ecco che i cumuli non sono più visibili, mentre si assiste alla "comparsa" dei dipinti sui cavalletti.

La mostra curata da KROMYA Art Gallery presenta inoltre degli importanti lavori che si legano a un tema molto caro all'artista: l'acqua e le sue infinite possibilità di svelare, riflettendoli, dettagli apparentemente nascosti. L'acqua è anche quella del Lago Maggiore, a cui l'artista è legato e a cui ha dedicato la sua produzione più recente. In esposizione, due acquerelli emblematici realizzati nel 2020: Glockenklang e Intèrieur mit Schiff. Quest'ultimo rappresenta, dal punto di vista interno e, contemporaneamente, esterno, la residenza sul lago di Thomas Huber. Si tratta di un lavoro che precorre la serie Lago Maggiore, realizzata tra il 2021 e il 2023, esposta fino a gennaio al MASI Lugano.

Thomas Huber (Zurigo, 1955), primogenito di una famiglia dell'alta borghesia protestante della città. I suoi genitori erano affermati architetti, che vivevano in stretto contatto con l'ambiente intellettuale e artistico dell'epoca. Dopo aver completato gli studi a Zurigo, Huber ha deciso di perseguire la sua passione per l'arte. Nel 1977-'78, ha iniziato il suo percorso presso la Kunstgewerbeschule di Basilea, una tappa formativa che ha gettato le basi per lo sviluppo delle sue abilità artistiche. La sete di conoscenza e la ricerca di nuove prospettive lo hanno poi spinto a continuare la sua formazione presso istituzioni di prestigio internazionale.

Nel 1979 ha proseguito i suoi studi presso il Royal College of Art di Londra e dal 1980 al 1983 ha frequentato la Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf, dove è stato guidato da Fritz Schwegler. In questo periodo, Huber ha condiviso lo studio con altre personalità emergenti dell'arte contemporanea, tra cui Thomas Ruff, Katharina Fritsch, Thomas Schütte e Andreas Gursky. Questa fase formativa è stata cruciale per la sua crescita, rendendolo noto per uno stile pittorico singolare che sfidava le convenzioni artistiche dell'epoca.

Nel 1984, il suo percorso ha raggiunto un momento decisivo con l'invito da parte di Kasper König a partecipare alla mostra collettiva Von hier aus a Düsseldorf. Questo evento ha aperto le porte del riconoscimento internazionale per Huber. Da allora, le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni e musei di tutto il mondo. La carriera di Thomas Huber è stata accompagnata da numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Kiefer Hablitzel nel 1984, il premio per giovani artisti svizzeri della Kunstgesellschaft di Zurigo nel 1993, il premio della Heitland Foundation nel 2004 e il prestigioso premio Meret Oppenheim nel 2013.

L'artista ha anche ricoperto incarichi importanti nel mondo dell'arte: è stato direttore ad interim del Centraal Museum di Utrecht nel 1992, professore alla Hochschule für Bildende Künste di Braunschweig dal 1992 al 1999 e presidente del Deutscher Künstlerbund dal 2000 al 2002. Nel 2023, Thomas Huber è stato selezionato per presentare il suo progetto Dawn / Dusk nel contesto della sezione Art Unlimited di Art Basel, confermando il suo ruolo di artista di spicco nel panorama internazionale. Nel 2023, l'artista è a Lugano con due mostre: al MASI con l'esposizione Thomas Huber. Lago Maggiore e, presso KROMYA Art Gallery, con On Perspective. Selected works from 2012 to 2020. (Comunicato stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Thomas Huber, Atelier Negativ, 2015, olio su tela cm 170x225
2. Thomas Huber, Raum im Raum, 2014, acquerello su carta cm 59x1075




Locandina della rassegna fotografica URBAN Photo Awards Martin Wacker vince il premio speciale "Icons of Architecture"
www.urbanphotoawards.com

Il fotografo tedesco Martin Wacker, con il suo scatto Bierpinsel, è il vincitore del premio speciale "Icons of Architecture" 2023, promosso per il quarto anno di fila da URBAN Photo Awards in partnership con il magazine digitale di architettura e design Matrix4Design. Il premio è un'evoluzione del precedente "New Buildings", ed è dedicato agli iconici edifici capolavori d'architettura che hanno cambiato il volto delle grandi città.

Ecco le parole del fondatore di Matrix4Design Andrea Boni, nel motivare la scelta per la foto vincitrice: "Abbiamo scelto di premiare lo scatto che più degli altri ci ha disorientato, mettendo alla prova la nostra capacità di individuare e capire prospettive, orientamenti e angoli di luce. L'autore ha radicalmente reinterpretato il punto di vista sull'edificio, "spegnendo" i colori che oggi lo identificano e riportandolo alle sue originarie tonalità di chiaro e scuro."

Martin Wacker verrà premiato insieme agli altri vincitori degli URBAN Photo Awards sabato 28 ottobre 2023 durante la Cerimonia di Pemiazione del Trieste Photo Days festitval. Nel frattempo, la mostra collettiva dei 10 finalisti sarà visitabile fino al 24 ottobre 2023 presso lo Showroom CRISTINA Brera a Milano. In mostra le foto di: Claudia Alberti, David Boam, Dorota Yamadag, Ingrid Gielen, Maria Cristina Pasotti, Maria Grazia Castiglione, Martin Wacker, Simone Cioci, Vincent Belin, Wael ElHammamy. Linaugurazione può essere rivisto sul canale youtube di Matrix4Design. (Comunicato stampa)




Dipinto realizzato da Max Peiffer Watenphul Max Peiffer Watenphul. Dal Bauhaus all'Italia
28 settembre 2023 (inaugurazione) - 10 marzo 2024
Museo Casa di Goethe - Roma
www.casadigoethe.it

Il Museo Casa di Goethe di Roma dedica a un singolare artista del modernismo, Max Peiffer Watenphul (Weferlingen, 1896 - Roma, 1976), una mostra retrospettiva, a cura di Gregor H. Lersch, direttore del Museo. Irrequieto, indipendente, eclettico, avvocato prima, artista dopo, studente al Bauhaus di Weimar, Peiffer Watenphul si muove nei circoli d'avanguardia degli anni Venti. Fu un appassionato fotografo, un pittore di città e paesaggi e un viaggiatore incessante, soprattutto dopo che uno dei suoi quadri fu esposto alla mostra "Arte Degenerata" nel 1937. Numerosi infatti i suoi viaggi in Europa, Africa e Messico, decine di traslochi in molte città tedesche, una residenza a Roma, all'Accademia Tedesca di Villa Massimo nel 1931-1932, poi periodi vissuti a Venezia, Salisburgo e, dopo il 1945 con il passaggio a piedi del confine fra Austria e Italia attraverso le montagne, il suo trasferimento in Italia presso la sorella, che aveva sposato un italiano, e ancora viaggi e soggiorni fra Venezia, la Toscana e Roma dove morì nel 1976 e dove riposa, sepolto nel Cimitero acattolico.

Realizzata in collaborazione con le Kunstsammlungen di Chemnitz, Museum Gunzenhauser, la mostra alla Casa di Goethe ripercorre con 33 dipinti e 14 fotografie la persistenza delle idee del Bauhaus nel suo lavoro di pittura e fotografia, seguendo il percorso di Max Peiffer Watenphul dalla Germania all'Italia e contestualizzando il suo lavoro nella tradizione degli artisti tedeschi in Italia e della Sehnsucht dei tedeschi per il Bel Paese.

"L'ultima esposizione di opere di Max Peiffer Watenphul in Italia risale al 2000, presso il Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo a Roma, ed è quindi giunto il momento di dare un nuovo sguardo alla sua opera in Italia. Con la retrospettiva al Museo Casa di Goethe, ci poniamo l'obiettivo di mostrare il panorama artistico del Ventesimo secolo tra Germania e Italia e di rintracciare gli sviluppi modernisti più insoliti che sono caduti nell'oblio. Max Peiffer Watenphul, il cui studio si trovava in via dei Greci, a pochi metri dalla Casa di Goethe, è quindi di particolare interesse nella Città Eterna", commenta Gregor H. Lersch.

Durante gli studi al Bauhaus di Weimar dal 1919 al 1922, periodo che ha profondamente plasmato la sua sensibilità e creatività, Max Peiffer Watenphul entra in contatto con artisti come Paul Klee, Johannes Itten, Otto Dix, Alexej von Jawlensky e Oskar Schlemmer che influenzano il suo lavoro, dalla pittura di figura al lirismo paesaggistico, mantenendo comunque un percorso divergente rispetto ai canoni del Modernismo. La sua sensibilità cromatica, già evidente nei lavori degli anni Trenta diviene ancora più tangibile nelle opere del dopoguerra, caratterizzate da un sottile velo atmosferico caliginoso attraverso cui sembrano filtrare i suoi soggetti e i suoi paesaggi urbani, in particolare le vedute di Venezia e Roma.

Il punto di partenza della mostra è dedicato agli anni trascorsi dall'artista al Bauhaus, dove, oltre al corso preliminare con Johannes Itten, frequentò i laboratori di artigianato artistico, come quelli di tessitura e ceramica, in genere seguiti soprattutto da donne. Già qui inizia un "percorso lirico di una rara sensibilità coloristica", come scrive Michael Semff nel catalogo. L'esposizione si sviluppa poi con una serie di dipinti che rappresentano l'Italia, con paesaggi veneziani e romani, indicativi del suo particolare modo di lavorare. L'artista seleziona delle immagini spesso ristrette, ritagliate con l'uso di repoussoir, cioè ponendo un elemento in primo piano, quasi un ostacolo per aumentare la dinamica e l'effetto di profondità.

Lo stesso metodo viene usato anche nella fotografia che Peiffer Watenphul sperimenta fin dai tempi del Bauhaus. In mostra un focus è dedicato a questo media, in particolar modo alle fotografie di architettura, scattate soprattutto durante il suo soggiorno all'Accademia Tedesca di Roma Villa Massimo nel 1931 e 1932. Accanto a queste alcuni scatti di uomini mascolini e donne dissolute, pesantemente truccate, ricoperte di gioielli, perline e tessuti, eseguiti tra gli anni Venti e Trenta, riferiti a quello che è stato recentemente definito in un saggio di Elisabeth Otto "queer Bauhaus". A testimoniare i rapporti con gli artisti del tempo sono esposti due dipinti di Otto Dix e di Alexej von Jawlensky, provenienti dalla collezione personale di Peiffer Watenphul. La mostra si chiude con un'installazione site-specific di Ruth Beraha (Milano, 1986) ispirata al dipinto Natura morta con fiori di Max Peiffer Watenphul, esposto alla mostra "Arte Degenerata" di Monaco del 1937 e andato perduto.

Il catalogo della mostra, pubblicato in italiano e tedesco da Electa, a cura di Gregor H. Lersch (direttore del Museo Casa di Goethe e curatore della mostra), Frédéric Bußmann (direttore generale delle Kunstsammlungen Chemnitz) e Anja Richter, Direttrice del Museum Gunzenhauser, Chemnitz, con saggi di Florian Korn, Anja Richter e Michael Semff. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina della mostra di Rosalba Carriera a Venezia Rosalba Carriera, miniature su avorio
13 ottobre 2023 - 09 gennaio 2024
Ca' Rezzonico - Museo del Settecento Veneziano - Venezia

Mostra, a cura di Alberto Craievich, su un aspetto particolare della produzione di Rosalba Carriera (1673-1757): le miniature su avorio. Un'opportunità unica per vedere riunite ben 36 opere, raffinati ritratti, di grandissimo successo tra i contemporanei della pittrice ma giunti sino a noi in un numero esiguo, accanto ai celebri pastelli, documenti, disegni, stampe, provenienti dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e da collezioni private. Non tutti sanno, infatti, che Rosalba Carriera oltre a dedicarsi al ritratto a pastello fu una straordinaria pittrice di miniature, sulle tabacchiere prima e poi su avorio. Proprio a lei è dovuta la fortuna di questo genere, elevato da pratica "minore" e artigianale a pari dignità delle opere su tela.

Attraverso una tecnica innovativa e alla grande abilità Rosalba Carriera riesce a portare, per la prima volta, sulla minuscola superficie dei fondini d'avorio la pennellata sciolta e vibrante della pittura su tela. Il successo fu immediato. Non ci fu viaggiatore che durante il suo soggiorno veneziano non ambisse a farsi fare un ritratto in miniatura della Carriera. È invece noto come l'eccellenza della pittrice nei ritratti trovò tutti d'accordo: dai Lord inglesi ai principi dell'Impero, diventando forse l'unica artista a raccogliere consensi unanimi tanto fra i sofisticati conoscitori del bel mondo internazionale quanto fra la tradizionalista e conservatrice aristocrazia veneziana.

Al contempo, restituendo un ricco patrimonio di dettagli sull'abbigliamento e sulle acconciature, espressione del gusto e dello stile della sua epoca, un fedele spaccato della storia della moda della prima metà del XVIII secolo. Alla pittrice spetta il più acuto ritratto dei personaggi della società veneziana ed europea del Settecento, e fondamentale è il suo apporto alla stessa ritrattistica francese: interpretò in modo impareggiabile gli ideali di grazia e di eleganza di un'intera epoca, quella "vita felice" della nobiltà entrata nell'immaginario collettivo e con cui identifichiamo l'Ancien Régime. Per quasi mezzo secolo le corti d'Europa cercarono di accaparrarsi i suoi servigi, eppure, nonostante i frequenti inviti e le generose proposte, salvo tre soggiorni alla corte del re di Francia, del duca di Modena e a quella dell'Imperatore a Vienna, rimase a Venezia dove lavorò incessantemente, per tutta la vita. (Estratto da comunicato stampa Studio Esseci)




Opera di presentazione della mostra dedicata a Juti Ravenna Juti Ravenna (1897-1972)
Un artista tra Venezia e Treviso


13 ottobre 2023 - 04 febbraio 2024
Museo Civico Luigi Bailo - Treviso

Il 29 aprile del 1972 moriva a Treviso Juti (Luigi) Ravenna, artista eccellente e attento critico d'arte. A oltre cinquant'anni della sua scomparsa, i Musei Civici di Treviso gli dedicano una retrospettiva al Museo Bailo, la cui pinacoteca conserva un suo importante nucleo di opere. La mostra, curata da Eugenio Manzato ed Eleonora Drago, presenta, attraverso un percorso cronologico, le varie fasi dell'attività e della vita dell'artista, con oltre 100 opere pittoriche, disegni, bozzetti e acquerelli, ma anche con documenti e foto d'epoca e oggetti a lui appartenuti, tutti provenienti da collezioni private per lo più locali e ovviamente con la rinnovata esposizione al pubblico delle opere dell'artista già di proprietà civica.

Ravenna nasce a Spadacenta, frazione del comune di Annone Veneto, nel 1897. Già da giovanissimo manifesta una forte propensione per la pittura, espressa in una serie di disegni di impronta classica: una passione che neppure la chiamata al fronte, nel primo conflitto mondiale, riuscì ad attenuare. Come testimoniano gli album di disegni realizzati in presa diretta sulle linee di combattimento, disegni che sono in parte confluiti nel libro autobiografico Una vita per la pittura (1969, curata da Giuseppe Mesirca con 29 suoi disegni) e nel Diario di guerra del granatiere Giuriati Giuseppe, con prefazione di Giovanni Comisso. Grazie ad una licenza dal fronte raggiunge Firenze, e qui entra in contatto con la pittura e gli scritti di Ardengo Soffici e scopre l'impressionismo francese.

Dal 1919 è nuovamente in Veneto per frequentare l'Accademia di Belle Arti di Venezia, e già negli anni successivi trasferisce il suo studio a Ca' Pesaro, cominciando ad esporre. Nel capoluogo lagunare conosce Gino Rossi e Pio Semeghini; con Seibezzi e altri condivide a lungo l'amore per l'isola di Burano e per le vedute tra acqua e cielo. La prima personale, nel 1924 a Cà Pesaro, è curata a Nino Barbantini. Seguono partecipazioni alla Quadriennale e a diverse mostre di rilievo in Italia e all'estero. La prima sua Biennale è del 1928, presenza puntualmente ripetuta sino al secondo conflitto, per riprendere nel 1949 e ancora nel '50 e nel '72. Conosce e frequenta, nel 1928, Filippo de Pisis, che al rientro da Parigi fu suo ospite a Venezia.

L'attività pittorica di Ravenna viene avvicinata alla generazione di giovani artisti gravitanti su Venezia, desiderosi di uscire dagli schemi di un accademismo ancora imperante per avvicinarsi al nuovo che stava avanzando in Europa. I suoi paesaggi veneziani di questi anni, così come successivamente quelli trevigiani, raccontano i luoghi, le luci, le atmosfere attingendo al registro poetico più che a quello documentario. Nel '51, con Virgilio Guidi vince il Premio Burano, ma già dal '47 aveva scelto di abbandonare la laguna per approdare a Treviso, città che frequentava sin dagli anni '30 e dove contava molti amici.

Da lì in poi, la sua pittura vede una svolta: come segnalato da Mesirca, "Il trasferimento a Treviso, a contatto con una natura esuberante, ricca di alberi e fiumi, fece subentrare in lui una prepotente e calda sensualità: dopo i prediletti grigi, rosa e violetti stesi sulla tela in finissimi accordi nel periodo veneziano, ecco i colori vivi e splendenti, in liberi e arditi accostamenti. Non si trattava però di un orgiastico e confuso abbandono, ma di una felice esplosione contenuta entro i limiti del più rigoroso controllo."

Frequenti sono i suoi soggiorni tra i colli e la campagna veneta, dove realizza scorci e vedute di paesaggi, ma anche visioni del Sile, nei quali i colori divengono sempre più vividi e potenti, distaccandosi dalla realtà, in parallelo con l'allontanamento dell'artista dai movimenti militanti dell'arte d'avanguardia, che si sviluppavano a Venezia. Negli inverni, dalla fine degli anni '50 spesso si rifugia in Liguria; inoltre, realizza l'originale serie delle "Boutiques", eseguite nell'arco di quasi un quarantennio. Artista ma anche critico. In questa veste, oltre che con suoi disegni, interviene su diverse riviste: nel 1943, con Egidio Bonfante, pubblica "50 disegni di Picasso" e, sempre con Bonfante, nel '52, "Arte Cubista".

Il percorso di mostra, ripercorrendo i momenti e i luoghi della vita e dell'attività di Juti Ravenna, è articolato in dieci sezioni, e presenta dipinti, acquerelli e disegni, ma anche una ricca e preziosa selezione di documenti, scritti e fotografie dell'epoca. Si avvale della partecipazione di generosi prestiti da collezionisti privati e discendenti, amici e conoscenti di Ravenna, con pezzi per lo più poco noti e talvolta inediti, oltre ovviamente alle opere già di proprietà dei Musei Civici di Treviso giunte in collezione nel corso dei decenni.

L'esposizione parte dal luogo di nascita in cui ha ricevuto la prima formazione, iniziata fin dall'adolescenza con la frequenza della Scuola di Arti e Mestieri di Motta di Livenza, dove ha avuto tra i suoi insegnanti Antonio Beni, architetto e pittore, e dove compie i primi esperimenti nella pittura ritraendo i familiari e la casa natale. Oltre alle prime prove pittoriche e a disegno - tra le novità di questa mostra - si passa quindi alle sue residenze veneziane.

Sono di questo periodo, cruciale nella vita e nell'attività dell'artista, opere fondamentali come Il discepolo e l'Autoritratto con la stufa, nonché nature morte e vedute di Venezia e di Burano, composizioni strutturate e dal solido disegno con le quali Ravenna si avvicina al novecentismo. I rapporti con Treviso iniziano ben prima del 1947, quando vi si trasferisce, e ve n'è testimonianza in alcuni acquarelli del 1942 giunti al Museo col lascito Luccini; personaggi e vedute trevigiane costituiscono, insieme alle "boutique" e a qualche paesaggio ligure, l'ultima parte della mostra, che termina con una ricostruzione dello studio d'artista, ambiente che ha sempre segnato le sue fasi biografiche, grazie anche all'esposizione di suoi strumenti di lavoro.

Attraverso un viaggio che inizia dalle primissime prove eseguite dal giovane Juti prima del trasferimento a Venezia, vengono evidenziate le diverse e molteplici fasi artistiche e biografiche dell'autore, scandite da incontri e stimoli intellettuali, culturali e sociali, testimoniati dai ritratti a penna e pennello; ma sempre mantenendo viva un'attenzione vera e profonda alla propria interiorità, che in mostra emerge dai preziosi autoritratti, posti a marcare le fasi di una personale idea di arte e vita unica e irripetibile.

La mostra sarà accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo che raccoglierà, oltre all'elenco delle opere esposte con relative foto, una serie di contributi che mirano ad approfondire aspetti meno noti alla letteratura sulla figura di Juti Ravenna, come gli esordi giovanili, i primi anni veneziani e il lungo periodo di attività a Treviso (Eugenio Manzato ed Eleonora Drago). Inoltre, saranno presenti alcuni saggi con focus tematici: la produzione a tema sacro (Paolo Barbisan), rapporti quotidiani e privati con amici e intellettuali come Giovanni Comisso (Mario Sutor) e altri artisti (Daniela Chinaglia). (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Estratto da video You Whom I Could Not Save realizzato da William Kentridge nel 2023 William Kentridge
"You Whom I Could Not Save"


07 ottobre (inaugurazione) - 12 gennaio 2024
Palazzo Branciforte - Palermo
www.liarumma.it

William Kentridge presenta a Palermo la sua nuova installazione sonora con proiezione You Whom I Could Not Save: l'opera, che dà il titolo alla personale dell'artista sudafricano viene proposta insieme a 16 disegni inediti; al lavoro video Sibyl (2020); a sculture in bronzo e in bronzo dipinto; e a una sequenza di arazzi. Il progetto, appositamente creato per Palermo e che sarà inaugurato in occasione della Giornate del Contemporaneo, organizzato da ruber.contemporanea e sostenuto da Fondazione Sicilia, con il coordinamento di Sicily Art and Culture, è ideato da Antonio Leone direttore artistico di ruber.contemporanea e a cura dalle storiche dell'arte Giulia Ingarao e Alessandra Buccheri.

Nello specifico l'installazione sonora con proiezione You Whom I Could Not Save sarà ospitata nel cuore delle architetture di evocazione piranesiana del Monte dei Pegni di Santa Rosalia di Palazzo Branciforte, a cui sarà affiancata l'opera video Sibyl, che Kentridge realizza nel 2020. Il percorso labirintico dello spazio sarà scandito dalla presenza di 8 grandi megafoni che diffonderanno le musiche composte da Nhlanhla Mahlangu e dirette da Tlale Makhene: un intreccio sonoro di testi appartenenti al gruppo di lingue Nguni, a loro volta costituite da IsiZulu, IsiSwati, IsiXhosa e XiTsonga.

«Il punto di partenza della mostra di Palermo - spiega Kentridge - era l'idea di un'opera sonora. Nella sala in cui vedrete la proiezione ascolteremo un coro di sette voci, in modo da poter muoversi tra di esse e sentirle, e sentire l'intero pezzo. E nelle altre sale ci saranno echi e frammenti che condurranno verso la sala finale. L'architettura e gli echi dello spazio del Monte Santa Rosalia sembravano adattarsi al tema della barca, perché molti dei vestiti che finivano al Monte dei Pegni erano lì perché le persone potessero viaggiare dalla Sicilia agli Stati Uniti».

Al contempo tra le scaffalature lignee del Monte, come in teatrini effimeri, saranno esposti sculture in bronzo e in bronzo dipinto, e una sequenza di arazzi. La personale proporrà inoltre 16 disegni inediti: pagine palinsesto dove danzano figure tracciate a carboncino che, come in processione, rimandano all'effimero dell'esistere. Sagome ibride di memoria surrealista e collage di forme geometriche puntellate da volti ricorrenti nel lavoro dell'artista, sono i protagonisti dell'incedere in un mondo dove - come recita la frase di Majakovskij che appare in You Whom I Could Not Save - «misfortune flows as from a water main» (trad. «la sfortuna scorre come da un corso d'acqua»). L'interrogativo sul futuro, sulla necessità di sperare resta costante e la risposta sembra trovare senso nella magia di immagini e suoni che l'artista compone con una costruzione straordinaria di figure e parole che invitano all'immersione in una profondità celeste che investe e abbraccia nonostante non possa salvare tutti. (Comunicato stampa)

___ EN

William Kentridge is bringing his new sound and projection installation, You Whom I Could Not Save, to Palermo. The South African artist's solo exhibition of the same name will be open to the public from October 8, 2023 to January 12, 2024 at Palazzo Branciforte, where the titular work will be presented along with 16 previously unexhibited drawings. Also on show will be the video work Sibyl (2020), a group of bronze and painted-bronze sculptures and a tapestry sequence.

The project, created uniquely for Palermo and opening on the 19th Giornata del Contemporaneo, has been has been overseen by ruber.contemporanea with the support of Fondazione Sicilia and the coordination of Sicily Art and Culture. From an idea by Antonio Leone, artistic director of ruber.contemporanea, it has been curated by art historians Giulia Ingarao and Alessandra Buccheri.

The sound and projection installation You Whom I Could Not Save will be installed in the heart of the evocatively Piranesian architecture of the Santa Rosalia Pawnbrokerage in Palazzo Branciforte, alongside the 2020 video work Sibyl. The space's maze-like pathways will resonate with music composed by Nhlanhla Mahlangu and conducted by Tlale Makhene, as relayed through 8 large megaphones: a sonic weaving of texts in languages of the Nguni family, comprising isiZulu, siSwati, isiXhosa and Xitsonga.

"The starting point of the Palermo exhibition," Kentridge explains, "was the idea of a sound piece. In the room in which you see the projection, we'll have the seven voices, so you can move between them and hear them and hear the whole piece. And in the other rooms there'll be echoes and fragments pulling you into the final room. The architecture and the echoes of the space seemed to fit with it because a lot of the clothes that ended up in the pawnbrokers of the Monte dei Pegni di Santa Rosalia were there so that people could make the journey from Sicily to the United States."

At the same time, several bronze and painted-bronze sculptures and a tapestry sequence will nestle among the brokerage's wooden shelving, forming ephemeral stage sets. The show will also feature 16 previously unexhibited drawings: palimpsestic pages in which charcoal-rendered figures dance in apparently ritual procession, calling to mind the transience of existence. Formed from hybrid near-Surrealist silhouettes and collages of geometric shapes inscribed with faces that recur throughout the artist's work, these characters proceed into a world where - to use the Mayakovskian phrase that appears in You Whom I Could Not Save - 'misfortune flows as from a water main'.

The question of our future remains as constant in Kentridge's work as our need for hope, while the answer seems to find its sense in the magic of images and sounds that the artist composes. His extraordinary constructions of figures and words invite us to immerse ourselves in heavenly depths that will enclose and embrace us, even if they cannot save us all. (Press release)

Immagine:
William Kentridge, You Whom I Could Not Save, 2023




Dipinto a olio e acrilico iridescente su tela denominato I woke up but you were not there realizzato nel 2023 da Amalia Vekri Amalia Vekri
"On Becoming"


07 ottobre (inaugurazione) - dicembre 2023 (visita su appuntamento)
Cascina I.D.E.A. - Agrate Conturbia (Novara)
www.nicolettarusconi.com

Il complesso rurale trasformato da Nicoletta Rusconi Art Projects in luogo dedicato all'arte e alla sperimentazione - presenta la mostra personale di Amalia Vekri (Atene). Da sempre interessata a miti e leggende folkloristiche, Amalia Vekri sceglie di dedicare il suo progetto espositivo alla ninfa Anguana, protagonista di un ciclo pittorico direttamente ispirato all'influenza dei tre grandi laghi che circondano Cascina I.D.E.A. Secondo i racconti popolari, l'Anguana è una ninfa acquatica, metà donna e metà pesce (o rettile), che vive nelle zone lacustri e vicino alle cascate, il cui compito è quello di proteggere le acque.

Nonostante il suo aspetto antropomorfo, la ninfa mantiene un profondo legame con la sua animalità e con tutto il mondo naturale, sviluppando un radicato legame con la spiritualità. Per questo, si crede che l'Anguana possegga una grande conoscenza, che sceglie di mettere a servizio dell'uomo per favorire una sua evoluzione e una più consapevole armonia con la natura. Queste creature, inoltre, hanno poteri magici, la capacità di controllare il tempo e di mutare continuamente in diverse forme. Nei suoi dipinti dalle atmosfere oniriche, Amalia Vekri riproduce narrazioni che ruotano attorno alle Anguane, in quanto metafora della potenza e dell'energia femminile.

Attraverso i loro mutamenti, le ninfe attraversano sfide fisiche e spirituali che permettono loro di raggiungere una maggiore conoscenza e consapevolezza del mondo che le circonda, dunque di acquisire potere. Il titolo "On Becoming" è un riferimento agli stati trasformativi di queste creature, al loro continuo diventare altro da sé, in una indeterminatezza che ne sfuma i confini e i contorni. Le creature trascendono ogni legge naturale e mutano verso un'esistenza senza tempo, immortale e diafana. Per questo, i dipinti di Amalia Vekri riproducono forme fluide e vegetali che si fondono in ambienti che paiono sciogliersi o compenetrarsi in un mondo unificato e compatto. Allo stesso modo, gli spiriti femminili sembrano fluire e fluttuare all'interno di questi universi, ricreando pose elastiche, fluide e danzanti. Come sirene eteree, le sue ninfe volano, rinascendo sempre nel tempo. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

___ EN

The rural complex transformed by Nicoletta Rusconi Art Projects into a place dedicated to art and experimentation - presents "On Becoming", a solo exhibition by Amalia Vekri (Athens). Always interested in folkloric myths and legends, Amalia Vekri dedicates her exhibition project to the nymph Anguana, the protagonist of a new series of paintings, directly inspired by the influence of the three large lakes surrounding Cascina I.D.E.A.. According to folk tales, the Anguana is an aquatic nymph, half girl and half fish (or reptile), who lives near lakes and waterfalls, protecting the waters.

Despite its anthropomorphic appearance, the nymph keeps a profound animality and a deep bond with the whole natural universe, linking her to the spiritual world. For this reason, it is believed that the Anguana possesses a great knowledge, that tries to pass to humans in order to help them evolve and create harmony. These creatures also are skill-full magicians, can control time and continuously mutate into different forms. In her dreamlike paintings, Amalia Vekri explores narratives revolving around the Anguana as a metaphor for female power and energy.

Shifting in between states, these beings go through physical and spiritual challenges in an effort to gain higher knowledge of the worlds that surround them, thus acquiring power. The title "On Becoming" is a reference to the transformative states of these creatures, to their continuous becoming other than themselves, in an indeterminacy that blurs their boundaries and contours. Creatures transcend natural laws and flirt with a timeless immortal diaphanous existence. For this reason, Amalia Vekri's paintings reproduce fluid and vegetal shapes that blend into environments that seem to melt or penetrate each other, forming a unified and tight world. Echoing these shapes, the female spirits seem to be flowing and fleeting often through elastic and fluid dancing poses. Like ethereal sirens, they fly around, being reborn over and over through time. (Press release Lara Facco P&C)




Locandina della mostra sulla Eurasia Trad u/i zioni d'Eurasia
Frontiere liquide e mondi in connessione
Duemila anni di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia Orientale


05 ottobre 2023 - 01 settembre 2024
Museo d'Arte Orientale - Torino

Terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione, la mostra mette in luce il ruolo cruciale dell'Asia e del Mediterraneo quale fulcro di traduzione culturale e luogo di connessione, negoziazione e costante riproposizione. La mostra, a cura di Nicoletta Fazio, Veronica Prestini, Elisabetta Raffo e Laura Vigo, esplora i concetti di traduzione, trasposizione e interpretazione culturale snodandosi attraverso una selezione di oggetti provenienti dall'Asia occidentale, centrale e orientale che permettono di interrogarsi su fenomeni quali la circolazione materiale e immateriale, le modalità di trasformazione del significato e la fruizione avvenute tra Asia ed Europa nel corso di duemila anni di storia.

Indagando la migrazione di idee, forme, tecniche e simboli, in un dialogo aperto e inclusivo la mostra mira a evidenziare la reciprocità osmotica tra continenti e mari, per creare nuove narrazioni della cultura visiva e materiale che siano puntuali e relative piuttosto che universalizzanti e generiche. L'approccio scientifico riflette anche la percezione sensoriale della materialità: sul modo in cui questi oggetti sono stati visti, percepiti e desiderati per la loro allure visiva e peculiarità cromatica - a partire dall'oro e dal blu - o per il fascino delle loro superficie, dato dalle qualità riflettenti, splendenti o trasparenti.

Lungi dal voler raggiungere l'esaustività, la mostra presenta una selezione di manufatti che offrono alternative al paradigma eurocentrico dell'eccellenza artistica, riaffermando il ruolo cruciale svolto dall'Asia centrale nella creazione e nella trasmissione di idee su scala globale. Vitale per questo fenomeno di contaminazione reciproca è il mar Mediterraneo, inteso come spazio intermedio, creatore di confini ma anche fenomenale catalizzatore di esplorazioni e contatti: una frontiera liquida dove i continenti convergono, le espressioni artistiche e i fenomeni culturali sono costantemente reinventati.

La mostra sarà suddivisa in aree tematiche con una particolare attenzione al colore - blu, rosso e oro - e alla materia - ceramica, tessuti, metalli, carta e pigmenti coloranti. Lungo il percorso espositivo, i visitatori potranno ammirare tra l'altro splendide sete provenienti dall'antica regione della Sogdiana, in Asia Centrale, snodo di numerose vie carovaniere, ceramiche bianche e blu prodotte tra il Golfo Persico e la Cina, una raffinata selezione di "panni tartarici", preziose stoffe d'oro e di seta del XIII secolo prodotte tra Iran e Cina durante la dominazione mongola, ammirate dall'aristocrazia medievale e dall'alto clero d'Europa, rari esemplari di tiraz (Egitto, X secolo), tessuti con iscrizioni ricamate che evidenziano l'importanza della calligrafia in ambito islamico, e una serie di bruciaprofumi zoomorfi in metallo (Iran, IX-XIII secolo), a ribadire la centralità delle essenze nelle società islamiche medievali.

Il progetto si avvale di numerosi prestiti provenienti da importanti collezioni e istituzioni italiane, che sottolineano e valorizzano la presenza sul territorio nazionale di una storia multiculturale condivisa: accanto a oggetti dell'Asia Centrale della collezione del MAO troveranno spazio tessuti, ceramiche e miniature raramente esposti della Fondazione Bruschettini per l'Arte Islamica e Asiatica, metallistica khorasanica della Aron Collection e importanti prestiti dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, dalla Chiesa di San Domenico di Perugia, dal Museo delle Civiltà di Roma, dalla Galleria Sabauda - Musei Reali e da Palazzo Madama di Torino.

Intesa come piattaforma organica di studio e ricerca, la mostra si trasformerà gradualmente nel corso dell'anno attraverso la rotazione di diverse opere e l'introduzione di nuove tematiche e stimoli percettivi, con nuove commissioni e installazioni di artisti contemporanei; sarà inoltre arricchita da una serie di conferenze e da un public program musicale e performativo. In aggiunta, indispensabile per la comprensione delle diverse sezioni della mostra, sarà pubblicato un booklet di approfondimento distribuito gratuitamente, secondo la formula ormai consolidata del MAO e fortemente apprezzata dal pubblico, con testi a cura del team curatoriale e contributi esterni di Yuka Kadoi, Maria Ludovica Rosati e Mohammad Salemy.

Come già accaduto per i precedenti progetti espositivi del MAO, anche la mostra Trad u/i zioni d'Eurasia propone un dialogo tra opere antiche e contemporanee. L'artista internazionale Yto Barrada (franco-marocchina, nata nel 1971 a Parigi) collega la sua pratica all'attività museologica. La sua installazione site-specific si svilupperà gradualmente nel corso di un anno di esposizione, offrendo nuove potenziali riflessioni sul colore e sulla materialità delle opere esposte a partire dal libro di Emily Noyes Vanderpoel (1842-1939) Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color, pubblicato all'inizio del XX secolo, che analizza la proporzione di colore derivata da oggetti come piastrelle assire, tappeti persiani, la cassa di una mummia egizia e persino una tazza da tè e un piattino.

Il progetto di Yto Barrada è realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, dove l'artista realizzerà una mostra personale nell'autunno 2024. Yto Barrada è la vincitrice della quarta edizione del Mario Merz Prize, premio biennale istituito nel 2013 con l'intenzione di individuare e sostenere personalità nel campo dell'arte e della musica contemporanea in ambito internazionale. Nella mostra troveranno spazio anche le opere Mosadegh (2023) dell'artista iraniana Shadi Harouni, che utilizza la parola scritta per connettere la storia del suo Paese con l'esperienza universale legata alla perdita, alla repressione, alla guarigione e all'audacia, e l'installazione immersiva Shimmering Mirage (Black), 2018 di Anila Quayyum Agha.

Chiude il percorso una sezione editoriale a cura di Reading Room, spazio milanese dedicato alla diffusione e comprensione delle riviste contemporanee, con una selezione di pubblicazioni, zines e libri d'artista che propongono un approfondimento su alcune delle tematiche affrontate in mostra quali la trasparenza, il colore, l'artigianalità. Grazie alla convenzione con L'Istituto dei Sordi di Torino, i contenuti della mostra saranno disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana e in versione audio. (Estratto da comunicato stampa)

---

Ori dei Cavalieri delle Steppe
Sciti | Cimmeri | Sarmati | Unni | Avari | Goti
Mostra di oggetti dei popoli tra Danubio e Asia dal 1000 a.C al XIII d.C.


01 giugno - 04 novembre 2007
Castello del Buonconsiglio - Trento
Presentazione




Vignetta di Jacovitti per presentazione della mostra a Termoli Tutte le follie di Jac!
07 ottobre 2023 - 25 febbraio 2024
MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli (Campobasso)
www.fondazionemacte.com

Mostra a cura di Luca Raffaelli che attraverso l'esposizione di cento tavole originali, riproduzioni e materiale di approfondimento, offre ai visitatori la possibilità di entrare nel mondo di questo grande fumettista di cui quest'anno si celebra il centenario.

Benito Franco Giuseppe Jacovitti (Termoli, 1923 - Roma,1997) esordisce giovanissimo come autore di fumetti per poi diventare un importante nome di riferimento per il fumetto del Novecento. Dal suo pennino escono personaggi divenuti celebri nell'immaginario popolare, come Cocco Bill, Zorry Kid, Jack Mandolino, Tom Ficcanaso. Jacovitti ha pubblicato strisce su Il Vittorioso, il Corriere dei Piccoli e il Corriere dei Ragazzi, e ha disegnato le vignette del Diario Vitt, che hanno accompagnato per più trent'anni (1949-1980) generazioni di scolari italiani.

Tutte le follie di Jac! approfondisce in maniera giocosa le invenzioni tecniche e linguistiche che hanno reso La lisca di pesce uno stile riconoscibile e Jacovitti un inventore di segni e personaggi indimenticabili, creatore di un mondo surreale, costruito grazie a un metodo di lavoro unico che lo portava a creare disegni, storie e dialoghi direttamente con la china.

"La mostra - come spiega il curatore Luca Raffaelli - parte dall'analisi dalla sua capacità di improvvisazione fumettistica indagando, nelle varie sezioni espositive, le caratteristiche più importanti del suo metodo di lavoro: i riempitivi, salami, vermi e invenzioni che, senza alcun motivo logico o narrativo, invadono le sue tavole; i continui giochi di parole, le assurde linee cinetiche che mostrano i movimenti dei personaggi; le onomatopee del tutto particolari per cui il suono di uno schiaffo è proprio schiaffo!, il corpo, tagliato, spezzato, fatto a fette (a volte senza neppure procurare dolore), e la sua innovativa rottura della quarta parete, per cui i personaggi in difficoltà possono rivolgersi direttamente ai lettori o al loro creatore."

La mostra al MACTE è parte del progetto Jacovittissimevolmente realizzato in collaborazione con il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo che dal 25 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024 ospita L'incontenibile arte dell'umorismo, una mostra a cura di Dino Aloi e Silvia Jacovitti con Giulia Ferracci, che presenta i cento personaggi creati nel corso della sua lunga e vivace carriera. Due progetti paralleli e complementari che contribuiscono ad approfondire la galassia creativa dell'autore e celebrano, a cento anni dalla nascita, nelle due città cui era piu` legato, il suo mondo fantastico, la sua inventiva giocosa, scomoda e irreverente e il suo sguardo precursore. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

---

Mostre, Festival, convegni su Fumetti, Cartoni animati, Cinema di animazione

Graffiti animati. I cartoon da emozioni a gadget
di Marilena Lucente, ed. Vallecchi
Recensione di Ninni Radicini




Locandina per la mostra Hope Hope
29 settembre 2023 (inaugurazione) - 25 febbraio 2024
Museion - Museo d'arte moderna e contemporanea di Bolzano
www.museion.it

Una mostra collettiva internazionale che esplora possibili spazi di speranza tra scienza e finzione. Curata da Bart van der Heide e Leonie Radine in collaborazione con il musicista, teorico e scrittore DeForrest Brown, Jr., HOPE conclude la trilogia Techno Humanities con un'ode alle scienze umane nel loro stretto legame con i musei come luoghi attivi di costruzione del mondo. La mostra, che occupa l'intera superficie del museo, comprende opere transdisciplinari di artiste e artisti appartenenti a diverse generazioni.

È inoltre parte del progetto espositivo un'antologia di testi critici (Hatje Cantz) e un ampio programma di mediazione e di eventi. Dalla sua inaugurazione, esattamente 15 anni fa, l'edificio di Museion è stato spesso descritto come un'architettura extraterrestre, come un UFO atterrato nel centro di Bolzano. HOPE sottolinea questa immagine simbolica del museo come un'astronave, una capsula del tempo, un portale verso un'altra dimensione. Museion si trasforma così in un luogo di produzione di meraviglia, in cui scienza e finzione si fondono per affermare la speranza come pratica critica attiva.

La mostra include opere di Almare, Sophia Al-Maria, Ei Arakawa, Trisha Baga, Neïl Beloufa, Black Quantum Futurism, Tony Cokes, Irene Fenara, Michael Fliri, Petrit Halilaj, Matthew Angelo Harrison, AbuQadim Haqq, Andrei Koschmieder, Maggie Lee, Lawrence Lek, Nicola L., Linda Jasmin Mayer, Beatrice Marchi, Bojan Šarcevic, Marina Sula, Suzanne Treister, Ilaria Vinci, LuYang, e opere dalla Collezione Museion di Allora & Calzadilla, Shusaku Arakawa, Ulrike Bernard & Caroline Profanter, Shu Lea Cheang, Tacita Dean, Sonia Leimer, Ana Lupas e Riccardo Previdi. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Suzanne Jackson
"Somethings in the World"


15 settembre - 17 dicembre 2023
GAM Galleria d'Arte Moderna - Milano

La mostra, a cura di Bruna Roccasalva, la prima dedicata all'artista da un'istituzione europea, offre uno sguardo sulla ricerca che Suzanne Jackson porta avanti da più di cinquant'anni e ne ricostruisce i nuclei fondamentali. Suzanne Jackson è un'artista americana la cui pratica abbraccia un campo d'indagine ampio che esplora le potenzialità della pittura e si nutre di esperienze nella danza, nel teatro, nella poesia. La produzione iniziale di matrice pittorica e figurativa, popolata di personaggi, animali, simboli ancestrali e riferimenti alla natura, si evolve negli anni approssimandosi progressivamente all'astrazione, fino ad approdare all'elaborazione di un vocabolario molto personale in cui la pittura assume una dimensione scultorea e ambientale.

Somethings in the World nasce dall'idea di ripercorrere e presentare i diversi momenti della produzione di Jackson rintracciandone gli elementi ricorrenti, dagli esordi fino agli esiti più recenti, attraverso una selezione circoscritta e puntuale delle famiglie di opere più rappresentative. L'insieme delle ventisette opere in mostra, tra lavori iconici, inediti e nuove produzioni, crea una narrazione che accompagna il visitatore all'interno dell'universo dell'artista, evocando allo stesso tempo un confronto e un dialogo con il contesto della GAM e le opere della collezione permanente: dal nitido neoclassicismo di Canova, ai dipinti divisionisti di Segantini, Previati e Pellizza da Volpedo, fino alle straordinarie sperimentazioni di luce e materia delle sculture di Medardo Rosso.

Nelle intenzioni di Suzanne Jackson, ribadite nel titolo di questa mostra, il suo lavoro deve innanzitutto restituire la sua esperienza "nel" mondo e "del" mondo. Tutta la produzione dell'artista è infatti scandita da fasi che sono strettamente correlate alle sue vicende biografiche, e che confluiscono le une nelle altre, mescolandosi e confondendosi continuamente negli anni: un intrecciarsi costante della dimensione privata e personale con quella artistica e professionale che la mostra racconta attraverso un percorso espositivo costruito non cronologicamente ma per associazioni e corrispondenze, a sottolineare legami e continui rimandi tra temi, tecniche e linguaggi.

Nella prima sala, opere di periodi diversi come Ma-Yaa (1994-98), 9, Billie, Mingus, Monk's (2003), entrambe mai esposte prima d'ora, e Singin', in Sweetcake's Storm (2017) mettono in luce la stratificazione come aspetto centrale, non solo dal punto di vista tecnico e materiale, ma anche in termini iconografici e di significato. La stratificazione è infatti una chiave di lettura fondamentale della figura di Jackson, il cui evolversi come artista deriva da esperienze e idee maturate nel tempo e la cui opera va letta come il risultato della loro sedimentazione piuttosto che di rotture stilistiche attribuite a cambiamenti estetici.

All'amore per la natura, che attraversa tutto il lavoro dell'artista, è dedicata la seconda sala con un'ampia selezione di opere inedite su carta che hanno come uniche protagoniste delle foglie (dalla serie Idyllwild leaves, 1982-84). Accanto a queste, un lavoro iconico come Triplical Communications (1969), ci parla dell'interconnessione tra lo spirito, l'umano e la natura, mentre somethings in the world (2011), un'opera in larga scala qui esposta per la prima volta, dimostra come l'amore per la natura si traduca per l'artista anche in una costante attenzione al riciclo e al riutilizzo di materiali di recupero, tra cui la "Bogus paper", una carta dismessa e recuperata sui set teatrali. L'uso di varie tipologie di carta, rare e comuni, come supporto alternativo alla tela segna l'inizio di un'indagine sulle possibilità strutturali della pittura che porterà il lavoro di Jackson in direzioni del tutto imprevedibili.

Nella sala successiva il monumentale trittico In A Black Man's Garden (1973) esemplifica la produzione degli anni Settanta in cui Jackson, utilizzando una tecnica di pittura ad acrilico simile all'acquerello, restituisce in modo poetico la bellezza della natura attraverso tutti gli elementi che la compongono, piante, animali, essere umani. Le forme sembrano fluttuare sulla superficie della tela grazie a uno sfondo bianco gesso, distintivo della produzione pittorica di questo periodo in cui le immagini sono ottenute dalla stesura progressiva di velature di colore che danno loro una consistenza evanescente e rivelano il lungo processo di lavorazione e rielaborazione. L'accostamento di questo dipinto a due opere successive come Joan's Wind (1997) e The 'white-eyes' shift (2022) chiarisce gli estremi tra cui si muove la ricerca pittorica dell'artista e i molteplici esperimenti con la materia di cui si nutre.

Il percorso continua nella quarta sala dedicata all'aspetto più scultoreo del lavoro di Jackson, con opere recenti come Red Top (2021), Quick Jack Slide (2021) e l'inedita future forest (2023), realizzata in occasione della mostra, che dimostrano come la sua continua sperimentazione di tecniche arrivi a scardinare una netta distinzione tra forme espressive e linguaggi diversi, approssimando la pittura alla scultura e viceversa.

A chiudere la mostra sono le produzioni pittoriche più recenti, una serie di lavori che consistono in densi strati di acrilico puro che fa sia da medium che da supporto, come Rag-to-Wobble (2020) e il monumentale deepest ocean, what we do not know, we might see? (2021). Utilizzando vernici ora opache e ora iridescenti e creando variazioni di spessore e di trasparenza, l'artista stende l'acrilico in strati variamente addensati che generano forme dai contorni irregolari e organici, e fanno sì che la materia pittorica reagisca dinamicamente alla luce che la attraversa e ai movimenti dello spettatore.

Note come "anti-canvas" (anti-tele), queste opere sono state recentemente definite anche "environmental abstraction"(astrazione ambientale), un'accezione, quest'ultima, che Jackson ama particolarmente perché sottolinea come il suo approccio, che recupera e riutilizza materiali di scarto e avanzi di pittura per dare integrità strutturale al dipinto, sia innanzitutto il riflesso del senso di responsabilità sociale nei confronti di tutto quello che la circonda, dell'attenzione alle dinamiche relazionali tra uomo e natura, e dell'etica ambientalista che contraddistingue tutto il suo percorso, artistico e non solo. Dai dipinti onirici degli anni Settanta alle sperimentazioni radicali delle più recenti "anti-canvas", la mostra restituisce la complessità e l'evoluzione di una ricerca che ha sfidato e spinto i limiti della pittura verso scenari inaspettati. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Locandina della mostra fotografica di Eve Arnold Eve Arnold
L'opera, 1950-1980


23 settembre 2023 - 07 gennaio 2024
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostrefotograficheforli.it

Una leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. La mostra, a cura di Monica Poggi, nasce dalla collaborazione tra l'istituzione forlivese con CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia, Torino, ed è realizzata d'intesa con Magnum Photos. Negli anni, davanti al suo obiettivo, sono passati dive e divi del cinema, sfilate di moda e reportage d'inchiesta ancora attuali nello sguardo. Per questo la mostra si articola in un ampio percorso tra 170 fotografie: un vero e proprio viaggio all'interno della produzione della fotografa statunitense, sancita anche nel passaggio dal bianco e nero agli scatti a colori.

«Al centro del lavoro di Eve Arnold - sottolinea Monica Poggi, curatrice della mostra - c'è sempre l'essere umano e il motivo che l'ha portato a essere lì dov'è. Che i suoi soggetti siano celebrità acclamate in tutto il mondo, o migranti vestiti di stracci, poco cambia». La comunità afroamericana è stata la prima protagonista dei suoi scatti: inaugura infatti la sua carriera ritraendo le modelle delle sfilate di Harlem dietro le quinte, sovvertendo i canoni della fotografia di moda, abbandonando la posa in favore della spontaneità e dando dignità a un mondo sommerso.

Nello stesso periodo si occupa di un reportage sulla famiglia Davis residente a Long Island. Considerata una famiglia "tipo" americana, discendente dai primi coloni, i Davis possiedono diversi terreni dove sfruttano braccianti neri: un'occasione per la Arnold per mostrare le due facce del boom economico degli anni '50 e mostrare al mondo il prezzo pagato dagli ultimi in nome degli affari. La fragilità, a partire dalla propria, è al centro anche di un lavoro di rara profondità, che le permette di attraversare il dolore per la perdita di un figlio traducendo in immagini quanto è venuto a mancare. Eccola dunque impegnata a immortalare i primi istanti di decine di neonati presso il Mather Hospital di Port Jefferson, riuscendo ancora una volta a cogliere l'essenza più pura di quanto si trova davanti.

Dopo l'ingresso in Magnum comincia a entrare in contatto con il mondo dello spettacolo. Come primo incarico deve ritrarre Marlene Dietrich, la diva per eccellenza del cinema muto, durante l'incisione del suo album. La fotografa non si fa intimorire dal peso specifico di quella notorietà e inizia a fotografarla senza sosta, cogliendo la natura più vera di quell'immagine già tanto iconica. Nonostante le numerose indicazioni della Dietrich in fase di post-produzione, Eve Arnold decide semplicemente di ristampare meglio le foto e spedirle ad Esquire: un gesto coraggioso che ha scardinato l'immagine impalpabile della superstar tedesca, conquistando però anche la sua fiducia e apprezzamento.

Ed è proprio a questa filosofia che si rifà quando dovrà ritrarre Joan Crawford durante gli innumerevoli "riti" estetici prima di entrare sul set, affidandosi all'istinto e al suo sguardo vorace e acuto e arrivando così a mostrare il lato più intimo e autentico di un mito. Al vertice della sua produzione legata al mondo di Hollywood troviamo Marilyn Monroe: «Il legame che ci univa ruotava tutto intorno alla fotografia. Le mie foto le piacevano ed era abbastanza arguta da capire che rappresentavano un modo nuovo di ritrarla», spiegò poi la stessa Eve Arnold.

Erano ritratti lontani dall'immaginario già legato alla diva, scomposti, realizzati dopo lunghe giornate di set, non più irraggiungibile. Sempre grazie a Magnum cominciano anche gli incarichi internazionali, che la fanno tornare a una fotografia più impegnata. Nel 1979 si recherà in Cina per documentare il cambiamento del Paese dopo l'insediamento di Deng Xiaoping, sempre più aperto verso l'occidente, sempre più decisa a far emergere quanto diversamente celato.

La descrizione più lucida e diretta del suo lavoro è probabilmente lei stessa a darla, fornendo anche la più chiara delle indicazioni di poetica «Sono stata povera e ho voluto ritrarre la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite; mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite; sono una donna e volevo sapere delle altre donne». L'esposizione è accompagnata dal catalogo "Eve Arnold", edito da Dario Cimorelli editore. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C, Milano)




Autoritratto a olio su tela di di Umberto Boccioni realizzato nel 1908 Boccioni
Prima del Futurismo


09 settembre - 10 dicembre 2023
Fondazione Magnani-Rocca - Mamiano di Traversetolo - Parma
www.magnanirocca.it

La Fondazione Magnani-Rocca dedica a Umberto Boccioni una grande mostra - a cura di Virginia Baradel, Niccolò D'Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi - composta da quasi duecento opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell'artista. La mostra si sofferma sulla figura del giovane Boccioni e sugli anni della formazione affrontando i diversi momenti della sua attività, dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, sino agli esiti pittorici immediatamente precedenti l'elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910. Un decennio cruciale in cui Boccioni sperimenta tecniche e stili alla ricerca di un linguaggio originale e attento agli stimoli delle nascenti avanguardie.

La mostra intende non solo documentare il carattere eterogeneo della produzione boccioniana, ma soprattutto ricostruire i contesti artistici e culturali nei quali l'artista operava. Viene così fatta luce sulle vicende artistiche tra il 1902 e il 1910, offrendo un panorama più ampio su un periodo fondamentale per l'attività di Boccioni che permette di porre in prospettiva lo svolgersi della sua ricerca. La mostra è suddivisa dunque in tre sezioni geografiche legate alle tre città che hanno rappresentato punti di riferimento formativi per l'artista: Roma, Venezia e Milano, curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D'Agati. Una speciale attenzione è dedicata ai lavori a tempera per finalità commerciali e alle illustrazioni, presentati nella quasi totalità, che permettono di rilevare l'importanza di questa produzione nell'ambito di una sperimentazione che va dalle primissime prove romane sino agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi.

Lo studio delle fonti, a iniziare dai diari e dalla corrispondenza di Boccioni entro il 1910, e le recenti e approfondite indagini hanno portato nuovi elementi utili alla conoscenza di questa fase della sua attività. L'obiettivo, diversamente da quanto spesso accade nelle rassegne dedicate alla parabola divisionismo-futurismo, è quello di seguire la formazione boccioniana al di fuori di una logica deterministica legata all'approdo al futurismo, ma di cogliere la definizione di un linguaggio e di una posizione estetica in rapporto alle coeve ricerche che si strutturavano e che caratterizzavano i contesti coi quali l'artista entrò in contatto.

A documentare questo percorso sono esposte alcune delle opere a olio su tela più note della prima produzione dell'artista, come Campagna romana del 1903 (MASI, Lugano), Ritratto della sorella del 1904 (collezione privata, in deposito presso Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro, Venezia), Ritratto della signora Virginia del 1905 (Museo del Novecento, Milano), Ritratto del dottor Achille Tian del 1907 (Fondazione Cariverona), La madre del 1907 (collezione privata), Autoritratto del 1908 (Pinacoteca di Brera, Milano), Il romanzo della cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna), Controluce del 1909 (Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto), Ritratto di gentiluomo del 1909 (collezione privata), Contadino al lavoro del 1909 (Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma), Ritratto di Fiammetta Sarfatti del 1911 (collezione privata) nonché tempere, incisioni, disegni.

L'accostamento di volta in volta alle opere di artisti come Giovanni Segantini, Giacomo Balla, Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà, Giovanni Sottocornola, spiega e illustra le ascendenze e i rapporti visuali e culturali che costruirono e definirono la personalità artistica di Boccioni.

- Roma

Partendo dalla prima tappa che ha segnato indelebilmente l'evoluzione artistica di Boccioni, si dedica attenzione agli anni del soggiorno romano, quando Giacomo Balla aveva introdotto il giovane Boccioni alla nuova tecnica divisionista "senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche" come ricordava nelle memorie il compagno Gino Severini. La vivacità e complessità del contesto romano è restituita grazie alla presenza in mostra di opere che ricostruiscono visivamente la cultura sperimentale di quegli anni che costituì la base essenziale della formazione boccioniana in una articolata stratificazione di stimoli artistici e intellettuali attorno alle personalità di Sartorio, Balla, Prini e dei più giovani coetanei di Boccioni, da Ferenzona a Sironi.

In mostra, si documenta anche la produzione "commerciale" di Boccioni affiancandola ai modelli ai quali si rivolgeva l'artista per la realizzazione dei propri lavori. Questo, dal momento in cui il periodo romano non segnò solo il progressivo avvicinamento dell'artista alla pittura, ma anche a quello dell'illustrazione commerciale - la réclame - che rappresentava come prodotto artistico, una perfetta e "straordinaria espressione moderna".

- Venezia

Il secondo approdo della formazione boccioniana è rappresentato dai soggiorni padovani e dal soggiorno veneziano che coincide con la Biennale del 1907. Questa sezione intende mettere a fuoco tanto il progredire della pittura di Boccioni, quanto la posizione estetica dell'artista rispetto a ciò che ha modo di osservare e conoscere a Venezia. Trovano posto in questa sezione alcune delle più importanti opere eseguite a Padova prima e dopo il soggiorno parigino del 1906. Una selezione di dipinti di pittori veneziani fa da controcanto ai commenti espressi nella visita alla Biennale che criticano i pittori del "vero", orientando l'attenzione piuttosto verso il simbolismo notturno della cerchia di Marius Pictor.

Ciò funge da importante testimonianza che permette al visitatore di comprendere appieno le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni che deplora verismo e sentimentalismo mentre aspira a un'arte che rechi "un'impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale" come scrisse commentando la Sala dell'arte del Sogno. Riguarda il periodo veneziano il focus presente nella mostra relativo all'avvicinamento dell'artista al mondo dell'incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. In tale sezione vengono infatti esposte opere grafiche di Boccioni che permettono di ricostruire lo sviluppo della sua attività incisoria nel periodo veneziano e successivamente milanese; per la prima volta vengono presentate le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate.

- Milano

Il terzo momento fondamentale della formazione boccioniana è rappresentato dall'arrivo a Milano. L'importanza del confronto con il capoluogo lombardo è suggerita nella mostra dall'accostamento delle opere di Boccioni a quelle degli artisti maggiormente influenti nella Milano di inizio secolo, in particolare dei maestri storici del divisionismo locale, da Longoni a Sottocornola e Morbelli, da Segantini a Previati, cercando di mettere in evidenza il posizionamento dell'artista nei confronti dell'eredità di questa cultura all'interno di una più articolata e complessa frangia sperimentale che rielaborava e rivitalizzava le conquiste tecniche e culturali degli anni Novanta tra divisione cromatica e tensioni simbolico-ideali.

Nel ricostruire il percorso, centrato attorno al superamento della posizione naturalista di partenza, si presenta in mostra una selezione di opere che, spaziando dall'illustrazione al disegno sino alla pittura, ripercorre attraverso dei nuclei tematici - dal paesaggio alle composizioni simboliche passando per le variazioni compositive sui ritratti e le figure femminili - la definizione di una impronta personale che rispecchia la tensione verso l'Idea manifestata da Boccioni nei suoi scritti giovanili. Il catalogo Pubblicato da Dario Cimorelli Editore, comprende i saggi dei curatori e contributi scientifici che arricchiscono il volume in modo da renderlo non solo una testimonianza delle opere in mostra, tutte illustrate a colori, ma anche un valido strumento e un aggiornamento sugli studi boccioniani.

Immagine:
Umberto Boccioni, Autoritratto, 1908, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera




Renato Leotta
"CONCERTINO per il mare"


23 settembre - dicembre 2023
Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea - Rivoli (Torino)

La mostra presenta per la prima volta in Italia il progetto vincitore dell'Italian Council Edizione X, Bando internazionale promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura a supporto della creatività contemporanea italiana. Il progetto CONCERTINO per il mare affonda le sue radici nell'osservazione dell'ecosistema dei fondali del Mediterraneo. Proponendo una possibile forma di comunicazione interspecie, esso consiste nel tentativo di tradurre la struttura interna delle foglie di Posidonia oceanica in una partitura musicale da eseguire come concerto udibile dall'orecchio umano.

Portando all'attenzione l'importanza vitale di un ecosistema in pericolo, CONCERTINO per il mare invita ad ascoltare storie di migrazione, adattamento, incontri e lotte per la sopravvivenza della Posidonia attraverso il tempo, da un passato lontano fino a un futuro incerto. L'opera è stata presentata per la prima volta nel settembre 2022 alla 17esima Biennale di Istanbul, dove era installata presso l'Hammam Çinili, edificio ottomano risalente al XVI secolo.

Progetto artistico di ampio respiro, comprensivo di una lunga fase di ricerca attraverso più siti costieri del Mediterraneo, CONCERTINO per il mare ha generato un'installazione sonora, opere fotografiche e Ondina, opera-concerto. In mostra al Castello, a cura di Marcella Beccaria, verrà presentata l'installazione sonora, per la prima volta in dialogo con una serie di stampe fotografiche realizzate dall'artista con tecniche sperimentali.

Nell'ambito del progetto, Ondina. Concerto per il mare in tre movimenti, a cura di Marianna Vecellio, sarà eseguito dall'Orchestra Filarmonica di Torino, diretta da Giampaolo Pretto. Il concerto dal vivo si terrà presso il Salone dei Concerti del Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi, Torino (sabato 4 novembre, ore 21), dopo l'esordio nel settembre 2022 avvenuto con i musicisti della Borusan Istanbul Philharmonic Orchestra nei giorni di inaugurazione della Biennale di Istanbul.

Renato Leotta (Torino, 1982) vive e lavora tra Acireale e Torino. Nel 2019 è stato Italian Fellow in Visual Arts presso l'American Academy di Roma. Vincitore dell'Italian Council Edizione X, bando internazionale promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura a supporto della creatività contemporanea italiana, nel settembre 2022 partecipa con il progetto vincitore alla Biennale di Istanbul con il sostegno di Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea. Nel 2010 ha vinto il Premio Italia per la Fotografia Contemporanea. (Estratto da comunicato stampa)




Opera pittorica di Cesare Baracca Cesare Baracca
"Les Fleurs du mal"


10 settembre - 17 dicembre 2023
MACT/CACT Museo e Centro d'Arte Contemporanea Ticino - Bellinzona (Svizzera)
www.cacticino.net

Come si evince dal titolo, essa è un omaggio ma anche un confronto visivo con i poemi letterari di Charles Baudelaire (1821-1867), e bene si iscrive all'interno de La mela incantata, esposizione dedicata al periodo a cavallo tra 1800 e 1900. Anzi, da un certo punto di vista, Baudelaire anticipava i disagi di una società al volgere del secolo, mentre Baracca delinea, attraverso la sua interpretazione dei Fiori, gli umori di una post-contemporaneità in cerca di nuove identità socio-politiche, nevrotica e a tratti aggressiva.

L'artista ravennate ripercorre in pittura tutti i poemi del grande Baudelaire, restituendo al pubblico e al lettore d'immagini, non tanto solo le tematiche, bensì anche le impressioni e gli umori del poeta francese, con cui Baracca cerca un dialogo forte entro un processo di identificazione situazionista. In occasione della realizzazione di Les Fleurs du mal (2021), è stato edito per Cesare Baracca un volume, dove figura - tra gli altri - un testo di Mario Casanova, che viene riportato di seguito. (Mario Casanova, Bellinzona, 2023)




Mario Cravo Neto
"Destino"


27 ottobre 2023 (inugurazione) - 02 marzo 2024
Paci Contemporary Gallery - Brescia
www.pacicontemporary.com

Una retrospettiva che ripercorre tutte le tappe della carriera di Mario Cravo Neto partendo dai lavori creati a New York negli anni '70, attraverso il suo famoso ciclo di scatti Eternal Now rigorosamente in bianco e nero che rappresentano il trampolino di lancio verso quel lavoro mistico capace di far coesistere valori terreni e divini rendendo quindi visibile il condomble tipico della cultura brasiliana e più precisamente di Salvador di Bahia, la sua amata città. Il tutto si conclude con la serie a colori Laroye che rappresentano un inno e un canto al gioco, al divertimento, all'originalità delle usanze e delle consuetudini della sua terra brasiliana tanto amata. La mostra sarà accompagnata da un volume edito da Dario Cimorelli Editore, a cura di Denis Curti. (Comunicato stampa)




Xilografia policroma denominata Veduta di Suruga dal passo di Satta, dalla serie 36 vedute del monte Fuji, realizzata da Utagawa Hiroshige nel 1858 Locandina della mostra Strade e storie Paesaggi da Hokusai a Hiroshige Xilografia policroma denominata Hara (stazione 14), veduta del monte shitaka e del Fuji, dalla serie Raccolta di immagini celebri delle 53 stazioni del Tokaido, nota anche come Tokaido verticale, realizzata da Utagawa Hiroshige nel 1855 Strade e storie. Paesaggi da Hokusai a Hiroshige
23 settembre 2023 - 14 gennaio 2024
Museo Civico delle Cappuccine - Bagnacavallo (Ravenna)
www.museocivicobagnacavallo.it

L'esposizione, a cura di Davide Caroli, si innesta nella programmazione triennale dedicata al Paesaggio, tema sul quale verterà la proposta culturale della città di Bagnacavallo fino al 2024. Dopo Francisco Goya, Max Klinger e Albrecht Dürer, il filone espositivo promosso dal Museo Civico sui più importanti artisti internazionali che hanno saputo esprimere massimamente la loro grandezza attraverso l'incisione aggiunge una nuova tappa, questa volta spostandosi dall'Europa al lontano Oriente, per raccontare la storia della tecnica della xilografia ukiyo-e e di alcuni dei più importanti maestri che vi si sono dedicati - Hokusai e Hiroshige - divenuti ben noti anche in Europa quando alcune loro opere furono di ispirazione per gli impressionisti e più in generale per gli artisti che da metà dell'Ottocento si dimostrarono più aperti al rinnovamento della pittura.

Ukiyo-e, termine che significa letteralmente "immagini del mondo fluttuante", descrive il genere artistico, fiorito tra il XVII e XIX secolo, che aveva inizialmente una connotazione edonistica associata ai momenti piacevoli che gli abitanti delle città trascorrevano dedicandosi a piaceri transitori della vita, e in quest'ottica la raffigurazione del paesaggio era rilegata alla funzione di sfondo ai personaggi ritratti. A partire però dagli anni '30 dell'Ottocento, con la pubblicazione delle Trentasei vedute del Fuji di Hokusai e delle Cinquantatre stazioni della Tokaido di Hiroshige, improvvisamente la raffigurazione del paesaggio assunse una nuova importanza, divenendo soggetto principale degli ukiyo-e.

Un aspetto di novità indagato e documentato dalla mostra allestita nelle sale del Museo Civico, che si apre con una sala dedicata a Katsushika Hokusai. Maestro indiscusso dell'arte giapponese, Hokusai ebbe enorme successo già in vita, soprattutto grazie ad alcune delle serie più famose, tra cui le già citate Trentasei vedute del Fuji, che sono qui documentate da una selezione delle immagini più note, tra le quali anche una versione di Una grande onda al largo di Kanagawa, forse l'opera ukiyo-e più conosciuta al mondo, talmente amata e riprodotta in un numero tale di copie da aver consumato i legni e aver costretto gli editori a realizzare nuove matrici lignee sul disegno originale di Hokusai, per poter tirare dei nuovi originali, come documentato in questo caso specifico.

Nelle sale successive il racconto si incentra principalmente sul lavoro di Ando Hiroshige, il più grande paesaggista giapponese, che eguagliò in abilità e fama lo stesso Hokusai, e con l'opera del quale è possibile ammirare un confronto quasi diretto grazie alla serie anche da lui dedicata al famoso vulcano simbolo del Giappone. Proseguendo nel percorso, oltre ad altre note serie di Hiroshige, la parte principale della mostra è dedicata alla raffigurazione del Tokaido: la strada del Tokaido, che collegava la capitale dello shogun, Edo, a quella dell'Imperatore, Kyoto, era la principale via dei viaggi e del commercio nel Giappone antico.

Per molti artisti fu lo spunto per raffigurare scorci e paesaggi celebrando le bellezze naturali del loro paese, per Hiroshige stesso fu uno dei soggetti prediletti sui quali si cimentò più volte anche per rappresentare ad anni di distanza le stesse stazioni, ed in mostra sarà possibile ammirare diverse serie dedicate a questo soggetto: dalla prima versione in formato oban orizzontale, a quella verticale, da quella a due pennelli a quella in paralleli. La mostra si conclude con una sala dedicata ad Hiroshige II, erede del maestro e suo successore nella scuola Utagawa.

Le quasi 120 opere esposte, tra le quali due importanti trittici ed alcuni volumi originali che contengono le serie complete, sono affiancate da alcuni oggetti: tsuba, inro ed un prezioso kimono decorati con immagini ispirate agli ukiyo-e, per sottolineare quanto l'immaginario paesaggistico influenzasse la cultura giapponese grazie al lavoro di Hiroshige. La mostra, realizzata grazie alla preziosa collaborazione del Museo d'Arte Orientale di Venezia e al prestito di generosi collezionisti, è accompagnata da un catalogo che include le fotografie di tutte le opere esposte e i testi di Davide Caroli, direttore del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, di Marta Boscolo Marchi, direttrice del Museo d'Arte Orientale di Venezia e di Marco Fagioli, uno dei massimi studiosi degli autori di stampe giapponesi. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Utagawa Hiroshige, Veduta di Suruga dal passo di Satta, dalla serie 36 vedute del monte Fuji, xilografia policroma, 1858, Venezia, Museo d'Arte Orientale
2. Locandina della mostra Strade e storie Paesaggi da Hokusai a Hiroshige
3. Utagawa Hiroshige, Hara (stazione 14), veduta del monte shitaka e del Fuji, dalla serie Raccolta di immagini celebri delle 53 stazioni del Tokaido, nota anche come Tokaido verticale, xilografia policroma, 1855, Venezia, Museo d'Arte Orientale




Chagall. Il colore dei sogni
30 settembre 2023 - 13 febbraio 2024
Centro Culturale Candiani - Mestre (Venezia)

Partendo dal Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk, 1914-1922, capolavoro conservato nelle raccolte di Ca' Pesaro Galleria Internazionale d'Arte Moderna e acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928, la mostra, a cura di Elisabetta Barisoni, intende indagare il portato rivoluzionario dell'arte di Chagall come pittura del sogno e come trionfo della fantasia creatrice.

L'esposizione è concepita con i capolavori conservati a Ca' Pesaro, cui sono affiancati in ciascuna sezione importanti e puntuali opere di Chagall provenienti da prestigiose collezioni internazionali. Grazie ai prestiti dell'Albertina di Vienna, del Musée National Marc Chagall di Nizza, del Museum of Fine Arts di Budapest e dell'Israel Museum di Gerusalemme, Chagall diventa un filo rosso che unisce opere ed artisti che hanno sentito la propria produzione in termini simili ai suoi, o che da lui hanno preso spunto per sviluppare la propria arte nelle più diverse direzioni.

Il viaggio fantastico di Chagall si svolge attraverso l'arte del '900 e si articola in 6 sezioni che prendono avvio da Il sogno simbolista, con la poesia onirica di Odilon Redon, Cesare Laurenti e Adolfo Wildt. La seconda sezione della mostra si intitola È soltanto mio / il paese che è nell'anima mia ed è tutta dedicata a Marc Chagall, con Il Rabbino di Ca' Pesaro per la prima volta affiancato a Vitebsk. Scena di villaggio della collezione Batliner presso l'Albertina di Vienna. Artisti in esilio affronta invece il tema dell'emigrazione verso gli Stati Uniti da parte di numerosi autori obbligati a lasciare l'Europa durante gli anni Trenta.

La contiguità del "Rabbino" di Ca' Pesaro con le emergenze cubiste e costruttiviste è messa a confronto con le sculture di Ossip Zadkine, fino ad arrivare al Surrealismo di Max Ernst che guardò a Chagall come punto di partenza imprescindibile della propria arte. La quarta sezione si concentra sui temi cari a Chagall, l'amore e il colore. Il colore dei sogni affianca le ricerche del Maestro russo a quelle dell'espressionismo europeo, ben rappresentate dalle accese cromie di Emil Nolde.

Un'ampia sezione della mostra è poi dedicata alle opere religiose ed in particolare alle illustrazioni di Marc Chagall per la Bibbia commissionategli da Ambroise Vollard. Saranno esposte le incisioni donate dall'artista al Musée National Chagall di Nizza nel 1972, affiancate dalle preziose lastre originali con cui le grafiche sono state realizzate. Il tema biblico e della Crocifissione parte da Chagall e si sviluppa verso esiti simbolisti o primitivisti che emergono nelle straordinarie opere delle collezioni di Ca' Pesaro esposte in mostra.

Il tema del sacro, così importante nella produzione di Chagall, accomuna autori internazionali provenienti da tradizioni pittoriche molto distanti. Vicini per la riflessione su Cristo, la Croce e il portato spirituale dell'esistenza sono i capolavori, restaurati per l'occasione e finalmente messi a disposizione del pubblico, del francese Georges Rouault del belga Frank Brangwyn, dello svedese Veikko Aaltona e dell'ungherese István Csók, a ulteriore testimonianza della peculiarità delle raccolte che il Comune di Venezia ha creato per la Galleria d'Arte Moderna comprando, fin dalle prime Biennali, opere di autori internazionali esposti ai Giardini.

La mostra chiude con una sesta sezione tutta all'insegna della fantasia, illogica, istintiva e gioiosa, del messaggio che ci ha lasciato Chagall. Il colore delle favole prende avvio dal progetto grafico sulle Favole di La Fontaine realizzato da Chagall negli anni Venti del secolo scorso, e si colora delle visioni fantastiche di George Grosz e delle riflessioni, tra favole e mito, di Félicien Rops, Frank Barwig e Mario De Maria. L'utopia e la anti-modernità della lezione di Chagall, espresse in pittura e nelle opere grafiche, caratterizzano anche la seconda metà del secolo in prove di inedita atmosfera onirica, come nella scultura di Claudio Parmiggiani, nella pittura di Corrado Balest e di Carlo Hoellesch. (Comunicato stampa Studio Esseci)




Luigi Rossi (1853-1923)
Artista europeo tra realtà e sogno


15 ottobre 2023 - 25 febbraio 2024
Pinacoteca cantonale Giovanni Züst - Rancate (Mendrisio, Svizzera)
ù www.ti.ch/zuest

Nel centenario di Luigi Rossi (1853-1923), una retrospettiva dove, accanto ai capolavori noti del poliedrico artista ticinese, provenienti da prestigiosi musei svizzeri (MASI di Lugano, Musée d'Art et d'Histoire di Ginevra, Collezioni della Confederazione) e italiani (GAM - Galleria d'Arte Moderna di Milano, Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino) si espongono opere conservate in raccolte private, alcune delle quali recentemente riemerse.

Si tratta di un'occasione preziosa per approfondire l'indagine storiografica e critica che la Züst sta conducendo su un artista che a pieno titolo è da definirsi "europeo". Europeo non solo perché visse tra Italia, Svizzera e Francia, Parigi soprattutto, ma perché elaborò, in modo del tutto originale, il nuovo che percorreva l'Europa dell'arte. Applicando questi suoi raggiungimenti alla pittura e all'illustrazione, servendosi anche della fotografia.

A renderlo popolare nell'intero continente furono soprattutto le sue illustrazioni di alcuni dei maggiori best sellers di fine Ottocento, dalle diverse edizioni di "Tartarino" di Alphonse Daudet - del quale si espone per la prima volta un grande ritratto - a "Notre-Dame de Paris" di Victor Hugo, a "Madame Chrysanthème" di Pierre Loti sino alle "Pastorali" di Longo Sofista, illustrate con l'amico Luigi Conconi. "Les Demi-Vierges" di Prévost, uscite nel 1900, rappresentano il suo ultimo impegno per la grande editoria parigina e internazionale.

Illustratore di successo ma anche - e soprattutto - grande pittore, la cui opera è posta al centro della mostra ticinese. Le opere riunite alla Züst - dipinti e acquerelli - consentono di seguire l'evoluzione della sua pittura dal realismo al simbolismo per approdare al Liberty, momenti da lui interpretati in modo sincero e originale. In un percorso che lo conduce dalla pittura di genere, al ritratto e al paesaggio.

La mostra, a cura di Matteo Bianchi, autore del catalogo ragionato dell'opera di Luigi Rossi, responsabile della Casa Museo in Capriasca e pronipote dell'artista, conclude un ciclo di mostre che la direttrice della Pinacoteca Züst, Mariangela Agliati Ruggia, in collaborazione con Alessandra Brambilla, ha riservato all'opera di Rossi.

Il catalogo, edito da Pagine d'Arte, accanto a un lessico originale di Matteo Bianchi, propone interventi critici di Cristina Brazzola, sulla presenza di Luigi Rossi nelle collezioni della Città di Lugano, di Elisabetta Chiodini (Il giovane Luigi Rossi: sulla via del vero tra genere e paesaggio), Franz Müller (L'opera di Luigi Rossi nel contesto dell'arte svizzera) e Sergio Rebora ("Guardare con gli occhi della mente". Luigi Rossi e il simbolismo) e la riproduzione di un'ottantina di opere per concludersi con una ricca sezione documentaria. Gli apparati, aggiornati per l'occasione, sono a cura di Miriam Notari della Casa Museo Luigi Rossi di Tesserete.

Accanto al corpo centrale dei dipinti, l'attenzione è rivolta all'attività legata all'illustrazione del libro svolta con successo da Luigi Rossi a Parigi. Questo aspetto permette di leggere l'opera dell'artista attraverso l'uso delle diverse tecniche del disegno, dell'acquerello e della fotografia. In sommario, anche lo studio dell'impegno sociale e didattico svolto dall'educatore democratico che è stato Luigi Rossi ai primi del Novecento: presso l'Umanitaria a Milano e le Scuole di disegno nel Cantone Ticino. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Lucus di Yuval Avital
15 luglio (inaugurazione) - 07 gennaio 2024
Fondazione Biscozzi | Rimbaud - Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Mostra a cura di Massimo Guastella, quinto appuntamento espositivo dell'istituzione fondata nel 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud per promuovere l'arte moderna e contemporanea attraverso un programma di mostre che ha visto sin qui come protagonisti Angelo Savelli (L'artista del bianco, 2021), Salvatore Sava (L'altra scultura, 2022), Grazia Varisco (Sensibilità percettive, 2022-2023), Mirco Marchelli (Voci in capitolo, 2022-2023).

Yuval Avital (Gerusalemme, 1977) è un artista multimediale e compositore. Da sempre sviluppa le sue opere in una varietà di spazi, tra luoghi pubblici, siti archeologici industriali, teatri e musei, sfidando le tradizionali categorie cristallizzate che separano le arti. Nelle sue mostre, performance, installazioni immersive, opere totali, "riti" sonori su larga scala e concerti, si possono trovare danzatori, ensemble di musica contemporanea, maestri di culture e tradizioni antiche, multi-proiezioni video, ambienti tattili meditativi, strumenti tecnologici avanzati, materiali d'archivio, sculture sonore, oggetti, pittura e opere stampate, collaborazioni con persone, comunità, istituti scientifici.

Per la Fondazione Biscozzi | Rimbaud Yuval Avital ha ideato e realizzato un progetto site-specific ispirato al bosco sacro, il lucus appunto, caro agli antichi romani ma altrettanto considerato dalle arti. L'artista, alla costante ricerca di tracce umane e recuperi rituali, affascinato dalle differenti identità dei luoghi, ha ideato un percorso espositivo che intende creare interrelazioni con la comunità e le sue radici culturali e naturali, rievocando le remote aree boschive ricoperte dalla macchia della penisola jonico-salentina. Novanta le opere in mostra, alcune recenti e altre realizzate appositamente, tutte caratterizzate dalla versatilità nell'utilizzo dei linguaggi e dei mezzi espressivi, d'una creatività mai doma, a tratti inquieta, che unisce il fare artistico tradizionale alla multimedialità.

Quattro i momenti in cui si snoda il percorso espositivo. Nella prima sala, al pianoterra, accedendo attraverso un sipario, cinque menhir suggeriscono il luogo sacro, a simboleggiare un paesaggio silvestre ove si ergono verticalmente, come alberi, gli approssimativi parallelepipedi. I monumenti monolitici sono riprodotti in scala, nel "dialogo" (così lo definisce l'artista) con gli artigiani locali della cartapesta, com'è nelle sue corde. A quelle strutture verticali si accompagna la serie pittorica dei Bagnanti, rappresentazioni d'impianto espressionista entro un'atmosfera onirica.

L'installazione, concepita specificatamente per la Fondazione, consente al visitatore di penetrare in un ambiente immersivo che, come sottolinea il curatore, Massimo Guastella: "si tramuta in una metafora del paesaggio mediterraneo, perduto ma persistente nella memoria, in una sorta di total room immersiva, molto prossima all'opera totale che è al contempo la cifra personale dell'artista".

Si continua nella sala dove sono ordinate dodici maschere sonore, dalle effigi ieratiche, irregolari e irreali, che emettono ineffabili suoni, forse ancestrali. Si prosegue poi nella sala successiva con il light box della serie fotografica Light Recordings n.8 Taidung/32, del 2018, ripresa notturna vissuta direttamente in un bosco sacro tra le tradizioni autoctone della gente di Taiwan. Lo schermo di grande dimensione è abbinato alla "comunità" dei quattordici Bagnanti in gesso, surreali statuine dai corpi umani compenetrate da vegetazione.

L'esposizione si conclude nelle sale al primo piano, dove Avital disloca, tra le opere della collezione permanente della Fondazione, tre Singing Tubes, sculture sonore totemiche che riproducono voci: l'alta giraffa respirante (Singing Tubes n. 2), il ragno blu tremolante (Singing Tubes n. 3) e la vivace tinteggiatura del verme dal tono grave (Singing Tubes n. 6). Yuval Avital, nel collage di mezzi espressivi del fare artistico, fa coesistere elementi apparentemente distanti tra loro, compendiandoli e mettendo in stretta relazione il presente con territorio, origini e riti. È in preparazione il catalogo della mostra, a cura di Massimo Guastella, Dario Cimorelli Editore. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Il restauro di 342 lettere autografe di Michelangelo Buonarroti
www.casabuonarroti.it

Nessuno tra gli artisti del Rinascimento ci è tanto noto e familiare come Michelangelo. Sappiamo cosa mangiava, come si curava, quanto spendeva per gli abiti. ma possiamo anche seguirlo nei suoi momenti di meditazione, nei suoi slanci di generosità, nei suoi accessi d'ira, nelle sue paure. Tutto questo è stato possibile grazie alla spiccata attitudine di Michelangelo alla conservazione, quasi maniacale, di ogni documento che riguardasse la sua quotidianità: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa.

L'enorme mole di carte da lui raccolte nel corso della lunga vita fu devotamente custodita dai suoi discendenti, andando a costituire il nucleo fondamentale dell'archivio familiare, che lungo i secoli si accrebbe con documenti di altri membri, fino ad arrivare alla notevole consistenza di 169 volumi e oltre 25.000 carte. Una delle sezioni più preziose dell'archivio è indubbiamente costituita dalle lettere di sua mano, sia minute di lettere inviate ai personaggi più vari del suo tempo (da papa Clemente VII alla regina di Francia Caterina de' Medici, dalla poetessa Vittoria Colonna allo storico Benedetto Varchi, dal pittore Sebastiano del Piombo a Giorgio Vasari).

Considerando l'importanza e la fragilità di queste carte, l'Associazione degli Amici della Casa Buonarroti - nelle persone di Elisabetta Archi e Antonio Paolucci - hanno pensato di sottoporre un progetto di restauro all'Ente Cambiano scpa, che con grande slancio l'ha accolta e sostenuta con generosa e lungimirante sensibilità. Nell'occasione si potranno vedere le carte restaurate che poi verranno riposizionate e custodite nell'Archivio di Casa Buonarroti. L'Archivio Buonarroti consta di 169 volumi tutti manoscritti, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia dei Buonarroti dagli antenati di Michelangelo fino all'ultimo discendente diretto della famiglia che nel 1859 decise di lasciare la Casa e il patrimonio raccolto al suo interno alla città di Firenze. (Estratto da comunicato ufficio stampa Fondazione Casa Buonarroti - CSC Sigma)




Fotografia che ritrae la scultrice Regina Cassolo Bracchi Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it

Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.

Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.

Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».

Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.

Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.

Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




Il Manifesto del bar Giamaica Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica - 65° anniversario
www.archivioalbertozilocchi.com

L'Archivio Alberto Zilocchi festeggia il 65° anniversario del "Manifesto del bar Giamaica", documento nel quale otto giovani artisti (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga e Alberto Zilocchi), in un momento di impeto, annunciano l'arrivo della pittura d'avanguardia in occasione della Mostra dei Giovani Artisti organizzata all'interno del bar Giamaica in via Brera 32 a Milano il 9 novembre 1957. Attraverso i suoi canali social e sul canale Youtube dell'Archivio Alberto Zilocchi a partire dal 9 novembre 2022 un video predisposto per l'occasione dal titolo "65° anniversario Alberto Zilocchi e il Manifesto del bar Giamaica".

---

"Attualmente, a Milano, il Premio S. Fedele è l'unica rassegna che si dice pensosa di promuovere e segnalare l'attività dei giovani pittori. Ma in realtà il Premio S. Fedele esclude e respinge le nuove posizioni e tendenze della giovane pittura italiana, e ripiega piuttosto sui frutti di uno squallido artigianato tradizionalista, privo di interesse e consistenza. Si presenta così ai critici un panorama falsato, per ragioni che trasparentemente nulla hanno a che fare con l'arte e restringe il campo alla produzione più conformista.

Sono da giustificare quindi i critici che hanno scritto, forse in buona fede, sulla decadenza delle forme di pittura non descrittiva e sull'assoluta mancanza di pittura d'avanguardia. Noi esponiamo in un Bar, ma non per questo la nostra mostra è meno valida. Con essa e con questo manifesto noi vogliamo affermare la nostra inequivocabile presenza nel mondo dell'Arte e della Cultura, contro tutti coloro che intendono soffocarla in certe falsate e poco culturali Rassegne d'arte". (Guido Biasi, Aldo Calvi, Piero Manzoni, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga, Alberto Zilocchi - Milano, 9 novembre 1957)

Alberto Zilocchi nasce a Bergamo nel 1931. Agli inizi anni '50 parte per Parigi per frequentare dei corsi della nuova pittura europea e lì conosce Piero Manzoni. Verso la metà degli anni '50 frequenta l'avanguardia di Milano e i giovani pittori che si riuniscono al Bar Giamaica di Brera a Milano, a due passi dall'Accademia. Nel 1957 firma con Piero Manzoni, Ettore Sordini, Angelo Verga, Aldo Calvi, Guido Biasi, Antonio Recalcati e Silvio Pasotti il Manifesto del Bar Giamaica, in cui annunciano l'arrivo della nuova pittura d'avanguardia.

Nel 1959 Alberto Zilocchi partecipò alla prima mostra collettiva - e seconda mostra in termini temporali della Galleria - della galleria Azimut fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani in via Clerici 12 a Brera, inaugurata il 22 Dicembre 1959 e terminata il 3 Gennaio 1960 accanto ad altri artisti come Manzoni, Anceschi, Boriani, Castellani, Colombo, Dadamaino, Devecchi, Mari e Massironi. In questo periodo Zilocchi collabora, tra gli altri, con Lucio Fontana, con il quale esporrà sempre nel 1959 alla Galleria della Torre di Bergamo e diventa uno dei principali artisti animatori del Gruppo Bergamo.

Negli anni '70 Zilocchi partecipa a diverse esposizioni in tutta Europa e nel 1972 diventa uno di principali animatori con altri artisti europei del Centro internazionale di Studi d'Arte Costruttiva (Internationaler Arbeitskreis für Konstruktive Gestaltung - IAFKG), gruppo di lavoro che opererà con mostre, simposi e commenti critici in tutta Europa sino al 1988.

I lavori più conosciuti di Albero sono la serie dei Rilievi, opere monocrome caratterizzate da estroflessioni sulla superficie, tutte in rigoroso ed esclusivo colore monocromo bianco acrilico opaco su supporti - tavole o telai realizzati dallo stesso artista, opere molto spesso quadrate come opere singole, oppure concepiti in serie, dando vita ad una rappresentazione tridimensionale dello spazio composta da linee geometriche di luce ed ombre che si ispessiscono e poi infine sfumano sino ad annullarsi sulla superficie piana del quadro, prodotti sino a tutti gli anni '70, mentre negli anni '80 Zilocchi avvia il nuovo ciclo delle Linee, carte o tele applicate su tavole (molto spesso quadrate), nelle quali il bianco di fondo è solcato da tratti neri di spessore e frequenza variabili.

In ogni composizione un rigido schema geometrico di partenza viene poi rotto dall'artista secondo un'anomalia introdotta da un elemento casuale: il lancio di un dado o un'estrazione a sorte (ad esempio una pagina dell'elenco telefonico) determinano l'aumento di lunghezza delle righe o il loro spessore. «Il caso ha molta più fantasia di noi» amava ripetere Zilocchi. Muore nel 1991 a Bergamo. Durante la sua vita ha esposto in oltre 100 mostre personali e collettive, soprattutto nel nord Europa (Germania, Austria, Olanda, Finlandia, Inghilterra). (Comunicato Archivio Alberto Zilocchi)




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Busto di Sekhmet al Museo Civico Archeologico di Bologna Sekhmet, la Potente
Una leonessa in città


07 luglio 2021 - 31 dicembre 2023
Museo Civico Archeologico - Bologna
www.museibologna.it/archeologico

Progetto espositivo a cura di Daniela Picchi. L'iniziativa è resa possibile dalla generosa collaborazione con cui il Museo Egizio di Torino ha concesso in prestito uno dei suoi capolavori più rappresentativi: una statua colossale di Sekhmet, materializzazione terrestre della temibile divinità egizia con testa di leonessa e corpo di donna, di cui il museo torinese conserva una delle più grandi collezioni al di fuori dell'Egitto, composta da 21 esemplari.

Divinità dalla natura ambivalente, al contempo di potenza devastatrice e dispensatrice di prosperità, Sekhmet, ovvero "la Potente", venne raffigurata in varie centinaia di statue per volere di Amenhotep III, uno dei faraoni più noti della XVIII dinastia (1388-1351 a.C.), per adornare il recinto del suo "Tempio dei Milioni di Anni" a Tebe Ovest. Alcuni studiosi ipotizzano che il gigantesco gruppo scultoreo fosse composto da due gruppi di 365 statue, una in posizione stante e una assisa per ogni giorno dell'anno, così da creare una vera e propria "litania di pietra", con la quale il faraone voleva pacificare Sekhmet tramite un rituale quotidiano. La regolarità dei riti in suo onore servivano infatti a placarne l'ira distruttrice che la caratterizzava quale signora del caos, della guerra e delle epidemie, trasformandola in una divinità benevola e protettrice degli uomini.

Nella collezione egizia del Museo Civico Archeologico di Bologna è presente il busto di una di queste sculture che - grazie al confronto con la Sekhmet seduta in trono proveniente dal Museo Egizio di Torino - potrà così riacquistare, almeno idealmente, la propria integrità creando una proficua occasione di confronto e ricerca scientifica. La statua sarà esposta nell'atrio monumentale di Palazzo Galvani e andrà ad arricchire un importante repertorio di materiali lapidei, sia di proprietà civica, tra i quali un raro busto in marmo di Nerone, sia di proprietà statale, che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara ha depositato presso il museo.

Dall'alto dei suoi 2,13 metri di altezza, Sekhmet potrà così accogliere il pubblico e introdurlo alla visita della collezione egizia, continuando a svolgere quella funzione protettrice per la quale era stata commissionata da Amenhotep III mentre, al suo cospetto, il visitatore potrà rivivere la stessa emozione che il sacerdote dell'antico Egitto doveva provare quando entrava nel cortile del Tempio per pronunciare il nome della "Potente" e invocarla nelle sue preghiere per placarla e propiziare ogni estate la fertile esondazione delle acque del Nilo.

Il pantheon egizio conta numerose divinità femminili associate al culto solare e una di queste è Sekhmet, il cui nome significa "la Potente". La temibile dea era considerata dagli Egizi l'Occhio del Sole, emblema del potere divino che tutto vede, la Furia nel mondo degli dei, che si erge sotto sembianze di serpente Ureo anche sulla fronte dei sovrani, proteggendoli.

Come racconta il Mito della Vacca Celeste, attestato per la prima volta durante il regno del faraone Tutankamun (1333-1323 a.C.), il demiurgo Ra aveva inviato Sekhmet sulla terra per punire gli uomini in rivolta contro gli dei. La leonessa, inebriata dall'odore del sangue, avrebbe annientato l'intero genere umano se Ra non fosse intervenuto nuovamente, su suggerimento del dio della saggezza Thot, facendo versare in un lago una grande quantità di birra colorata con ocra rossa. Attratta dal colore e pensando si trattasse di sangue, la dea ne bevve sino ad ubriacarsi, dimenticandosi del precedente odio verso gli uomini e trasformandosi in Hathor, il principio femminile creativo, al quale era associato anche l'arrivo della piena del Nilo in Alto Egitto. Tale trasformazione non sorprende se si considerano le divinità egizie come manifestazioni diverse di un più ampio concetto di divino.

La pericolosa e furente Sekhmet, oltre a poter inviare sulla terra pestilenze e malattie, adeguatamente adorata, era anche in grado di prevenirle e guarirle, tanto da avere un sacerdozio, quello dei "puri sacerdoti di Sekhmet", dedito alla cura delle vittime colpite da afflizioni invisibili e apparentemente divine come la peste (definita anche "l'anno di Sekhmet").

La manifestazione di culto più eclatante nei confronti di questa divinità leontocefala si deve al faraone Amenhotep III (1388-1351 a.C.), che, in occasione del suo giubileo, la celebrazione del trentesimo anno di regno, trasformò le litanie innalzate per placare Sekhmet negli ultimi cinque giorni di ogni anno, i Giorni dei Demoni, in una impressionante litania di pietra, facendo scolpire oltre 700 sculture rappresentanti la dea in posizione stante e assisa in trono. Per quanto le statue siano state rinvenute in diverse aree templari tebane (numerose nel Tempio di Mut a Karnak, Tebe Est), molti studiosi ritengono che la loro collocazione originaria fosse Kom el-Hattan, il "Tempio dei Milioni di Anni" di Amenhotep III a Tebe Ovest, e in particolare il cortile solare al suo interno. In tale maniera il sovrano si garantiva la protezione della dea in terra e partecipava del periplo divino del sole del quale Sekhmet era una manifestazione. (Estratto da comunicato ufficio stampa Istituzione Bologna Musei)




L'Archivio di Arnaldo Pomodoro è online
www.arnaldopomodoro.it

Dopo la preview del film sperimentale Arnaldo Pomodoro makes a sphere (1968), in occasione della Notte degli Archivi 2021, dal 9 giugno è online l'Archivio di Arnaldo Pomodoro: un portale web, gratuitamente accessibile, con cui la Fondazione Arnaldo Pomodoro mette a disposizione del più vasto pubblico - dal ricercatore al semplice appassionato - un importante nucleo di materiali conservati nell'archivio dell'artista, fonte di informazione e approfondimento sulla vita e sull'opera del Maestro, così come su un tratto della storia artistica e culturale del Novecento.

Fin dall'inizio del suo percorso artistico nei primi anni Cinquanta, Arnaldo Pomodoro comincia a raccogliere minuziosamente tutti i materiali utili a documentare la sua attività. Sono fotografie, cataloghi di mostre, riviste e ritagli stampa, ma anche lettere, film d'artista, manifesti... una documentazione molto varia, che testimonia, oltre alla sua produzione artistica, i rapporti di amicizia e di lavoro di Pomodoro con altri artisti, critici e istituzioni. L'archivio ha uno sviluppo di circa una sessantina di metri lineari ed è suddiviso in sei sezioni distinte in base alla tipologia dei materiali. (Estratto da comunicato Ufficio Stampa Lara Facco P&C)




Progetto #ZACentrale
www.fondazionemerz.org

Siglato l'accordo con cui il Comune di Palermo affida per tre anni alla Fondazione Merz la gestione della ZAC - Zisa Zona Arti Contemporanee col compito di realizzare un innovativo progetto interdisciplinare. Il progetto denominato #ZACentrale è un innovativo e ambizioso piano interdisciplinare d'interventi culturali destinato a coinvolgere l'intera città, per il quale la Fondazione Merz - al termine della selezione di cui all'avviso pubblico approvato con D.D. 6154 del 01.07.2020 - è stata individuata quale "operatore culturale idoneo" per la produzione di progetti culturali finalizzati alla "promozione, conoscenza e diffusione dell'Arte Contemporanea negli spazi del Padiglione ZAC".

Il progetto "ZACentrale" si svolgerà in tre anni presso lo spazio ZAC e sarà articolato con diverse attività interdisciplinari che comprenderanno: mostre, concerti, spettacoli teatrali e di danza, attività formative ai più diversi livelli; incontri, dibattiti, conferenze da svolgersi anche in partenariato con le altre realtà dei Cantieri Culturali alla Zisa, nonché interventi documentari, azioni di incubatore creativo e la creazione di una biblioteca specialistica dedicata all'arte contemporanea per la quale è prevista una donazione di 300 volumi da parte della Fondazione. Il progetto corona una storia di intensi rapporti tra la Fondazione Merz e la Sicilia. Sono infatti ben 17 le mostre, gli eventi e i progetti che hanno impegnato la Fondazione a Palermo e in Sicilia dal 2014 al 2019. (Comunicato stampa)




Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021- Gemeni Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - SPIRAL - Ph E. Liggera Odyssey Collection by Andrea Branciforti - Orolavico - 2021 - Ph E. Liggera Odyssey Collection, la new dishes line di Andrea Branciforti per Orolavico
Il design incontra il cinema d'autore e il linguaggio flat della video-animazione


www.orolavico.com

Odyssey Collection - collezione di sottopiatti (15 pezzi in totale) disegnata da Andrea Branciforti, architetto, designer, docente e attualmente Presidente ADI Sicilia, per Orolavico, azienda specializzata nella lavorazione della pietra lavica - unisce il design contemporaneo al linguaggio del cinema e dell'illustrazione per un progetto totalmente Made in Sicily che trae ispirazione dal celebre film di Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio.

Semplicità, eleganza e contemporaneità sono le parole chiave della nuova linea di sottopiatti - Odyssey Collection - disegnata da Andrea Branciforti per Orolavico e della video-animazione realizzata da Adriano Di Mauro per raccontare questo progetto. Non è di certo la prima volta che il marketing sceglie il codice espressivo dell'arte visiva per mettere in contatto e far dialogare tra loro azienda/prodotto e pubblico. Geometrie piatte e bidimensionali, spazi netti e definiti, colori brillanti contraddistinguono lo stile dei piatti e del video: caratteristiche queste che li rendono immediatamente riconoscibili, insieme alla materia prima di cui sono fatti, la pietra lavica, e le tecniche di lavorazione utilizzate che tendono a rispettare e tutelare l'ambiente.

Orolavico, pur essendo una giovane e dinamica realtà siciliana nata nel 2015 dall'esperienza di manager e artigiani che, in poco tempo, hanno realizzato soluzioni di indoor e outdoor design  in pietra lavica e in cotto, ha da subito capito e sostenuto l'importanza della collaborazione con designer, architetti e artisti sia per quanto riguarda la progettazione delle collezioni che per la comunicazione delle stesse online e offline.

«Think to future. Think to nature è così che - spiega Giuseppe Mondera, Ceo di Orolavico - abbiamo pensato di sintetizzare la logica eco-sostenibile che sta alla base delle nostre scelte aziendali. Pensiamo, progettiamo, pianifichiamo e agiamo cercando di rispettare l'ambiente e le persone, pur non perdendo di vista anche i margini di profitto, indispensabili per alimentare il ciclo produttivo. Fare impresa, oggi, non vuol dire solo avere una buona idea, il giusto know how e reperire il capitale necessario, ma avere una prospettiva molto più ampia in termini di tempo e di qualità della vita tourt court.

Noi, ad esempio, siamo partiti dal nostro"petrolio", dal nostro"oro nero", ossia, dalla pietra lavica, da qui anche la scelta del nostro nome - Orolavico - sia perché è presente in ingenti quantità in Sicilia, sia perché, nelle varie interpretazioni che ne diamo (rivestimenti, top da cucina, piatti, pareti ventilate, ecc.), vogliamo rispettare e valorizzare una sua peculiarità unica e inimitabile, ossia, l'essere parte dell'Etna, vulcano riconosciuto come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco nel 2017. Altro aspetto cui teniamo molto è la collaborazione con designer e architetti che sappiano interpretare la materia prima in chiave estetica e funzionale. Odyssey Collection di Andrea Branciforti inaugura non solo la nostra prima linea di piatti in pietra lavica, ma anche questo filone di ricerca e produzione che declina insieme design contemporaneo ed eco-sostenibilità. Quando parlo di ricerca, visionarietà, collaborazione e customizzazione del prodotto, penso proprio a questi piccoli dettagli che fanno davvero la differenza».

Odyssey Collection si compone di sei micro-collezioni - Gemeni, Hal, Odyssey, Spyral, Space, Nebula - ispirate al film 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. Le sue nuance non sono presenti nelle più note scale dei colori (Ral e Pantone) perché ottenute con un procedimento di laboratorio eco-sostenibile che consente di realizzare la paletta colori da un solo vetro di base. Questa peculiarità, unita alle caratteristiche tecniche della materia prima, rendono l'intera collezione una sintesi perfetta del design contemporaneo in cui bellezza, eco-sostenibilità e funzionalità hanno pari importanza.

«Un'immagine entra a far parte della nostra esperienza visiva - dichiara il designer Andrea Branciforti - e spesso influenza inconsciamente le nostre azioni. Con questa collezione - Odyssey Collection - porto a tavola una materia antica, la pietra lavica, che a prescindere dalla lavorazione che subisce custodisce raccoglie e racconta il viaggio fatto dal magma fino alla sua trasformazione in pietra. Ispirata al film 2001: Odissea nello spazio del grande maestro Stanley Kubrick, la collezione rappresenta sei visioni materiche dell'universo onirico. Le decorazioni s'ispirano al Supercomputer Hal, al Discovery One e alle visioni dell'universo. Il film di Kubrick riesce a parlare contemporaneamente del passato, del presente e del futuro dell'umanità, ponendo interrogativi e riflessioni sulla vita al di fuori della Terra.

Credo soprattutto che Kubrick ci inviti ad avere una nuova consapevolezza del rapporto che lega l'uomo, la terra e l'universo, tematica questa, ancora oggi molto attuale. ll 1968, anno di uscita del film, è stato un anno di grandi rotture, di cambiamenti e di profonde riflessioni. Si fa strada una nuova sensibilità sul design sostenibile. Vengono pubblicate le prime foto del globo terrestre visto dalla luna che porta l'umanità ad un nuovo senso di appartenenza senza più confini fisici specifici e limitanti. Nasce una nuova umanità e una nuova consapevolezza delle tecnologie che, ben presto, entreranno e s'imporranno nelle nostre vite. Qualche anno più tardi, non a caso, uscirà Starman, brano musicale scritto da David Bowie. Questo il pensiero che attraversa la collezione».

Il video-animazione della campagna di lancio della Odyssey Collection è stato realizzato dal giovane artista e illustratore Adriano Di Mauro che ha interpretato con un linguaggio flat e visionario le suggestioni raccontate da Branciforti in merito al film di Kubrick. Le scene sono ambientate tra l'Universo e la Terra, precisamente in Sicilia, dove il protagonista - un astronauta-scimmia-uomo nuovo - avrà modo di conoscere la collezione di sottopiatti di Branciforti e lo street food isolano prima di essere"risucchiato" dall'occhio di Hal che lo trasporterà in un mondo altro non meglio definito, dove tutto può ancora succedere. (Ufficio Stampa Orolavico - Valentina Barbagallo)




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Locandina di presentazione del catalogo interattivo della mostra Materie Prime Artisti italiani contemporanei tra terra e luce Materie Prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce
Catalogo interattivo e multimediale


www.ferrarinarte.it/antologie/senigallia/materie_prime.html

Dopo il successo nel 2019 alla Rocca Roveresca di Senigallia (Ancona) con l'esposizione "Materie prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce", a cura di Giorgio Bonomi, Francesco Tedeschi e Matteo Galbiati, e la presentazione del catalogo Silvana Editoriale al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito di un incontro moderato da Gianluigi Colin, la Galleria FerrarinArte di Legnago (Verona) rilascia una nuova edizione del volume, completamente interattiva e multimediale, per rivivere la straordinaria esperienza della mostra attraverso le parole degli artisti e dei curatori.

Il libro, sfogliabile liberamente e gratuitamente online, si arricchisce con contenuti inediti, videointerviste e approfondimenti dedicati alla poetica dei quindici artisti coinvolti - Carlo Bernardini, Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Franco Mazzucchelli, Nunzio, Paola Pezzi, Pino Pinelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino, Paolo Scirpa, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini e Grazia Varisco - appartenenti a diverse generazioni, ma accomunati da curricula di altissimo livello e dal lavoro condotto con e sulla materia. (Estratto da comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)




La poesia Tape Mark 1 in mostra ___ Tape Mark 1: Poesia Informatica

L'importanza della Storia | Nanni Balestrini

Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net

Tape Mark 1 è una poesia di Nanni Balestrini che risale al 1961, frutto di una collaborazione virtuosa tra Autore e Tecnologia, in questo caso rappresentata da uno dei primi calcolatori IBM. Balestrini, in quell'occasione, predispone tre brevi testi di Michihito Hachiya - di Paul Goldwin (autore di cui si mette in dubbio l'esistenza) e di Lao Tse - e, attraverso l'assegnazione di alcuni codici e di poche regole, lascia al computer l'onere e l'onore di procedere alla stesura della poesia, attraverso un causale sistema di combinazioni. Nel mondo solo quattro - cinque persone stavano contemporaneamente lavorando a esperimenti simili e questo testo è considerato da molti come il primo esempio di poesia informatica.

La natura di grande innovatore e sperimentatore, che caratterizzerà tutta la carriera di Balestrini, si rivela già in quel momento. L'arte della combinazione sarà fondamentale in tutta la poetica di Balestrini, interessato a 'lasciare scaturire un movimento da connessioni imprevedibili' per superare, in questo modo, 'l'aggregazione statica di energie diverse'. Nel 1961, concepisce anche il progetto di un romanzo, Tristano, da riprodurre in un numero illimitato di esemplari, una copia unica e originale per individuo, ma le idee corrono più veloci della tecnologia e Feltrinelli riuscì a pubblicarne, nel 1966, un solo esemplare. Le tecniche di stampa di allora, infatti, non ne consentirono la realizzazione e ci vollero 40 anni e l'avvento della stampa digitale per portare a compimento quell'avvenieristico progetto.

Stiamo inoltrandoci nelle sperimentazioni linguistiche di Balestrini ma, in realtà, quello che è interessante per noi fare emergere qui, è quanto stretto fosse il rapporto tra le varie discipline in cui Nanni si cimentava. E come gli fosse consono collegare la ricerca letteraria e poetica con quella artistica visiva e teatrale performativa. Infatti, Tape Mark 1 nel 2017 diventa un'opera visiva che aprirà la grande retrospettiva allo ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe. Da Tristano scaturisce invece Tristanoil, il film più lungo del mondo, ottenuto grazie al software ideato da Vittorio Pellegrineschi, che approderà niente meno che a Documenta 13, curata quell'anno da Carolyn Christov-Bakargiev. E sarà proprio questa predisposizione di Balestrini verso una 'poesia fatta di impulsi, che andava a rompere la linearità tipografica, a fargli venire l'idea di ritagliare titoli di giornali e farne dei collages'. (...) (Estratto da comunicato della Galleria Michela Rizzo)




Busto femminile in basanite risalente al periodo dell'imperatore Claudio Busto femminile in basanite nella Sezione romana del Museo "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

E' ritornato, dopo otto anni di assenza, l'atteso busto femminile in basanite, importante testimonianza del passato romano della Calabria. Si tratta del busto femminile in basanite, risalente ad età Claudia (41-54 d.C.), rinvenuto nelle vicinanze di Vibo Valentia Marina durante la realizzazione della ferrovia e la costruzione di limitrofe abitazioni di campagna. Il contesto di rinvenimento è da riferire ad un'importante villa suburbana e lo scavo, che ha permesso di definirne meglio le caratteristiche, è avvenuto a più riprese fra il 1894 e la prima metà del '900.

L'opera è di ottima fattura, caratterizzata da una raffinata tecnica di esecuzione e da una perfetta resa della capigliatura, acconciata come prevedeva la moda dell'epoca, che ha consentito di datare la statua al principato di Claudio, imperatore dal 41 al 54 d.C. Al momento del ritrovamento si propose l'identificazione con Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, tuttavia tale ipotesi venne accantonata nei decenni successivi per la mancanza di confronti iconografici convincenti.

La scultura era stata concessa con prestito di lunga durata nel 2012 al Princeton University Art Museum e a seguito dell'impegno della Direzione Generale Musei e del Segretariato Generale del Ministero per i Beni Culturali e il Turismo, è rientrata al Museo "Vito Capialbi" dove sarà esposta nella sezione romana. L'emergenza sanitaria attuale, che ha portato alla chiusura dei Musei, non consente nell'immediato, una adeguata valorizzazione dell'importante reperto; l'esposizione è pertanto rinviata alla riapertura del Museo e sarà occasione di riflessione scientifica attraverso l'organizzazione di una tavola rotonda sul tema della scultura romana, con l'augurio di poterne consentire in seguito, una migliore fruizione grazie anche al supporto delle nuove tecnologie con applicativo digitale. (Comunicato stampa)




Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


La notizia che nei giorni scorsi, presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)




Donazioni alla Galleria Nazionale di Cosenza

La Galleria Nazionale di Cosenza acquisisce a pieno titolo nelle sue collezioni sei interessanti sculture provenienti dalle collezioni della famiglia Bilotti. Incrementano da oggi il patrimonio del museo, illustrando importanti segmenti dell'arte italiana del Novecento, le seguenti sculture Cavallo e cavaliere con berretto frigio di Giorgio de Chirico, Portatrice di fiaccola di Emilio Greco, Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai, Onice e Solida di Pietro Consagra, Gigantea di Mimmo Rotella.

Le sculture sono già presenti nel museo ed esposte in via definitiva, ad esclusione della Grande maternità di Antonietta Raphael Mafai che sarà presentata a conclusione degli interventi di manutenzione e restauro di cui necessita. La donazione fa seguito alle altre che recentemente hanno concluso il loro iter. Sono infatti entrate a far parte delle collezioni museali anche le opere Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni, donata da Roberto Bilotti Ruggi d'Aragona, e Natura donata dall'artista cosentino Giulio Telarico, già in esposizione rispettivamente nella sezione grafica dedicata all'artista futurista e nella sezione di Arte Contemporanea.

Il Polo Museale e la Galleria Nazionale di Cosenza hanno frattanto avviato le procedure finalizzate all'acquisizione in comodato d'uso gratuito di cinque disegni di Umberto Boccioni; i disegni a conclusione dell'iter andranno ulteriormente ad arricchire la sezione grafica dedicata al maestro del Futurismo. Le acquisizioni portate a felice conclusione e quelle in programma sono frutto di intese e accordi che rientrano fra gli obiettivi che il Polo Museale della Calabria e la Galleria Nazionale si sono posti per promuovere relazioni proficue con il territorio, accrescere, valorizzare il patrimonio d'arte e cultura e favorirne la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa)




Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali

Il gruppo Alenfado con i sei musicisti in abito scuro Alenfado in concerto
"Palermo incontra il Portogallo"


11 dicembre 2023, ore 21.00
Teatro Agricantus - Palermo
Locandina

In collaborazione con il Consolato del Portogallo a Palermo, e col patrocinio dell'Ambasciata del Portogallo a Roma e del Instituto Camões di Cultura Portoghese, gli Alenfado presentano un viaggio lungo il Portogallo e la Sicilia, attraverso brani musicali e letture, mettendo in risalto le somiglianze e le assonanze tra la cultura portoghese e quella siciliana, sia nelle espressioni musicali, sia nelle tematiche comuni, quali la nostalgia, il fatalismo, il viaggio, la separazione, la rassegnazione e la speranza. Gli Alenfado eseguiranno brani di fado tradizionale e moderno, e canzoni popolari portoghesi e siciliane. Un attento equilibrio tra tradizione e sperimentazione, sottolineato dal suono unico e vibrante della chitarra portoghese.

Il gruppo Alenfado, composto da sei musicisti palermitani, si è formato nel 2015 con l'intento di diffondere la conoscenza del fado, la tipica canzone popolare portoghese. Ha svolto un'intensa attività esibendosi in numerose stagioni concertistiche, rassegne e festival musicali. Nel 2022, in particolare, il gruppo ha partecipato al II Festival Internazionale do fado "do mar e dos portos" di Senigallia.

Il 22 maggio 2020 è uscito il primo CD del gruppo Alenfado, intitolato Passeando. Contiene dodici brani in lingua portoghese, spagnola e siciliana, tra cui due composizioni inedite, una delle quali con testo del giornalista e scrittore Daniele Billitteri. Il titolo portoghese Passeando, che vuole intenzionalmente e significativamente richiamare il termine siciliano Passiando (nonché lo spagnolo Paseando), evoca una passeggiata musicale attraverso il Portogallo, la Spagna, l'America Latina e la Sicilia.

Dalle malinconiche atmosfere del fado dei quartieri di Lisbona si giunge alla scoperta di assonanze con le sonorità e le tematiche esistenziali e narrative di altre musiche popolari, quali la nostalgia, la lontananza e l'esilio di Fado triste, Meu fado meu e A chi vali unni nascisti, o le pene d'amore e il vittimismo di Com que voz, Algo contigo, Que nadie sepa mi sufrir, Fatum, Alfama, in un comune sentimento di fatalismo che permea tutti i brani, e che talora si combina anche con sentimenti gioiosi e positivi, così come avviene nella vita reale. (Estratto da comunicato di presentazione)




Locandina di The Desert People The Desert People
di David Lamelas


11 dicembre 2023, ore 20.30
FilmClub - Bolzano
www.fondazioneantoniodallenogare.com

La Fondazione Antonio Dalle Nogare presenta presso l'opera filmica dell'artista David Lamelas, dal titolo The Desert People (1974). Il film è pensato come animazione e approfondimento della mostra in corso presso la Fondazione, David Lamelas. I Have to Think About It. Part II. Fra realtà e finzione, esso fu concepito come "studio sulla produzione cinematografica americana", un documentario ma anche la sua critica. Il racconto di esperienze e condizioni di vita nella riserva dei nativi americani Tohono O'odham evoca un road movie intervallato da interviste da cui emerge il rischio di compromissione e perdita della cultura indigena. Introducono la proiezione David Lamelas (in collegamento da Buenos Aires) e il curatore Andrea Viliani. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)




Locandina della rassegna La deutsche vita "La deutsche vita"
26 ottobre 2023 - 22 febbraio 2024
Cantieri culturali alla Zisa - Palermo
www.goethe.de/ins/it/it/sta/pal.html

Rassegna cinematografica del Goethe-Institut Palermo. Sedici film in versione originale con sottotitoli italiani ogni giovedì con due proiezioni: una pomeridiana alle ore 17 e una serale alle ore 20.30 sempre a ingresso libero. Per le scuole interessate sono previste proiezioni speciali in giorni e orari da concordare.

- Calendario delle proiezioni

26.10. In den Gängen (Un valzer tra gli scaffali)
02.11. Sommerhäuser (The Garden: Segreti di famiglia)
09.11. Freies Land (Free Country)
16.11. Herbert
23.11. Alle reden übers Wetter (Tutti parlano del tempo)
30.11. Mein Sohn (My Son)
07.12. Cleo
14.12. Curveball - Wir machen die Wahrheit (Curveball - Noi creiamo la verità)
21.12. Ein Geschenk der Götter (Un dono degli dei)
11.01. Mein Ende. Dein Anfang. (La mia fine. Il tuo inizio.)
18.01. Victoria
25.01. Der Hauptmann (The Captain)
01.02. Leif in Concert
08.02. Die Innere Sicherheit (La sicurezza interna)
15.02. Who Am I - Kein System ist sicher (Who Am I)
22.02. Alice in den Städten (Alice nelle città) Omaggio nel 50. anniversario




Locandina del concerto Music for Picture nel programma dei concerti della Orchestra Sinfonica di Matera Stagione concertistica della Orchestra Sinfonica di Matera
06 luglio - 30 dicembre 2023
Matera e provincia e Altamura
www.orchestrasinfonicamatera.it

Quindici produzioni per trentatré concerti. La seconda stagione sinfonica organizzata e promossa dalla Fondazione Orchestra Sinfonica di Matera (Fosm) è ricca di appuntamenti, contenuti e collaborazioni: dal Teatro Mercadante di Altamura, al Festival Duni, al Fadiesis Accordion Festival, al Premio Internazionale Paganini, all'Arcidiocesi di Matera - Irsina - Tricarico e al Comitato organizzatore dei festeggiamenti per Maria Santissima della Bruna. Suddiviso in stagione estiva e stagione autunnale il calendario dei concerti vedrà l'Orchestra Sinfonica di Matera impegnata, dal 6 luglio al 2 settembre, in cinque produzioni che saranno eseguite a Matera e in altri 15 comuni della provincia: Accettura, Bernalda, Grassano, Irsina, Miglionico, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Nova Siri Scalo, Pisticci, Policoro, Pomarico, Scanzano Jonico, Tursi e Valsinni.

La stagione autunnale si aprirà il 21 settembre a Matera con l'orchestra che accompagnerà l'esibizione del pianista pugliese Benedetto Lupo, uno dei talenti più interessanti e completi della sua generazione, e terminerà con il 30 dicembre con il concerto di fine anno con un ospite d'eccezione: il violinista che risulterà vincitore Premio Paganini 2023. L'Orchestra Sinfonica di Matera è stata selezionata per ospitare il prossimo vincitore del concorso internazionale di violino 'Premio Paganini' in programma a Genova a ottobre 2023 che, nel 2024, si esibirà al museo del Louvre di Parigi e alla Guildhall di Londra accompagnato dalla London Symphony Orchestra.

"Con il cda e il direttore artistico Saverio Vizziello - afferma la presidente della Fosm Gianna Racamato - ci siamo impegnati per presentare una stagione sinfonica, la nostra seconda stagione, di rilievo e con importanti nomi del panorama musicale internazionale. La stagione concertistica estiva "Da Rosini a Rossini" si aprirà il 6 luglio con il concerto, organizzato in collaborazione con il Conservatorio Duni di Matera, Music for Pictures. In piazza San Francesco d'Assisi un'orchestra di 70 elementi eseguirà musiche di: Morricone, Rota, Bacalov, Horner, Williams, Zimmer. Composizioni tratte da colonne sonore di famosi film che il pubblico gusterà anche grazie alle installazioni video di MaterElettrica".

La stagione estiva proseguirà il 12 luglio a Tricarico, nella Basilica Cattedrale i cori: Canteuterpe e Corale Diocesana santa Cecilia di Tricarico, della Polifonica Materana "Pierluigi da Palestrina", dei Cantori Materani e Totus Tuus con i solisti Biancamaria Tivelli, soprano, Liliana Guellour, mezzosoprano e Leonardo Gramegna, tenore si esibiranno con l'orchestra su musiche e diretti da Mons. Frisina.

Il 16 luglio a Pomarico, il 17 a Miglionico, il 18 a Montescaglioso, il 19 a Pisticci, il 20 a Nova Siri Scalo, il 16 agosto a Montalbano Jonico, il 17 a Bernalda, il 23 a Policoro, e il 24 agosto a Scanzano Jonico le più belle canzoni di Lucio Battisti saranno protagoniste di Battisti per sempre, un concerto che vedrà la formazione orchestrale, diretta da Vito Andrea Morra, accompagnare il musicista Mario Rosini, voce e pianoforte, e l'attore Giuseppe Ranoia, voce recitante. Ad agosto l'orchestra Sinfonica di Matera con il soprano Martina Tragni, il mezzosoprano Mariangela Zito, il tenore Vincenzo Casertano e il baritono Vincenzo Parziale renderà omaggio alle più note arie d'opera con il concerto Sulle ali del Bel Canto, appuntamento l'8 agosto ad Accettura, il 9 a Valsinni, il 10 a Tursi, l'11 a Irsina, il 12 a Bernalda e il 13 a Grassano.

La stagione estiva si concluderà il 2 settembre a Matera con Fantasia sinfonica para un hombre de tango. Realizzato in collaborazione con il Fadiesis Accordion Festival, per qest'ultimo appuntamento con l'Orchestra Sinfonica di Matera, diretta da Roberto Laganaro, saliranno sul palco dell'Auditorium Raffaele Gervasio Cesare Chiacchiaretta al Bandoneon, Gianni Fassetta alla Fisarmonica e Marco Colacioppo al pianoforte.

"Una pausa di pochi giorni e dal 21 settembre - anticipa il direttore artistico Saverio Vizziello - il pubblico potrà ascoltare l'Orchestra Sinfonica di Matera in una serie di concerti che spaziano da Beethoven a Dvorak, da musiche composte appositamente per la nostra orchestra a Vivaldi, nell'ambito della collaborazione con il Comune di Pomarico. Fra i concerti in calendario nella stagione autunnale 2023 ben quattro li eseguiremo al Teatro Mercadante di Altamura. In collaborazione con l'ente musicale pugliese eseguiremo il 17 dicembre l'opera in un atto di Saverio Mercadante: Don Chisciotte alle nozze di Gamaccio". (Estratto da comunicato stampa Fondazione Orchestra Sinfonica di Matera - FOSM)




Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


Pagina dedicata







Sicilia: Turismo 2022 | Una molteplicità di rilevazioni favorevoli dai turisti nell'Isola della Trinacria

Non è turismo di prossimità, ovvero il passaggio e la permanenza occasionale in un luogo che si trova nel percorso verso la meta prevista. Il turismo in Sicilia è scelta consapevole di volontà e desiderio. Il turista che visita la Sicilia decide di visitare la Sicilia. La Sicilia è il Centro, è il lontano Ovest dei Fenici e dei Greci, l'Oriente Europeo della Spagna Imperiale, il Nord dei Vandali dopo l'incrocio con i Berberi, il Sud solare e mitologico per Goethe e Wagner.

Articolo di Ninni Radicini




L'archivio di Citto Maselli donato al Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale

Francesco Maselli, per tutti Citto, ha deciso. Il suo archivio, le carte e i ricordi di una vita a cavallo fra cinema e politica, andranno al Centro Sperimentale di Cinematografia, la scuola di cinema dove il regista si è diplomato giovanissimo, e dove a più riprese ha insegnato. Lo annunciano la presidente del CSC, Marta Donzelli, e il conservatore della Cineteca Nazionale, Alberto Anile: l'acquisizione è una delle ultime iniziative di Felice Laudadio, prima della fine del suo mandato da presidente del CSC, e nasce da un'antica amicizia fra lo stesso Laudadio, Maselli e la sua compagna di vita e di lavoro, Stefania Brai.

Il fondo verrà conservato dalla Cineteca Nazionale per quanto concerne i materiali filmici e le fotografie, e dalla Biblioteca Luigi Chiarini, sempre all'interno del CSC, per i materiali cartacei. Si tratta di soggetti, sceneggiature di film non realizzati, articoli, foto, tesi di laurea su Maselli, recensioni di suoi film, pellicole (tra cui diverse scene non montate del film Lettera aperta a un giornale della sera), provini e centinaia di lettere, compreso un ricchissimo carteggio con decine di esponenti politici, a testimonianza della lunga militanza di Maselli prima nel PCI, poi in Rifondazione Comunista.

"È un cerchio che si chiude", dichiara Maselli, ricordando i tempi in cui è stato studente del CSC e l'esame di ammissione durante il quale, a interrogarlo, c'era Michelangelo Antonioni, di cui poi sarebbe diventato amico e collaboratore: "A ogni mia risposta faceva segno di no con la testa, e io pensavo di avere sbagliato. Poi capii che era un tic nervoso". L'archivio di Maselli andrà ora ordinato e catalogato, e sarà poi a disposizione degli storici e degli studiosi, come già i numerosi, importantissimi fondi custoditi presso la Cineteca Nazionale. (Comunicato stampa)




FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Fermoimmagine dal film La scuola allievi Fiat Tutti in classe!
www.youtube.com/playlist?list=PL15B-32H5GlJRTfrCCc-ZlSRBJ0DRvP1K

Rassegna online di materiali d'archivio organizzata dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea che è parte della Cineteca Nazionale. La playlist Tutti in classe, disponibile sul canale Youtube CinemaimpresaTV, racconta la scuola grazie ai tanti punti di vista offerti dai film conservati a Ivrea: dalle rigide scuole per allievi Fiat degli anni Sessanta, ai comunicati pubblicitari che invitano a l'acquisto di prodotti scolastici a prezzi popolari o di raffinate macchine da scrivere Olivetti.

"Tutti in classe" termina con La scoperta della logica, diretto da Franco Taviani per Olivetti, il film descrive un esperimento didattico volto a insegnare agli alunni delle classi elementari la matematica con il sussidio del gioco e dell'osservazione del mondo reale, per arrivare a comprendere quali sono le tappe che portano i bambini alla scoperta della logica. Insomma, uno sguardo sulla scuola dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta per ricordare il periodo della vita di ognuno in cui l'ansia per un compito in classe era il problema più grande che potevi avere. (Estratto da comunicato ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia)

___ Programma

- Seconda D (Basilio Franchina, 1951, 12')
- Giorno di scuola (Giorgio Ferroni, 1954, 10')
- La scuola allievi Fiat Giovanni Agnelli (Stefano Canzio, 1962, 14')
- Olivetti, Lettera 32 (Aristide Bosio, 1965, 1')
- Mi ricordo... I primi giorni di scuola (ca. 1965/1972, 1')
- Vieni alla Standa e guarda il prezzo (ca. 1970-1979, 1')
- La scuola comincia alla Standa (1977, 2')
- La scoperta della logica (Franco Taviani, 1970, 13')




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti
un film di Yervant Gianikian
alla 75esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri

Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Locandina della presentazione del libro Cannoli Siciliani scritto da Roberta Corradin Cannoli Siciliani
Mare, amore e altre cose buone
di Roberta Corradin, Giunti editore, p. 320, euro 18,00


Il libro è stato presentato il 10 novembre 2023 presso Lo Spazio Pistoia - Libreria Bacaro

Mare, sole, amore: la Sicilia d'estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l'isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po' arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent'anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto.

Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un'opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d'amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.

Classe 1964, Roberta Corradin ha scritto Ho fatto un pan pepato... Ricette di cucina emotiva (Zelig 1995), Un attimo, sono nuda (Piemme 1999), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi 2008), La repubblica del maiale (Chiarelettere 2013), Piovono mandorle (Piemme 2019). Traduce dal francese e dall'inglese le fortunate serie di Katherine Pancol e Richard Osman. Ha avuto il privilegio di vivere in luoghi affascinanti, tra cui Parigi, New York, Cambridge, la Sicilia sudorientale, dove ambienta i suoi libri. Su Instagram @rocorradin per conoscere i suoi nuovi progetti in Sicilia e per visitare e soggiornare con lei nelle location del libro. (Comunicato stampa)




Omaggio a Giorgio Orelli, paesaggio buio con due persone che guardano un palco con due cani che osservano la Luna Giorgio Orelli
Struttura Luce Poesia. Gli scritti sull'arte


Il libro è stato presentato il 9 novembre 2023 al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona
www.villacedri.ch

A conclusione della mostra «I più bei libri svizzeri», la presentazione del volume, risultato di una coedizione tra Edizioni Casagrande e Museo Villa dei Cedri. Per l'occasione saranno presenti il curatore del volume, Ariele Morini, Matteo Terzaghi, Edizioni Casagrande, e la direttrice del Museo Carole Haensler.

Il volume raccoglie gli articoli pubblicati su riviste o quotidiani e i testi di presentazioni di mostre e cataloghi redatti da Giorgio Orelli tra il 1950 e il 1984. Estremamente sensibile al discorso artistico, l'autore inventa un nuovo linguaggio per parlare d'arte, che si muove fra la saggistica e il racconto. Orelli riconosce la sua posizione di osservatore ma non per questo il suo sguardo e modo di esprimersi cade nella semplicità o nel generico: individua e descrive abilmente lo stile dell'artista e le caratteristiche della sua produzione.

Nella pubblicazione sono contemplate opere di: Ubaldo Monico, Giuseppe Bolzani, Attilio Balmelli, Italo Valenti, Massimo Cavalli, Pierino Selmoni, Filippo Boldini, Renzo Ferrari, Flavio Paolucci, Alberto Salvioni, Bruno Morenzoni, Piero Travaglini, Mario Marioni, fra' Roberto, Cesare Lucchini, Giovanni Genucchi, Alina Kalczynska, Carlo Carrà, Guido Vicari, Bruno Nizzola. (Comunicato di presentazione)




Opera di Piero Fogliati in una copertina Luce e Suono
L'utopia di Piero Fogliati
ed. Lorenzelli Arte


Il volume è stato presentato l'11 novembre 2023 allo Spazio Atelier del teatro Elfo Puccini, Milano

"Poeta della luce", com'è stato più volte definito, sperimentatore delle potenzialità liriche del suono, convinto assertore di un fondamento umanistico della scienza, Piero Fogliati (Canelli 1930 - Torino 2016) è al centro di un volume che ne ricostruisce l'intero percorso espressivo grazie a testi di Tommaso Trini, Giuliano Gori, Giuseppe Panza di Biumo, Volker Feierabend tra gli altri. Interverranno Paolo Fogliati e Fiorenzo Grassi. Modererà Roberto Borghi.

Nel 1981 Fogliati realizzò l'allestimento scenico di Banana lumière, uno spettacolo di Valeria Magli al Teatro di Porta Romana che si avvaleva di una drammaturgia in versi di Nanni Balestrini e di musiche originali di John Cage e Walter Marchetti. Fondatore e direttore del Porta Romana, che nel 1992 si associò all'Elfo per dare vita ai Teatridithalia, Fiorenzo Grassi, oggi direttore dell'Elfo Puccini, rievocherà la storia di quel teatro e soprattutto di quella stagione creativa.

Gli iscritti alla newsletter di Lorenzelli Arte potranno acquistare i biglietti ridotti a 14 euro per la replica dello spettacolo "Mulinobianco" di Babilonia Teatri, di sabato 11 novembre, ore 19.30 al Teatro Elfo Puccini. "Mulinobianco" è uno spettacolo che si interroga sul rapporto tra uomo e natura, tema centrale nel lavoro di Piero Fogliati, con uno spirito caustico e poetico allo stesso tempo. (Comunicato Lorenzelli Arte)




Copertina del libro Tutto qui di Nicola Guarino Tutto qui
di Nicola Guarino, Graphe.it edizioni


Il libro è stato presentato il 31 ottobre 2023 alla Fondazione Mudima di Milano
www.mudima.net

Gli otto racconti che compongono questa raccolta restituiscono un profilo di eleganza alla narrativa contemporanea. Devono questo privilegio a una scrittura pulita, impeccabile nella scelta delle parole e capace di dipingere scenari e sensazioni in pochi essenziali tratti. Al centro della vicenda, spesso un individuo soltanto: i suoi gesti quotidiani, il suo stare e fare che prendono uguale e giusto tempo nella narrazione, all'interno della quale si dipanano le sfumature personali, i fatti, i non detti e i significati che le cose assumono per ciascuno, viste dall'interno, e per gli altri che vi partecipano da fuori.

E gli spazi: un Sud senza tempo che ci sembra di conoscere da sempre, racchiuso nel dettaglio di una ringhiera di ferro o nei gessi dei soffitti che appaiono "come dune di sale" agli occhi del protagonista. Come se tutta la vita fosse fare due passi nel quartiere, un calcio al pallone, affacciarsi al terrazzino a veder scorrere la propria storia, compresa la sua fine. La presentazione sarà animata dal Prof. Roberto Giacone, già presidente della Maison d'Italie a Parigi e Vice direttore della locale sede della Dante Alighieri e dallo stesso autore.

Nicola Guarino, nasce nel 1958 ad Avellino, ultimo di una famiglia numerosa che si trasferisce ben presto a Napoli. Qui compie gli studi classici e, in seguito, si laurea in Giurisprudenza alla Federico II. Negli anni del liceo collabora con l'Unità e Paese Sera e poi, per mantenersi durante gli studi universitari, lavora all'ippodromo di Agnano. Diventato avvocato, ha fatto parte del Consiglio nazionale di Legambiente. Appassionato di cinema ha curato diverse rassegne e festival sia a Napoli che a Parigi, città in cui vive dal 2004 e in cui insegna lingua italiana all'Università della Sorbona e a Créteil Paris 12. È tra i fondatori della testata online Altritaliani.net. (Comunicato stampa)




Gaetano Rapisardi. Architetto 1893-1988
a cura di Clementina Barucci e Marco Falsetti, Campisano Editore, Roma 2022

* Il libro è stato presentato il 16 ottobre 2023 all'Accademia Nazionale di San Luca - Roma
www.accademiasanluca.it

Il volume si propone di far luce sull'opera del progettista siciliano ricostruendone un profilo quanto più possibile esaustivo, al fine di colmare una pagina rimasta troppo a lungo incompleta. Noto soprattutto per gli edifici della Sapienza - le Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza - e per il grande complesso della piazza e della basilica del Don Bosco al Tuscolano degli anni Cinquanta, Gaetano Rapisardi è ricordato nella storiografia perlopiù come fidato collaboratore di Marcello Piacentini.

Tale inquadramento, a nostro avviso riduttivo, dimentica (e talvolta omette) la complessità dell'opera rapisardiana nonché l'interessante sfida tipologica che ha visto l'architetto confrontarsi con una eccezionale varietà di temi, specialmente nel periodo del dopoguerra quando Rapisardi, insieme al fratello Ernesto (spesso coautore delle opere), interrompe la collaborazione con il Maestro (mantenendo comunque rapporti molto cordiali). Si è cercato di restituire, attraverso questo studio, tutto il complesso del suo lavoro, che annovera oltre 150 opere conosciute ad oggi, alcune delle quali solo mediante riferimenti contenuti in carteggi o documenti d'archivio.

I progetti e le realizzazioni di Rapisardi interessano un arco temporale molto ampio, che va dall'inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta, e che copre dunque oltre un cinquantennio di attività professionale. A fronte di una instancabile opera di disegno, di progettazione e di cantiere non si registra, sfortunatamente, un'altrettanta intensa produzione teorica (se si eccettua qualche relazione di progetto) alla qual cosa si deve l'equivoca interpretazione della sua opera.

Rapisardi fu infatti, per quanto ci è dato di sapere dalle rare testimonianze dirette raccolte, dedito soprattutto all'attività progettuale e di disegno, assorbito al punto dal non trovare il tempo di sistematizzare questa sua opera all'interno di un corpus teorico, il che non implica naturalmente che tali realizzazioni mancassero di "spessore critico", come è stato talvolta ingiustamente sotteso. Il volume è pubblicato con il supporto del Dipartimento di Storia disegno e restauro dell'architettura dell'Università di Roma "Sapienza". (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Piero Gobetti L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023


Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli
www.fondazionerossisalvemini.eu

Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)




Locandina per la presentazione del libro Lo stato delle cose di Chiara Alessi "Lo stato delle cose. Breve storia della Repubblica per oggetti"
di Chiara Alessi, edito da Longanesi

Il libro è stato presentato il 17 marzo 2023 alla Libreria Mondadori di Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

Un nuovo appuntamento con l'iniziativa "Olivetti Readings", un ciclo di letture e commenti con gli autori di alcune pubblicazioni provenienti dalla nostra biblioteca. Alla serata l'autrice dialoga con Enrico Bandiera, direttore dell'Associazione Archivio Storico Olivetti. Nel volume vengono citati anche alcuni tra i più noti prodotti Olivetti, come la macchina da calcolo Divisumma 14 e la macchina per scrivere Lettera 22.

«Il Novecento non è raccontabile se non attraverso le cose che ha prodotto. Le cose come sintomi. Questo vale per le invenzioni, per la loro diffusione, ma anche per lo stile, anzi gli stili che ha concepito e che a loro volta hanno influenzato società, costumi, culture. E vale soprattutto per il nostro Paese, che è lo Stato delle cose». Dopo Tante care cose, Chiara Alessi torna a raccontarci chi siamo e da dove arriviamo ripercorrendo la traccia storica e umana lasciata dagli oggetti che abbiamo amato. In queste pagine sfilano sei "cose" comuni e straordinarie che non solo hanno attraversato il tempo, ma l'hanno anche fatto.

Spesso passandosi un inatteso testimone, perché non ci si pensa quasi mai ma la storia delle cose si muove. E noi con lei. Cose che hanno coinciso completamente con un'immagine, con un momento, con un racconto, fino a diventare l'immagine, il momento, il racconto, spesso finiscono poi per superarlo e trasformarsi in qualcosa di completamente diverso, ed è in questa non coincidenza tra quello che le cose dicono e che le cose fanno, e l'immagine che restituiscono di noi, che val la pena di guardare oggi. Per capire meglio la strada fatta fin qui, e provare a intuire dove potrebbe ancora portarci. (Comunicato di presentazione Associazione Archivio Storico Olivetti)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Copertina del libro di poesie E l'alma si spaurì di Marco Pavone con in copertina il dipinto di un un uomo pensieroso seduto su uno sgabello E l'alma si spaurì
di Marco Pavone, Kemonia Edizioni, prefazione di Maria Gabriella Riccobono, Palermo 2022
 

Il libro è stato presentato il 13 gennaio 2023 alla Casa dell'equità e della bellezza (Palermo)

Daniele Billitteri e Anna Li Vigni presenteranno la raccolta di poesie di Marco Pavone. Un percorso interiore lungo decenni, dal 1976 al 2002, alla fine del quale «ritrovarsi per riconoscersi»: questo è "E l'alma si spaurì". Lungo questo cammino Marco Pavone è riuscito a mettere a nudo i suoi sentimenti più intimi e profondi, le cicatrici della sua anima, le sue paure e debolezze. Nel corso della serata intrattenimento musicale a cura del gruppo musicale Alenfado.

Marco Pavone (Palermo, 1959) negli anni del liceo scrive i primi componimenti poetici. Nel 1982 si laurea in matematica all'Università degli Studi di Pisa. Nel 1989 consegue un Ph.D. in matematica presso la University of California, Berkeley. Dopo un breve periodo trascorso come ricercatore al Politecnico di Torino, dal 1993 è professore associato di Analisi Matematica presso l'Università degli Studi di Palermo. È appassionato di indovinelli di logica, canto sacro corale, origami, poesia, Divina Commedia e musica classica. Per il gruppo musicale palermitano Alenfado ha composto la melodia di quattro brani, due dei quali pubblicati nel CD Passeando. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori




Tra due mondi. Storia di Philip Rolla
di Maria Grazia Rabiolo, Edizioni Fondazione Rolla, 2022, pp. 128, 210x148 mm, 20Chf/20Euro


Il libro è stato presentato il 15 ottobre 2022 presso La Filanda a Mendrisio (Svizzera)
www.rolla.info

Partito dalla California non appena conclusa l'Università, Philip Rolla fa il percorso inverso rispetto ai suoi nonni, arrivati a inizio Novecento dal Piemonte. La sua avventura professionale inizia a Torino e proseque nella Svizzera italiana. Ingegnere artigiano, è l'inventore delle eliche più performanti a livello internazionale. Il suo nome è legato al mondo della motonautica e delle imbarcazioni in generale. Ma da sempre coltiva una grande passione per l'arte contemporanea e per la fotografia.

La sua esistenza si svolge dunque tra Stati Uniti, che non ha mai dimenticato, ed Europa, Svizzera in particolare. A Bruzella, nella Valle di Muggio, dove risiede con la moglie Rosella, ha costituito una collezione di opere d'arte importante e una fondazione che organizza con regolarità esposizioni fotografiche negli spazi dell'ex scuola d'infanzia. La sua è un'esistenza decisamente particolare e interessante. La biografia di Maria Grazia Rabiolo la ripercorre tappa dopo tappa, con rigore e partecipazione al contempo. Ne emerge il ritratto di un uomo, di un professionista e di un collezionista a dir poco speciale, difficilmente imitabile.

Maria Grazia Rabiolo, nata nel 1957 a Losanna (Canton Vaud) e cresciuta a Viganello (Cantone Ticino), è laureata in Lettere all'Università degli Studi di Milano. Giornalista culturale, ha lavorato per trentaquattro anni alla RSI - Radiotelevisione svizzera di linqua italiana. (Comunicato Rolla.info)




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




Gaetano e i Salvemini
di Mauro Salvemini, ed. Albatros edizioni

Il libro è stato presentato il 25 giugno 2022 alla Biblioteca Civica "Farinone-Centa" di Varallo

In questo libro Mauro Salvemini ripercorre le vicende, politiche ma soprattutto personali, di cui sono stati protagonisti i membri della famiglia Salvemini, uomini e donne uniti dal forte legame con la loro terra d'origine, animati da un profondo desiderio di portare avanti le proprie convinzioni e disposti a sacrificarsi ai limiti del possibile per aiutarsi reciprocamente. A partire da Gaetano Salvemini, figura di spicco dell'antifascismo, il lettore si trova ad attraversare un'epoca, a conoscerla e a fare i conti con le grandi ingiustizie e le piccole gioie che l'hanno resa indimenticabile. A fare della lettura un'esperienza ancora più intensa, un ricco corpus di lettere e foto appartenenti all'autore, che offre così un viaggio a tutto tondo nella sua storia familiare e la tramanda ai posteri. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

---

The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dmitrij Sostakovic Il grande compositore sovietico Dmitrij Sostakovic
Il grande compositore sovietico


Il libro è stato presentazione il 28 gennaio 2022 alla Fondazione Mudima di Milano
www.mudima.net

Questo titolo ha suscitato vivaci reazioni: alcuni vi videro solamente la connotazione politica, come fece Quirino Principe in una bella recensione piena di lodi scrivendo che un "... volume di tale importanza avrebbe fatto meglio a non definire [il compositore] "sovietico" bensí russo", molti vi lessero un significato più ampio di "determinativo storico" (Rosanna Giaquinta) ma quasi nessuno lo percepì come una connotazione di appartenenza di Šostakovic intrinseca e indissolubile e, dunque, sovraideologica, al paese in cui visse e operò, una volta chiamato URSS.

Ideato da Gino Di Maggio e Anna Soudakova Roccia che per più di 3 anni ha svolto meticolose ricerche sulle fonti bibliografiche e fotografiche, con preziosi contributi di Daniele Lombardi e Valerij Voskobojnikov, il libro costituisce un unicum in quanto offre un inedito e duplice sguardo, russo e italiano, sulla musica e sul milieu politico e storico-culturale stimolando il lettore a scoprire o comprendere meglio la personalità e la spiritualità creativa di Dmitrij Dmitrievic Šostakovic e il tempo in cui visse. Per amare la sua musica con più consapevolezza.

I due articoli dell'incipit, di Gino Di Maggio e di Daniele Lombardi, introducono i temi che verranno affrontati dai saggisti con toni e punti di vista diversi, a volte anche opposti. Questa multivisione rende il libro avvincente e stimolante. Il volume è suddiviso in tre sezioni. La prima, Pietrogrado-Leningrado, racconta attraverso due saggi di Anna Petrova, direttrice editoriale del Teatro Mariinskij, la realtà dopo lo scoppio della rivoluzione d'Ottobre e l'entusiasmo utopico di cui fu pervasa la città negli anni dell'adolescenza e giovinezza di Šostakovic.

La seconda, Musica, raccoglie i saggi di autorevoli musicologi italiani e russi: l'articolo di Ivan Sollertinskij, intimo amico del compositore e mitico direttore della Filarmonica di Leningrado, scritto nel 1934 in occasione della prima assoluta di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk al Teatro Malyj di Leningrado - un'autentica chicca bibliofila scovata negli archivi del teatro Michajlovskij; ben tre articoli di Levon Hakobian, Luigi Pestalozza e Edoardo De Filippo su "Il Naso", la prima avanguardistica opera del ventiquattrenne compositore; tre saggi di Franco Pulcini, Roberta De Giorgi, e Manašir Jakubov, fondatore dell'Archivio Shostakovich di Mosca, sulla scandalosa opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk che suscitò l'ira di Stalin con nefaste conseguenze per il compositore; sarà gioia per gli appasionati della musica da camera leggere la rassegna critica di Jakubov di tutti i quindici quartetti; e il raffinato saggio di Dino Villatico sul Secondo concerto per violino e orchestra.

Ai tragici eventi dell'assedio di Leningrado sono dedicati La Settima sinfonia di Oreste Bossini e Ascolta! Parla Leningrado! Cronistoria di un concerto di Anna Soudakova Roccia Vi sono dei saggi dedicati al teatro, al balletto e al cinema. Nel contributo Klop al Teatro Mejerchol'd: tre geni per una cimice Anna Soudakova Roccia ripercorre la prima esperienza teatrale del ventiduenne compositore durante le prove di La cimice di Vladimir Majakovskij, l'avvincente e drammatico rapporto di amicizia e collaborazione artistica di Vsevolod Mejerchol'd con il poeta: un'esperienza che segnò tutta la vita artistica di Šostakovic.

Il giovane compositore amava molto il balletto e scrisse musica per L'età dell'oro (1930) e Il bullone (1931). Al primo balletto è dedicato il saggio di Dmitrij Braginskij tratto dal suo libro Šostakovic e il calcio: territorio di libertà, in cui ripercorre le trame dei vari rifacimenti di sceneggiature che portarono il balletto al grande ma breve successo sul palcoscenico del teatro Mariinskij (ex Gatob). Il tema dell'importante ruolo del cinema nella musica del compositore è affrontato dalla studiosa dell'Archivio Shostakovich di Mosca, Olga Dombrovskaja.

Parte molto importante di questa sezione sono i ricordi: quello personale del compositore sulla sua visita al Festival di Edinburgo nel 1962 o di coloro che lo incontrarono: Evgenij Evtušenko, celebre poeta sovietico, che rievoca la cronistoria della Tredicesima sinfonia, scritta sui testi del suo coraggioso poema Babij Jar; Luciano Alberti e Erasmo Valenti, testimoni della "contorta fortuna" del compositore in Italia, osteggiato dalla critica e dalle avanguardie musicali; Valerij Voskobojnikov che nel suo saggio Mio Šostakovic ripercorre i ricordi privati, i primi incontri con la sua musica a Mosca e gli sforzi per promuoverla in Italia. L'ultima sezione Šostakovic e il suo tempo ospita una preziosa autobiografia del compositore, un'importante articolo di Levon Hakobian Šostakovic e il potere sovietico, il cui rapporto ancor oggi, dopo quasi mezzo secolo dalla morte del compositore, è fonte di scontri politico-ideologici.

Chiude il volume il capitolo Frammenti di vita di Dmitrij Šostakovic raccontati attraverso le fotografie, in cui l'autrice, Anna Soudakova Roccia, ha raccolto alcuni fatti salienti della vita straordinaria, piena anche di inaspettati aneddoti, del grande compositore che marcò il tempo in cui visse con il proprio nome facendo scrivere ad Anna Achmatova nella dedica: "A Dmitrij Šostakovic, nella cui epoca io vivo" e a diventare, come scrisse L. Hakobian, "il più fedele e stoico chronachista musicale... e un esempio di uomo sovietico nella sua più alta evoluzione, quale non apparirà, presumibilmente, mai più". Nel corso della serata saranno proiettate immagini inedite e straordinarie fotografie d'epoca di cui è corredato il libro grazie alle concessioni di prestigiosi musei russi e enti italiani e verrà proiettato il film Sonata per viola di Alexandr Sokurov, regista russo e premiato con il Leone d'oro a Venezia. (Estratto da comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

---

David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Copertina del libro Calabria terra di capolavori Dal Medioevo al Novecento Calabria terra di capolavori. Dal Medioevo al Novecento
di Mario Vicino, Editrice Aurora

Il volume è stato presentato il 22 novembre 2019 al Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia

Nell'accattivante location del Castello Normanno Svevo, verrà presentato il volume di Mario Vicino. Interverranno all'iniziativa Adele Bonofiglio, direttore del Museo Archeologico Nazionale "Vito Capialbi" di Vibo Valentia e l'autore. Il prof. Mario Vicino, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, ha al suo attivo altre pubblicazioni di pregio quali La Pittura in Calabria. Quattrocento e Cinquecento, Imago Mariae e una monografia su Pietro Negroni.

Iniziativa - come precisa la dottoressa Bonofiglio - per far riscoprire la passione per l'arte e restituire la giusta importanza all'inestimabile patrimonio di cui dispone la Calabria e la bellezza dei suoi innumerevoli tesori nascosti. Nella prima parte dell'opera - continua la Bonofiglio - si descrive l'evoluzione della pittura in Calabria in relazione alla sua straordinaria storia. Partendo dal periodo Tardoantico, l'autore attraversa le vicende del Medioevo, con Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi, per poi raggiungere il Cinquecento e i successivi sviluppi dell'arte calabrese fino all'Ottocento e il Novecento. Nella seconda sezione del libro - conclude la Bonofiglio - vengono catalogati ed esaminati nel dettaglio alcune delle numerose opere presenti nella regione. (Comunicato stampa)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




La mia Istria
di Elio Velan


* Il volume è stato presentato il 5 dicembre 2018 a Trieste, all'Auditorium del Museo Revoltella

Il volume del noto giornalista e scrittore Elio Velan è presentato a Trieste grazie all'iniziativa della Comunità Croata di Trieste e del suo presidente Gian Carlo Damir Murkovic, che ha voluto includere l'incontro nel programma di iniziative del 2018. Il libro, quasi 200 pagine, sarà introdotto dallo stesso Murkovic e presentato dal giornalista, scrittore e autore teatrale Luciano Santin, con l'intervento / testimonianza dell'autore stesso. L'incontro sarà moderato dal giornalista de "Il Piccolo" Giovanni Tomasin. Ad aprire e concludere la serata sarà la musica, col gruppo vocale e strumentale dell'Associazione culturale"Giusto Curto" di Rovigno, il tutto arricchito dalle proiezioni di immagini dell'Istria, firmate dal grande maestro della fotografia Virgilio Giuricin.

Per far sentire non solo le tipiche armonie ma anche quello spirito condiviso che rende Rovigno una località singolare e ricca. Nel volume Elio, il padre, ragiona col figlio Gianni, mentre la barca li culla e li porta in giro per l'arcipelago rovignese. Cos'è giusto e legittimo che i figli sappiamo dei genitori, dei loro pensieri, delle loro vicende? L'autore cerca di rispondere al quesito attraverso le "confessioni e testimonianze" raccolte in questo libro, uscito prima in lingua croata e ora nella versione italiana per i tipi della "Giusto Curto" di Rovigno. Nel libro Velan racconta e soprattutto si racconta attraverso le esperienze di una vita che l'ha portato a interrogarsi sulle numerose tematiche di un mondo di confine con tanti nodi da sciogliere, ma anche su tematiche esistenziali con l'intelligenza di chi abbraccia con coraggio la verità.

Elio Velan (Pola, 1957), dopo la laurea in Scienze politiche a Zagabria e dopo quattro anni di studi alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Trieste, ha iniziato la carriera giornalistica, una scelta per la vita che non ha mai abbandonato, occupandosi, a fasi alterne, di carta stampata, radio e televisione, tra Fiume, Trieste, Pola, Capodistria e Rovigno. Sin dalle elementary aveva infatti sognato di diventare giornalista per seguire le orme di Oriana Fallaci, che adorava. Il sogno si è avverato anche se non ha fatto mai il corrispondente di guerra, non ha vinto il premio Pulitzer e non ha intervistato il compagno Tito. In compenso ha lavorato, per otto anni, al quotidiano "La Voce del Popolo" come corrispondente da Rovigno.

Nel febbraio 1994 è passato alla redazione del telegiornale di TV Capodistria, lavorando contemporaneamente a Radio Capodistria. Era uno dei redattori e conduttori del TG e spesso seguiva i dibattiti al parlamento di Lubiana. Alla fine del 1996 è passato al quotidiano croato "Glas Istre". Dopo un anno di corrispondenze da Capodistria si è trasferito a Trieste come unico corrispondente estero del quotidiano di Pola e del quotidiano "Novi List" di Fiume. A Trieste ha lavorato per quindici anni alla sede regionale della Rai per il Friuli Venezia Giulia. Conduceva la trasmissione radiofonica "Sconfinamenti" e, contemporaneamente, a TV Capodistria la trasmissione settimanale di approfondimento "Parliamo di..." (oltre 400 trasmissioni realizzate).

La sua carriera si è conclusa nel 2016 con l'unico rammarico di non aver mai lavorato a un settimanale perché era quello lo spazio più congeniale al suo stile. Ha pubblicato quattro libri in rapida successione (un libro all'anno), che rappresentano la sintesi del suo lavoro di giornalista. Sono scritti in croato, la lingua che ha usato di più. Ora partecipa alle attività della "Giusto Curto" come giornalista e ideatore di spettacoli. Nei primi anni Novanta ha fondato e diretto per tre anni il mensile della Comunità Italiana di Rovigno, "Le Cronache", molto seguito anche da chi non ne condivideva la linea editoriale. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Copertina libro Il passato non passa mai, di Michele De Ruggieri Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde
di Michele De Ruggieri, ed. Europa Edizioni, 162 pagine, euro 13,90

E' la guerra che si dovrebbe raccontare nelle scuole, al di là di date, vittorie e sconfitte, quella raccontata nel romanzo di Michele De Ruggieri. La presentazione è organizzata in collaborazione con il Polo Museale della Basilicata. Il Circolo La Scaletta ha concesso il patrocinio. Interverrà l'autore che dialogherà con la giornalista Sissi Ruggi.

Michele De Ruggieri racconta con una prosa schietta e molto curata una storia che prende avvio nel settembre 1916 con il protagonista che viene chiamato alle armi. Fra la famiglia che tenta senza riuscirvi di non farlo mandare al fronte, la guerra di trincea e la prigionia, sin dalle prime pagine e confermando il titolo il romanzo è una chiara condanna della guerra. La penna di Michele De Ruggieri sceglie di raccontare tutto questo attraverso un'attenta ricostruzione storica e i sentimenti. Dalla paura di essere uccisi alla lotta per la sopravvivenza nel campo di concentramento, dove la fame cambia la gerarchia dei valori. Basta una lettera da casa, che fa intravedere la vita, e le lacrime che accompagnano la lettura restituiscono gli uomini a loro stessi.

- Sinossi

E' il 28 giugno 1914; in tutta Europa giunge la notizia dell'attentato di Sarajevo. Un mese dopo, la prima dichiarazione di guerra. Pochi sanno quali proporzioni assumerà il conflitto e quanti milioni di uomini farà cadere. Idealismi improbabili e frasi piene di retorica furono sufficienti per infervorare gli animi di tanti che non avevano idea di cosa li aspettasse. In piazza si gridava "viva la guerra!" e sul fronte si moriva. Pietro è un giovane che riesce, grazie alle sue conoscenze, ad evitare il fronte, vivendo il conflitto mondiale da una posizione privilegiata e sicura. Almeno così sembra... Dopo la disfatta di Caporetto, infatti, le carte in tavola cambiano completamente. Pietro si ritrova prima in trincea, poi in un campo di concentramento, a tentare disperatamente di tenersi stretta la vita e a guardare negli occhi i suoi compagni che non ci riescono, soccombendo all'orrore di uno dei periodi più oscuri della storia dell'umanità. Ne uscirà totalmente trasformato.

Michele De Ruggieri (Palagiano - Taranto, 1938), di famiglia lucana, ha studiato e conseguito la laurea in farmacia. Si è sempre interessato di Storia Contemporanea e Storia dell'arte. Il passato non passa mai - Tutte le guerre sono bugiarde, è il secondo romanzo di Michele De Ruggieri. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo storico Al di qua del Faro (Guida Editori), ambientato tra le montagne lucane e il golfo di Napoli agli albori dell'Unità d'Italia. (Comunicato stampa)




Luigi Pirandello Luigi Pirandello. Una biografia politica
di Ada Fichera, ed. Polistampa
www.polistampa.com

L'adesione di Pirandello al fascismo, il suo rapporto col regime e con la censura, le idee di fondo del suo pensiero politico: sono gli elementi chiave del saggio di Ada Fichera. Con l'autrice dialogheranno il giornalista e scrittore Mario Bernardi Guardi e l'editore Antonio Pagliai. Letture a cura di Dylan (Dimensione Suono Soft). Luigi Pirandello è stato sempre analizzato sotto il profilo strettamente letterario o puramente storico.

Il saggio di Ada Fichera, frutto di una ricerca su documenti d'archivio inediti, rilegge per la prima volta la sua figura ricostruendone la vita in chiave politica. Dal testo, arricchito da una prefazione di Marcello Veneziani, emergono aspetti chiave del pensiero pirandelliano come la coscienza del fallimento degli ideali borghesi, l'idea del potere nelle mani di uno e non di una maggioranza, la tendenza all'azione. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

---

- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





Mappa del sito www.ninniradicini.it

Home page

La newsletter Kritik non ha periodicità stabilita. Le immagini allegate ai testi di presentazione delle mostre, dei libri e delle iniziative culturali, sono inviate dalle rispettive redazioni e uffici stampa con l'autorizzazione alla pubblicazione.