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Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

| [] | Agrigento Capitale italiana della cultura 2025 | [] |

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2024-2022 | 2020-21 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2024-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007



Dipinto a olio su tela di cm 125x163 realizzato da Lauren Wy nel 2024 Lauren Wy
"Chaos Angel"


16 gennaio 2025 (inaugurazione 18.00-21.00) - 01 marzo 2025
Simondi Gallery - Torino
www.simondi.gallery

Nell'universo pittorico di Lauren Wy (Los Angeles) - scardinando i termini triti, si potrebbe definire "cosmo iconografico" - un'inedita figura rigenera un paradigma estetico e concettuale che coniuga solennità e mistero, incarnando una figura ibrida e liminale: appare la donna-angelo (- alieno). Questo archetipo fiammante, sbalestrato tra l'empireo e la caducità terrena, tra la concretezza del reale e l'effimero del virtuale, sintetizza opposti radicali, sociali e psicologici, attraversati nell'attuale.

Da una parte, si manifesta l'angelo caduto, ribelle, sventurato e tragico, emblema di una sensualità inquieta, trasgressiva e umbratile; dall'altra, ricorre l'angelo combattente, figura speculativa e morale, araldo di luce e verità. Wy si inserisce con maestria in questo spazio dialettico, richiamandosi alla tradizione biblica e filtrandola con fine sensibilità, catturando l'aderente rappresentazione di un mondo disgregato e postmoderno; un mondo che fluisce vischioso oltre i suoi confini, apprendendo presenze extraterrestri e allucinanti. Le sue opere non solo descrivono, ma interrogano profondamente la costruzione dell'identità - in specie femminile - e la complessità dell'esperienza umana.

Il progetto - un vero e proprio nuovo manifesto della sua poetica - di Wy, è scandito da un dialogo denso e consapevole con la tradizione artistica e letteraria occidentale; tra le prime fonti spicca Paradise Lost di John Milton, che declina e torce la caduta degli angeli ribelli non solo come gesto di sfida, ma come aspirazione all'autonomia dell'esistenza - l'emancipazione indicibile e paradossale dall'origine del tempo e dello spazio, ovvero da Dio. L'angelo di Wy è al contempo disobbedienza eroica ed espiazione in potenza; un prisma attraverso cui si frammentano e disarticolano temi universali quali il desiderio, l'alienazione e il mutamento.

Le tele di Wy sono abitate da figure che si moltiplicano e si fondono in posture dinamiche e al contempo immutabili, sospese tra l'orgiastico, il quotidiano e il contemplativo. I colori vibranti, incandescenti, spesso inaciditi, e le linee marcate con incisività contrapposte a velature eteree, imprimono alle composizioni una drammaticità che sfida lo sguardo e lo trasporta in una dimensione dove erotismo e trascendenza si compenetrano. Il corpo femminile, nella visione di Wy, diviene nucleo di soggettività plurali, metafora della tensione tra conformismo e autenticazione del sé.

Ogni oggetto concorre quale riflesso narcisistico: le automobili, le webcam, le candele e altri elementi ricorrenti, totemici ma confusi nella moltitudine di accadimenti della scena, trascendono il loro ruolo funzionale per caricarsi di valenze allegoriche: è l'iconografia della tangibilità della memoria, veicolo di modelli culturali e consapevolezze personali che interagiscono con le scenografie interiori, oniriche, dell'artista.

La ricerca di Wy è concepita come un diario di viaggio - ultramondano, forse infernale - in cui il linguaggio pittorico si articola in una narrazione stratificata e multimediale. Attraverso un'ampia gamma di tecniche, dai pastelli a cera alla tempera a olio al montaggio video fino all'uso dell'intelligenza artificiale, l'artista rende vita a un racconto di rara densità. In questa fase matura, l'angelo del caos emerge come cifra di una poetica che intreccia sacro e profano, terreno e celeste, iconografia religiosa - dall'Arcangelo Michele alla rivolta e caduta degli angeli ribelli - sintomo di una morale collettiva e decostruzione tagliente dell'epoca odierna segnata da un'apatia e da connessioni sempre più rarefatte. 

La mostra è quindi un'indagine sulla femminilità come atto di creazione e ribellione - anche distruttiva, a patto che il fine sia una rinascita. Il desiderio, inteso come forza generativa, trasforma la caduta in un preludio all'ascensione. La donna-alieno, ovvero l'angelo del caos, non è soltanto una figura dicotomica, ma una manifestazione di sintesi: colpa e salvezza, corpo e spirito, limite secolare e possibilità fantastica. In un gesto che richiama la tensione miltoniana, Lauren Wy invita a una riflessione sull'essenza più profonda della libertà, suggerendo che tra la luce e l'ombra, tra la grazia e la caduta, si cela la complessità irriducibile dell'esistenza. (Federica Maria Giallombardo) (Estratto da comunicato stampa)

Immagine:
Lauren Wy, The Scythian, 2024, olio su tela cm 125x163




Opera di cm190x135 denominata Il Genio del pozzo realizzata da Anna Cattani nel 1998 Anna Lorenzetti
"Nel prato sottocasa"


18 dicembre 2024 (inaugurazione) - 25 gennaio 2025
SPAZIOUNIMEDIA contemporary art (Palazzo Squarciafico) - Genova
www.spaziounimedia.com

Dodici grandi tarsie tessili di Anna Lorenzetti, in cui il vivido impulso creativo si unisce ad una tecnica raffinata che ricorda le antiche tarsie marmoree, ritagliate secondo il contorno delle figure, con un risultato molto affine alla pittura. A cura di Ida Terracciano.

Anna Lorenzetti installa nello spazio espositivo una selezione di opere tessili dalle composizioni policrome, frutto della più recente stagione creativa, organizzate intorno alla centralità vivace di materiali diversi e di processi sperimentali di contaminazione. Sono arazzi inediti e in costante trasformazione, contrassegnati da articolate caratterizzazioni espressive e soluzioni estetiche; sono superfici "calde" attraversate da una dimensione fantastica e onirica, collocabili all'interno di un'ideale linea di continuità con la grande tradizione europea delle avanguardie storiche - penso alla libertà cromatica che congiunge Henry Matisse ad Alighiero Boetti - fino alle più recenti esperienze dell'arte contemporanea, oggi correttamente attenta a quelle produzioni che collegano a livello globale la dimensione artistica con quella dell'artigianato nelle sue infinite geografie.

Anna Lorenzetti ha realizzato manufatti che esaltano l'energia vitale delle forme, trascrivendo attraverso l'ago, il filo, i tessuti di diversa qualità e spessore, immagini scaturite da una potenza arcana, generatrice di figure biologiche, luoghi, e oggetti appartenenti alla dimensione privata, variamente inserite in un ordine temporale "altro" e caratterizzate dalla forza dell'imprinting, frutto di una personalità prorompente. (Ida Terracciano)

Immagine:
Anna Cattani, Il Genio del pozzo, 1998, cm 190x135




Franco Carlisi e Francesco Cito
"Romanzo italiano"


21 dicembre 2024 (inaugurazione) - 19 gennaio 2025
MO.CA. Centro per le Nuove Culture - Brescia
www.eventoromanzoitaliano.it

L'esposizione, curata da Giusy Tigano e organizzata da GT Art Photo Agency in collaborazione con SMI Group (S.M.I Technologies and Consulting, Younified, Wyl e SM Innovation Polska), presenta 120 fotografie in bianco e nero di due dei fotografi italiani di maggior rilievo a livello internazionale, i quali si confrontano e lasciano che le loro opere dialoghino tra loro, creando una narrazione condivisa sul tema del matrimonio. Le immagini di Carlisi e Cito ci offrono un racconto visivo profondo e originale, un romanzo per immagini che sfida la fotografia matrimoniale tradizionale, distaccandosi dagli stereotipi di stile e linguaggio. La loro esplorazione visionaria, narrando con toni poetici, ironici e disincantati le emozioni e i molteplici aspetti relazionali e sociali del matrimonio, si distingue per un approccio in netta controtendenza rispetto alle rappresentazioni più convenzionali del rito nuziale.

Le fotografie di Franco Carlisi sono una selezione del più ampio progetto "Il Valzer di un giorno", vincitore del Premio Bastianelli nel 2011 e del Premio Pisa nel 2013. Il lavoro si concentra sulle nozze in una Sicilia nascosta, lontano dalle convenzioni, catturando l'essenza di un momento che si svolge oltre la rappresentazione scenica del matrimonio. Le immagini, dal grande impatto visivo e quasi barocche nella loro intensità, raccontano scene in cui il tempo rimane in sospensione per cogliere dettagli intensi e spontanei, come un abbraccio, uno sguardo, la lacrima di una sposa o la commozione di un genitore.

Andrea Camilleri, nell'introduzione al libro Il Valzer di un giorno, sottolinea come Franco Carlisi sia capace di trasformare la fotografia matrimoniale da un'evanescenza romantica a una rappresentazione vivida e carnale: "L'occhio di Franco Carlisi coglie continuamente dei 'fuori campo' e ce li restituisce, direi proprio da narratore, con straordinaria vivezza e intensità. Le foto matrimoniali di solito anelano all'evanescenza, alla leggerezza, alla purezza, alla solennità. Invece, attraverso lo sguardo di Carlisi, tutto diventa carnale, vissuto forte, reale, senza mezze tinte".

La selezione fotografica di Francesco Cito proviene dal progetto "Matrimoni Napoletani" (o "Neapolitan Wedding"), vincitore del prestigioso World Press Photo nel 1995 (categoria "Day in the Life", 3° premio). Anche in questo caso, l'autore abbandona la monotonia della fotografia matrimoniale convenzionale per creare un linguaggio visivo nuovo, fortemente autoriale, che esplora le dinamiche sociali del matrimonio con occhio critico e riflessivo.

L'approccio di Cito scompone il matrimonio tradizionale, come scritto da Michele Smargiassi nell'introduzione al libro Neapolitan Weddings, analizzando con precisione il meccanismo socio-antropologico di questo rito: "Sposarsi qui non è solo folclore ed esibizione. Non è solo un giorno speciale... Tutto il contrario, è la sospensione dell'ordinario, il trasferimento momentaneo ma radicale di un'intera comunità parentale, amicale, sociale in un'altra dimensione, senza più alcun rapporto con l'esistenza ordinaria di tutti. Cito affronta una 'struttura' possente, coerente, collaudata, funzionante: il moderno matrimonio foto-genico nella sua fenomenologia più completa e pura. E la de-struttura per comprenderla e smontarla con cura".

La selezione fotografica di Francesco Cito è invece parte del più ampio progetto "Matrimoni Napoletani" (o "Neapolitan Wedding"), vincitore del prestigioso World Press Photo nel 1995 (categoria "Day in the life", 3° premio). Anche in questo caso, non si rinviene traccia della staticità e della monotona ripetitività della classica fotografia matrimonialista "di mestiere", spesso assoggettata per necessità alle specifiche richieste degli sposi; si delinea piuttosto una cifra espressiva fortemente autoriale e slegata dai dettami della fotografia di genere convenzionale e stereotipata.

La mostra alterna le opere dei due autori, creando un'esperienza visiva coinvolgente che guida il pubblico attraverso un percorso fortemente emozionale. Pur nelle loro differenze stilistiche, Carlisi e Cito riescono a trattare un tema universale come quello del matrimonio, particolarmente sentito in Italia, con una visione condivisa e coerente, creando un racconto visivo inusuale e spiazzante con profonda sensibilità e commovente leggerezza.

Durante il cocktail di inaugurazione della mostra di sabato 21 dicembre 2024, è prevista una performance musicale del pianista e compositore Davide Ferro in duetto con la cantante jazz e arpista Sonia Caputo (Resonance Duo). Davide Ferro è anche l'autore della colonna sonora "Evocazioni" che accompagna la mostra, composta appositamente per questo progetto, che fa da sottofondo al viaggio fotografico durante tutto il periodo espositivo. (Estratto da ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

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Mostre sulla Sicilia, in Sicilia e di Artisti Siciliani

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___ Presentazione di mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Italo Zannier | Io sono io. Fotografo nella storia e storico della fotografia
22 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
Galleria Harry Bertoia - Pordenone
Presentazione

Dorothea Lange | 130 immagini di una grande fotografa americana
14 dicembre 2024 - 23 marzo 2025
Palazzo della Penna - Centro per le arti contemporanee - Perugia
Presentazione

Gli Italiani di Bruno Barbey
21 dicembre (inaugurazione) - 04 maggio 2025 Galleria Harry Bertoia - Pordenone
Presentazione

Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori |...attraverso lo sguardo di Linda Fregni Nagler
05 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
Presentazione

Lin Zhipeng | "Free Love Chronicles"
09 gennaio 2025 (inaugurazione) - 22 marzo 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
Presentazione

Arrhov Frick | Ursprung | Origine/Origin
15 novembre 2024 - 02 marzo 2025
Teatro dell'architettura - Mendrisio (Svizzera)
Presentazione

Tobias Zielony | "Overshoot"
inaugurazione il 14 novembre 2024
Galleria Lia Rumma - Napoli
Presentazione

La Puglia vista dai fotografi dell'Agenzia Magnum Photos
19 ottobre 2024 (inaugurazione) - 05 gennaio 2025
Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS - Lecce
Presentazione

Giovanni Chiaramonte | "Salvare l'ora"
20 novembre 2024 - 18 gennaio 2025
Centro Culturale di Milano
Presentazione




Dipinto in acrilico di Alan Gattamorta nella mostra Cinquanta per cento Astratto Alan Gattamorta
"50% astratto"


22 dicembre 2024 - 23 gennaio 2025
www.alangattamorta.it

Sul sito antologico il pittore Alan Gattamorta presenterà una rassegna di 20 acrilici su carta.




Italo Zannier
Io sono io. Fotografo nella storia e storico della fotografia


22 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
Galleria Harry Bertoia - Pordenone

Italo Zannier (Spilimbergo 1932), intellettuale, docente, curatore di celebri mostre, collezionista e fotografo, primo titolare di una cattedra di Storia della fotografia in Italia nonché figura di riferimento per il riconoscimento della disciplina nel nostro paese; la Mostra, a cura di Marco Minuz e Giulio Zannier, indaga proprio questa "moltitudine" della passione e dell'impegno di Zannier verso la disciplina fotografica. Per la prima volta vengono raccolte le molteplici attività, legate alla fotografia, che Zannier ha portato avanti con una forza e una passione che non ha eguali nel panorama nazionale. Il percorso si sviluppa in tutte le principali sue esperienze prendendo avvio dalla sua partecipazione nel movimento neorealista; appassionato di cinema, si cimenta prima con corti in Super 8 per poi dedicarsi totalmente alla fotografia.

Nel 1955, in una lucida analisi, stila il manifesto del Gruppo friulano per una nuova fotografia, cui aderiscono, tra gli altri, fotografi come Carlo Bevilacqua, Toni Del Tin, Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin, Nino Migliori e gli amici spilimberghesi Gianni e Giuliano Borghesan e Aldo Beltrame. Si riconosce proprio a questo sodalizio il merito di promuovere, tra i primi in Italia, il concetto di una nuova fotografia non più solo concentrata sull'estetizzazione dello scatto indirizzato al bello, ma ricercando una fase sperimentale e analitica in senso innovativo.

Dagli scatti di Zannier, quindi, si rileva subito il suo "racconto critico", leggibile dai suoi personaggi, dagli ambienti, dagli oggetti e dalla tipologia sociale ed ai luoghi cui si riferiscono. Una lettura che si sviluppa anche in riferimento all'ambito dell'architettura dove Zannier indaga il territorio del Friuli che vive di tradizione e cambiamento. Fotografie ricche ed essenziali diventano testimonianza di una comunità intera e, fissando storie, paesaggi e tradizioni trattenute in immagini che si fanno reliquie, nel tempo, ne registra l'evoluzione e il cambiamento.

Una società friulana che Zannier vede diventare italiana ed europea, da contadina diventa industriale. Nella serie delle diacronie - conclusa nel 1976 - Zannier emblematicamente torna a scattare in luoghi dove il suo obbiettivo aveva scattato quasi vent'anni prima, con i medesimi parametri e con gli stessi soggetti realizza un nuovo scatto che lascia emergere chiaro il trascorrere del tempo. Qui il passato diventa futuro e Zannier dichiara il ruolo imprescindibile della fotografia per registrare questo fluire storico che, nel caso degli ambienti da lui immortalati, diventa ancor più emblematico per il rovinoso terremoto che cancellerà molti dei luoghi da lui ripresi.

Ma il rapporto con l'architettura abbraccia anche le collaborazioni con le più importanti testate giornalistiche del tempo, come Il Mondo, Comunità, Casabella e Domus. Docente universitario dal 1971, primo in Italia ad essere titolare di una cattedra di Storia della fotografia, insegna allo IUAV e a Ca' Foscari di Venezia, al Dams di Bologna, alla Cattolica di Milano ed in altre Università Italiane. Si dedica alla pubblicazione di libri, saggi ed articoli, collaborando con riviste di settore come L'Architettura "cronache e storia", Camera, Photo Magazine, Popular Photography, Fotografia Italiana "il Diaframma". Cura collane quali Fotologia "Studi di storia della fotografia" e Fotostorica, "gli archivi della fotografia". Dopo oltre trent'anni, Zannier riprende a fotografare: con un nuovo entusiasmo osserva gli spazi della globalizzazione che rendono standard la contemporaneità della nostra esistenza, come nel progetto "Veneland".

Il percorso espositivo interesserà la sua produzione saggistica (oltre seicento), la curatela di celebri Mostre come la sezione fotografica della mostra The Italian Metamorphosis tenutasi al Guggenheim di New York nel 1994, "L'io e il suo doppio" alla Biennale di Venezia ed i progetti editoriali come il titanico lavoro, sostenuto dall'ENI, su Coste e Monti d'Italia, nove volumi che lo vedranno impegnato dal 1967 al 1976. La mostra sarà presentata dal filosofo Massimo Donà (Università Cattolica di Milano). Il percorso sarà completato da un'intervista inedita al professore Zannier. La Mostra è promossa dal Comune di Pordenone, gode del patrocinio del Ministero della Cultura e sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Autoritratto di Federico Barocci Maschera teatrale da Megara Hyblaea Il Ritratto dell'Artista
Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie


22 febbraio - 29 giugno 2025
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostremuseisandomenico.it

Mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell'artista nella storia dell'arte. Il ritratto dell'artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un'immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell'autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L'occhio si posa sull'immagine riflessa per ritrarsi e l'immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.

L'artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L'artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d'altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico. Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino , Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close.

Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l'autoritratto agli occhi degli artisti - e non solo - è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia. L'immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.

«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell'acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato - per ogni artista - una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù». Così Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Federico Barocci, Autoritratto
2. Maschera teatrale da Megara Hyblaea




Alphonse Mucha / Giovanni Boldini
22 marzo - 20 luglio 2025
Palazzo dei Diamanti - Ferrara

Esposti i capolavori di due protagonisti dell'arte europea tra Otto e Novecento: Alphonse Mucha e Giovanni Boldini, straordinari cantori della bellezza e del fascino femminile. Artista di origini ceche, Alphonse Mucha (Ivancice, 1860 - Praga, 1939) raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle. Sebbene sia noto in tutto il mondo per i manifesti degli spettacoli della celebre attrice Sarah Bernhardt, Mucha fu poliedrico e versatile: oltre che pittore, disegnatore e illustratore, fu anche fotografo, scenografo, progettista d'interni creatore di gioielli e packaging designer.

Le sue opere divennero presto emblematiche della nascente Art Nouveau, alla cui affermazione contribuì elaborando uno stile inconfondibile e seducente (detto appunto "Le style Mucha"), come dimostrano Gismonda (1894), la serie de Le stagioni (1896), Job (1896), Fantasticheria (1897), Médée (1898). Quando nel 1904 visitò per la prima volta gli Stati Uniti la stampa lo celebrò come «il più grande artista decorativo del mondo».

La grande mostra monografica, organizzata da Arthemisia e Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con la Mucha Foundation e curata da Sarah e John Mucha, racconta la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Mucha, il quale era fermamente convinto che la bellezza e la forza ispiratrice dell'arte potessero favorire il progresso dell'umanità e garantire la pace e l'unione dei popoli.

Donne aggraziate ed eleganti furono indiscusse protagoniste non solo delle opere di Alphonse Mucha, ma anche di quelle di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931) che, come l'artista ceco, risiedette stabilmente a Parigi, dove si affermò come ritrattista mondano, ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale. Le sale dell'ala Tisi di Palazzo dei Diamanti ospiteranno una significativa selezione di dipinti, disegni e incisioni dedicati al tema del ritratto e della figura femminile provenienti dal Museo Giovanni Boldini, la più importante raccolta pubblica di opere del grande maestro ferrarese, che riaprirà nel rinnovato complesso ferrarese di Palazzo Massari nel 2026.

Accanto a capolavori come La signora in rosa (1916) e Fuoco d'artificio (c. 1890) saranno presentati studi di donne a figura intera e di singoli volti femminili che documentano il rapporto iperattivo dell'artista con la realtà circostante, nonché la sua abilità e prontezza nel registrare pose e attitudini che gli sarebbero poi serviti per conferire vitalità e dinamismo alle protagoniste dei suoi dipinti, contraddistinti da quella peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata che rende inconfondibile, e unico, il suo stile. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)




Fotografia scattata nel 1937 da Dorothea Lange denominata Toward Los Angeles, California Dorothea Lange
130 immagini di una grande fotografa americana


14 dicembre 2024 - 23 marzo 2025
Palazzo della Penna - Centro per le arti contemporanee - Perugia

Un focus su Dorothea Lange, autrice di Migrant Mother (1936) - una delle fotografie più celebri del secolo scorso - e protagonista indiscussa della fotografia documentaria del Novecento. Curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, la mostra si compone di oltre 130 scatti che raccontano dieci anni di lavoro fondamentali nel percorso di questa straordinaria autrice. Il percorso espositivo si concentra sugli anni Trenta e Quaranta, periodo nel quale documenta gli eventi epocali che hanno modificato l'assetto economico e sociale degli Stati Uniti.

All'inizio degli anni Trenta, la visione di una folla che aspetta per ottenere un po' di cibo e del lavoro, convince Dorothea Lange a uscire dal suo studio per dedicarsi interamente alla documentazione dell'attualità: così la fotografa abbandona il mestiere di ritrattista per diventare la narratrice delle conseguenze della crisi economica successiva al crollo di Wall Street. Nel 1935 parte per un lungo viaggio con l'economista Paul S. Taylor, che sposerà alcuni anni dopo, per raccontare le drammatiche condizioni di vita in cui versano i lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, colpito dal 1931 al 1939 circa da una dura siccità . Il fenomeno delle Dust Bowl, ripetute tempeste di sabbia, rende impossibile la vita di migliaia di famiglie costringendole a migrare, come racconta anche John Steinbeck nel romanzo Furore del 1939, seguito nel 1940 dal film di John Ford ispirato anche dalle fotografie di Lange.

Il lavoro documentario della fotografa fa parte del programma di documentazione Farm Security Administration, per promuovere le politiche del New Deal, e permette a Lange di sperimentare e di raccontare al suo Paese e al mondo i luoghi e i volti di una tragedia della povertà. Dalle piantagioni di piselli della California a quelle di cotone degli Stati del Sud, Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti riportati nelle dettagliate didascalie che le accompagnano. È in questo contesto che realizza Migrant Mother, il ritratto iconico di una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.

Questo lavoro termina con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che per gli Stati Uniti comincia nel 1941, con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor; proprio alla popolazione americana di origine giapponese è dedicato il secondo grande ciclo di immagini esposto in mostra: dopo la dichiarazione di guerra, si decide di internare in campi di prigionia la comunità nativa giapponese negli Stati Uniti, assumendo vari fotografi per documentare l'accaduto. Crisi climatica, migrazioni, discriminazioni: a quasi un secolo dalla realizzazione di queste immagini, i temi trattati da Dorothea Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento. (Estratto da comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagine:
Dorothea Lange, Toward Los Angeles, California, 1937

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Atlante americano
di Giuseppe Antonio Borgese, a cura di Ambra Meda, ed. Vallecchi, pag.269, ottobre 2007
Recensione

L'ultima stagione
di Phil Jackson e Michael Arkush, ed. Libreria dello Sport, pag.246, 2005
Recensione




Gli Italiani di Bruno Barbey
21 dicembre (inaugurazione) - 04 maggio 2025 Galleria Harry Bertoia - Pordenone


Per la prima volta in Italia viene esposto il progetto fotografico che il celebre fotografo francese Bruno Barbey (Marocco 1941 - Parigi 2020) realizzò in Italia fra il 1962 e il 1966 mentre studiava in Svizzera. All'inizio degli anni '60 Bruno Barbey, cercando di ritrarre gli italiani, fotografò tutti i livelli della società, sia per strada che in interni. Il giovane fotografo presentò questo insieme di immagini a Robert Delpire, celebre editore parigino, che suggerì subito di pubblicarle nella serie "Essential Encyclopedia", una raccolta di libri che comprendeva già The Americans di Robert Frank (1958) e il volume Germans di René Burri (1962).

Le circostanze dell'epoca impedirono la realizzazione del libro, ma il portfolio di fotografie italiane convinse i membri dell'agenzia Magnum Photos delle potenzialità del giovane Barbey, che fu subito accettato nella cooperativa. Dopo decenni di lavoro e numerosi volumi su altri paesi, Barbey pubblicò una prima versione di quest'opera nel 2002, con un'introduzione di Tahar Ben Jelloun. L'idea, alla base di questo progetto, era di "catturare lo spirito di una nazione attraverso le immagini" e creare un ritratto dei suoi abitanti.

All'alba degli anni '60, i traumi della guerra cominciano a svanire mentre albeggia il sogno di una nuova Italia che comincia a credere nel "miracolo economico". Bruno Barbey è uno dei primi a registrare questo momento storico di transizione. «Disegnare il ritratto degli italiani attraverso le immagini era quindi l'ambizione di questo progetto», aveva affermato lo stesso fotografo. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, fotografa tutte le classi sociali: ragazzi, aristocratici, suore, mendicanti, prostitute. Il suo lo sguardo lucido e sempre benevolo coglie una realtà in movimento e rivela gli italiani.

"Les Italiens" è una suggestiva raccolta della moderna comédie humaine; figure archetipiche il cui fascino esotico ha contribuito a rendere così popolari i film di Pasolini, Visconti e Fellini in un immaginario internazionale. L'Italia che "alza la testa" dopo gli orrori e le miserie generati dalla guerra. La classe media, dopo tante sofferenze, ha conosciuto il boom economico, un entusiasmo forse illusorio, una nuova società forse troppo all'americana per certi versi. La musica, la moda, la gioventù con i suoi riti e con le sue mode; la gente cominciava ad esprimere il proprio status in maniera marcata con qualche soldo in più nelle tasche.

Eppure, in questo contesto, c'erano ancora sacche di estrema povertà, soprattutto nel centro-sud del paese. L'Italia era una terra di aspri contrasti e questo ci viene raccontato in modo affascinante con un filo nostalgico da Barbey, che offre ai nostri occhi questo straordinario affresco dell'Italia di quel tempo. Sono stati tanti i fotografi di altri paesi che hanno documentato l'Italia e gli italiani: da Henri Cartier-Bresson a William Klein, ma il reportage di Bruno Barbey è un fulgido esempio di come un fotografo capace di immergersi in un lavoro documentario, possa riuscire ad individuare certe sfumature in modo straordinario. La mostra, curata da Caroline Thiénot-Barbey e Marco Minuz presenta una settantina di stampe. Il progetto espositivo è promosso dal Comune di Pordenone, gode del patrocinio del Ministero della Cultura e al sostegno della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. (Comunicato stampa ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)

___ Presentazione di mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori |...attraverso lo sguardo di Linda Fregni Nagler
05 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
Presentazione

Lin Zhipeng | "Free Love Chronicles"
09 gennaio 2025 (inaugurazione) - 22 marzo 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
Presentazione

Arrhov Frick | Ursprung | Origine/Origin
15 novembre 2024 - 02 marzo 2025
Teatro dell'architettura - Mendrisio (Svizzera)
Presentazione

Tobias Zielony | "Overshoot"
inaugurazione il 14 novembre 2024
Galleria Lia Rumma - Napoli
Presentazione

La Puglia vista dai fotografi dell'Agenzia Magnum Photos
19 ottobre 2024 (inaugurazione) - 05 gennaio 2025
Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS - Lecce
Presentazione

Giovanni Chiaramonte | "Salvare l'ora"
20 novembre 2024 - 18 gennaio 2025
Centro Culturale di Milano
Presentazione




Opera di Bob and Roberta Smith Bob and Roberta Smith
"Art is between us"


12 dicembre (inaugurazione ore 18) - 14 febbraio 2025
MAAB Gallery - Milano
www.maabgallery.com

Bob e Roberta Smith, al secolo Patrick Brill OBE RA è artista, attivista, scrittore, autore, musicista, sostenitore dell'educazione artistica ed è uno tra i principali oratori britannici contemporanei. Conosciuto in tutto il mondo per i suoi slogan colorati, è un convinto sostenitore dell'arte come strumento fondamentale per la vita democratica. Nella mostra propone una serie di opere sul tema del connubio e del dialogo amoroso tra Italia e Gran Bretagna all'indomani della Brexit. Art is between us unisce alla cultura punk, il senso di una critica profonda alle scelte dei governi attuali inglesi, proponendo soluzioni per salvare l'Inghilterra dall'isolamento dall'Europa.

Lo spazio milanese, allestito per l'occasione dall'artista e da Massimiliano Scuderi, quest'ultimo curatore della mostra, rappresenta una serie di opere sotto forma di una Wunderkammer di oggetti d'uso quotidiano che diventano il correlativo oggettivo degli slogan dipinti a mano, il cui messaggio rende lo spazio espositivo immerso in un'atmosfera pacificante e amorevole. Una sorta di agenzia matrimoniale eversiva, composta da numerosi object trouvè, come sportelli di vecchi elettrodomestici e tavolini da bar ecc.

Ispirato dall'incontro con un altro grande artista, James Lee Byars, che alla Biennale di Venezia del '93 gli regalò uno dei suoi adesivi dorati recante la scritta "La tua presenza è la tua migliore performance", B&R Smith opera non tanto nel definire un'arte pubblica quanto nel portare l'arte al pubblico. Da allora il suo impegno - vicino alla definizione di realismo operativo di Nicolas Bourriaud - si è declinato in molti settori della vita, utilizzando l'arte come strumento per la realizzazione di un'opera collettiva.

Evidente in mostra anche la relazione con un'altra grande opera di Marcel Duchamp, Le Grand Verre (1915/1923), il Grande Vetro, definita dalla critica mondiale come uno dei capolavori dell'arte contemporanea. Come per l'opera di Duchamp, che poneva al centro metaforicamente la sposa messa a nudo e gli scapoli sotto forma di macchine celibi, il nucleo di opere in mostra mirano ad affermare il principio che, come l'artista è libero di creare la propria arte, lo è lo spettatore di interpretarla. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di Marco Tagliafico nella mostra The Fiction of the Physical Marco Tagliafico
"The Fiction of the Physical"


12 dicembre 2024 (inaugurazione) - 08 marzo 2025
A Pick Gallery - Torino
www.apickgallery.com

L'esposizione esplora il rapporto tra percezione, memoria e trasformazione, attraverso opere che uniscono fotografia, pittura e scultura in un linguaggio estetico unico e innovativo. Tagliafico (Alessandria, 1985) sviluppa la sua pratica artistica intorno a temi universali come l'interazione tra il mondo fisico e quello digitale, la frammentazione della realtà e la ricerca di significato. Le sue opere si configurano come metafore visive in cui il vetro, elemento centrale, si fa filtro tra l'immagine visibile e ciò che sfugge alla percezione immediata.

Curata da Domenico De Chirico, la mostra ruota attorno alla serie Arcipelago, composta da stampe analogiche, cianotipie e vetri dipinti che si sovrappongono per creare paesaggi evocativi e frammentati. Le immagini, mai del tutto rivelate, richiedono uno sguardo attento e riflessivo, offrendo una molteplicità di significati e interpretazioni. Come osserva De Chirico nel testo critico che accompagna l'esposizione, "il lavoro di Tagliafico esplora il concetto di visione all'interno di un lungo processo che porta alla ricerca di significato del mondo circostante, fatto di immagini sfuggenti, perpetuamente oscillanti tra compendi di spazi liminali e frammentazioni evocative di paesaggi illibati."

Questa complessità formale e concettuale si traduce in un'esperienza immersiva, in cui il pubblico è invitato a riflettere sulla propria percezione e sul senso del tempo. Tra le opere esposte, si segnalano anche la struttura scultorea Celestial Bodies e l'installazione Field of Vision, che articolano ulteriormente il dialogo tra materiali e dimensioni spaziali. In entrambe, il vetro diventa strumento per amplificare e al contempo limitare la visione, evocando una tensione tra ciò che è accessibile e ciò che rimane inafferrabile

Dopo la laurea in Lingue Orientali all'Università di Torino, Marco Tagliafico studia fotografia e nel 2018 consegue il Master di alta formazione sull'immagine contemporanea di Fondazione Fotografia Modena Arti Visive. La sua pratica unisce fotografia, pittura e disegno, creando opere a cavallo tra astrazione e figurazione. Ha esposto in Italia e all'estero. (Comunicato stampa)




Opera di Mario Raciti nella locandina della mostra Ricordi dell'Eden Mario Raciti
"Ricordi dell'Eden"


14 dicembre 2024 (inaugurazione) - 15 febbraio 2025
Oltrearte Galleria Contemporanea - Conegliano (Treviso)
www.oltrearte.com

L'esposizione dedicata a Mario Raciti rende omaggio al grande maestro milanese e raccoglie una serie di lavori inediti degli anni Sessanta, periodo nel quale l'artista si contraddistingue per la modernità del suo lavoro che lo renderà riconoscibile fino ai lavori più recenti. Dai lavori "Per Eden" dei primi anni sessanta, al grande "Eden" del 1962, giardini-sesso che s'involano, fino alle successive Teleferiche, Tunnel, Antenne, Fari, Radar, Percorsi, Spiritelli, Autoritratti sui Trampoli, tutti simboli che già in quel periodo mirano ad andare oltre alla futilità dell'arte (e della società) di quel tempo, nel tentativo (mai concluso) di ri-partire dai cocci della grande arte alla ricerca delle vette più alte. Concetti che rimangono tuttora attuali e più che mai presenti nel sentito dell'artista e nel suo lavoro.

Dietro ad una apparente semplicità e giocosità, analizzando attentamente questi lavori, così lontani nel tempo ma allo stesso modo così attuali, ci troviamo di fronte a segni vaganti nel dubbio delle superfici, all'incessante bisogno di fuga e di evasione, alla ricerca di nuovi spazi infiniti, dagli abissi alle vette altissime, sempre in bilico, così come in bilico è la vita dell'uomo, tra fugaci momenti di felicità e drammatiche profondità. La mostra vuole essere un omaggio all'indagine, sofferta e profonda, dell'attività di questo artista "acrobata sopra la storia dell'arte". (Comunicato stampa)

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Locandina della mostra




Pittura su tela di cm 50x63 per copertina Arti Visive, I serie, n.6 e 7 realizzata da Ettore Colla nel 1953 Scultura con assemblaggio in ferri di recupero rielaborati e saldati di cm 300 di altezza denominata Rituale realizzato da Ettore Colla nel 1962 Studio Preparitivo per DARITRA realizzato da Ettore Colla Opera in pittura a tempera e collage su tela di cm 50x65 realizzata da Ettore Colla nel 1948-49 Ettore Colla
"Assalto al cielo"


10 dicembre 2024 (inaugurazione dalle ore 18.30) - 04 febbraio 2025
Capitolium Art Gallery - Roma

Mostra, curata da Enrico Mascelloni, dedicata a uno degli indiscussi protagonisti della scultura italiana. La mostra offre l'occasione di tornare a vedere dal vivo un gruppo di lavori di Ettore Colla, l'autore della monumentale "Spirale" fatta collocare da Palma Bucarelli nel 1968 davanti allo scalone d'accesso alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Un autore di nodale importante nello sviluppo dell'arte contemporanea italiana ma raramente esposto anche a causa dell'esiguo numero delle opere prodotte.

Le mostre personali dedicate a Ettore Colla dopo il 1968, l'anno della sua morte, sono state rare e presentate a intervalli di tempo sempre più lunghi. Le ultime due della breve serie sono quella curata nel 2009 da Beppe Meneguzzo per una galleria milanese e, precedentemente, la bella mostra istituzionale del 1995 a cura di Roberto Lambarelli ed Enrico Mascelloni allestita nella Rocca di Umbertide. A fronte di tale rarefatta attività espositiva, vi è invece l'unanime riconoscimento degli studiosi di arte del '900 del ruolo di apripista svolto da Ettore Colla nel tracciamento del nuovo corso della scultura italiana, un capitolo aperto, all'inizio degli anni '50, proprio dalle sue composizioni di rottami di ferro raccolti nelle discariche.

Essere celebrati nei saggi specialistici e nelle antologie di storia dell'arte non è però mai bastato agli artisti per farsi conoscere dal grande pubblico, per tenere viva l'attenzione e la memoria popolare ci vogliono le mostre. E se in pochi oggi ricordano che la monumentale asta in ferro con spirale posta di fronte alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna è uno dei capolavori di Ettore Colla, significa che l'appuntamento con una nuova esposizione dedicata al suo artefice non è più procrastinabile.

___ Le opere in mostra

A eccezione di una, prestata dalla collezione Ovidio Jacorossi, le opere esposte provengono dalla Ex Collezione Carla Panicali e hanno pertanto il merito di celebrare un protagonista dello scenario artistico post war unitamente a una delle più importanti galleriste d'arte di quegli anni. Indimenticata animatrice di gallerie del calibro de Il Segno e dell'internazionale Marlborough, Carla Panicali fu infatti una grande signora dell'effervescente mercato dell'arte anni '60/'70, nonché l'ultima e più importante gallerista di Ettore Colla e sua affezionata amica.

I dieci lavori selezionati da Enrico Mascelloni si ascrivono al periodo 1948-1967, il ventennio decisivo della carriera di Ettore Colla, ma il criterio che ha guidato le scelte del curatore, ben lungi dall'essere antologico, è piuttosto quello dell'importanza e della rarità delle opere. Di cruciale rilievo nell'ambito della produzione di Colla sono le due grandi sculture attorno alle quali ruota la mostra: Rituale del 1962, un "ferro di recupero" alto tre metri, e Verticali doppie, slanciata struttura in ferro nuovo di oltre tre metri realizzata nel 1967, un anno prima della morte.

Presente anche Rilievo con isolatori, un piccolo ferro del 1959 caro a Carla Panicali per essere stato il dono realizzato da Colla per lei in occasione delle sue seconde nozze. Completano la selezione sette dipinti monocromi ancora poco visti e studiati. Di particolare interesse Da Pigmalione e Da Ciriaca, facilmente interpretabili come studi preparatori delle sculture omonime se non li sapessimo realizzati posteriormente a quelle. Dobbiamo quindi pensare alla trasposizione bidimensionale di un'idea compositiva che a Colla era evidentemente molto piaciuta.

___ La singolare carriera di un perfezionista

La scarsità delle mostre dedicate a Colla è la diretta conseguenza della scarsità delle sue opere: solo 220 quelle esistenti, tutte musealizzate o ben custodite in importanti collezioni private, di modo che, quando una ne compare sul mercato, circostanza che avviene assai di rado, può anche spuntare prezzi iperbolici. D'altra parte tutto nella condotta dell'artista fa trapelare una consapevole aspirazione a una qualificata quanto distillata presenza sulla scena dell'arte. Basti pensare che il maniacale perfezionismo da cui era guidato, oltre ad abbatterne drasticamente la produttività, lo aveva indotto alla seriale distruzione delle opere realizzate prima della guerra, durante la fase figurativa della sua carriera, ripudiata senza appello.

Eppure il triennio di formazione condotto tra il 1923 e il 1926 presso gli ateliers di scultori europei del calibro di Maillol, Despiau e Bourdelle aveva dato alla sua ricerca un ampio respiro internazionale ed è sempre apparsa del tutto sorprendente la decisione, presa all'improvviso all'inizio degli anni '40, di abbandonare radicalmente la produzione artistica. Una decisione mai commentata da Colla e che a tutt'oggi rimane inspiegata, così come non venne accompagnata da spiegazioni di sorta, alla fine degli anni '40, la scelta di chiudere quella lunga parentesi di inattività per ricominciare sì a lavorare, ma in modo del tutto diverso.

È noto che furono molti gli artisti della generazione che aveva vissuto il dramma della guerra a sentire l'esigenza di imporre drastici cambiamenti al loro lavoro. Capogrossi - destinato ad affiancare Colla, Burri e Ballocco nel gruppo Origine - passò nel giro di tre anni da una calda pittura figurativa alla scioccante novità delle forchette. Colla si distinse per precocità e lunghezza della crisi ma l'approdo non fu meno scandaloso di quello raggiunto dal collega, vista la decisione di sostituire alla nobile tecnica del modellare l'assemblaggio di rottami di ferro raccolti in discarica.

___ La difficile lettura critica dei suoi rottami

L'idea di eleggere a materia prima della sua arte i rottami di ferro si affaccia nella ricerca di Colla subito dopo la guerra, osservando, "i luoghi dove si era combattuto" e "i centri dove si raccoglieva e si ammassava tutto ciò che il conflitto aveva potuto scheletrire e frantumare". E, in un'epoca in cui la critica internazionale si concentra con crescente interesse sull'approfondimento della lezione di Duchamp, diviene inevitabile leggere le sculture di Colla alla luce della poetica dadaista dell'objet trouvé. Ma - come sottolineano gli interpreti più sensibili dell'artista - gli oggetti nati dalle sue meticolose esplorazioni delle discariche urbane sono più oggetti cercati che trovati e nulla di automatico e casuale vi è nel loro meditato assemblaggio ancora realizzato con classica attenzione alla forma.

L'avventurosa storia di Spirale, la vertiginosa scultura lanciata all'assalto del cielo dalle aiuole antistanti alla scalinata d'ingresso alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna ci ricorda l'importanza riconosciuta, anche a livello istituzionale, al ruolo svolto da Colla nel rinnovamento della scultura italiana. Presentata nella storica mostra spoletina Sculture nella città, curata nel 1962 da Carandente, Spirale piacque infatti così tanto che, dopo la morte dello scultore, Palma Bucarelli trovò il modo di portarsela nella sua Gnam, ignorando platealmente la volontà del defunto di donarla alla città di Spoleto (che ancora la rivendica). (Comunicato Ufficio stampa Scarlett Matassi)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Ettore Colla, (Senza titolo), copertina di Arti Visive, I serie, n.6 e 7, 1953, pittura su tela, cm. 50x63
2. Ettore Colla, Rituale, scultura, 1962, assemblage in ferri di recupero rielaborati e saldati, h 300 cm.
3. Ettore Colla, studio preparativo per DARITRA
4. Ettore Colla, (Senza titolo), 1948-49, pittura a tempera e collage su tela, cm. 50x65




Fotografia di un venditore di fiori in Giappone Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori
...attraverso lo sguardo di Linda Fregni Nagler


05 dicembre 2024 - 04 maggio 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
www.maotorino.it

ll nuovo progetto espositivo è dedicato alla pratica dell'artista Linda Fregni Nagler, presente al MAO lo scorso novembre con la performance "Things that Death Cannot Destroy". La mostra esplora il suo meticoloso approccio di selezione e raccolta, rielaborazione e riattivazione di fotografie giapponesi della scuola di Yokohama (Yokohama Shashin). Le fotografie originali, raccolte nell'arco di vent'anni dall'artista e proposte in mostra al MAO per la prima volta, sono affiancate alle opere di Linda Fregni Nagler, che ha rifotografato le albumine originali, stampandole in camera oscura e colorandole a mano con una tecnica simile a quella dell'epoca (1860-1910).

Questo intervento fa assumere nuovi significati alle immagini, illustrandoci la storia di un preciso modo di guardare all'esotismo e all'alterità. Il soggetto indagato al MAO è quello dei venditori di fiori (hanauri), una categoria molto apprezzata di ambulanti (botefuri) nel Giappone dei periodi Edo e Meiji. Considerata l'influenza esercitata dalle stampe ukiyo-e sulla Yokohama Shashin, il progetto espositivo si propone altresì di contestualizzare e approfondire il legame tra le fotografie di Fregni Nagler e le stampe xilografiche, di epoca precedente alla nascita della fotografia, del medesimo soggetto.

In mostra saranno esposte 26 albumine di metà Ottocento, appartenenti alla collezione Fregni Nagler, unitamente a sei grandi stampe ai sali d'argento colorate a mano dall'artista e a 4 positivi su vetro visibili attraverso due visori. Accanto a queste opere sono collocate tre xilografie che declinano l'iconografia dei venditori di fiori: la rappresentazione dei mesi primaverili - l'illustrazione del mese di aprile di Utagawa Kunisada, proveniente dal Museo Orientale di Venezia; All'ingresso del tempio di Kanda di Koikawa Harumachi dal Museo Orientale E. Chiossone di Genova e Toyokuni III di Utagawa Kunisada, dalla serie "Sei venditori nelle sere d'estate", da una collezione privata.

Il tema floreale e vegetale trova un'ulteriore declinazione anche nei preziosi tessuti kesa della collezione del MAO, risalenti al periodo Edo, e nei kimono che arricchiscono l'esposizione, uno proveniente da Palazzo Madama e due esemplari dal Museo d'Arte Orientale di Venezia, oltre a tre lacche pregiate e tre kakemono firmati Yanagisawa Kien, Kawamura Bunpo e Tomioka Tessai (dei periodi Edo e Meiji) in prestito da una collezione privata.

Il riallestimento della galleria giapponese è inserito nel programma espositivo del MAO che, attraverso prestiti provenienti da collezioni di arte asiatica - pubbliche e private, nazionali e internazionali - intende stimolare nuove riflessioni e narrazioni intorno al patrimonio del Museo; Hanauri è anche parte del progetto #MAOtempopresente, che utilizza l'arte contemporanea come mezzo di interpretazione e valorizzazione delle collezioni attraverso l'inserimento di opere contemporanee e produzioni site-specific realizzate all'interno del programma di residenze attivo dal 2022. In parallelo al progetto espositivo nelle gallerie, le tre armature giapponesi della collezione, datate tra la fine del XVII e la prima metà del XIX secolo, sono state riallestite nella cornice di Salone Mazzonis, dove saranno oggetto di un restauro conservativo aperto al pubblico a partire da gennaio 2025.

Linda Fregni Nagler è un'artista che lavora principalmente con il medium fotografico. È nata a Stoccolma e vive a Milano, dove si è diplomata nel 2000 all'Accademia di Belle Arti di Brera. Il suo lavoro è una ricerca alle origini dello sguardo moderno e si concentra sul medium fotografico e la sua storia, attraverso una pratica che intreccia le caratteristiche del lavoro dell'artista, quelle dello studioso e del collezionista. Il suo studio è, prima ancora che luogo di produzione, un luogo di ricezione dove, dopo un percorso di scelta e raccolta meticolose, le fotografie confluiscono per essere rielaborate e riattivate, per assumere così nuovi significati.

Il suo ambito di interesse spazia dalla teoria alla materialità dell'immagine fotografica, dalla storia della fotografia allo studio delle convenzioni iconografiche e dei cliché visivi, dall'immagine anonima e vernacolare all'appropriazione come pratica artistica contemporanea. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive. Linda Fregni Nagler è docente di ruolo di Fotografia all'Accademia Carrara di Bergamo, e insegna "Fotografia: teorie e tecniche" presso l'università IULM di Milano. (Comunicato uffici stampa MAO Museo d'Arte Orientale: Chiara Vittone)




Hammershøi e i pittori del silenzio tra il nord Europa e l'Italia
22 febbraio - 29 giugno 2025
Palazzo Roverella - Rovigo
www.palazzoroverella.com

Curata da Paolo Bolpagni, la prima mostra italiana dedicata a Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916), che fu il più grande pittore danese della propria epoca, uno dei geni dell'arte europea tra fine Ottocento e inizio Novecento. Da pochi anni è in atto la sua riscoperta, e da personaggio quasi dimenticato Hammershøi è diventato uno dei più richiesti al mondo: nel mercato le quotazioni hanno raggiunto livelli strabilianti, con aumenti esponenziali osservabili addirittura di mese in mese; e i musei di tutto il globo si stanno contendendo le sue opere per organizzare retrospettive.

Nel 2025 quella di Palazzo Roverella sarà non soltanto la prima mostra italiana dedicata al pittore danese, ma l'unica a livello internazionale. Ciò rende davvero eccezionale l'impresa rodigina, che si pone anche l'obiettivo di porre a confronto i capolavori di Hammershøi con opere di importanti artisti a lui contemporanei, con un occhio di riguardo - in tali accostamenti - all'Italia, ai Paesi scandinavi, alla Francia e al Belgio. In effetti ci sono elementi che accomunano gli appartenenti a questa poetica del silenzio, della solitudine, delle vedute cittadine deserte, dei "paesaggi dell'anima".

Però i visitatori scopriranno che in Hammershøi c'è qualcosa di più, di sottilmente inquietante, di angoscioso e forse addirittura di torbido: le sue donne sono ritratte quasi sempre di spalle; gli ambienti domestici, in apparenza ordinati e tranquilli, lasciano in realtà presagire o sospettare drammi segreti, o l'attesa di tragedie incombenti, con un senso claustrofobico.

La biografia stessa dell'artista, che viaggiò di frequente (in special modo in Italia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi), ma in verità fu un uomo solitario, induce a riflettere su alcuni aspetti enigmatici: pur sposatosi, Hammershøi mantenne un rapporto strettissimo, quasi simbiotico, con la madre, tornando spesso a dormire da lei; la moglie e modella prediletta, Ida Ilsted, fu colpita da una grave malattia mentale; la sua pittura, che ispirerà il grande regista cinematografico Carl Theodor Dreyer, fu definita "nevrastenica". (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Dipinto senza titolo realizzato nel 1967 da Norman Bluhm a olio su tela di cm 616x1372 Collage e tecnica mista su tela cm 136x153 denominato I L 1 83 realizzato da Conrad Marca Relli nel 1983 Dipinto in acrilico su tela di cm 46x38 denominato Phenomena Sight Unseen by Day realizzato da Paul Jenkins nel 2003 Informally Speaking. Una grammatica universale
14 dicembre 2024 (inaugurazione) - 01 marzo 2025
Galleria Open Art - Prato
www.openart.it.

Esposizione che presenta uno spaccato delle esperienze informali italiane ed internazionali, attraverso un arco temporale che abbraccia oltre mezzo secolo di storia, dagli anni Cinquanta del Novecento fino ai primi decenni del nuovo millennio. Senza pretendere di coprire tutta la complessità del movimento, Informally Speaking si concentra su opere e personalità che riflettono le inquietudini dell'epoca, mettendo in evidenza anche la dimensione globale di una produzione che unisce esperienze culturali variegate.

Il percorso espositivo si sviluppa negli spazi della galleria con opere di Renata Boero, Alberto Burri, Rafael Canogar, Jean Dubuffet, Walter Fusi, Osvaldo Licini, Paolo Scheggi, Toti Scialoja, Norman Bluhm, James Brooks, Sam Francis, John Hultberg, Paul Jenkins, Conrad Marca-Relli, John Ferren, John Grillo, Roberto Matta, Fernando de Szyszlo, Ben Nicholson, Edouard Pignon, Gerard Ernest Schneider, Leopold Survage, Silvano Bozzolini, Eugenio Carmi, Achille Perilli, Bruno Querci, Elio Marchegiani, Mauro Reggiani, Jirí Kolár, Jacob Hashimoto.

Attraverso i dipinti esposti - scrive Maria Letizia Paiato - sarà possibile percepire «quell'invisibile linea fluida capace di restituire la complessità, ma anche l'unità di un panorama di esperienze internazionali. [...] Trentuno nomi di caratura internazionale che fanno di Informally Speaking la mostra, fra quelle organizzate in spazi privati, più ricca e completa di questi ultimi anni». La mostra è accompagnata da una monografia (Edizioni Masso delle Fate, 2024) curata da Mauro Stefanini con un testo critico di Maria Letizia Paiato.

La Galleria Open Art, sin dalla sua fondazione, propone la produzione informale del secondo dopoguerra, rivolgendo inoltre la propria attenzione alle correnti artistiche nate e sviluppatesi tra gli anni '50, '60 e '70 del XX secolo. Tra i principali artisti trattati vi sono nomi come Toti Scialoja, Gerard Schneider e Jirí Kolár, ai quali la Galleria dedica mostre che tendono a confermare anche l'attualità della loro pittura e del loro messaggio. Un particolare approfondimento è, infine, rivolto allo sviluppo dell'approccio gestuale e all'Espressionismo Astratto americano, ma anche alle proposte astratto-geometriche e al linguaggio del collage. (Comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Norman Bluhm, (Untitled), 1967, olio su tela cm 616x1372
2. Conrad Marca Relli, I L 1 83, 1983, collage e tecnica mista su tela cm 136x153
3. Paul Jenkins, Phenomena Sight Unseen by Day, 2003, acrilico su tela cm 46x38




"Capricci su Carta"
The Bounty Killart | Marc Chagall | Francisco Goya | Pablo Picasso


11 dicembre 2024 (inaugurazione) - 31 gennaio 2025
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.it

Una raccolta di incisioni ripercorrenti la storia dell'Europa e dell'arte degli ultimi secoli. Il titolo della mostra si ispira all'accezione propriamente artistica del termine "capriccio": nell'ambito delle arti infatti con questo termine si suole indicare un'opera che sia interamente frutto della fantasia dell'autore, che non esiste in natura o che diverge dalle norme compositive artistiche vigenti. Con questo termine, inoltre, Francisco Goya intitola un'intera serie di suoi lavori grafici.

In mostra saranno presentate una ventina di incisioni del collettivo torinese The Bounty Killart in dialogo con tre grandi artisti degli ultimi secoli: Francisco Goya (1746 - 1828) di cui sono presentate dieci incisioni tratte dalle serie de "Los Caprichos" (I Capricci) e "Los desastres de la guerra" (I Disastri di Guerra), Pablo Picasso (1881 - 1973) presente con quattro lavori tratti da "Les Métamorphoses" e Marc Chagall (1887-1985) di cui sono esposte due incisioni appartenenti a "Fables", illustrazioni delle favole morali di Jean de La Fontaine.

Analogamente a quanto svolgono nelle loro creazioni scultoree, le incisioni de The Bounty Killart si ispirano alle grafiche dei secoli passati, spaziando dal XV al XIX secolo, per poi essere rielaborate in chiave contemporanea e attraverso la visione degli artisti, personale ma sempre dalla leggibilità universale. Ogni stampa infatti si pone in chiaro e aperto dialogo con lo spettatore che, se in un primo momento ne apprezza l'estetica e la bellezza, in un secondo tempo non può che restare stregato e divertito dai numerosi, a volte impercettibili, riferimenti alla nostra modernità e quotidianità. Riprendendo l'intera storia dell'arte e la mitologia antica, il collettivo presenta una panoramica dell'umanità contemporanea, evidenziandone costumi, abitudini, pregi e difetti con estremo rispetto e al contempo forte ironia.

Con lo stesso intento nacquero, molti decenni prima, "I Capricci" di Francisco Goya, una serie di ottanta incisioni eseguite ad acquaforte e acquatinta durante gli anni Novanta del XVIII secolo che descrivono, attraverso un acido tour-de-force visivo, la Spagna del XVIII secolo e l'umanità in genere. Le ottanta opere, infatti, furono eseguite con l'intento di mettere a nudo con immagini lucide, aspre e taglienti altrettante varietà di vizi, bassezze, aberrazioni e superstizioni diffusi in Spagna, così da denunciarne la brutalità e promuoverne la sconfitta.

Successive a questa è la serie "I Disastri della Guerra", una raccolta di ottantatré incisioni eseguite dal 1810 al 1820 in cui Goya offre una visione critica e personale delle conseguenze della guerra peninsulare spagnola (1808-14), lontana dalle immagini propagandistiche prodotte dai suoi contemporanei. Qui l'artista condanna l'irrazionalità della guerra e la brutalità di entrambe le parti che inevitabilmente si traducono in sofferenza, dolore e morte. Così come il significato di questa serie di Goya trascende la presentazione visiva di un conflitto specifico e può essere considerato la prima critica alla guerra in generale, così anche le opere de The Bounty Killart vogliono affrontare e indagare temi universali senza alcuna specifica invettiva o azione politica.

Ogni creazione de The Bounty Killart è un viaggio, un lungo cammino immaginativo che inizia nei secoli passati e nella mitologia antica e, dettaglio dopo dettaglio, arriva al nostro quotidiano. Questo medesimo processo artistico-narrativo fu svolto quasi un secolo fa dal celebre artista spagnolo Pablo Picasso che nel libro da lui illustrato intitolato Les Métamorphoses, ispirato all'omonima opera di Ovidio, immagina il mondo visuale dello scrittore latino filtrato con l'occhio della sua contemporaneità in cui classicismo, ordine ed equilibrio si metamorfizzano in tensioni, schematizzazioni grafiche e incastri impossibili di corpi, resi con una grafica sottile e raffinata.

Onnivori consumatori di cultura, alla perenne ricerca di nuove storie, opere e aneddoti a cui ispirarsi, The Bounty Killart trae ispirazione da ogni ambito letterario e sfera culturale: dalla storia alla mitologia, dalla musica alle favole d'infanzia. Proprio a queste ultime appartengono le due incisioni di Marc Chagall presentate in mostra. Alla fine degli anni '20, Ambroise Vollard - mercante, collezionista, editore e sostenitore degli artisti d'avanguardia tra cui Pablo Picasso- commissionò all'artista russo delle incisioni che accompagnassero le Fables di La Fontaine, ispirate a racconti e fiabe sia occidentali che orientali. Umoristici, sfumati e ironici, questi racconti erano originariamente destinati agli adulti, ma in seguito entrarono nel sistema educativo e divennero parte dell'apprendimento obbligatorio per gli scolari. La varietà di immagini nelle illustrazioni per le Fables è sorprendente, così come la gamma di toni portata alla luce dalle linee incise con forza da Chagall.

Sebbene le sue creazioni siano tra le migliori illustrazioni delle favole morali di La Fontaine grazie alla loro incantevole poetica, l'artista russo fu considerato dai critici una scelta inappropriata per illustrare quest'opera relativamente "classica". Quando a Vollard fu chiesto "Perché Chagall?", la sua risposta fu breve e diretta: "Semplicemente perché il suo stile mi sembra, in un certo senso, affine a quello di La Fontaine: allo stesso tempo solido e delicato, realistico e fantastico".

Questi due binomi, solido-delicato e realistico-fantastico, ben si confanno anche alle grafiche de The Bounty Killart che da un lato intrecciano le storie mitologiche e fantastiche con il realismo della nostra contemporaneità, dall'altro affrontano tematiche solide e rilevanti con delicatezza e ironica leggerezza. Intervallandosi ai lavori dei grandi Maestri in un'alternanza armonica e composta, le incisioni del collettivo dialogano e coesistono con questi non solo grazie ai comuni intenti e alle medesime ispirazioni, ma anche per la coerenza estetica e tecnica che le caratterizza.

Costantemente legati e connessi alla storia dell'arte, i lavori grafici de The Bounty Killart potrebbero beffare l'occhio dello spettatore in quanto appaiono coevi e uniformi nell'aspetto alle antiche incisioni. Il collettivo infatti pone grande cura e attenzione nella tecnica incisoria e calcografica dei secoli passati al fine di riprodurne l'estetica antica. Partendo da una lavorazione digitale, ogni disegno viene poi trasferito su lastre di rame o zinco attraverso un'azione di morsura sul metallo esercitata nel passato da un acido detto aqua fortis, ora dal solfato di rame. Nelle rappresentazioni dunque, così come nella tecnica esecutiva, restano costanti il dialogo e il continuo rimando tra l'antico e la modernità. (Comunicato stampa)




Dipinto realizzato da Leonardo Niola nella mostra Isorropia Leonardo Niola | Isorropia
30 novembre (inaugurazione) - 31 dicembre 2024
Galleria Gare82 - Brescia
www.gare82.net

La ricerca di Leonardo Niola si configura come un'esplorazione profonda e poetica dell'equilibrio, inteso non solo come principio estetico ma come condizione essenziale dell'esistenza umana. In questo percorso, il corpo umano diventa il fulcro di una narrazione che intreccia fisicità e trascendenza, ponendosi al confine tra il visibile e l'invisibile. Decontestualizzati e immersi in spazi eterei, i corpi rappresentati da Niola non sono mai semplicemente oggetti fisici ma presenza che evocano la fragilità e la complessità dell'essere. La loro materialità, sospesa e delicata, si trasforma in una natura morta animata, vibrante di tensione emotiva.

Leonardo Niola (Roma, 1991) sviluppa uno stile influenzato dal surrealismo, dall'espressionismo e dalla grafica. Attraverso la decontestualizzazione e la desaturazione delle cromie, Niola conferisce ai suoi dipinti un senso di immortalità e intangibilità, evocando un tempo sospeso in cui ogni elemento sembra collocarsi oltre la realtà. Il dialogo tra la figura umana ed elementi naturali è centrale: foglie, rami e frammenti del paesaggio si integrano nelle composizioni non come meri ornamenti ma come estensioni organiche dei corpi stessi. Questo intreccio evoca un senso di connessione profonda tra l'uomo e il suo ambiente, una comunione che richiama alla mente le atmosfere sospese di Giorgio Morandi e l'iconografia simbolica di René Magritte.

Tuttavia, l'artista romano opera con una sensibilità contemporanea, costruendo immagini che, pur ancorate a riferimenti classici, risultano intrise di un'introspezione radicalmente moderna. Anche il colore, nelle opere di Niola, assume un ruolo fondamentale. Le tonalità luminose ma smorzate, quasi sussurrate, contribuiscono a creare un'atmosfera rarefatta che invita lo spettatore a un'esperienza meditativa. Questi cromatismi, mai urlati ma intensi, sembrano evocare il linguaggio emotivo di Schiele o Lucian Freud, pur distaccandosi dalla loro drammaticità più esplicita per abbracciare un registro sommesso e contemplativo.

Ogni opera in mostra, a cura di Federica Picco, rappresenta una ricerca minuziosa per il bilanciamento tra forma e significato, tra struttura visiva e profondità concettuale. Il corpo diventa per Niola il luogo simbolico in cui si incontrano e si scontrano la vulnerabilità e la ricerca di armonia. Tuttavia, il suo approccio non è nostalgico ma si traduce in un linguaggio contemporaneo che riflette le tensioni e le ambivalenze del presente. Isorropia è un invito a interrogarsi sulla propria dimensione interiore e sul rapporto con ciò che ci circonda. Attraverso la sua pittura, Leonardo Niola propone un'esperienza immersiva che si snoda tra i fili del passato e le inquietudini del presente, ricordandoci che l'arte, nella sua essenza, è sempre ricerca di equilibrio. (Federica Picco)




"Il Grande Fiume"
Biodiversità tra passato e futuro


Torino, 29 novembre 2024 (inaugurazione 06 dicembre) - 04 febbraio 2025
www.palazzomadamatorino.it

Nell'ambito della mostra Change! Ieri, oggi, domani. Il Po, Palazzo Madama presenta il progetto espositivo "Il Grande Fiume", biodiversità tra passato e futuro a cura del Museo Regionale di Scienze Naturali, il settore Sviluppo Sostenibile Biodiversità e Aree naturali della Regione Piemonte e il Parco Paleontologico astigiano, in collaborazione con le Aree protette del Po piemontese, del Ticino e Lago Maggiore e del CRIP (Centro Referenza Ittiofauna Piemonte).

Nel tempo, numerose specie animali hanno abitato il Grande Fiume. Mentre di alcune rimane ancora traccia grazie a reperti fossili rinvenuti e ottimamente conservati, oggi sono diventate molte le specie aliene che popolano le sue acque dolci, rappresentando un pericolo per la biodiversità autoctona e una sfida per tutelare le peculiarità del Fiume Po. Sono questi - reperti fossili e fauna ittica - i temi della mostra allestita nelle sale della Piccola Guardaroba e del Gabinetto Cinese. Le aree protette regionali che tutelano gran parte delle aree circostanti il Grande Fiume, rappresentano un elemento fondamentale per contrastare la frammentazione degli habitat, la perdita di biodiversità e l'invasione di specie aliene in un ambito fortemente antropizzato come quello della Pianura Padana.

Partendo dalla Piccola Guardaroba, grazie alle splendide immagini subacquee del fotografo e videomaker Mattia Nocciola, la mostra rivela il mondo sommerso delle acque dolci esponendo un piccolo spaccato della varietà di specie ittiche autoctone che popolano il Fiume Po e le minacce rappresentate dalla presenza di specie aliene invasive. Attraverso scatti realizzati in ambiente naturale ci "immergiamo" nel fiume per scoprire un mondo di bellezza e fragilità dove la biodiversità è sempre più compromessa, anche a causa dell'emergenza climatica.

Proseguendo nel Gabinetto Cinese, il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino e il Parco Paleontologico Astigiano presentano al pubblico esemplari fossili che documentano i cambiamenti avvenuti nella comunità degli esseri viventi che hanno abitato la Pianura Padana in epoche remote. Testimonianze di organismi che, diversi milioni di anni fa, popolavano il mare che ricopriva tutta l'attuale area Padana, tra cui il Piemonte centro-meridionale con clima subtropicale. I pesci di Pecetto di Valenza, le conchiglie della Collina di Torino e dell'Astigiano, le foglie delle antiche foreste che ricoprivano le terre emerse confermano una storia lunga milioni di anni di questi territori. (Estratto da comunicato ufficio stampa Palazzo Madama - Fondazione Torino Musei)




Fotografia di Giovanni Chiaramonte realizzata nel 1999 che ritrae una parte di Castello Branciforti a Raccuja Copertina del catalogo della mostra Mappa-Mondo Fotografie di dieci paesi in Sicilia MAPPA-MONDO. Fotografie di dieci paesi in Sicilia
Fotografie di Giorgio Barrera, Martina Della Valle, Sebastiano Raimondo, Moira Ricci, Sandro Scalia, Maria Vittoria Provato


Presentazione del progetto e del catalogo al pubblico e agli studenti
30 ottobre 2024
Accademia di Belle Arti di Palermo - Cantieri Culturali alla Zisa - Palermo

.. ore 17.00, inaugurazione della Mostra a Palazzo Butera

- Catalogo Dario Cimorelli Editore

Il volume contiene oltre alle fotografie realizzate dai sei autori, le immagini delle mappe settecentesche e alcune fotografie, in forma di omaggio, che Giovanni Chiaramonte - a sua volta coinvolto nel progetto ma mancato nell'ottobre 2023 - realizzò in uno di questi paesi, Raccuja, nel 1999.

«Per Giovanni Chiaramonte la Sicilia diventa il luogo del 'ritorno' - scrive Monica Maffioli nel catalogo -, la terra alla quale sente di appartenere e dove, non a caso, svolge gran parte del suo lavoro sia come fotografo sia come docente presso la facoltà di Architettura dell'Università di Palermo, formando una generazione di fotografi siciliani che hanno introiettato i principi del suo percorso intellettuale e professionale; allievi che, in alcuni casi, condividono con il 'maestro' le sue giornate siciliane trascorse alla ricerca dei luoghi del racconto umano, testimoniato dal paesaggio, dalla natura e dall'abitare.» (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra): 1. Giovanni Chiaramonte, Castello Branciforti, Raccuja, 1999 2. Copertina del catalogo della mostra "Mappa-Mondo Fotografie di dieci paesi in Sicilia"




Francobollo nella mostra Storia postale del Friuli, della Venezia Giulia e della Dalmazia, Diciannovesima adunata filatelica triveneta, Circolo Triestino Storia postale del Friuli, della Venezia Giulia e della Dalmazia
26 novembre 2024 - 18 gennaio 2025
Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa - Trieste

L'esposizione è divenuta, nel tempo, un appuntamento periodico durante il quale i soci dell'Associazione di Storia Postale del Friuli e della Venezia Giulia espongono alcune selezioni delle loro collezioni per evidenziare, attraverso documenti postali, aspetti poco noti della storia dei territori orientali del nostro paese. L' Associazione, fondata nel 2002, ha lo scopo di riunire ed approfondire le conoscenze sulla Storia Postale della Regione Friuli - Venezia Giulia nel suo percorso storico. La mostra ha un respiro che va oltre i confini nazionali e, infatti, l'Associazione annovera fra gli iscritti collezionisti e studiosi provenienti anche dalla Germania e dalla Slovenia. L'obiettivo è quello di promuovere la filatelia e la storia postale, cercando di avvicinare un pubblico curioso che desidera approfondire le proprie conoscenze sulle origini del vasto mondo delle comunicazioni, in cui le Poste - oggi come allora - svolgono un ruolo di primo piano.

Questa una piccola sintesi delle collezioni che si potranno ammirare e dei collezionisti in ordine alfabetico:

- Paolo Del Piero
"A.M.G. F.T.T."
Uso dei francobolli sovrastampati AMG VG nel periodo dal 15/9/1947 al 3/10/1947; viene trattato il periodo di transizione, dal punto di vista postale, dal periodo di occupazione alleata della Venezia Giulia (1945-47) alla costituzione del Territorio Libero di Trieste (1947-54).

- Stefano Domenighini
"Corrispondenza commerciale da ZARA / 1918-1943"
La corrispondenza commerciale dimostra la vivacità di questo territorio italiano, ridotto a enclave nello stato SHS e poi Jugoslavo, dopo la dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico, che conserva le vestigia della plurisecolare appartenenza alla Serenissima Repubblica di Venezia

- Sante Gardiman
"Friuli 1420-1797"
Si ripercorre la storia del Friuli nella Repubblica di Venezia e dei suoi rapporti con l'Austria, fino alla sua caduta della Serenissima ad opera di Napoleone

- Antonio Grusovin
"Austria: Il Goriziano dal 1884 al 1918"
Si analizzano le ultime emissioni postali austriache utilizzate nel territorio di Gorizia fino alla fine della 1°Guerra Mondiale e conseguente annessione della Venezia Giulia all'Italia.

- Veselko Guštin
"Litorale sloveno Istria 1945-47"
Vengono rappresentati francobolli e documenti postali usati nella zona B della Venezia Giulia, ossia nella parte sotto occupazione jugoslava alla fine della 2°Guerra Mondiale.

- Alessandro Piani
"Ordinanza postale del 29.01.1839"
Il caso friulano: data in arrivo manoscritta. Si analizza una particolarità adottata in Friuli nella gestione della posta in periodo prefilatelico.

- Sergio Visintini
"Storia della Fiera di Trieste"
Si tratta della Fiera di Trieste, dalla prima Esposizione del 1882 agli anni '50, attraverso documenti e annulli dell'Ufficio Temporaneo ivi costituito e altri annulli pubblicitari.

- Maurizio Zuppello
Una selezione di rari cataloghi di francobolli.

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Mostre su Trieste




"Guerra e Pace"
27 novembre 2024 (inaugurazione) - 26 febbraio 2025
Fondazione ATM - Milano

In mostra sono presenti opere di Anna Addamiano, Gianni Bucher Schenker, Oana Bursucanu, Concita De Palma, Maximilian Hink, Loi di Campi, Aimé Maquignaz, Mokhtar Jelassi, Patrizia Quadrelli, Raffaele Scaglione, Eugenia Serafini, Marisa Settembrini, Silvio Zampieri. Mostra che rientra in un progetto artistico internazionale, "Nuovo Atlante delle Arti", ideato e diretto dal Prof. Carlo Franza per la Fondazione ATM, che focalizza l'attenzione su talune figure in progress della nuova stagione artistica europea. L'esposizione curata dal Prof. Carlo Franza, che firma anche il testo, riunisce un certo numero di opere che compongono una vera e propria installazione, capace di campionare il percorso singolare di questi illustri artisti italiani e stranieri.

Scrive Carlo Franza: "Appartiene già all'antichità il tema della guerra e le gesta eroiche dei soldati che hanno poi trovato un larghissimo rilievo nella produzione artistica. Basti vedere le raffigurazioni che celebrano le grandi vittorie, ad iniziare dalla Colonna Traiana a Roma che mostra dal basso in alto, la propaganda, la forza e la potenza della civiltà romana. E' bene sapere che l'arte nell'antichità diventava uno strumento di narrazione delle battaglie e vittorie sui nemici, mentre l'artista contemporaneo guarda la guerra con una sensibilità completamente diversa, lanciando forti messaggi di denuncia e rappresentando gli orrori della Guerra sulle tele. Se questi erano i dati di una volta oggi mi piace riportare la frase di Marina Abramovic: "Ci sono guerre e morti ovunque, c'è l'emergenza climatica. Sembra che l'umanità sappia solo odiare. E' facile farlo, ma è più importante chiedersi: cosa posso fare perchè le cose cambino? Gli artisti hanno questa responsabilità".

Pablo Picasso, Otto Dix, Egon Schiele, George Grosz, Carlo Levi, Aligi Sassu sono solo alcuni dei tantissimi artisti che con la loro arte ci hanno mostrato gli orrori della guerra, e prima di loro altri artisti come Goya, nella sua serie di incisioni "I disastri della guerra", o Rubens con "Le conseguenze della Guerra". Guerra e Pace sono temi che attengono al passato e al presente, oggi poi all'inizio del terzo millennio più attuali che mai alla luce di questa terza guerra mondiale a pezzi, come è stata chiamata, raccontano la verità della guerra con la distruzione e morte, e tutti implorano la pace.

Le "Conseguenze della guerra" è un grande dipinto (206x305 cm) realizzato da Pieter Paul Rubens, nel 1637-1638 e oggi conservato nella Galleria Palatina a Firenze, commissionata dal pittore Justus Suttermans e va a completare una riflessione sulla guerra che Rubens aveva iniziato con il dipinto l'"Allegoria della Pace", dipinta nel 1630 per Carlo I d'Inghilterra. Rubens rappresenta gli orrori e le conseguenze tragiche che porta la guerra usando un soggetto mitologico-allegorico. La sua riflessione profonda parte in occasione della Guerra dei Trent'anni, è chiaro il messaggio forte e pessimistico della Guerra che neanche l'Amore è in grado di fermare.

La scelta allegorica rende il dipinto un monito contro gli effetti distruttivi della guerra senza tempo. A sinistra ecco Europa, vestita di nero che alza gli occhi e le braccia al cielo, tra dolore e disperazione, al centro Venere, dea dell'amore che invano cerca di tenere Marte con scudo e spada sguainata, pronto a portare rovina e distruzione; in basso a destra anche le personificazioni delle Arti sono travolte e calpestate dalla guerra.

"Guernica" è uno dei capolavori di Picasso, imponente dipinto su tela (3,5 metri di altezza e 7,8 metri di larghezza) ed è stato realizzato nel giugno 1937, in soli due mesi, poi esposto nel Padiglione spagnolo dell'Esposizione Universale di Parigi. Picasso ha qui raffigurato le atrocità e le tragedie causate della guerra, in riferimento al massacro della città basca di Guernica durante la guerra civile spagnola; rappresenta un forte messaggio contro la guerra e di quali devastazioni porti. Orrori e morti sono racchiusi dentro la tela "Volto della Guerra" (Le visage de la guerre) di Salvador Dalì artista surrealista nato in Catalogna nel 1904, che si avvicinò intorno agli anni Venti

- Biografie degli artisti

Anna Addamiano è nata a Roma dove è rientrata dopo un lungo periodo all'estero. Incontra nel 1976 a Venezia Emilio Vedova che la vuole come assistente all'Accademia di Belle Arti. Decide, invece, di vivere e lavorare a Roma, dapprima nei mezzi di comunicazioni e poi esclusivamente nell'arte. Ha realizzato sigle televisive, manifesti per il cinema, copertine e illustrazioni di libri, costumi e scenografie teatrali.

Gianni Bucher Schenker (Milano, 1947) frequenta la Scuola Superiore d'Arte applicata annessa al Castello Sforzesco di Milano dal 1964 al 1970, e a Brera. Nel 1969 inizia l'attività di medaglista e scultore e parallelamente anche ad esporre. All'Arengario di Milano partecipa, nel '71, ad una collettiva di grafica che lo fa notare e lo porta ad avere diverse opere in due musei nazionali. Presto iniziano anche le mostre personali ed alcune biennali.

La formazione pittorica di Oana Bursucanu (Barlad - Romania, 1978)si sviluppa nello studio del pittore Ioan Vinau e durante i cenacli di letteratura dello scrittore Cristian Simionescu. Prosegue con gli studi superiori presso il Collegio d'Arte "Octav Bancila" nella sezione pittura. Nel 1997 si trasferisce a Milano dove si diploma al Liceo Artistico Statale di Brera nella sezione di architettura. Nel 2022 si laurea in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi su "Fabbricatori di Ruderi".

Concita De Palma (Bari, 1957) è medico pediatra a Pescara. Ha cominciato a sviluppare il proprio interesse verso l'arte nel 2005, con un percorso dedicato all'arteterapia. In seguito a questa prima esperienza, è nato un successivo interesse verso l'approfondimento del linguaggio artistico, in particolare attraverso la sperimentazione e la ricerca di materiali specifici, tra i quali le resine epossidiche e la carta.

Maximilian James Leopold Hink (Berlino, 1993) è un produttore multidisciplinare di Berlino. Scuole a Londra, ha una vasta conoscenza ed esperienza in un crossover di industrie e settori creativi, come: film, animazione, pubblicità, televisione, video musicali e, più recentemente, promozione musicale. La combinazione di lavoro e viaggi lo ha portato in vari paesi dove ha potuto conoscere e apprezzare varie culture e forme uniche di creatività. Le collaborazioni e i forti legami instaurati durante le sue esperienze lavorative hanno dato a Maximilian la fiducia e la spinta di cui aveva bisogno per iniziare una carriera come produttore freelance. Recentemente si è trasferito in Italia dove sta dedicando il suo tempo a concentrarsi sulla fotografia e a costruire il proprio marchio.

Loi di Campi (Campi Salentina, 1948), dopo una breve esperienza come docente nelle scuole medie e superiori, negli anni 80 fonda assieme alla moglie una ditta di ceramiche artistiche, con il marchio DE.AR. Inizia così una feconda esperienza espositiva internazionale, partecipando alle più importanti fiere del settore ceramiche d'arte per più di 20 anni. Parallelamente affianca all'esperienza del manufatto d'arte la pittura, sempre nella costante e rigorosa espressività di ricerca. Così la pittura di Loi di Campi è densa di vitalità cromatica, secondo un procedere compositivo astratto. Dalla fine del 2012 ad oggi si concentra sul bianco, e le superfici diventano campo per architetture futuribili. Città che vanno oltre la dimensione immaginativa per un sogno nell'etere ufologico. Nella costante contaminazione linguistica dell'arte multimediale, Loi di Campi non trascura la ricerca, esercita la sperimentazione con l'aiuto dell'elemento interdisciplinare del computer design. Realizza opere con accavallamenti e accostamenti di superfici colorate precedentemente riprese ed elaborate. Nasce così un ulteriore "gioco" poetico di metamorfosi.

Aimé Maquignaz (Valtournenche - Valle d'Aosta, 1946), dopo aver dedicato diversi anni alla carriera politica, che l'ha visto Sindaco in Valtournenche prima e Consigliere Regionale poi, si dedica alla gestione del suo albergo, il "Punta Maquignaz", dove si svolge la sua principale attività di albergatore. Coltiva inoltre la passione per la pittura. Compie una serie di viaggi in Europa, Africa, Russia, Giappone, Mongolia per imparare, studiare, guardare ma soprattutto persentire l'emozione di civiltà diverse. Quella di Aimé Maquignaz è una pittura che fonde realtà e immaginazione, segnata dall'alternarsi di emozioni e colori, divisa tra osservazione della realtà e creazione fantastica. Egli scopre la possibilità di esprimere le esperienze del viaggio fisico ma soprattutto di quello interiore attraverso la pittura, che si rivela energica, forte e passionale. Nel corso della sua vita artista Aimé Maquignaz ha esplorato diversi percorsi pittorici, che vanno dall'informale fino ad un realismo magico.

Mokhtar Jelassi (Tunisi, 1964), per ragioni di lavoro del padre si è spostato nei diversi statieuropeidove ha frequentato le scuole internazionalie imparato varie lingue. E' proprio nel 1984 che approda a Milano, si inserisce nell'ambiente artistico frequentando Brera e il Bar Jamaica. In questi anni varie le sue discese incampoconmostre personalie collettive e l'approdo in diverse case d'asta fra cui la Casa d'Aste Mecenate e la Casa d'Aste Poleschi.

Patrizia Quadrelli (Saronno, 1958), diplomatasi al Liceo Artistico, ha poi frequentato il Dipartimento di Pittura dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Ha sempre avuto una forte curiosità per i fenomeni dell'arte moderna e contemporanea. La sua naturale inclinazione e l'attitudine al fare artistico e l'incontro nel 2015 con l'artista Marisa Settembrini ha fatto maturare il lei il desiderio di intraprendere un percorso artistico di studio, ricerca e sperimentazione. Il fascino del vetro e dei materiali e la simbologia delle forme sono stati gli elementi della sua iniziale ricerca, per giungere all'attuale lavoro più informale e segnico.

Raffaele Scaglione nasce nel 1945. Ha tenuto mostre personali in più città italiane.Vince il Premio deiMusei al Premio delle Arti-Premio della Cultura per l'edizione XXVI al Circolo della Stampa di Milano.

Eugenia Serafini, Docente universitaria, artista e scrittrice/performer, giornalista, si è laureata in Lettere Classiche all'Università La Sapienza diRoma ed è stata allieva del grande e illustre Natalino Sapegno. Figura complessa e interessante,è stata Docente di Storia dell'Arte dell'Accademia di Belle Arti di Carrara e dell'Accademia dell'Illustrazione e della Comunicazione Visiva di Roma, e dal 1999 Docente di Disegno dell'Università della Calabria. Il suo percorso culturale l'ha portata a diventare artista di spicco nell'arte contemporanea internazionale. Lavora da anni alla contaminazione intermediale e all'arte totale, utilizzando e fondendo gli apporti di diversi rami creativi: da quello visivo-digitale a quello teatrale, poetico e musicale che utilizza nella creazione delle sue installazioni performative. Numerose le sue pubblicazioni di saggi e monografie di artisti moderni e contemporanei. Vanta una vasta produzione di scrittura creativa e libri d'artista.

Marisa Settembrini (1955), dopo aver frequentato l'Accademia di Brera e la Kunst Akademie di Monaco di Baviera, è stata Titolare della Cattedra di Pittura al Liceo di Brera. La sua attività parte dal 1976 con l'invito alla mostra "La nuova figurazione italiana" al Palazzo dei Congressi di Roma, per conto della Quadriennale Romana. Numerose le mostre personali in Italia e all'estero, e le partecipazioni a importanti rassegne. Presente in vari Musei stranieri e italiani.

Silvio Zampieri (S. Giovanni Lupatoto - Verona, 1940), si è imposto fin dalla prima giovinezza per la sua passione per il disegno, la visita ai Musei, lo studio dell'arte antica e moderna. Particolare esaltazione estetica assume ben presto la sua ricerca della dissolvenza della luce, della rarefazione delle atmosfere, sulla scia dello sfumato leonardesco di ascendenza lombarda. Nel 1975 è tra i firmatari dell'indirizzo estetico dei "Luministi Padani". La prima personale risale al Circolo Ambrosiano: "Omaggio al poeta Ungaretti".

- Biografia del curatore

Carlo Franza (Alessano - Lecce, 1949) è uno Storico dell'Arte Moderna e Contemporanea, italiano. Dal 1959 al 1980 a Roma dove ha studiato e conseguito tre lauree all'Università Statale La Sapienza (Lettere, Sociologia e Filosofia); dal 1980 è a Milano. Allievo e Assistente Ordinario di Giulio Carlo Argan all'Università La Sapienza di Roma. Professore Straordinario di Storia dell'Arte Moderna e Contemporanea, Ordinario di Lingua e Letteratura Italiana. Visiting Professor nell'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, nell'Università della Slesia e in altre numerose Università Estere. E' stato indicato dal "Times" fra i dieci critici d'arte più importanti d'Europa. Giornalista, Critico d'Arte, ha al suo attivo decine di libri fondamentali e migliaia di pubblicazioni e cataloghi con presentazioni di mostre. (Estratto da comunicato stampa)

Immagine:
Marisa Settembrini, Dedicato a Ianus, 2024




Dipinto di Terrell James nello mostra Myth Terrell James
"Myth"


11 dicembre 2024 - 15 febbraio 2025
Cadogan Gallery - Milano
cadogangallery.com

Dopo lo stand personale presentato all'edizione 2023 di miart, James rinnova la collaborazione con Cadogan presentando una nuova serie di lavori che segnano un'evoluzione nella sua pratica pittorica. Compaiono sulle sue tele tracce, impronte ed evocazioni figlie di un processo creativo che trasforma l'opera in un esercizio istintivo dell'atto del dipingere. Caratterizzata da una ricerca sul colore, la produzione di James mette in risalto i soggetti grazie allo studio sulle cromie, come in How a Poem Begins, in cui emergono frammenti di un paesaggio costruito da pennellate di blu, turchese e verde acqua. La sua è una pittura fortemente introspettiva e propone un'impressione astratta della realtà, presentando una stratificazione di forme e linee che allude a città e ad architetture inedite.

James ha sempre utilizzato un linguaggio astratto, ma nei 15 dipinti che compongono il percorso di Myth è visibile il passaggio dell'artista verso una nuova ricerca su forma, linee e spazio. Il mito, concepito dall'artista come fondamentale chiave di lettura della natura umana, è un riferimento onnipresente nella sua ultima serie, che vede forme più nitide, paesaggi riconoscibili e colori più aderenti alla realtà, come nelle opere Sovereign e This Place, This Time. L'artista stessa descrive i lavori esposti da Cadogan Gallery come astrazioni tese a un approccio più strutturato alla forma, che non tralascia rimandi mitici intrecciati a nuovi paesaggi urbani.

Terrell James vive e lavora a Houston. Le sue opere sono conservate in prestigiose collezioni, come quella del Boston Museum of Art, del Dallas Museum of Art e del Whitney Museum of American Art. È rappresentata da Cadogan dal 2015. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Fotografia denominata Flower Rude scattata da Lin Zhipeng nel 2022 Lin Zhipeng
"Free Love Chronicles"


09 gennaio 2025 (inaugurazione ore 18.30) - 22 marzo 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Prima mostra personale in Italia dedicata al fotografo cinese Lin Zhipeng a cura di Rebecca Delmenico. L'esposizione presenta venticinque fra scatti celebri e immagini recenti del fotografo di Guangdong classe 1979 conosciuto anche come no.223, in onore dell'omonimo personaggio del film di Wong Kar-Wai Chungking Express. Destinato ad una carriera nel campo della finanza, Zhipeng si laurea all'Università di Studi Esteri con una specializzazione in inglese finanziario. Ma è l'apertura nel 2003 di un blog intitolato North Latitude 23, in cui tutti i giorni questi pubblica le sue immagini accompagnate da testi, che lo rende in breve una celebrità prima del web e poi della fotografia internazionale.

Secondo la curatrice Rebecca Delmenico la ragione del successo di questo progetto fotografico è dovuta al fatto che il lavoro Lin Zhipeng riflette lo spirito di una generazione di giovani cinesi nata dopo gli anni Ottanta e Novanta: Zhinpeng racconta una storia collettiva che comprende anche la propria vita e la propria crescita personale. Il titolo della mostra Free Love Chronicles è il racconto di un progetto fotografico che avendo compiuto più di vent'anni di età, da semplice diario si è trasformato in un corpus fotografico ampio: i protagonisti della galleria di ritratti sono amici del fotografo o conoscenti conosciuti in rete, con cui l'artista stringe una connessione umana ed intima molto stretta attraverso il veicolo dell'immagine.

Il racconto è lieve e crudo, in bilico fra una tenerezza e malinconia, di cui protagonista è una sessualità liberata frutto del desiderio di esprimersi al di là di qualunque pregiudizio. Zhipeng e i suoi giovani protagonisti condividono una visione della pratica fotografica come strumento liberatorio della propria energia vitale più genuina ed autentica, di cui l'amore, il cibo e la sessualità sono parte integrante.

Come scrive Delmenico le opere di Lin Zhipeng sono sature di un tenero senso di leggerezza e di un'innocenza giocosa per esprimere uno stile di vita naturale e libero fatto di comprensione dell'amore e della libertà. La grammatica fotografica di Lin Zhipeng si nutre di libere associazioni fra elementi apparentemente distanti, capaci di creare un linguaggio più allusivo che diretto: le libere associazioni figurative sono tali da ricreare un'atmosfera ed un sentire in cui si specchia una generazione intera. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra di Mario Raciti e Mariangela De Maria Mario Raciti | Opere recenti
Mariangela De Maria | Opere anni '90 - 2022


25 novembre 2024 (inaugurazione) - gennaio 2025
Studio Danovi - Milano

Come quella di Gastone Novelli o quella di Cy Twombly, l'opera pittorica di Mario Raciti (Milano, 1934) non è direttamente ascrivibile alla vasta stagione dell'arte informale europea, un'etichetta storiografica a volte troppo generica, che rischia di omologare profonde e differenti individualità. Stesso discorso per le opere presenti in questa mostra di Mariangela De Maria, sua moglie, rappresentata con alcune chine molto raffinate. Allontanandosi dai dati figurativi, Raciti, a partire dal 1958, con i suoi primi Gesti d'Ignoto: segni, tracce, luci, grovigli, ha individuato il suo stile, dove il timbro di un suono solidificato diviene fitto arabesco cromatico e ricerca di una identità anche sofferta e travagliata.

Grande appassionato di musica classica, Raciti ha sempre pensato ad una pittura come un'inedita forma di suoni immobili, statici, magicamente congelati. Come nell'isola de La Tempesta di Shakespeare, come Calibano, egli sente che il mondo è pieno "di questi sussurri, di dolci suoni, rumori, armonie, che non fanno alcun male, anzi dilettano". A volte sono migliaia di strumenti che vibrano come colori nell'aria. Altre volte sono voci soavi o inquietanti, che si trasfigurano in minimi filamenti neri o grigi o azzurri; o in dense e trasparenti presenze bianche che si muovono come liberi campi timbrici; "e allora, in sogno, sembra che le nuvole si spalanchino e scoprano tesori" pronti a pioverci addosso, e tutti noi ci svegliamo con il desiderio di sognare ancora.

Nelle tecniche miste su tela di Raciti le forme danzano nell'aria. Una giostra, un'antenna, una porta, si mescolano con le indecifrabili condensazioni della luce. Spiritelli muovono nell'aria, o danzano sulle acque, o formano cerchi magici. Come Ariel viaggiano tra il mare e il cielo, la terra e le nuvole, la sabbia e le stelle. Sono soprattutto Presenze-assenze, titolo di molti suoi quadri degli anni '70; sono minime tracce, sottili segni, lievi e raffinati campi cromatici, che dialogano e si intersecano, ampi veli appena delineati, dove il visibile e l'invisibile, il pieno e il vuoto, il corpo e lo spirito si mescolano in musiche solidificate.

Marmo come seta; legno come vaporoso orizzonte; filamenti, gioiose e dolorose cicatrici del futuro e del ricordo. Stesure di piani azzurri, verdi, bianchi, rosa, dove le forme concrete del mondo evaporano in favole e inesplicabili racconti mitologici. Nell'immensa metamorfosi dell'universo tutto è possibile: insieme questo è quello, bene e male, luce e tenebra, giorno e notte, materia e spirito. Tutto è doppio. Tutto è mobile e riccamente paradossale. Tutto è Mistero. Ma un mistero vissuto nella sua pittura spesso anche come lotta, profonda ricerca, angoscia e travaglio.

Il perché delle cose scandagliato tra lievi tralicci che si trasformano in alberi di una terra ignota, rami metafisici, fiori e foglie di un mondo mai visto. I fiori del Profondo, il mito di Kore (Persefone) rapita da Ade, il signore del regno dei morti, colei che come il chicco di grano deve marcire sotto terra per rifiorire alla piena luce del sole diventando grano. Una forma di resurrezione: il miracolo di una grandiosa metamorfosi. Poi Una o due figure, il trapasso delle identità e delle forme. Anche l'iniziale disperazione di Demetra, la madre di Kore.

Corpi che si trasfigurano in pura luce. Figure come benevoli fantasmi o ambigui demoni. Angeli in sembianze di candide donne felicemente stilizzate. Montagne come nuvole. Campi di un vapore solidificato che dialogano e si intersecano. Fonte e Fonti del dono della vita, dove la vita appare negata. Intense e delicate vibrazioni cromatiche. Cascate di bianco che si combinano e s'intrecciano con ricche variazioni di azzurri, blu, verdi e rosa.

Musica senza suono sospesa. Magico luogo che ha incantato l'aria, facendola risuonare. Fino "a costruire una cattedrale vuota, su cui, un domani, si alzeranno nuovi altari". Lieve, celeste, quasi trasparente pittura come testimonianza, presenza, transito, speranza. Ma una speranza vissuta da Raciti, nel suo lungo percorso storico, anche con estrema passione, lotta, travaglio. Da una parte nella ricerca di una propria autonoma identità, di fronte a tanti ismi e troppe mode. Dall'altra con profondo disagio, anche forte preoccupazione e angoscia, considerando la contemporaneità di un mondo e una società sempre più omologata e tristemente superficiale. (Paolo Repetto)

Le prime esposizioni di Mario Raciti risalgono agli inizi degli anni '50. Dai primi anni '60, dopo una laurea in giurisprudenza e l'inizio dell'attività legale, si è dedicato professionalmente alla pittura. Da allora, le sue opere hanno superato il mezzo secolo «nella continuità di un'ossessione, propria dell'artista di ogni tempo, che lo porta, attraverso vari giochi della fantasia e dei momenti, a percorrere un mondo sempre aperto all'altrove, all'"oltre"». È considerato uno dei Maestri del Simbolismo Astratto della pittura del dopoguerra milanese.

Mariangela De Maria (Milano, 1938), diplomata in scenografia all'Accademia di Brera, dapprima giovane artista, abbina poi l'insegnamento di materie artistiche, e riprende alla fine univocamente l'attività pittorica dai primi anni novanta. Ha esposto in importanti rassegne, in spazi pubblici e privati, nel gruppo di Kaisseljan della "Pittura esistenziale" per tutti gli anni '60. Poi in spazi pubblici e privati. (Estratto da comunicato stampa)




Opera a tecnica mista e decollage su carta foderata di cm 120x120 denominata Trascrizione misia realizzata da Sandro Martini nel 2003 Sandro Martini
"Segno e colore oltre il telaio"


03 dicembre 2024 (inaugurazione) - 25 gennaio 2025
Paula Seegy Gallery - Milano
www.paulaseegygallery.com

La mostra, curata da Luigi Sansone, è una retrospettiva dedicata all'artista, punto di riferimento nel panorama dell'arte astratta in Italia. In esposizione una selezione di lavori appartenenti a varie fasi della carriera di Martini: acquerelli, collage, affreschi, sculture, emblematici della sua espressione e maturazione artistica, in cui il colore è l'attore principale. Queste opere sono testimonianza dell'evoluzione di Martini dalla pittura bidimensionale verso la realizzazione di creazioni nelle quali il colore diventa parte attiva, movimento, in grado di creare un ambiente immersivo nel quale pittura e architettura risultano armoniosamente in simbiosi.

Sandro Martini, dunque, sfida il confine tra arte e architettura, opera e spazio, sviluppando un linguaggio artistico che vede la progressiva estensione del quadro tradizionale verso l'ambiente che lo circonda: un'arte dinamica, un'arte "oltre il telaio". La sua poetica visiva rivela l'intenso rapporto tra i tre elementi colore, luce e struttura, che ha esplorato e raffinato nel corso della sua carriera, caratterizzata da un'instancabile ricerca e una profonda conoscenza tecnica.

L'artista, infatti, si è sempre confrontato con la lavorazione dei materiali grazie alla frequentazione del cantiere in cui il padre svolgeva il ruolo di ingegnere navale. A questa prima fase appartiene l'assemblaggio in legno d'ulivo e ferro saldato presente in mostra e intitolato: Porcospino (1959). Più incentrate sulla forza del colore sono le opere nel percorso espositivo come Trascrizione Misia (2003) e Quantità achè (2003), in cui emerge con chiarezza non solo l'intensità, ma anche il potere evocativo delle cromie, di cui l'artista con sapiente tecnica si serve come mezzo per costruire luoghi che sfuggono ai limiti convenzionali della tela.

Nelle sue opere più recenti, come Quantità Marmelitino del 2021, Luigi Sansone rileva la scelta stilistica di Martini di attribuire un ruolo sempre più centrale ad un colore in particolare, all'apparenza neutrale: il bianco. A tale proposito il curatore afferma che "assistiamo ad un restringimento dell'area colorata a favore del bianco della tela che acquista una valenza di spazio meditativo, di riflessione, un'oasi tranquilla che permette a far risaltare ancor di più la brillantezza dei colori"; questa decisione di Martini fa affiorare alla mente del curatore le parole di Kandinsky (Lo spirituale nell'arte, 1911): "il bianco, che spesso è considerato come un non colore, è quasi il simbolo di un mondo in cui tutti i colori, come principi e sostanze fisiche, sono scomparsi. [...] Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto." Ed è questa la forza dell'impatto delle opere di Sandro Martini.

Sandro Martini (Livorno 1941 - Milano 2022) è stato un artista a tutto tondo, una figura di grande rilievo dell'arte astratta italiana, che nel corso della carriera, ha saputo destreggiarsi con più tecniche e media: pittura, scultura, affresco, installazione, grafica. Debutta nel 1959 alla Galleria Le Ore e la sua carriera decolla negli anni Sessanta, quando inizia a collaborare con gallerie storiche italiane come Il Milione e Galleria Blu. Dal 1978 espone anche negli Stati Uniti (New York, Los Angeles, San Francisco), dove insegna incisione e tecniche di affresco per 25 anni al Kala Institute a Berkeley. In Italia e all'estero, segue parallelamente lo stesso percorso, partecipando a numerose mostre e realizzando grandi installazioni. In America una sua installazione permanente di tele diviene parte del patrimonio della Djerassi Foundation a Stanford e numerose opere vengono installate in sedi pubbliche e private. L'ultima esposizione di Sandro Martini "Come la vita" (Guastalla Centro Arte, Livorno) chiude nel 2023. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)

Immagine:
Sandro Martini, Trascrizione misia, 2003, tecnica mista e decollage su carta foderata cm 120x120




Dipinto a olio su tela di cm 90x192 denominato Sole d'autunno realizzato da Giovanni Segantini nel 1887 Sole d'autunno. Il capolavoro ritrovato
15 novembre 2024 - 26 gennaio 2025
Galleria Civica G. Segantini - Arco (Trento)
www.segantiniearco.it

In occasione della recente acquisizione dell'opera Sole d'autunno, la Galleria Civica Giovanni Segantini intende presentare al pubblico il capolavoro segantiniano nella cornice di un nuovo allestimento che ne valorizzi la centralità nel percorso della ricerca pittorica del pittore arcense, e il ruolo fondamentale di passaggio nell'evoluzione della sperimentazione segantiniana tra gli anni briantei e l'aprirsi della fase più intensa della sua attività dopo il trasferimento nei Grigioni, quando un rinnovato senso del colore, e della luce, si impone quale nucleo fondante di una nuova concezione estetica. Si tratta di un dipinto di eccezionale importanza, e dalla prestigiosa storia collezionistica acquistato presso la Galleria Bottegantica di Milano.

Non più esposta dal 1954, anno della rassegna Pittori Lombardi del Secondo Ottocento (Como, Villa Comunale dell'Olmo), l'opera riemerge finalmente agli occhi del pubblico dopo settant'anni. Nel contesto italiano, la musealizzazione di Sole d'autunno da parte del Comune di Arco per una cifra di 3 milioni di euro, costituisce uno dei più grandi acquisti pubblici mai avvenuti di un'opera del nostro Ottocento e in particolare la maggiore acquisizione segantiniana a partire dal 1927. Un capolavoro della cultura artistica nazionale entra oggi a far parte del patrimonio pubblico, favorendo non solo gli studi su Giovanni Segantini, ma su tutta la pittura dell'Ottocento Italiano.

In questa cornice, e nell'occasione del centoventicinquesimo dell'anniversario della scomparsa di Segantini, la Galleria dedica un focus sull'ininterrotto legame che la città di Arco da sempre mantenne vivo con la memoria del pittore, a partire dalla commissione del monumento a Leonardo Bistolfi e che si rinnova, oggi, con l'acquisto di un'opera finalmente restituita alla collettività e visibile dopo settant'anni dall'ultima esposizione. Il dipinto, in rapporto alle sue specificità iconografiche, tecniche e pittoriche, rappresenta uno dei capisaldi della pittura di Segantini, configurandosi come uno dei suoi più importanti lavori, oggi noti, del 1887.

La tela, da leggere in continuità con i risultati raggiunti con l'opera Alla Stanga, 1885-1886 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna), viene elaborata dal pittore nel momento in cui, complice la riflessione stimolata da Vittore Grubicy, sperimenta nell'Ave Maria a Trasbordo, 1886 (St. Mortiz, Segantini Museum) una prima istintuale - e non sistematica - applicazione della stesura divisionista. L'uso dell'impasto a colori puri è più libero, la pennellata articola in modo complesso la superficie, facendosi ora più corposa, ora più allungata; le sottili variazioni cromatiche, svincolate dalla convenzionalità crepuscolare degli anni briantei, restituiscono meticolosamente i valori cromatico-luministici studiati dal vero.

La centralità di Sole d'autunno è connessa altresì al soggetto rappresentato, icona di primaria importanza del naturalismo segantiniano, collegato ad altri due capolavori della sua produzione quali Allo sciogliersi delle nevi, 1888 (St. Moritz, Segantini Museum) e Vacche aggiogate, 1888 (Basilea, Kunstmuseum). Sotto il profilo tematico, il dipinto costituisce inoltre un vero e proprio momento di frattura rispetto alle opere dei primi anni Ottanta del XIX secolo.

La tela supera infatti l'impasse letteraria dell'idillio tragico ed elegiaco, al fine di celebrare una più diretta esaltazione della natura nei suoi valori essenziali, svincolandola così da una rilettura sentimentale per avvicinarla, invece, ad una concezione panica e universale, entro ciò che il pittore definisce «simbolismo naturalistico». La straordinarietà di quest'acquisizione risiede anche nella storia collezionistica della stessa, passata dalla collezione di Alberto Grubicy (1887) a quella dell'importante famiglia Dall'Acqua (1894), transitando poi nella collezione Rossello (ante 1926), una delle più consistenti e importanti collezioni di tutto il Novecento italiano. (Comunicato stampa Studio Esseci)

Immagine:
Giovanni Segantini, Sole d'autunno, 1887, olio su tela cm. 90x192




Dipinto a tempera su tela di cm 140x170,5 denominato 47 realizzato da Giorgio Celiberti nel 1995 Giorgio Celiberti
08 novembre 2024 (inaugurazione ore 19) - 10 gennaio 2025
Ufficio di collegamento della Regione Friuli Venezia Giulia a Bruxelles

Nell'ambito del progetto "L'arte contemporanea del Friuli Venezia Giulia a Bruxelles", che ha visto valenti artiste e artisti del territorio, il ciclo espositivo ideato e curato da Marianna Accerboni prosegue con un'ampia antologica dedicata a Giorgio Celiberti, grande artista friulano di levatura internazionale, organizzata in occasione del suo 95° compleanno.

La mostra propone un'ottantina di opere tra dipinti, disegni, sculture, pittosculture e oggetti di design, realizzati dalla seconda metà degli anni Quaranta agli anni Duemila: lavori che vanno dal figurativo degli esordi all'astrazione, passando attraverso un simbolismo poetico di grande sensibilità con qualche venatura neoromantica, interpretati da tecniche pittoriche a olio, tempera, tecnica mista, affresco, che traslano nella terza dimensione implementate dall'uso di cementite, terracotta policroma, incisioni in schiuma espansa, bronzo.

Presentazione mostra




Dipinto a olio su tela realizzato da Riccardo Corti nella mostra curata da Gianni Costa "Giorno x giorno"
30 novembre 2024 (inaugurazione) - 04 gennaio 2025
Villa Argentina - Viareggio (Lucca)
www.mercurioviareggio.com

Nella rassegna saranno esposti recenti dipinti di dodici tra i più significativi artisti che negli anni hanno partecipato alle mostre promosse dalla galleria viareggina, attiva dal 1996: Simone Bortolotti (Firenze, 1963), Annamaria Buonamici (Lucca, 1954), Daniela Caciagli (Bibbona, 1962), Riccardo Corti (Firenze, 1952), Beppe Francesconi (Marina di Massa, 1961), Andrea Mancini (Firenze, 1958), Guido Morelli (La Spezia, 1967), Gianluca Motto (La Spezia, 1965), Armando Orfeo (Marina di Grosseto, 1964), Lisandro Rota (Lucca, 1946), Riccardo Ruberti (Livorno, 1981) e Valente Taddei (Viareggio, 1964). I dodici autori - che vantano nutriti curricula, con personali e collettive in Italia e all'estero - benché differenti tra loro per stili e tecniche, sono accomunati da un profondo spirito di ricerca nell'ambito della pittura figurativa contemporanea.

La mostra, curata da Gianni Costa, è organizzata in collaborazione con la Provincia di Lucca. In questa occasione verrà presentato il Calendario 2025 della galleria Mercurio Arte Contemporanea di Viareggio: un elegante oggetto da tavolo, illustrato con le immagini di alcune delle opere in mostra, realizzato dalla tipografia S. Marco di Badia di Cantignano (Lu) su progetto grafico di Gianni Costa, direttore della galleria. (Comunicato di presentazione)

Immagine:
Dipinto a olio su tela realizzato da Riccardo Corti




Michael Sweerts
"Realtà e misteri nella Roma del Seicento"


08 novembre 2024 (inaugurazione) - 18 gennaio 2025
Accademia Nazionale di San Luca (Palazzo Carpegna) - Roma
www.accademiasanluca.it

Mostra, a cura di Andrea G. De Marchi e Claudio Seccaroni, dedicata a uno dei pittori fiamminghi più enigmatici, complessi e intimamente internazionale. Ancora poco noto al grande pubblico fu ignorato dagli storici della sua epoca. Michael Sweerts (Bruxelles 1624 ca. - Goa (?) 1664 ca.) è stato riscoperto da critici nordeuropei attorno al 1900 e, a metà secolo, da italiani del calibro di Giuliano Briganti e Roberto Longhi. Le ricerche per questa mostra gettano nuova luce sulla sua vicenda biografica, sociale e artistica, con importanti scoperte d'archivio e di restauro, che hanno permesso collegamenti fra opere e tracce documentali, nonché riesami tecnici.

Di origini aristocratiche - come rivelano queste ricerche - Sweerts non seguì le maggiori correnti artistiche del suo tempo, grazie anche a un'indipendenza economica e intellettuale che lo ha reso libero dai capricci della committenza. Soggiornò a Roma dal 1643 al 1653, dove sicuramente venne a contatto con l'indisciplinata comunità dei pittori olandesi e fiamminghi, vivendo in via Margutta dal 1646 al 1651. Aprì uno studio dove raccolse calchi in gesso di frammenti scultorei antichi e moderni, ricorrenti nelle sue tele quali tracce classiciste di Roma, nonché come strumenti di una rivendicata pratica d'artista, contrapposta ai consueti approcci astratti e teoretici.

Influenzato dai Bamboccianti e dallo studio diretto dei dipinti del giovane Caravaggio, in particolare quelli Pamphilj, Sweerts conquistò in breve una chiara autonomia poetica, dedicandosi a pungenti rappresentazioni di atelier in cui è frequente la presenza di giovani allievi dediti alla copia dei modelli antichi. La Roma da lui narrata riunisce tutte le classi sociali, soprattutto quelle popolari, con giovani prostitute e vecchi bevitori situati in scorci urbani tra miseria e nobiltà. Sempre al periodo romano si può ricondurre l'interesse di Sweerts per le rappresentazioni del cielo, tema che svilupperà anche dopo il ritorno in patria. Divenuto profondamente religioso, Sweerts si imbarcherà nel 1661 da Marsiglia alla volta dell'Oriente, per seguire una missione lazzarista francese, trovando la morte probabilmente a Goa.

La mostra è un'occasione straordinaria per scoprire e approfondire la sua assoluta singolarità e per chiarire qualcuno dei misteri aleggianti sul suo conto. Sarà possibile anche rivalutare un aspetto del suo lavoro per lo più ignorato, come la vocazione all'insegnamento e all'avvio professionale dei giovani artisti, da lui inteso come vera e propria scuola di formazione, in cui non sembra aver imposto il proprio linguaggio. Così anche il peso del suo soggiorno romano, che la lettura critica ha in prevalenza mortificato, facendone un eroe nordico.

Diciotto le opere in mostra: tredici dipinti di mano di Sweerts, di cui quattro di proprietà dell'Accademia, restaurate per l'occasione e, a corredo, saranno esposti anche dipinti di stretti collaboratori e antichi gessi a testimoniare l'interesse dell'artista per la scultura. Accompagna la mostra un catalogo bilingue (italiano/inglese), edito dall'Accademia Nazionale di San Luca. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar - Roma, novembre 2024)




Opera realizzata da Niele Toroni in mostra alla Galleria A arte Invernizzi Niele Toroni
04 dicembre 2024 (inaugurazione) - 12 febbraio 2025
Galleria A arte Invernizzi - Milano
www.aarteinvernizzi.it

Una mostra personale di Niele Toroni, uno dei principali protagonisti della scena artistica internazionale che, a partire dal 1967, ha saputo distinguersi grazie alla sua personale metodologia di intervento che prevede la reiterazione di impronte di pennello n. 50 a intervalli di 30 cm l'una dall'altra. Toroni ha da sempre inteso la pittura come una possibilità di dialogare con lo spazio, senza occuparlo o imporsi su di esso, ma rintracciandone e mostrandone possibili traiettorie attraverso la progressione delle impronte di pennello, sempre differenti ma cadenzate a intervalli regolari e ordinati.

La mostra ripercorre l'intera vicenda artistica di Niele Toroni attraverso 25 opere realizzate su formati e supporti differenti come tela, carta, giornale, tela cerata, legno, a partire dall'opera Omaggio a Paolo Uccello del 1965, fino al recente album Impronte di pennello n.50 a intervalli di 30 cm "A nous la liberté", che vede la presenza di impronte di pennello con cromie differenti susseguirsi sui singoli fogli, occupandone la superficie in una successione variata, fino ad un massimo di quattro impronte per foglio.

Al piano superiore della galleria sono presentati lavori su carta, poliplat e tela, creati in un arco temporale che va dai primi anni Ottanta agli anni dieci del Duemila, generatori di una relazione attiva con l'ambiente circostante come l'opera 4 impronte di pennello n. 50 a intervalli di 30 cm "Dire non basta, si deve vederla la pittura" del 2011, dove le impronte di pennello, ripetute su fogli di cartone posizionati sulla parete, ne ridefiniscono le coordinate attraverso la loro progressione ritmica. Accanto si trovano due opere del 2016 Impronte di pennello n. 50 a intervalli di 30 cm "Quando le impronte di pennello si manifestano sul loro manifesto", in cui il gesto minimo di Toroni si relaziona alla riproduzione di alcuni suoi interventi realizzati per il Castello di Rivoli negli anni Ottanta.

La seconda sala del piano superiore è interamente dedicata agli anni Settanta con un'opera su tela del 1978, un lavoro su tela cerata del 1972 e l'opera Recuperation del 1971, composta da tre pannelli in legno sagomati recanti tre impronte di pennello ciascuno, che invitano lo spettatore a seguire la loro scansione con lo sguardo; il medesimo procedimento operativo, ripetibile nella sua progettualità ma unico nella sua concretezza, genera un lavoro partecipato e non teorizzato, da vivere nel momento.

Al piano inferiore sono esposte opere di grandi dimensioni realizzate tra la fine degli anni Novanta e i Duemila, che mostrano come gli esiti del singolo intervento mutano non solo in relazione alle morfologie spaziali e ideali ma anche internamente, grazie all'articolazione delle differenti intensità e cromie delle singole impronte. Tra i lavori esposti figura una porta sulla cui superficie Toroni realizzò un intervento nel 2007, anno in cui in occasione della sua mostra personale ideò l'opera permanente visibile sulla porta di ingresso della galleria; sono tuttora visibili anche i due interventi realizzati sulle pareti del piano inferiore nel 2011.

Lo sguardo dello spettatore viene così guidato nella percezione dello spazio come campo attivo attraverso forme generatrici di fisicità e di nuove dimensioni spaziali, che intrecciano relazioni con l'ambiente della sala espositiva in relazione al suo sviluppo architettonico e strutturale. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un saggio di Paolo Bolpagni e la riproduzione delle opere esposte. (Comunicato stampa)




Arrhov Frick
Ursprung
Origine/Origin


15 novembre 2024 - 02 marzo 2025
Teatro dell'architettura - Mendrisio (Svizzera)
ww.tam.usi.ch

Promossa dall'Accademia di architettura e curata dallo studio di architettura svedese Arrhov Frick, con fotografie di Mikael Olsson. Con un formato innovativo, l'Accademia di architettura intende offrire in questa occasione una mostra in divenire che ufficialmente verrà aperta al pubblico la sera del 14 di novembre 2024 e il giorno successivo a mezzogiorno, e che continuerà a modificarsi e ad arricchirsi nel tempo: un esperimento di mediazione culturale attiva per avvicinare il pubblico di riferimento del Teatro dell'architettura di Mendrisio a nuove modalità di pensare / immaginare possibili progetti di modificazione dello spazio di vita, sia collettivo che privato, secondo principi dettati dai nuovi bisogni e dai nuovi vincoli legati all'abitare e all'ambiente.

Nel corso dell'autunno 2024, il Teatro dell'architettura diventerà il terreno comune di quattro processi simultanei: un atelier di progettazione, il ciclo di conferenze pubbliche del semestre autunnale 2024, anch'esso curato da Arrhov Frick, delle istallazioni 1:1 e frammenti del metodo di ricerca di Arrhov Frick. Questi processi paralleli danno vita alla mostra il cui titolo Ursprung è l'agente di riferimento comune, ovvero secondo Arrhov Frick: Ursprung può essere la sorgente di un fiume, di un'architettura o di un pensiero, di ossigeno, di fuoco, del sole o dell'attimo che precede. Sia in svedese che in tedesco, il termine ci parla di origini, sia che si tratti di ricordi o di una situazione esistente, una condizione climatica o di un sistema circolare.

Il percorso espositivo, al piano terra e nella prima Galleria del Teatro dell'architettura Mendrisio, è scandito da una serie di sezioni tematiche che si riferiscono al metodo di ricerca e progettuale dello studio di architettura svedese Arrhov Frick. Ciascuna sezione è corredata da numerosi disegni dagli architetti e da grandi fotografie dell'artista svedese Mikael Olsson che ha sviluppato una cifra personale nel suo modo di interpretare l'architettura, ovvero una sua radicale re-visione e ri-presentazione attraverso la mediazione della fotografia.

Da settembre a dicembre 2024, il Teatro dell'architettura Mendrisio verrà costantemente abitato e vissuto dagli studenti dell'Accademia di architettura iscritti pagina 3 / 7 all'atelier autunnale di progettazione Arrhov Frick e che, di settimana in settimana, allestiranno in mostra un archivio di progetti, ricerche e una serie di prototipi in scala 1:1.

Gli studenti e lo staff di atelier collaboreranno anche all'interno di seminari e di laboratori con docenti ed esperti in vari ambiti disciplinari, coinvolti a condividere diversi formati di dibattito sul progetto di architettura contemporaneo per produrre una serie di riflessioni e di opere da esporre poi in mostra. Tutto questo contribuisce a creare una sorta di vera e propria agorà, intervenendo anche sulle condizioni ambientali e spaziali del Teatro dell'architettura, attraverso l'ausilio delle installazioni 'site-specific'. L'intento è di riattivare le relazioni tra l'interno e l'esterno dell'edificio esplorandone i principi in riferimento alla sua costruzione, ad una riduzione del suo consumo energetico o anche ai fondamenti dell'architettura come lo spazio e la luce.

Ursprung diventa dunque una piattaforma aperta al dialogo su vari argomenti che a loro volta dischiudono ulteriori aspetti da approfondire in riferimento all'architettura, in una convergenza di sinergie tra pensiero e pratica in un luogo, il Teatro, appunto deputato alla divulgazione della cultura architettonica e urbana. Nel riflettere sul tema dell'abitare, il materiale in mostra intratterrà con il suo contenitore una relazione osmotica: non occupando semplicemente uno spazio, ma facendone la propria dimora: 'A Place to Live?'.

Oltre al corposo contributo in mostra dell'opera fotografica di Mikael Olsson - che negli anni ha interpretato in immagini la maggior parte del lavoro di Arrhov Frick - verranno installate una serie di opere tessili 'site-specific', create dagli studenti dell'Accademia sulla base di ricerche e dati relativi all'analisi delle condizioni ambientali locali e secondo i metodi creativi dei workshop di Akane Moriyama, artista giapponese con base a Stoccolma che da tempo collabora con lo studio degli architetti svedesi nella realizzazione di elementi e di artifici tessili e stratificati, effimeri o meno che vanno spesso ad inserirsi come elementi distintivi delle loro architetture.

Come afferma Juhani Pallasmaa nella sua illuminante introduzione alla corposa monografia 'Arrhov Frick' con le fotografie di Mikael Olsson (Koenig Books, London, 2018), "... il poeta [Iosif Brodskij] afferma senza esitazione che: 'La poesia è una tremenda scuola di insicurezza e di incertezza'. Anche l'architettura lo è. Il lavoro sincero... di Arrhov Frick esprime questa umiltà...e un orgoglio combinati, voglio aggiungere, in modo toccante e bellissimo. Vorrei chiamare il loro lavoro 'Grazia minimalista svedese'...". (Estratto da comunicato stampa)




Max Liebermann. Un impressionista di Berlino
20 settembre 2024 - 09 febbraio 2025
Museo Casa di Goethe - Roma
www.casadigoethe.it

Mostra a cura di Alice Cazzola, prima retrospettiva in Italia del pittore ebreo tedesco Max Liebermann (1847-1935). "Per celebrare 150 anni dalla nascita dell'Impressionismo la Casa di Goethe porta a Roma il più importante pittore tedesco di questa corrente artistica", afferma Gregor H. Lersch, direttore della Casa di Goethe, che prosegue: "la nostra mostra è un'occasione unica per vedere in Italia l'opera di Max Liebermann in tutte le sue sfaccettature. L'esposizione è realizzata in cooperazione con la Liebermann-Villa am Wannsee di Berlino. Al Museo Casa di Goethe la mostra intende presentare nella sua totalità la produzione dell'artista grazie a 32 opere che ne ricostruiscono le fasi più importanti.

Max Liebermann (Berlino, 1847-1935) è considerato uno dei massimi innovatori della pittura tedesca di fine Ottocento: la sua arte e le sue attività politico-artistiche, tra cui quella di presidente della Secessione di Berlino e dell'Accademia Prussiana delle Arti, hanno dato un notevole impulso alla modernizzazione della scena artistica berlinese. Inizialmente dedito al Realismo e al Naturalismo, Liebermann pone al centro dei suoi dipinti temi antiaccademici quali il duro lavoro nelle campagne e successivamente, intorno alla fine del secolo, si concentra sugli svaghi equestri dei borghesi in riva al mare e dei giovani bagnanti sulla costa olandese. La tavolozza dell'artista si illumina e le macchie scintillanti di luce diventano il suo marchio inconfondibile.

Gli ultimi lavori di Liebermann vertono invece sul suo idilliaco giardino in riva al Wannsee, da lui immortalato con colori pregnanti, nello spirito di una visione impressionistica della natura. Liebermann intrattenne stretti contatti con la Francia e soprattutto con i Paesi Bassi, ma anche l'Italia svolse un ruolo decisivo nella sua carriera di pittore: tra il 1878 e il 1913 egli valicò le Alpi almeno sei volte. Sappiamo che visitò Venezia, Firenze e Roma e che si spinse fino a Napoli. A partire dal 1895 fu uno dei protagonisti delle prime Esposizioni Internazionali d'Arte della città di Venezia, l'odierna Biennale di Venezia, e le sue opere furono esposte in numerose collettive a inizio Novecento in Italia, entrando così in contatto con alcuni rappresentanti della scena artistica, tanto che la direzione delle Gallerie degli Uffizi gli commissionò un autoritratto per la propria collezione.

Diverse sue opere sono quindi entrate a far parte di celebri musei italiani, alcune delle quali sono riunite presso il Museo Casa di Goethe. In Italia trovò inoltre ispirazione per alcuni dei suoi lavori e, per rendere merito al legame che Liebermann intrattenne con la capitale italiana, viene esposto il dipinto Passeggiata sul Monte Pincio del 1911. La mostra offre una panoramica della carriera artistica di Liebermann, lunga quasi sessant'anni; la maggior parte delle opere esposte (dipinti, disegni e stampe) provengono dalla collezione della Max-Liebermann-Gesellschaft Berlin e.V., da altre collezioni private in Germania oltre che dallo stesso Museo Casa di Goethe. I dipinti della metropoli berlinese, come i Pattinatori nel Tiergarten del 1923, affiancano una serie di autoritratti e ritratti di famiglia - tra i quali il disegno La moglie dell'artista intenta a leggere del 1885 circa e il quadro ad olio Nonna e nipotina del 1922.

Segue un primo approfondimento sui Paesi Bassi, meta di viaggio e di studio più amata da Liebermann, come testimoniato da dipinti come la Giovane cucitrice con gatto - Interno olandese del 1884 e L'uomo che accudisce i pappagalli del 1900-1901. Un secondo approfondimento è dedicato ai ritratti dei contemporanei di Liebermann realizzati ad olio e a stampa di Theodor Fontane, Gerhart Hauptmann, Wilhelm Bode e Umberto Veruda. Non manca una sezione relativa alla grande ammirazione che Liebermann provava per Johann Wolfgang von Goethe. Lo dimostrano le sue illustrazioni di opere del celebre poeta, ad esempio L'uomo di cinquant'anni pubblicata presso l'editore berlinese Bruno Cassirer nel 1922.

Il percorso espositivo si conclude con una serie di sgargianti raffigurazioni del giardino in riva al Wannsee: La terrazza fiorita nel giardino sul Wannsee verso nord-ovest del 1915, la Vista dall'orto verso est sull'ingresso della casa di campagna del 1919 e i Fiori perenni presso la casetta del giardiniere in direzione nord-ovest del 1926. L'archeologia e l'arte antica esercitarono un forte fascino su Liebermann grazie al soggiorno romano del 1911, tanto che nella loggia della sua villa in riva al Wannsee egli eseguì una pittura parietale ispirata all'antico affresco del giardino sempreverde e fiorito che adornava la Villa di Livia presso Prima Porta a Roma, opera attualmente conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.

A testimoniare l'ammirazione dell'artista per l'antichità classica, in mostra è presente l'unica fotografia conosciuta che lo ritrae davanti alla sua loggia, il cui dipinto parietale è stato riscoperto e riportato alla luce nel 2003-2004 e in seguito restaurato. La fotografia è messa a confronto diretto con alcune riproduzioni dell'affresco di Villa di Livia concesse grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, con il quale sarà organizzata una conferenza di approfondimento.

Accompagna la mostra il catalogo "Max Liebermann in Italia" pubblicato in italiano e tedesco, a cura di Alice Cazzola (curatrice della mostra), Lucy Wasensteiner (già direttrice della Liebermann-Villa am Wannsee) e Gregor H. Lersch (direttore del Museo Casa di Goethe). Il volume raccoglie saggi di Alice Cazzola, Sarah Kinzel (ricercatrice presso il Lindenau-Museum Altenburg) e Enrico Lucchese (ricercatore all'Università degli Studi della Campania) e Lucy Wasensteiner. (Comunicatùo ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina della mostra di Pino Di Gennaro denominata Tocco il cielo con le dita Pino Di Gennaro
"Tocco il cielo con le dita"


11 novembre 2024 (inaugurazione) - 11 gennaio 2025
Galleria Previtali - Milano
www.galleriaprevitali.it

La mostra personale di Pino Di Gennaro, a cura di Jacqueline Ceresoli, in occasione dei primi vent'anni della Galleria Previtali, prende il titolo da una sua scultura Tocco il cielo con le dita (2018), coglie l'essenza poetica di un pensiero astratto che si fa materia nella scultura fondata sul rapporto cervello, occhio e mano verso l'immateriale, e inscena un viaggio immaginario dalla Natura al Cosmo...

Incanta la nuova serie di Alve-ari in cera e pigmenti che presenta variazioni luminose, giustapposizioni di segni astratti giocati sulle tonalità cromatiche e inserzioni materiche, che producono possibilità di vita attraverso l'indeterminazione delle informazioni, in cui geometria e poesia si ricorrono in una scrittura ermetica che avrebbe affascinato Paul Klee. Le Preghiere (2000), evocano pergamene trovate in chissà quale tempio Buddista, sono un omaggio alla scrittura primitiva e magica per la sua complessità e bellezza compositiva. Le sue commistioni polimateriche aprono il nostro sguardo a riflessioni sul rapporto tra uomo e natura in dialogo con il cosmo...

Spiazza e incanta L'Alberto del Miele (2023), composta da una forma rettangolare dorata affiancata da un quadrato blu cobalto, forato che evoca i buchi di Lucio Fontana, in cui fa capolino una minuscola finestrella che incornicia un micro albero del miele dorato, simbolo di vita universale. Per Di Gennaro è divertente sovvertire i codici, come in Sopra il cielo gli alberi (2019) e non le stelle, l'opera in cartapesta e metallo in cui tutto è vita nella sua pacata e metafisica immobilità, dove il blu del mare, del cosmo e dell'infinito è lo stesso colore dei suoi alberi che toccano il cielo e si inscrivono nello spazio tra un ombra e l'altra. L'albero è ricorrente delle opere Di Gennaro come la colonna, le torri Pilastri del cielo (2001/2011) e sculture ascensionali, quasi totem o barriere coralline di un mondo nuovo che prima o poi vivrà. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra Ugo Valeri Dandy e ribelle Ugo Valeri. Dandy e ribelle
23 novembre 2024 - 23 marzo 2025
Palazzo Pinato Valeri - Piove di Sacco (Padova)

Mostra a cura di Federica Luser con Trart. "Dandy e ribelle", afferma il sottotitolo di questa originale retrospettiva che riunisce circa ottanta opere di un artista che è stato spesso avvicinato a Toulouse-Lautrec per la capacità di dare corpo e anima, con pochi tratti, all'umanità che incrociava nel suo irrequieto peregrinare, nelle serate di stordimento, nel suo mordere un'esistenza sempre sopra le righe. Una vita percorsa tra genio e sregolatezza che, nel 1911, si concluse tragicamente a seguito di una caduta da una finestra di Ca' Pesaro a Venezia in circostanze mai chiarite. Aveva 37 anni, un'età che lo accomuna a Raffaello, Parmigianino, Watteau, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Tancredi o a Rimbaud, Byron, Mozart...

Ugo Valeri, lasciata Piove di Sacco, dove era nato nel 1873, frequenta le Accademie di Venezia e poi di Bologna, diventando presto un artista di successo. Già nel 1898 vince il Premio Francia e nel nuovo secolo è protagonista, nel 1906, dell'Esposizione Internazionale del Sempione. Nel 1907 è alla Biennale di Venezia, nel 1909 e nuovamente nel 1910 Ca' Pesaro gli riserva due personali. Con Arturo Martini, Gino Rossi, Felice Casorati, sotto l'ala di Nino Barbantini, rappresenta il nuovo che sta imponendosi in Laguna. Dipinge con passione, in scioltezza, in presa diretta, esattamente così come vive la bohème del tempo, a Venezia, a Bologna e a Milano.

Dipinge, o meglio disegna, ciò che via via lo colpisce, appunta la frenesia di un demi-monde popolato di ballerine, belle ragazze, dandy, incontri, gente, movimento. Con la crudezza caricaturale di chi quelle situazioni non solo le vede ma le vive ogni giorno. "D'altronde - annota - io stesso che sono una caricatura nell'aspetto e nello spirito, non potrei definire la caricatura come la più sincera espressione del vero?"

Elegante e raffinato è anche un illustratore molto ricercato, importante il sodalizio con Filippo Tommaso Marinetti e con Umberto Notari, come la collaborazione con le migliori riviste dell'epoca: "Italia ride", "L'Illustrazione italiana", "Poesia", "Secolo XX", "La Lettura". Valeri è interprete di un mondo artistico che cambia, si sente libero di esprimersi senza timore del confronto con il passato, di seguire il proprio istinto di uomo curioso, di artista che guarda il mondo in modo nuovo.

Nel 1909 quando espone a Ca' Pesaro a Venezia le sue opere distribuite su tre sale, mescola generi e soggetti, così facendo propone una nuova prospettiva verso l'arte contemporanea in contrapposizione con le scelte ritenute "paludate" della Biennale di Venezia, e dà avvio alla stagione della cosiddetta "Secessione Capesarina", tanto che Arturo Martini alla sua morte scrive: "Ugo fu per noi la tromba del nuovo mattino". Il suo sguardo libero fu la sua eredità lasciata agli artisti dell'epoca. Un artista che, anche grazie ai numerosi prestiti da collezioni private, verrà restituito all'attenzione del pubblico in tutta la sua straordinaria complessità. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci - Sergio Campagnolo)




MonFest 2024
On Stage | Cinema Teatro Musica


Casale Monferrato, 30 novembre 2024 - 04 maggio 2025

Con la direzione artistica di Mariateresa Cerretelli, il MonFest continua il proprio percorso nel segno di un'identità tracciata fin da subito all'insegna del confronto della fotografia con le altre arti, e della contaminazione tra passato e presente. Il tema di questa seconda edizione sarà On Stage e le parole chiave saranno Cinema Teatro Musica, attorno a cui sarà costruito un ricco caleidoscopio di inedite visioni fotografiche articolate in 14 mostre, che andranno ad occupare alcuni dei luoghi più belli e simbolici di Casale Monferrato. A partire dal suggestivo Castello del Monferrato, sede principale del festival dove trovano accoglienza ben 12 esposizioni. A partire dal foyer, dove sarà esposta una selezione di foto di Maria Vittoria Backhaus realizzate negli anni Settanta durante la tournee dei Beatles in Italia. Ad arricchire poi il festival, un programma ricco di incontri, talks, letture portfolio e laboratori declinati su cinema, teatro, musica e fotografia.

La Settima Arte di Mimmo Cattarinich a cura di Armando Cattarinich e Maurizio Presutti, che vuole offrire un'immersione nella magia totalizzante del cinema fino agli anni Duemila. Dai divi come Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Pedro Almodovar, la grande Maria Callas, ai dietro le quinte di grandi protagonisti come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini o John Cassavetes e i ritratti più incisivi di attori come Roberto Benigni, Gigi Proietti fino, Monica Bellucci e Penelope Cruz.

Cinema On the Road di Fiorella Baldisserri a cura di Elena Givone e Mariateresa Cerretelli è invece una mostra/reportage. Nel 2009, Francesca Truzzi e Davide Bortot hanno fatto una straordinaria scelta di vita: hanno comprato un vecchio camion e lo hanno trasformato in una casa mobile, con l'intenzione non solo di viverci ma di viaggiare per il mondo e proiettare film, equipaggiandola con pannelli solari e dotandola di tutte le attrezzature necessarie per creare un cinema sotto le stelle ovunque andassero. Questa mostra, accolta negli spazi del Castello, racconta i loro spostamenti e la loro vita quotidiana dal 2022 sia in Italia che all'estero.

Claudio Abbado di Cesare Colombo a cura di Sabina e Silvia Colombo, che presentano una selezione di fotografie del Maestro Claudio Abbado. La prima parte lo ritrae durante le prove di un concerto al teatro alla Scala nel 1965. Nella sezione seguente è raccolta una serie di immagini relative alla tournée europea di Abbado con i Berliner Philharmoniker nel 1996. Sono presenti anche fotografie del 2008 relative alla rappresentazione di Pierino e il lupo, con Abbado alla direzione dell'Orchestra Mozart e con la voce recitante di Roberto Benigni.

La passione per la scena - Il Living Theatre di Carla Cerati (1967-1984) a cura di Elena Ceratti, è un tuffo negli anni Sessanta in cui la Cerati inizia a interessarsi al lavoro della compagnia newyorkese, fondata da Julian Beck e Judith Malina nel 1947. Tra il 1967 e il 1968 il Living propone in Europa tre degli spettacoli più iconici del suo repertorio e sono Antigone, Frankenstein e Paradise Now che Carla Cerati fotografa a Milano Modena e Avignone.

Prima che accade di Luca Canonici, Teatralità di Patrizia Mussa, Al punto fermo del mondo che ruota di Lia Pasqualino a cura di Andrea Elia Zanini sono tre tappe di una riflessione visiva sul tema del teatro. Luca Canonici propone un'indagine in bianco e nero sui momenti che precedono l'inizio della rappresentazione. Patrizia Mussa racconta, con la sua straordinaria tecnica che mescola fotografia e acquarello, i teatri italiani che sta indagando da oltre un decennio. Lia Pasqualino costruisce una serie di formidabili quadri che fermano alcuni momenti delle rappresentazioni teatrali.

Visioni di Gabriele Croppi a cura di Susanna Scafuri, è un lavoro che parte dai fotogrammi di quattro caposaldi della Storia del cinema, Metropolis di Fritz Lang (1927), Quarto Potere di Orson Welles (1941), Stalker di Andrej Tarkovskij (1979), Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987), per arrivare ad una elaborazione digitale personale e emozionale. Nel solco della sua poetica che si incentra sull'indagine del rapporto tra la fotografia e le altre arti, realizza un corpus di opere trasfigurate in una sintesi estetica pittorialista.

Sounding Pictures di Roberto Polillo a cura di Marco Pennisi. Da Miles Davies a Cecil Taylor, da Duke Ellington a Count Basie, Roberto Polillo a partire dal 1962 fotografa i giganti del jazz nei concerti di Milano e dintorni, al seguito di suo padre Arrigo Polillo. Continua fino al 1975 e le sue immagini di grande impatto riflettono la documentazione delle performance ma rappresentano una magica rappresentazione visiva della musica stessa.

SPD di Ando. In questa performance, SPB è l'acronimo di Sensitive Portrait Box: una cabina nera, una sorta di scatola in cui una volta entrati ci si isola dal mondo esterno. La persona che partecipa alla performance deve solo entrare, sedersi e sentirsi libera. Di fronte al viso un foro e l'obiettivo della macchina fotografica. Due scatti, due pose: una in silenzio, l'altra con la musica. Due pose che verranno messe insieme in un'unica foto stampata immediatamente in formato 10x15 in bianco e nero.

Jazz Spirit di Pino Ninfa è un altro bel viaggio all'interno del mondo del jazz. Storie su e giù dal palco, fra luoghi sacri e architetture profane, in mezzo alla natura o in riva al mare, inseguendo un gesto o un riflesso, aspettando il momento decisivo, sempre e comunque all'insegna di un racconto.

Ten Years of Rock and Roll di Mathias Marchioni a cura di Luciano Bobba. Marchioni festeggia al MonFest i 10 anni di carriera con l'esposizione di ritratti di big indimenticabili ed eventi seguiti da folle oceaniche. Dal palco di Bruce Springsteen nel tour italiano The River tour a Lenny Kravitz, da Liam Gallagher agli Iron Maiden, Red Hot Chili Peppers e molti altri ancora.

Pictures of You di Henry Ruggeri a cura di Mattia Priori, una raccolta di immagini memorabili e di ricordi, estrapolati dalla storia di concerti ed eventi partecipati da Ruggeri. Attraverso una app gratuita, l'iconica voce del giornalista e dj radiofonico Massimo Cotto sarà messa al servizio di questa mostra spettacolare, a raccontare quegli attimi di gloria grazie al contributo di una memoria orale indimenticabile. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Opera di Tobias Zielony nella mostra Overshoot Tobias Zielony
"Overshoot"


inaugurazione il 14 novembre 2024
Galleria Lia Rumma - Napoli
www.liarumma.it

La mostra personale di Tobias Zielony (1973, Wuppertal, Germania) segna il ritorno dell'artista in città. Il titolo della mostra si riferisce all'ultima serie fotografica realizzata quest'anno a Napoli dall'artista tedesco e commissionata dal Museo Madre per il recente progetto espositivo "Il resto di niente", a cura di Eva Fabbris con Giovanna Manzotti. Lo sguardo particolare di Tobias Zielony, che ha già lavorato a Napoli sulle Vele di Scampia nel 2010, questa volta punta l'obiettivo sui luoghi più significativi progettati e immaginati da Aldo Loris Rossi (1933-2018), l'architetto e teorico napoletano, un radicale in tutti i sensi, che spesso ha lavorato in collaborazione con l'architetto Donatella Mazzoleni.

«Il termine "Overshoot" - racconta Zielony - rimanda al nome della trasmissione radiofonica su Radio Radicale alla quale Aldo Loris Rossi partecipò regolarmente. Letteralmente significa "andare oltre l'obiettivo, esagerare, spendere troppo, ecc.". Negli ultimi anni questo termine è stato usato per descrivere lo sfruttamento di più risorse di quelle che la terra può sostenere da parte dell'uomo. Questa idea di eccesso, di andare volontariamente oltre ciò che è ragionevole e razionale, potrebbe essere usata per descrivere la visione architettonica di Rossi e Mazzoleni. L'abbondanza di forme, il complesso simbolismo e l'amore per le idee e le forme futuristiche li hanno portati a progettare e costruire una serie di edifici davvero unici e fantasmatici».

La mostra presenta una ricca selezione di immagini e un'animazione in stop-motion del progetto "Overshoot". Tobias Zielony ci mette di fronte ad alcuni degli utopici edifici architettonici di Aldo Loris Rossi: il complesso residenziale di Piazza Grande ai Ponti Rossi, la Casa del Portuale nella zona di via Marina e la Chiesa di Santa Maria della Libera e del Santissimo Redentore di Portici, che, come le altre progettazioni dell'urbanista di Bisaccia (scomparso nel 2018) traevano ispirazione per la parte disegnata dal futurista Antonio Sant'Elia e per quella progettuale dall'architettura organica di Frank Lloyd Wright.

Progetti visionari ri-guardati oggi dal grande fotografo tedesco nel loro attuale contesto sociale e urbanistico. La visione di Zielony segue le strutture degli edifici e i movimenti delle persone che li abitano, dando vita a un flusso apparentemente infinito di immagini e prospettive possibili. Non c'è un solo modo di guardare le realtà architettoniche e sociali che si rimodellano continuamente nel tempo.

Le foto di Zielony partono tutte da un'indagine compiuta tra i sobborghi delle città e presentano interessanti combinazioni tra architettura e ritratto. Habitat che non sono più animati da un'utopia urbana e sono diventati una tipologia di "città autonoma nella città". «Non voglio fare reportage sociali» afferma l'artista che utilizza un approccio narrativo e visivo tipico del cinema, che aumenta il divario tra reale e irreale, tra ciò che accade dietro e davanti l'obbiettivo. C'è sempre una forma di ambigua e disarmante bellezza nel disagio sociale catturato dall'artista. Lo sguardo soggettivo e privo di ogni patetismo di Zielony insegna a prendere il mondo così com'è, permettendo a chiunque di avere una voce. Le sue foto rivelano ma non spiegano. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di Claudio Verna nella mostra La profondità nella superficie Claudio Verna. La profondità nella superficie
CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) - Foligno (Perugia)
27 ottobre 2024 - 12 gennaio 2025
www.ciacfoligno.it

Claudio Verna è figura chiave e fondatore del movimento artistico "Pittura Analitica". Le sue opere sono alimentate dal colore, dalla luce, dalla vita. L'educazione artistica di Claudio Verna, classe 1937, ha preso forma in Umbria per proseguire poi con una lunga carriera in particolare a Firenze e Roma, numerose mostre collettive e rassegne internazionali. Le sue pitture si distinguono per un'espressività matura, caratterizzata da estremo rigore e intenso abbandono emotivo. Protagonista assoluto dei dipinti di Verna è il colore e la sua capacità di assumere i valori massimi della saturazione e della luce.

La "Pittura Analitica", di cui Claudio Verna è interprete di punta, fa della pittura l'oggetto dell'indagine della pittura a partire dalle sue componenti fondanti (superficie, supporto, colore, segno) tanto da essere stata definita, tautologicamente, anche "Pittura Pittura". Claudio Verna non è solo pittore. Scheda le sue opere con la precisione analitica di un archivista.

Redige per ogni quadro la scheda bibliografica tracciandone minutamente percorso e relazioni. E, soprattutto, dipinge in piena complicità con la sua scrittura che mantiene rigorosamente dentro il confine di ciò che dipinge per indagarne potenzialità e limiti. Pur non esaurendosi nelle sue opere, la sua scrittura è il riflesso di un pensiero che lo condiziona anche nella disciplina materiale, in un rapporto tra artista e opera che è stato sempre attivo nella storia dell'arte ma che, oggi, si è affievolito in favore di un'immediatezza pragmatica e curatoriale che pensa di poter fare a meno del pensiero e dell'interrogazione sull'arte.

Spiega il curatore Italo Tomassoni: «Verna descrive la pittura in sé, nelle sue componenti, nella sua assiomatica, nei suoi principi fondanti rapportati al mondo. Ne esamina i valori di base; conferisce senso e istituisce collegamenti tra le componenti dell'opera e la fruizione esterna; torna incessantemente al centro della problematica fino a constatare quanto sia riduttiva la concezione di una pittura che si arresti solo alla superficie e al supporto. Lo intrigano le potenzialità profonde dello spazio e del colore, le molteplici virtualità visive e percettive che dalla superficie si dilatano all'esterno o all'interno, in altezza e in profondità, in successioni dinamiche e stasi che riguardano il fare e il contemplare, i pieni e i vuoti dello spazio figurale (gestalt), l'opera compiuta e il Reale.

Tutto avviene nell'officina della pittura o nella "cucina" della pittura. Nessun ricorso a materiali che non siano i pigmenti nobili del dipingere; insomma lascia che tutto derivi dal gioco delle sovrapposizioni e dei timbri su cui si dilatano il fascino e il senso delle possibilità espressive compresse nel corpo dell'opera. Su questi principi Verna rivendica la verità della sua pittura. Sa che la storia dell'arte è pur sempre una storia di verità, anche se questa categoria trascendente è stata concepita per non arrivare mai a una risposta. E poiché l'idea di verità appartiene all'estetica perché è un prodotto dell'arte, la domanda che anche lui si pone è: esiste una verità in pittura?

Se, al riguardo, Verna provasse a tracciare una genealogia della pittura come Nietzsche ha tracciato una genealogia della morale, si accorgerebbe che la verità della pittura consiste in quell'eterno metamorfismo che ha costruito l'edificio della storia dell'arte. Scoprirebbe che nessuna verità è data o è rintracciabile una volta per tutte e in un solo momento. E infine, nel tempo in cui svolge la sua ricerca a cavallo tra Novecento e Duemila, constaterebbe che non esiste più neppure la antica dialettica bello/brutto che infatti, con il secolo XX, è stata destrutturata e non ha più senso compiuto. Conclusione: il tragitto della pittura non ha un fine e non ha neppure fine. È la storia di ogni quadro, del suo centro, del suo perimetro e della sua cornice che fanno tutt'uno con l'opera. Sono l'orlo, la superficie e il centro della pittura».

Nella pittura di Claudio Verna emerge anzitutto l'assetto geometrico di ogni quadro, la forma del supporto e del margine che, invariabilmente, coincidono con una configurazione della geometria classica: il quadrato, il rettangolo, qualche volta il cerchio. Verna è persuaso che nella pittura contemporanea la forma del quadro non è solo delimitazione del perimetro dell'immagine, ma dato costitutivo della figurazione che si esprime anche attraverso i suoi orli. Poi, all'interno del margine, ulteriori assetti si articolano, in sequenza, combinandosi con il colore che, a sua volta, si configura come entità che riveste il supporto, e fa da argine a verità nascoste dietro il suo velo. Il segno, sigillando il risultato finale, apre alle differenze collegando spazio e colore dentro il contesto performativo della verità finale.

Sottolinea il curatore Tomassoni: «È palese che già l'analisi delle componenti dell'opera orienta l'indagine verso dispositivi che stanno "dentro" la pittura e non si arrestano né alla sola resa visiva di superficie, né ai valori materiali del supporto, ma tendono a liberare le semantiche intrinseche agli elementi costitutivi, concorrendo al conseguimento dell'unità che di questi elementi è la finalità espressiva compiuta. I bordi, in particolare, sono sempre stati un tratto peculiare e rivelatorio del linguaggio di Verna, specificamente concentrati sugli orli sia del perimetro dell'opera che dei perimetri delle forme interne al corpo; percepiti come zone nevralgiche di confine dalle quali è possibile dare un'occhiata furtiva all'intimità del tessuto del quadro per carpirne segreti o interagire con essa per marcarne conformità, varianti, rivelazioni inaspettate e sviluppi ulteriori».

Claudio Verna nasce a Guardiagrele, in provincia di Chieti, nel 1937. Ha iniziato a dipingere in età adolescenziale, da sempre attratto da un motivo dominante: il colore di Matisse. Volendo segnare l'esordio della sua ricerca matura, lui stesso lo data al 1961 affidandolo a un "Cromoracconto" la cui geometria, ancora incerta, si emancipa con difficoltà dalle scorie dell'informale appena trascorso. Residuano, in quest'opera, indulgenze nell'uso della materia che viene fatta coincidere con un impasto cromatico che comprime gli spessori e tende ad adeguare gli spazi al tonalismo del fondo. È come se la geometria tendesse a concentrarsi in sé stessa per liberarsi dalla fisicità della materia e guadagnare una divisione spaziale garantita dal colore.

È un'opera-sonda che riveste rilievo esegetico perché, nella ripartizione degli spazi, rivela l'annuncio delle configurazioni che caratterizzeranno i futuri programmi formali e semantici. Ben presto infatti il rigore geometrico, liberatosi dalla materia, impone le sue regole sgombrando il campo anche dalle suggestioni liciniane cui, pure, talvolta liricamente si ispira. Ogni figura sviluppa la sua economia dentro il perimetro del quadrato e del rettangolo eludendo, in queste prove inaugurali, la figura del cerchio quasi potesse compromettere il controllo del limite definito.

Le forme esplorano prevalentemente la verticalità che tende a dominare il campo. Come nel Neoplasticismo di Mondrian e Vantongerloo, i campi geometrici di Verna esauriscono lo spazio, sono lo spazio differenziandosi, ad esempio, dalla figurazione di Max Bill che distingue la forma cromatica rappresentata dal fondo che la isola mentre la evidenzia. In questa fase la componente luminosa, sulla nitidezza dei fondi, si decanta per differenza rispetto all'oscurità delle superfici nere o blu inchiostro; salvo ricomparire come trasparenza in merletti pittorici o come emersione di segreti effetti di controluce. In queste prove l'interno del tessuto pittorico viene gradualmente restituito allo sguardo come dal bagno dello sviluppo fotografico o dalla lastra di un tracciato radiografico che ne evidenzia le trame interne e il segreto rizoma.

Se la geometria resta il telaio strutturale sul quale viene tessuta ogni trama, bisognerà attendere la fine dei Settanta per registrare le prime, significative insorgenze del colore che increspa, unitamente a vibrazioni gestuali, la compattezza dell'istanza geometrica. Entrato in sinergia serrata con il colore, il segno diventa protagonista rispetto agli assetti fermi del fondo. Più ancora che a un intervento diretto dell'artista, questa decisiva evoluzione "cinetica" appare provocata dal rinnovamento interno dei processi formali che, riflettendosi su sé stessi, movimentano una circolazione profonda produttrice di inattese rivelazioni nascoste.

Il protagonismo del colore diventerà totalizzante alla fine del '900, instaurando un cardine linguistico inconfondibile, vero marchio di fabbrica di una pittura che rimarrà inalterato, in ogni variazione, per tutti gli anni Duemila, fino ad oggi. Verna attribuisce alle sue opere titoli vagamente criptici ("Studiolo", "Afasia lacerata", "Mappa segreta") o scopertamente poetici ("Arcipelago", "Altrove", "Inatteso", "Noir animal"); usando frequentemente anche il termine "pittura" o il nome del colore dominante ("Blu", "Giallo", "Lo Scuro", "Rosso").

Soprattutto con queste ultime, insistenti intitolazioni, Verna conferma la necessità di azzerare ogni tentazione contenutistica per lasciare esclusivamente al quadro l'indicazione della propria identità. Il colore ha dunque assorbito in sé, e risolto nella sua fisicità, ogni istanza collaterale riducendola alla sua egemonia e saturando lo spazio che, peraltro, su questo orientamento, non flirta mai con il monocromo ("Saturo", "La scuola di Pechino", "Oxide", "Una lettera di Piero", "L'espace pictural", "Chamoise de Titane").

Ed è proprio su questa differenza che la pittura di Verna evita la contaminazione e marca la sua esaltante differenza non solo con il monocromatismo in voga, ma anche rispetto alla ricerca dei suoi compagni di strada. Ogni colore non è mai scaricato sulla sua autoreferenza. Tende ogni volta a trasfigurarsi, traspira vita e chiede lo scambio con l'energia della vita. Animato da un fondo corpuscolare che rende la superficie recettiva della minima vibrazione, sensore finissimo dell'impercettibile, naturale o spirituale, il colore suggerisce mappe di circolazioni arteriose, distese leggere di neve, cenere o terra, coaguli di sangue, di latte o di liquido seminale, polvere o ombre, fiori e dissolvenze con cui i focolai cromatici illuminano l'immaginario di un "Esprit de finesse" conformato su un esprit che non è più de geometrie. Ciò che resta dell'antico rigore geometrico traspira come filtraggio in controluce ("Nonostantetutto") o lacerto, o margine invalicabile a ribadire i valori irrinunciabili della forma ("La crau"). (Comunicato stampa Sara Stangoni Comunicazione)




Cyprien Gaillard
"Retinal Rivalry"


30 ottobre 2024 - 2 febbraio 2025
OGR Torino
ogrtorino.it

Mostra personale di Cyprien Gaillard (Parigi, 1980), a cura di Samuele Piazza. Presentato in anteprima alla Fondazione Beyeler di Basilea nell'ambito della mostra collettiva "Summer Exhibition", la nuova omonima opera video di Gaillard arriva in città durante la Torino Art Week 2024 per la sua anteprima italiana. Commissionato dalle OGR Torino e co-prodotto con Fondation Beyeler, Haus der Kunst Muenchen, Ministero della Cultura francese, Medienboard Berlin-Brandenburg, Sprueth Magers e Gladstone Gallery, il nuovo lavoro video di Gaillard continua l'esplorazione del potenziale del cinema stereografico, iniziata con Nightlife (2015).

Attraverso la sua sensibilità cinematografica trasgressiva e una logica animistica, Retinal Rivalry trasforma le immagini cinematografiche in sculture pensate su misura per le ex officine dei treni OGR, offrendoci un mondo intriso delle contraddizioni che negoziano lo spazio pubblico. Il suo titolo riflette il concetto di "rivalità retinica", un fenomeno ottico che si verifica quando agli occhi si presentano contemporaneamente due immagini contrastanti. Invece di fonderli in un'unica immagine, la nostra percezione li alterna, cercando una conciliazione impossibile.

La storia del cinema stereoscopico corre parallela allo sviluppo delle tecnologie 3D. Nonostante ondate periodiche di consensi di critica, successo commerciale e utilizzo artistico, i film che utilizzano queste tecnologie spesso non le incorporano come parte integrante della creazione delle loro immagini, come dimostra la distribuzione delle loro versioni in 2D. Spesso liquidato come mero spettacolo e utilizzato come effetto "accessorio" per interessi commerciali, il mezzo è riportato da Gaillard al suo vero potenziale utilizzando le sue qualità scultoree, spettrali e psichedeliche. Sergei Eisenstein una volta sottolineò il potenziale della stereoscopia come "cinema del futuro", sottolineando la sua capacità di estendersi nello spazio reale e di "risucchiare" gli spettatori, inghiottendoli e penetrandoli in modi che il cinema tradizionale non poteva permettersi.

Retinal Rivalry è un viaggio, sia concreto che spirituale, attraverso l'ambiente edificato della Germania, passando dall'Oktoberfest alle rovine romane scoperte in un parcheggio degli anni '70 sotto la cattedrale di Colonia; da un Burger King all'interno di un'ex sottostazione elettrica sede di raduni nazisti a Norimberga all'infrastruttura turistica che attraversa il romantico paesaggio di Bastei, rinomato per i suoi panorami e immortalato dal pittore Caspar David Friedrich; da una statua del compositore rinascimentale franco-fiammingo Orlande de Lassus, che ora funge da memoriale improvvisato dedicato a Michael Jackson a Monaco, fino a un netsuke giapponese raffigurante un commerciante olandese del XVII secolo.

Tra una visione del vuoto e una ricreazione scultorea, Retinal Rivalry si estende oltre lo schermo, entrando nello spazio espositivo e alterando la nostra percezione del mondo. Gaillard guida il nostro sguardo attraverso paesaggi urbani dove dettagli secondari e trascurati sono al centro della scena e alcuni elementi quotidiani della nostra esistenza vengono improvvisamente re-immaginati. Le immagini iper-dettagliate del film, girate e proiettate in 4K utilizzando tecniche di ripresa e proiezione all'avanguardia, contrastano nettamente con le qualità assurde e talvolta grottesche che questa iper-realtà rivela. Le immagini di Retinal Rivalry sfruttano il loro status paradossale: la loro presenza tangibile porta con sè un accresciuto senso di realtà, che si scontra con la loro esistenza effimera come luce scolpita.

Espandendo lo spazio pittorico, il film abbandona la narrativa tradizionale per la pura visione, creando uno sguardo singolare, fugace, spettrale che è allo stesso tempo personale e collettivo; una lucida allucinazione e un viaggio attraverso una storia auto-prodotta dell'Europa: tutto troppo in vista, tutto troppo nascosto. Ad accompagnare le immagini e il loro senso di straniamento è un lavoro meticoloso sulla colonna sonora arrangiata da Gaillard, rielaborata a partire da una varietà di fonti, tra cui musica giavanese, registrazioni sul campo dagli archivi dell'UNESCO e un piccolo organo trovato per le strade di Weimar per commemorare Johann Sebastian Bach, suonato da una gamba rotta. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Fotografia che ritrare Anne Donnelly
Locandina della mostra Sulle ali dell'anima con opere dell'artista irlandese Anne Donnelly Disegno realizzato da Anne Donnelly Anne Donnelly. Sulle ali dell'anima
25 ottobre 2024 - 02 marzo 2025
MUVIT Museo del Vino - Torgiano (Perugia)
www.muvit.it

Anne Donnelly, artista irlandese, si forma tra la sua terra, Madrid e Parigi. Con il marito e la sua famiglia vive e lavora per molti anni all'estero: in Francia, in Spagna, in Marocco prima di fare ritorno in Irlanda. Si trasferisce poi in Italia prima a Ronzano (Cortona), per poi stabilirsi definitivamente a Tivoli. Negli anni ha tenuto mostre in Italia e all'estero; le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni, pubbliche e private, in Irlanda, Italia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Grecia, Svizzera, Argentina, Brasile, Stati Uniti e Australia.

L'esposizione, a cura della Fondazione Lungarotti, è un viaggio che si dipana tra quattro diversi cammini che giungono allo stesso traguardo: una visione, personale ed intima, della realtà e della vita. Un percorso di 35 opere, tra olii su carta e su tela e disegni ad inchiostro, dislocate lungo l'itinerario museale in un dialogo continuo tra antico e contemporaneo.

Paesaggi dai colori tenui, racconto di natura incontaminata e priva della presenza dell'uomo, luoghi dell'anima per eccellenza, fatti di luce e colore, fanno eco alla serie di ritratti che mostrano il delicato sguardo dell'artista, attenta e ispirata nel raccontare volti. Sono anime di personaggi senza tempo e senza spazio, presenti nel mito come nel contemporaneo, nella realtà come nell'immaginario. Le creature di Anne Donnelly sono sospese tra cielo e terra, tra la libertà del volo e l'anelito ad esso. Cigni, gabbiani, tacchini, galline e oche divengono racconto e imago dei diversi stati dell'anima. Chiudono l'esposizione i disegni, istantanee che colgono, con occhio sincero e curioso, dettagli, persone e scene di vita di campagna, da sempre e per eccellenza, rifugio dalla frenesia della vita urbana e culla dell'otium.

La mostra inaugura la terza edizione della manifestazione culturale "Torgiano Winter" che propone un ciclo di incontri tra musica, arte, letteratura, scienza ed enogastronomia organizzato dalla Fondazione Lungarotti in partenariato con il Comune di Torgiano, con il sostegno della Fondazione Perugia e la collaborazione di Lungarotti, dell'I.C. Torgiano-Bettona e di UICI Associazione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, sezione Perugia.

Nata nel 1987 per volere dei coniugi Giorgio e Maria Grazia Lungarotti, la Fondazione Lungarotti Onlus è attiva da oltre 35 anni nella promozione della cultura del vino dell'olio e nella tutela del patrimonio artistico e dei "mestieri d'arte" della tradizione umbra. A Torgiano, in particolare, la Fondazione gestisce le attività del Museo del Vino (MUVIT) e del Museo dell'Olivo e dell'Olio (MOO) e cura mostre, eventi e pubblicazioni. (Estratto da comunicato ufficio stampa Patrizia Cavalletti Comunicazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. La pittrice Anne Donnelly
2. Locandina della mostra "Anne Donnelly. Sulle ali dell'anima"
3. Disegno realizzato da Anne Donnelly




Dipinto a olio su tela di cm 80x100 denominato Amerique 3 realizzato da Gian Marco Montesano nel 2018 Gian Marco Montesano
"Mon histoire à moi"


26 ottobre 2024 (inaugurazione) - 31 gennaio 2025
Galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea - Repubblica di San Marino

Mostra personale di Gian Marco Montesano, a cura di Carlo Vanoni, che ripercorre cinquant'anni di carriera di uno degli artisti italiani più significativi e conosciuti sulla scena internazionale. Concepita come un'ampia antologica, l'esposizione raccoglie nella sede sammarinese della galleria una selezione di opere che offre una visione completa dell'evoluzione artistica di Montesano, attraversando tutte le fasi della sua produzione, dalla ricerca fortemente personale delle origini alle creazioni più recenti, testimoni di un costante rinnovamento stilistico e di un'inesauribile creatività. Con una narrazione visiva articolata e potente, la mostra racconta i diversi modi in cui l'artista ha saputo affrontare il tema della memoria storica e dell'immaginario collettivo.

Il titolo della mostra ne riassume il tema centrale: la narrazione personale e intima della storia, filtrata dalla sensibilità e dall'immaginazione di Montesano, e la sua capacità di guardarla con occhio poetico, trasformando eventi storici, figure simboliche e immagini della cultura popolare in opere che vanno oltre il semplice episodio, diventando strumenti di riflessione sull'identità collettiva e sulla natura del ricordo. Un'arte intrisa di memoria, una forma di narrazione che invita lo spettatore a osservare il passato con sguardo nuovo, ricco di sfumature emotive e intellettuali.

Montesano è celebrato anche per la sua attenzione all'immaginario cinematografico, in particolare degli anni Trenta e Quaranta, che si riflette in molte delle sue opere, dove atmosfere sospese e riferimenti iconici offrono una rilettura dei temi della memoria e della storia. Le tele dell'artista, spesso caratterizzate da cromie delicate e da una tecnica che coniuga rigore e lirismo, evocano scene e personaggi che diventano simboli di momenti cruciali, dal fascismo alla resistenza. Gian Marco Montesano ha saputo costruire un linguaggio visivo denso di riferimenti culturali, capace di emozionare e coinvolgere il pubblico. Attraverso l'uso sapiente delle immagini, l'artista crea un dialogo tra passato e presente invitando lo spettatore a interrogarsi sui propri ricordi e sul modo in cui la storia viene narrata e ricordata.

Le sue opere, così ricche di spunti e significati, offrono un'esperienza estetica e intellettuale di grande impatto, che mette lo spettatore di fronte a domande profonde sull'identità, sulla memoria e sul significato dell'arte come mezzo di indagine storica e culturale. Con il suo stile unico e la sua capacità di attraversare epoche e linguaggi, Montesano continua a essere una presenza fondamentale nel panorama contemporaneo, con opere che non sono solo quadri, ma veri e propri strumenti di riflessione che trascendono il tempo e lo spazio. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)

Immagine:
Gian Marco Montesano, Amerique 3, 2018, olio su tela, cm 80x100




Dipinto in acrilico su faesite di cm 55x40 denominato Ligabue a Gualtieri realizzato da Serafino Valla nel 1990 Dipinto in acrilico su faesite di cm 40x40 denominato Pesca con bilancia a rete realizzato da Serafino Valla nel 2010 Dipinto in acrilico su faesite di cm 40x30 denominato Tra inconscio e presente realizzato da Serafino Valla nel 2001 Serafino Valla
"L'eterno ritorno in Emilia"


09 novembre 2024 (inaugurazione) - 09 febbraio 2025
Palazzo Sartoretti - Reggiolo (Reggio Emilia)

L'esposizione si configura come un vero e proprio viaggio che ripercorre la lunga carriera dell'artista. Dalla pittura al disegno, dalla scultura all'incisione, ogni opera offre al pubblico uno sguardo sulla natura, i luoghi e la vita quotidiana che hanno caratterizzato la sua vita nell'atmosfera dei paesaggi emiliani. Un ritorno emozionante, ma raccolto, come le figure che abitano e spesso accompagnano i suoi dipinti, capaci di suggerire quell'analisi interiore necessaria per comprendere il mondo. In occasione del vernissage, il critico d'arte Giammarco Puntelli terrà, nella Sala dei Miti, una conferenza sull'artista dal titolo Meditazioni universali: il teorema della cultura come ponte verso l'infinito.

«Serafino Valla - scrive Giammarco Puntelli - non è solo un pittore naïf nel senso tradizionale del termine, è un pensatore, un poeta del colore, capace di orchestrare una narrazione visiva che abbraccia la condizione umana nella sua totalità: i suoi bisogni, le sue paure, le sue speranze, i sogni e le fatiche, e quella "volontà di connessione" che, come lui stesso ci ha dimostrato, rappresenta il filo conduttore della nostra esistenza».

Il percorso espositivo comprende una sessantina di opere, realizzate dal 1963 al 2011. Ad accomunare i lavori in mostra, è un personaggio ricorrente, l'uomo con il cappello, emblema di un percorso interiore che l'osservatore è chiamato a intraprendere. Il cappello stesso, un elemento simbolico che Valla ripete con coerenza, allude alla necessità di scoprire e conoscere la propria identità, di "guardarsi dentro", perché «l'ignoranza è l'ultima barriera tra l'individuo e l'infinito».

«Mio padre - racconta la figlia Giuseppina Valla, custode e curatrice delle opere dell'artista - ha sempre avuto nel cuore le sue origini, il legame col territorio e soprattutto con le persone di Luzzara, paese di nascita, e Reggiolo, paese dove è vissuto. Riportare ora le sue opere a "casa", nel cuore di Reggiolo, a Palazzo Sartoretti, mi rende felice e orgogliosa ed è con gratitudine che dono all'Amministrazione Comunale una sua scultura».

In occasione della mostra, l'opera Vangatore (1992) entrerà, infatti, nella collezione permanente di Palazzo Sartoretti, dove sono già presenti tre dipinti di Serafino Valla. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Litocolor S.n.c. con la prefazione di Franco Albinelli, assessore alla Cultura e Ricostruzione del Comune di Reggiolo, e i testi di Federica Merighi, direttrice artistica di Palazzo Sartoretti, "Museo tra le mura", Giuseppina Valla e Giammarco Puntelli, unitamente ad un ricco apparato iconografico.

Serafino Valla (Luzzara, 1919 - Reggiolo, 2014) è un artista autodidatta. Nell'infanzia ha vissuto in un ambiente instabile e precario a causa dei frequenti traslochi, pertanto la frequenza scolastica non è stata regolare. Psicologicamente insicuro ed incompreso, si rifugiava in una appagante contemplazione della natura. Trascorreva molto tempo camminando lungo l'argine del Po, il grande fiume che rappresentava per lui un mistero. Arruolato come volontario nell'esercito, ha partecipato alla campagna di Russia, dove rimane ferito. Nel 1955 si sposa e va a vivere a Reggiolo. Nel 1959, venti giorni prima della nascita della figlia Giuseppina, la morte del fratello Giuseppe in un incidente stradale lo porta ad una grande crisi esistenziale.

Negli anni Sessanta, ha iniziato a ricercare nella pittura, nella scultura e dentro alla filosofia il senso del suo esistere, arrivando a trovare una sua forma espressiva caratterizzata da uomini con il capo chino coperti dal cappello, dalla natura e dall'amato Po. L'arte diviene lo strumento di difesa e il rifugio, che porta alla luce le sue emozioni e la sua spiritualità. Appartenuto alla prima generazione dei pittori naïf, da cui si differenzia in modo sostanziale proprio per la razionalità, negli anni Settanta realizza la prima mostra personale a Luzzara, dove viene scoperto da Cesare Zavattini. Negli anni Novanta ha esteso la sua comunicazione visiva alla rappresentazione plastica, per dare alle sue immagini la terza dimensione, modellando l'argilla, per poi dedicarsi, nell'ultima parte del suo percorso artistico, alla natura morta.

Nel 2014, viene allestita la sua ultima mostra, Esistenzialità ed Arte (dal titolo della monografia a cura di Alfredo Gianolio, pubblicata nel 2012) a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri. Nel paese di Antonio Ligabue, Valla ha chiuso la sua carriera con una grande consapevolezza, che lo ha accompagnato fino alla morte, avvenuta dopo quattro mesi. Da allora, la figlia Giuseppina diventa curatrice delle sue opere ed inizia un nuovo percorso di valorizzazione dell'artista. Serafino Valla, con la sua arte gentile e introspettiva, ha esposto sia a livello nazionale (Milano, Mantova, Parma, Foggia, Messina, Napoli, Bologna, Modena, Sabbioneta, Gualdo Tadino, Roma, Firenze, Reggio Calabria) che internazionale (Berlino, Tirana, Barcellona, Abu Dhabi, Budapest, Zagabria, Lugano e Zurigo), con mostre personali e collettive

Sue opere si trovano al Museo Nazionale delle Arti Naïves Cesare Zavattini di Luzzara, al Museo Cervi di Gattatico, al Museo dei Madonnari di Curtatone, in Jugoslavia, Svizzera, Francia, Spagna, Olanda e in collezioni pubbliche e private. L'artista è inoltre presente in numerose pubblicazioni, con testi critici dedicati nei libri di storia dell'arte Archè, Lògos e Psiché e nella serie di volumi Profili d'artista e Le scelte di Puntelli, tutti editi da Giorgio Mondadori. Il 6 ottobre 2019, cent'anni dopo la nascita di Serafino Valla, è stato presentato a Luzzara il film artistico-biografico Pecore in transito - Meditazione tra inconscio e presente. (Comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Serafino Valla, Ligabue a Gualtieri, 1990, acrilico su faesite cm. 55x40
2. Serafino Valla, Pesca con bilancia a rete, 2010, acrilico su faesite cm. 40x40
3. Serafino Valla, Tra inconscio e presente, 2001, acrilico su faesite di cm 40x30




La Puglia vista dai fotografi dell'Agenzia Magnum Photos
19 ottobre 2024 (inaugurazione) - 05 gennaio 2025
Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS - Lecce
www.fondazionebiscozzirimbaud.it

Si tratta del settimo appuntamento espositivo dal 2022 dell'istituzione fondata nel 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud con l'intento di promuovere l'arte moderna e contemporanea attraverso un programma di mostre che ha visto sin qui come protagonisti Angelo Savelli (L'artista del bianco, 2021), Salvatore Sava (L'altra scultura, 2022), Grazia Varisco (Sensibilità percettive, 2022-2023), Mirco Marchelli (Voci in capitolo, 2022-2023), Yuval Avital (Lucus, 2023-2024), Vittorio Matino (Divampa colore, 2024). Mostra a cura di Walter Guadagnini, storico della fotografia e Direttore di CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino.

Trentacinque scatti di 12 fotografi - Ian Berry, Bruno Barbey, Stuart Franklin, Burt Glinn, Harry Gruyaert, David Hurn, Guy Le Querrec, Herbert List, Martin Parr, David Seymour, Ferdinando Scianna, Patrick Zachmann - raccontano la Puglia, il suo territorio e i suoi abitanti, attraverso la lente e l'obiettivo di alcuni dei più grandi protagonisti della più nota agenzia fotografica del mondo, Magnum Photos. La mostra è un autentico viaggio nel tempo e nello spazio: dall'immediato secondo dopoguerra fino ai giorni nostri e dal Gargano fino a Lecce, si snoda un itinerario fatto di storia, persone, paesaggi e architetture.

Si va dal bianco e nero di David Seymour (Varsavia 1911 - El-Qantarah el-Sharqiyya 1956), uno degli storici fondatori di Magnum nel 1947 insieme a Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, di Herbert List (Amburgo 1903 - Monaco di Baviera 1975), il grande fotografo tedesco particolarmente legato al Mediterraneo, e di David Hurn (Redhill, 1934), che raccontano le difficoltà del dopoguerra e la rinascita degli anni Cinquanta e Sessanta, al colore di Ian Berry (Huddersfield 1934) e Burt Glinn (Pittsburgh 1925 - Southampton, New York 2008), affascinati dalla natura e dalle singolarità architettoniche della regione, per tornare al bianco e nero di Bruno Barbey (Marocco, 1941 - Orbais-l'Abbaye 2020), Stuart Franklin (Londra 1956), Guy Le Querrec (Parigi, 1941), che raccontano in tempi diversi i mestieri legati al mare e alla terra. I giorni nostri, con l'imperversante turismo di massa, sono immortalati con ironia da Martin Parr (Epsom 1952), mentre la quotidianità contemporanea è catturata con poetica nostalgia da Patrick Zachmann (Choisy-le-Roi 1955) e Harry Gruyaert (Anversa 1941).

Ad accompagnare idealmente tutti questi autori, lo sguardo di Ferdinando Scianna (Bagheria 1943), che per oltre trent'anni ha ripreso le città e le campagne pugliesi, raccontando le persistenze, architettoniche e ideali, e i cambiamenti di una delle regioni più affascinanti del nostro paese. La mostra è corredata da un catalogo illustrato, trilingue (in italiano, francese e inglese), pubblicato da Dario Cimorelli Editore, con una introduzione del curatore Walter Guadagnini, contenente la riproduzione di tutte le opere esposte ed essenziali note biografiche degli autori. (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Opera di Paolo Maione nella mostra denominata Rasna Paolo Maione
"Rasna"


09 novembre 2024 (inaugurazione) - 10 gennaio 2025
Galleria Alessandro Bagnai - Firenze
www.galleriabagnai.it

La prima personale di Paolo Maione a cura di Vittoria Coen. Nella poetica di Maione, ricca di umorismo, è chiaramente percepibile un legame con gli archetipi dell'antichità, seppur nascoste dietro ad una apparente comica leggerezza. Il titolo, Rasna, rimanda al termine che la civiltà etrusca usava per designare sé stessa in contrapposizione alle denominazioni attribuite da Greci e Romani. Allo stesso modo, il lavoro dello scultore toscano rifiuta l'accostamento a uno stile ben delineato, ma si evolve secondo un processo di ricerca autonoma.

In questa mostra Paolo Maione presenta un nuovo ciclo di maioliche e sculture in bronzo in cui il ciuco, elemento iconografico a cui l'artista da sempre fa riferimento, prosegue il suo viaggio, in un continuo gioco di umoristiche metamorfosi, ironiche ascesi e allucinate citazioni. Questa figura simbolo è l'antieroe per eccellenza, rappresentato in diverse pose e situazioni nelle quali giochi di parole e non sense contribuiscono a comporre i titoli delle opere stesse. (Comunicato stampa)




Locandina di presentazione della mostra Il cinema nei manifesti cubani dalla Collezione Bardellotto "Ciak! Cuba"
Il cinema nei manifesti cubani dalla Collezione Bardellotto


20 ottobre 2024 - 31 marzo 2025
Museo nazionale Collezione Salce - Treviso

Questa esposizione, realizzata in collaborazione con la Camera di Commercio di Treviso-Belluno, celebra i manifesti cinematografici cubani, recentemente insigniti del prestigioso riconoscimento "Memory of the World" dall'UNESCO, provenienti dalla Collezione Bardellotto. Dal 1959, poco dopo la rivoluzione, l'ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) ha preso vita, trasformando il cinema in uno strumento fondamentale per esprimere e promuovere la nuova identità culturale cubana. I cubani, noti per la loro passione per il cinema, hanno visto nascere una vivace produzione locale, affiancata dai migliori film provenienti dal resto del mondo, che hanno rimpiazzato gradualmente le pellicole nordamericane.

Accanto a quest'istituzione, il cartel de cine ha preso forma, affidato a grafici locali, molti dei quali autodidatti. Nonostante le sfide economiche, questi artisti hanno dimostrato una creatività straordinaria, guadagnandosi riconoscimenti internazionali. Nomi come Eduardo Muñoz Bachs, Rafael Morante, Antonio Reboiro, René Azcuy, Antonio Pérez González (Ñiko) e Alfredo Rostgaard hanno dato vita a opere uniche, tutte realizzate a mano e stampate in serigrafia, per sostenere il panorama cinematografico dell'isola.

Si pensò in particolare a creare un nuovo cinema che si smarcasse da tutti i punti di vista dallo schema commerciale hollywoodiano. Si decise così che anche le locandine dei film dovessero essere ripensate, evitando i canoni affermati (grandi volti delle star, scene madri, slogan suggestivi) dei manifesti cinematografici tradizionali. I nuovi carteles (prodotti in tecnica serigrafica 51x76 cm) furono così liberati della loro funzione pubblicitaria e lasciarono ai disegnatori grafici piena libertà interpretativa del film, contribuendo a una vera propria rivoluzione visuale e concettuale del pubblico delle sale cinematografiche El cartel de cine diventerà a tutti gli effetti un'opera d'arte esposta nelle strade. I Carteles sono un fenomeno grafico unico (che perdura ancora oggi a Cuba), di eccezionale qualità e creatività artistica, punto di incrocio di stili e forme espressive diverse, isola felice di libertà in un paese dove ogni forma di comunicazione visiva è posta sotto rigidi controlli.

La mostra si sviluppa in due sedi: la prima a Santa Margherita, dedicata ai grandi maestri, e la seconda a San Gaetano, dove sono ripercorsi i legami tra la grafica cubana e quella italiana. Qui si dà la possibilità di confrontare manifesti cubani e italiani per gli stessi film, un'occasione per scoprire affinità e differenze culturali. A San Gaetano si documenta l'evoluzione della grafica con l'introduzione del computer. Cinque giovani grafici cubani, affiancati dal grande cartellonista italiano Renato Casaro, presentano nuove interpretazioni per il film "Signore e Signori" di Pietro Germi, vincitore della Palma d'Oro a Cannes nel 1966.

Con oltre trecento manifesti e bozzetti originali, molti dei quali unici, questa mostra ripercorre una delle stagioni più affascinanti della grafica del Novecento. Durante questi anni, la comunicazione visiva ha giocato un ruolo cruciale, trasmettendo messaggi di positività anche in tempi difficili. La mancanza di risorse ha stimolato una creatività capace di assimilare e reinterpretare spunti dall'America e dall'Europa. Le opere esposte dimostrano la varietà, i colori e la forza che caratterizzano il Laboratorio Cubano della Grafica.

Questa mostra è un'opportunità unica per immergersi in un'epoca di comunicazione visiva efficace, rivelando la libertà espressiva dei grafici cubani. I visitatori potranno apprezzare come il Cartel Cubano vada oltre la mera promozione, raccontando l'Idea e l'Ideale di una nazione attraverso un linguaggio creativo ricco e variegato. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Dipinto in acrilico su tela di cm 50x50 denominato Il Lyskamm realizzato da Sandra Tenconi nel 2023 Dipinto in acrilico su tela di cm 70x100 denominato Ghiacciaio e rocce realizzato da Sandra Tenconi nel 2019. Sandra Tenconi
"Montagne 1960-2024"


21 novembre (inaugurazione) - 26 gennaio 2025
Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto - (Pavia)
www.vivipavia.it

Il senso della Natura attraverso una ricerca appassionata e silenziosa, che si riflette in una pittura figurativa che arriva a frantumare l'immagine al limite dell'informale. Per Sandra Tenconi (Varese, 1937), artista visiva, diplomatasi a Brera con Aldo Carpi e Domenico Cantatore negli anni Sessanta, la natura è da sempre riferimento primo della sua poetica, senso profondo dell'esistenza e spunto per una intensa ricerca pittorica tra volumi e colori. Organizzata dal Comune di Pavia, la mostra, a cura di Francesca Porreca, presenta oltre novanta opere fra disegni, tele e pastelli, alcune delle quali mai esposte.

I soggetti principali delle opere in mostra non sono semplici diorami di luoghi, ma diventano espressioni di stati d'animo e sentimenti interiori. Lo Skyline delle vette montuose, in particolare, occupa un posto speciale nella sua opera: dalle Alpi italiane alle cime svizzere, fino alle vette della Shenandoah Valley negli Stati Uniti, ogni paesaggio montano viene trasformato in una sorta di "ritratto" spirituale, dove la materia cromatica si fa portatrice di emozioni complesse.

"Sin da quando ero piccola mi sono ritrovata a girovagare nei boschi, ad ascoltare la natura, imparando poco alla volta a dialogare con lei e a fidarmi di lei, suggerimento costante di grandi emozioni" - sottolinea Sandra Tenconi - "Nei cicli più vicini al tema della montagna (monte San Martino, Alpi Apuane, Provenza, Oltrepò, Monferrato, le Marche, le Alpi) ho indagato con violenza e commozione le forre profonde, le cime, gli anfratti misteriosi, le stesure dei bianchi (che siano marmo o neve) e i cieli altrettanto protagonisti".

Nella poetica dell'artista la natura si presenta spesso in una condizione "sospesa" tra realtà e immaginazione. Le sue montagne non sono solo fisicamente riconoscibili ma anche sublimemente astratte, tanto che sembrano galleggiare in un'atmosfera rarefatta, tra luci, ombre e slanci cromatici improvvisi. Questo dialogo tra presenza fisica e trascendenza spirituale diventa uno dei tratti distintivi della sua visione naturalista, che si nutre tanto di contemplazione quanto di emozione.

Aspetto affascinante del suo lavoro è anche l'uso del colore, che varia a seconda del soggetto trattato. Nei dipinti che raffigurano rocce e vette tormentate, la materia pittorica si addensa e si stratifica, creando superfici ruvide e aspre che richiamano la solidità della terra. Al contrario, nelle rappresentazioni di ghiacciai e distese nevose, o delle cime avvolte dalle nubi, il colore diventa morbido e suadente, creando un senso di leggerezza e avvolgimento che sembra sfidare la gravità stessa. In tutti i casi il colore si trasforma in uno strumento linguistico potente, capace di dare corpo alle tensioni emotive e spirituali che animano l'opera.

Scrive Francesca Porreca nel suo testo in catalogo: "Il tratto corposo e ruvido dei disegni e la materia tenera del pastello sono, fin dagli anni della formazione, strumenti privilegiati di registrazione e poi di traduzione di forme vegetali, paesaggi, montagne. I lavori degli esordi, realizzati a matita e a carboncino, dimostrano una straordinaria capacità di sintesi, che in certi casi arriva fino all'astrazione. Lo stesso effetto è raggiunto con le opere realizzate ad acrilico (dagli anni Novanta fino ai giorni nostri), caratterizzate da una tavolozza su cui spiccano i verdi, i viola e le accensioni dei bianchi sontuosi".

Le opere di Tenconi non si limitano a rappresentare la natura in maniera realistica, ma ne colgono l'essenza più profonda, quella dimensione misteriosa e sublime che si cela dietro le forme visibili. Accanto a questa tensione verso il sublime, tuttavia, vi è anche una profonda riflessione dell'artista sulla fragilità e la caducità della natura, che dimostra il suo essere in simbiosi con essa. L'approccio naturalista di non è mai semplicemente documentario. Al contrario, è una forma di ricerca esistenziale che, attraverso il paesaggio, esplora i grandi temi della vita umana: la solitudine, il tempo, la bellezza e il dolore.

Sandra Tenconi partecipa alla prima collettiva nel 1958, al Palazzo delle Esposizioni di Roma. L'anno successivo vince il primo premio Diomira per il disegno. Nel 1960 tiene alla Galleria La Piccola Permanente di Varese la prima personale, mentre nel 1967 è alla Galleria L'Agrifoglio di Milano. Seguono oltre 70 mostre personali (non si contano le collettive) in Italia e nel mondo; La mostra più recente, "Il significato dell'immagine" a cura di Paolo Biscottini, è della primavera 2024 al Museo di Storia Naturale di Milano. Partita da una forma di naturalismo, nel solco della grande tradizione postimpressionista lombarda, l'artista giunge poi, impiegando soprattutto le tecniche dell'acrilico e del pastello, a composizioni dove il dato di natura viene interpretato come riflessione su un colore materico ed emozionale. Nelle opere più recenti si accentua la componente informale, con rimandi ad alcune sue opere degli anni '60. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Sandra Tenconi, Il Lyskamm, 2023, acrilico su tela cm. 50x50
2. Sandra Tenconi, Ghiacciaio e rocce, 2019, acrilico su tela cm. 70x100




Locandina della mostra Pubblicità come arte dedicata a Giovanni Pintori Giovanni Pintori (1912-1999)
Pubblicità come arte


07 ottobre 2024 - 16 febbraio 2025
m.a.x. museo - Chiasso
www.archiviostoricolivetti.it

In progetto integrato con il MAN_Museo d'Arte Provincia di Nuoro, una mostra su Giovanni Pintori, indagandolo attraverso una sorta di "racconto grafico" ed evidenziandone la modernità progettuale e le scelte creative. Una mostra che ripercorre l'iter creativo e professionale dell'artista, mostrando il processo ideativo dal quale sono scaturiti i progetti che hanno caratterizzato la sua carriera, che va dalla creazione di manifesti, alle locandine, dalla corporate identity, ai logotipi per le imprese. Nelle sale del museo sono esposti, e organizzati con un criterio tematico-cronologico, oltre duecento pezzi fra schizzi, bozzetti, disegni acquerellati, carte intestate, manifesti, pubblicazioni varie. L'Associazione Archivio Storico Olivetti ha contribuito alla realizzazione della mostra fornendo in prestito diversi materiali storici originali conservati nei proprio archivi. (Comunicato di presentazione)




Olivetti • Graficarte
29 settembre (inaugurazione) - 29 dicembre 2024
Museo Civico P. A. Garda - Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

Dalla collaborazione tra il Comune di Ivrea e l'Associazione Archivio Storico Olivetti, apre una nuova mostra che mette in luce una selezione di opere di artisti, designer, grafici e art director che hanno collaborato a lungo con la Olivetti di Ivrea, come Costantino Nivola, Giovanni Pintori, Marcello Nizzoli, Franco Bassi, Walter Ballmer, Ettore Sottsass jr. e Milton Glaser, oltre a lavori di creativi come Anna Monica Jost, Adrianus Van der Elst e Isaka Yoshitaro. Una varietà che dimostra come la libertà espressiva trascenda i confini, trasformando la pubblicità in un'arte integrata nel processo industriale. La comunicazione Olivetti, polifonica e identitaria, si è distinta, in particolare, per la sua capacità di saper parlare molte lingue.

La mostra si articola in sezioni che esaminano il ruolo della committenza della società Olivetti nel settore pubblicitario. Una prima sezione illustra la prima impresa di Camillo Olivetti a fine Ottocento come rivenditore di biciclette, concentrandosi poi sui manifesti pubblicitari degli anni '10 e '20 del Novecento, come il primo manifesto del 1912 per la Olivetti M1 di Teodoro Wolf Ferrari e quelli Marcello Dudovich per la Olivetti M20. La seconda sezione analizza il periodo che va dagli anni '30 fino agli anni '50/60, evidenziando l'integrazione sempre più profonda tra Olivetti e il mondo artistico e mostrando alcune delle collaborazioni più durature intercorse con artisti del calibro di Marcello Nizzoli, Giovanni Pintori, Costantino Nivola, Bruno Munari, Walter Ballmer.

La terza sezione si occupa delle campagne pubblicitarie dal dopoguerra agli anni '90, presentando opere di artisti come Giovanni Pintori, Franco Bassi, Walter Ballmer, Milton Glaser e Roberto Pieracini. Una quarta sezione mette in luce l'impegno sociale di Olivetti attraverso campagne pubblicitarie che affrontano temi come sostenibilità, protezione ambientale, risparmio energetico e educazione alimentare: vengono quindi mostrati i famosi manifesti della campagna Save our planet, insieme ai lavori di Egidio Bonfante. Olivetti Graficarte è un'occasione unica per immergersi nel mondo della grafica pubblicitaria Olivetti, in cui l'arte e la creatività hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo di un linguaggio visivo, distintivo e innovativo. (Estratto da comunicato stampa)




Dattiloscritto nero e rosso su carta con interventi a biro Senza titolo e senza data realizzato da Emilio Prini, Courtesy Archivio Emilio Emilio Prini
"Typewriter Drawings. Bologna/München/Roma - 1970/1971"


28 settembre (inaugurazione) - 03 maggio 2025
Fondazione Antonio Dalle Nogare - Bolzano
www.fondazioneantoniodallenogare.com

Mostra dedicata a Emilio Prini (1942-2016), una delle figure più radicali ed enigmatiche del panorama artistico italiano e internazionale. Tra il 1970 e il 1975, Emilio Prini realizza una serie di circa duecento disegni su carta con l'ausilio di una macchina da scrivere Olivetti 22.Utilizzandola come fosse una matita, l'artista disegna, elabora formule matematiche e architetture bidimensionali, compone filastrocche, registra intuizioni, verifica idee.

La mostra propone una selezione di opere su carta connesse alle tre mostre seminali Gennaio '70 - comportamenti, progetti, mediazioni (Museo Civico Archeologico, Bologna, 1970), Arte Povera - 13 Italian Artists (Kunstverein München, 1971) e Merce Tipo Standard (Galleria L'Attico, Roma, 1971), in cui Prini riflette sulla logica del produrre attraverso l'uso di dispositivi tecnologici, indaga lo standard informativo pubblico e privato, riflette sul valore della merce (arte) prodotta, attenendosi alla teoria dei tipi di B. Russell. I disegni sono corredati da alcuni scritti teorici e una selezione di fotografie documentative, perlopiù inedite, delle tre mostre. Il progetto costituisce l'avvio di una ricerca e di una catalogazione in corso, a cura dell'Archivio Emilio Prini. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)

Immagine: Emilio Prini, Senza titolo, senza data, dattiloscritto nero e rosso su carta con interventi a biro, Courtesy Archivio Emilio




Foto Polaroid scattata da Giovanni Chiaramonte a Milano nel 2012 per Luigi Ghirri denominata Salvare l'ora Fotoritratto di Giovanni Chiaramonte Giovanni Chiaramonte
"Salvare l'ora"


20 novembre 2024 - 18 gennaio 2025
Centro Culturale di Milano
www.cmc.milano.it

A un anno esatto dalla scomparsa di Giovanni Chiaramonte (18 ottobre 2023), fra i grandi protagonisti della fotografia italiana contemporanea, la mostra dedicata a una delle sue più particolari e originali raccolte con 70 Polaroid e 70 haiku scritti dal fotografo. Patrocinata dal Comune di Milano e da Regione Lombardia, ideata da Camillo Fornasieri e curata da Elena Pontiggia, il titolo dell'esposizione prende spunto dall'omonimo titolo del libro edito nel 2018 da Postcart, nel quale Giovanni Chiaramonte scrive: "gli haiku e le immagini di 'Salvare l'ora' nascono da due periodi di malattie apparentemente senza speranza: si pongono come tracce leggere della presenza divina nascosta all'interno di ogni forma e figura che splende nel mondo"

Le Polaroid, formato fotografico assolutamente inedito per l'autore realizzate con una Fuji Instax a sviluppo istantaneo, consentono al pubblico di tracciare il rapporto di Chiaramonte con Dio e mostrano come nell'intimità di quegli scatti egli cercasse il legame tra il particolare e l'essere. Tra memoria e stupore, tristezza e redenzione: nella casa, nei prati comuni, nei bordi abbandonati della città, nello splendore della natura.

La mostra di Giovanni Chiaramonte, nato a Varese nel 1948 da genitori siciliani (di Gela) e arrivato a Milano nel 1961, si apre a una settimana esatta dall'inaugurazione della personale "La geometria e la compassione" dedicata a Ferdinando Scianna, che proprio da Chiaramonte venne invitato, poco più di un anno fa e a nome del CMC, a comporre un'esposizione sulla sua posizione di uomo e fotografo di fronte al grande limite del dolore del mondo.

Come riferisce Camillo Fornasieri, direttore del CMC: "Le due esposizioni sono una straordinaria circostanza umana e culturale che il Centro Culturale di Milano ha voluto unire non per un confronto, ma per invitare il pubblico ad andare al fondo e riscoprire il senso della fotografia nell'amicizia di due fotografi sui temi più radicali dell'esistenza. In particolare, la mostra 'Salvare l'ora' vuole sottolineare non solo il linguaggio colto della fotografia di Chiaramonte, ma anche la ricerca spirituale e umana della sua opera, dove l'immagine è meditazione sul senso dell'esistenza".

Su temi diversi ma speculari i fotografi si interrogano profondamente sull'essere delle cose e dell'uomo. L'amico e poeta milanese Umberto Fiori su "Salvare l'ora" così scrive: "qui si ha l'impressione di avere di fronte un'esposizione lampante della poetica del fotografo... lo sguardo chiama, è una voce". Se negli Haiku, forma giapponese di poesia ripresa in Italia da Andrea Zanzotto, sono le cose della natura a campeggiare come "enigmi naturali", per Chiaramonte a prevalere è la riflessione: tempo, spazio, universo, nulla, pensiero, luce, abisso.

Le Polaroid, che non hanno possibilità alcuna di intervento prima e dopo lo scatto, riflettono le comunanze con il grande amico Luigi Ghirri (proprio una delle foto è a lui dedicata) e provengono da interni ed esterni di Milano, Berlino, Postsdam, posando lo sguardo sull'esserci delle cose, sulla memoria, i legami, gli oggetti più inerti e insignificanti in uno splendore di colori, una linea cha va da Kértesz a Ghirri. Le figure degli Haiku di Chiaramonte che accompagnano "Salvare l'ora" e che si trovano negli scritti in mostra accanto alle immagini, nascono dall'ascolto che l'infinito dà allo sguardo, mostrando come per lui il tempo del contemplare fosse importante e necessario quanto il silenzio interiore. Chiaramonte in queste polaroid e nei suoi scritti ha rivelato la parola che tace al fondo delle sue immagini. Una parola che si sporge oltre sé stessa, cercando il proprio limite. Cosa c'è, oltre quel limite? "Dove il pensiero/Si interrompe in frantumi/Inizia l'altro (haiku di Giovanni Chiaramonte).

Giovanni Chiaramonte comincia a fotografare alla fine degli anni Sessanta, operando per la ripresa della forma figurativa, seguita alla stagione astratta e informale. Per questo nel 1978 insieme a Luigi Ghirri nasce Punto e Virgola, prima casa editrice dedicata alla fotografia e alla sua storia. All'opera di Luigi Ghirri dedica e cura personalmente la mostra "Nostalgia del futuro. L'immagine necessaria" che si inaugura al CMC a pochi giorni dalla sua morte di Chiaramonte avvenuta il 18 ottobre 2023. La sua fotografia risente del pensiero di R. Guardini, H.U. von Balthasar e in quella della Chiesa d'Oriente incontrata in A. Tarkovskij, O. Clément, P. Evdokimov.

Dal 1983 collabora alla rivista "Lotus International" e alle mostre internazionali curate alla Triennale di Milano, dove nel 2000 realizza col Centro Culturale di Milano e i poeti e scrittori De Angelis, Rondoni, Doninelli, Raboni la mostra "Milano Cerchi della città di mezzo", curata da Pierluigi Nicolin. Partecipa alle mostre del CCA di Montréal, tra cui Asphalt e Rooms You May Have Missed. Chiaramonte espone in tutto il mondo e per ben cinque volte alla Biennale di Venezia, l'ultima delle quali nel 2013. Al CMC presenta nel 1999 con Joel Mewerowitz la mostra "Eventi umani, eventi urbani". Nel 2005 l'Università di Palermo gli conferisce la Laurea honoris causa in Architettura.

Nel 2010 è presente all'Expo di Shangai con "Nascosto in prospettiva", mentre l'anno successivo è nominato Accademico Benemerito dell'Accademia di San Luca (2021). Ha insegnato Storia e Teoria della Fotografia allo IULM di Milano, alla Facoltà di Architettura di Palermo e al Master di "Forma" a Milano. Durante la sua carriera ha pubblicato oltre 100 volumi. (Comunicato ufficio stampa mostra De Angelis Press, Milano)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Giovanni Chiaramonte, Salvare l'ora, Milano 2012 per Luigi Ghirri, Polaroid
2. Fotoritratto di Giovanni Chiaramonte




Dipinto a olio su tela denominato Ritratto di Carrà realizzato da Carlo Mattioli Carlo Mattioli, [contro] ritratti
05 ottobre 2024 - 12 gennaio 2024
Reggia di Colorno - Parma
www.reggiadicolorno.it

Mostra monografica dedicata ai ritratti di Carlo Mattioli (Modena 1911 - Parma, 1994). Cesare Garboli aveva acutamente colto l'essenza di questi dipinti: "i ritratti di Mattioli sono [...] introspezioni fulminee, 'saggi critici' che investono la psicologia (nella sua totalità) e il segreto di una persona, la contraddizione che la fa esistere". La mostra coordinata da Antonella Balestrazzi, curata da Sandro Parmiggiani e Anna Zaniboni Mattioli, nipote dell'artista e curatrice dell'Archivio e della Fondazione Carlo Mattioli, riunisce una sessantina di opere del Maestro. La mostra è organizzata da Antea Progetti e servizi per la cultura e il turismo con la collaborazione di Provincia di Parma e Comune di Colorno.

Il percorso espositivo si apre con i sedici ritratti di storici personaggi colornesi conservati nella Sala del Consiglio Comunale e commissionati all'artista nel 1963 da Augusta Ghidiglia Quintavalle, storica dell'arte e Sovrintendente alle Gallerie di Parma. Un corpus, questo, che si muove scopertamente sulla corda dell'ironia. Alcuni di essi giocano su una trasposizione divertita dei volti: Ottobono Terzi diventa il poeta Attilio Bertolucci, il filosofo Zaccaria Olivieri, il pittore Carlo Carrà e il vescovo Martino da Colorno, il papa regnante Giovanni XXIII.

L'esposizione prosegue con una lunga sequenza di ritratti che si avvicinano progressivamente all'intimità dell'artista: intellettuali, poeti, artisti da lui frequentati e stimati al tempo dell'"Officina Parmigiana" fino ai più celebri colleghi (Renato Guttuso, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico, Ottone Rosai, Giacomo Manzù). Il nucleo più sentito e privato chiude la sequenza con i ritratti di famiglia (la moglie Lina, la figlia Marcella, l'amatissima nipote Anna, raffigurata nelle varie età della vita, dall'infanzia all'adolescenza) e gli autoritratti. Le opere provengono da Musei e istituzioni pubbliche e da collezioni private.

"I ritratti realizzati da Carlo Mattioli testimoniamo il valore e il fascino della pittura dell'artista: opere nelle quali il disegno germoglia, con soluzioni memorabili, sempre tese a catturare la verità di un volto e di un corpo, con uno sguardo d'ironia affettuosa che non esita a spingersi nei territori della rivelazione dell'intima verità della persona. Pensiamo al disagio, alla disperazione esistenziale di Rosai, con quelle sue mani come artigli, come protesi tese a cogliere qualcosa che sempre sfugge, alla solitudine di Morandi, raffigurato come una sorta di sfinge inaccessibile, all'ambiguità di Guttuso, cui alludono le volute di fumo della sua sigaretta", evidenzia Sandro Parmiggiani.

Carlo Mattioli, pittore e disegnatore tra i più importanti del secolo scorso, ha affrontato molti temi: Parma, la sua città, la natura morta, il paesaggio, tormento e riflessione come nelle Aigues mortes, i cieli, l'illustrazione di testi capolavori della letteratura mondiale. I ritratti di Mattioli sono apprezzati dagli appassionati della sua pittura e dagli studiosi dell'arte del Novecento tra gli esiti più alti della sua attività, nei tratti esasperati dei volti e della postura dei corpi, in una latente, talvolta dissacrante, ironia". (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci di Sergio Campagnolo)

Immagine:
Carlo Mattioli, Ritratto di Carrà, 1967, olio su tela cm 36x45




Ferdinando Scianna
"La geometria e la compassione"


14 novembre 2024 - 18 gennaio 2025
Centro Culturale di Milano
www.cmc.milano.it

Ferdinando Scianna, uno dei fotografi italiani più autorevoli a livello internazionale, noto per la capacità di incidere profondamente la realtà attraverso le sue opere fotografiche, sarà protagonista con la nuova mostra, curata a quattro mani dallo stesso autore insieme a Camillo Fornasieri. Patrocinata dal Comune di Milano e da Regione Lombardia, composta da 60 opere fotografiche in bianco e nero Original Print e accompagnata da un importante Libro Catalogo edito da Silvana Editoriale per la Collana Quaderni del CMC, la mostra non è solo un'opportunità per riflettere sul ruolo della fotografia nel mondo contemporaneo, ma anche il pensiero originale dell'autore siciliano sulla condizione umana e sulla sua fotografia come dimensione identitaria con il mondo.

Un'esposizione dalla grande potenza espressiva che trova la sua genesi nella decisione di Scianna di accogliere l'invito dell'amico Giovanni Chiaramonte, pochi mesi prima della sua scomparsa nell'ottobre 2023, di realizzare una sua mostra che fosse una meditazione sul tema del dolore. Come afferma lo stesso Scianna - nato a Bagheria nel 1943 e che non ha mai chiuso gli occhi di fronte alle condizioni di limite in cui l'uomo vive e spera vivendo - la fotografia non ha il potere di cambiare il mondo, ma può aiutare a vedere ciò che spesso scegliamo di ignorare, e compito del fotografo è cercare di far sì che lo spettatore, attraverso la dimensione identitaria delle fotografie, possa ritrovare in esse qualcosa della propria verità, del proprio vissuto.

Le immagini selezionate per la mostra raccontano di realtà che conosciamo ma che spesso non vogliamo guardare, momenti che Scianna ha incontrato nel suo percorso e che ha voluto trattenere e condividere. Immagini che riflettono la sua ricerca fotografica e colgono con caparbietà e passione frammenti del reale con una precisa autenticità storica. Durante i suoi reportage, le immagini sono testimonianza di un approccio alla fotografia sempre intimamente legato alla vita stessa. Un racconto che cerca di dare voce al dolore e all'ingiustizia, ma anche al desiderio umano di felicità che persiste nonostante tutto, come spiega lo stesso autore partendo dal titolo della mostra: "Niente si può esprimere senza geometria, senza forma, e la forma di ogni uomo e donna è la ricerca della felicità. Il dolore degli altri ci provoca compassione perché ci allontana tutti dal diritto a essere felici. Con questa mostra e il libro che l'accompagna ho voluto raccontare che anche nel più cupo dolore si scopre l'ansia di cercare la felicità".

Immagini con una grande densità emozionale che, in questa mostra, corrono insieme alle parole. Fotografie dalla struttura di racconto e di memoria, con un'ambizione e una dignità letteraria. Nel corso degli anni Scianna ha infatti sentito crescere dentro di sé l'esigenza di esprimere, in una letteratura ibrida di immagini e parole, la sua complessa relazione con la realtà e con sé stesso. Proprio per questa ragione, per la mostra Scianna ha scritto numerosi testi che riflettono sugli "incontri" che ha vissuto nel corso della sua carriera. Le immagini esposte al Centro Culturale di Milano, provenienti da paesi come Etiopia, Sudan, Bangladesh, India, Vietnam, Stati Uniti, Italia, Francia, America Latina e Libano, rappresentano volti e situazioni che hanno lasciato un'eco profonda nell'animo dell'autore.

La mostra e il libro associato sono organizzati in otto capitoli, ognuno dei quali esplora temi come miseria, malattia, catastrofi, violenza, emigrazione, emarginazione, solitudine e, infine, la morte. I diversi capitoli raccolgono le parole e le immagini che hanno dato forma agli incontri vissuti da Scianna, offrendo una visione profonda e toccante del mondo e delle sue contraddizioni. Con questa mostra Scianna si riavvicina ad alcuni dei suoi reportage e alla sua ricerca fotografica, ricordando il periodo in cui conobbe lo scrittore Leonardo Sciascia, col quale strinse una profonda amicizia e realizzò diverse collaborazioni, a partire dal libro Feste religiose in Sicilia del 1965, che gli valse il Premio Nadar l'anno successivo.

Fu proprio Sciascia a incoraggiarlo a continuare a fotografare la sua Sicilia, persone, volti, feste religiose e popolari, nonché il primo a spingerlo a unire la sua fotografia con la scrittura, la parola come un luogo che accoglie il mistero del mondo attraverso la fotografia. La mostra di Scianna è seguita da un'altra esposizione nella Sala Erculea del CMC, intitolata "Salvare l'ora" (21 novembre 2024 - 18 gennaio 2025) e che presenta 70 Polaroid e 70 Haiku realizzati da Giovanni Chiaramonte negli ultimi anni della sua vita. L'intento non è di mettere a confronto i due artisti, ma di celebrare l'amicizia e il dialogo tra due grandi fotografi che si sono confrontati sui temi più profondi e radicali dell'esistenza. (Estratto da comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)




Locandina della mostra Matisse e la luce del Mediterraneo Matisse e la luce del Mediterraneo
28 settembre 2024 - 04 marzo 2025
Centro Culturale Candiani - Mestre (Venezia)

Un viaggio nei capolavori e nei luoghi che li hanno ispirati, tra le luminose atmosfere mediterranee, punti geografici e dell'anima, sfondi di vicende artistiche e fondamentali per l'evoluzione dell'arte moderna europea. Il nuovo progetto espositivo, a cura di Elisabetta Barisoni, che nasce dalle collezioni civiche di arte moderna conservate a Ca' Pesaro, arricchito da prestigiosi prestiti internazionali, è dedicato ad un altro maestro delle avanguardie del '900: Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 1869 - Nizza, 1954).

Maestro e capostipite dei Fauves - le belve, i selvaggi - e perciò posto in mostra e in dialogo con artisti con i quali condivise vicende biografiche e rivoluzioni artistiche; pittore della gioia di vivere, delle emozioni profonde, tradotte in colori forti, vivaci, innaturali. E, soprattutto, interprete della luce: centro della ricerca di Matisse, come di quegli artisti che miravano a catturare l'abbagliante bellezza del Mar Mediterraneo, del Midi, il Mezzogiorno francese, luogo fisico e della creazione artistica, il vero protagonista del colore liberato dall'Espressionismo selvaggio.

Luce e colore sono quindi il fulcro della rassegna, insieme all'importanza, quasi un'ossessione, del disegno per Matisse. In mostra oltre cinquanta opere, partendo dalle preziose raccolte di grafica della Galleria Internazionale d'Arte Moderna - che annoverano tre importanti litografie dell'artista francese datate agli anni Venti e due disegni appartenenti alla sua produzione del 1947 - poste accanto ai capolavori del maestro provenienti dal Philadelphia Museum of Art, dalla Národní Galerie di Praga, dal Musée des Beaux-Arts di Bordeaux, dal Musée des Beaux-Arts di Nancy, dal Centre Pompidou di Parigi, dal Musée Albert-André di Bagnols-sur-Cèze, dal Museo del Novecento di Milano.

Sette le sezioni per indagare La modernità viene dal mare, La Luce del Mediterraneo, L'età dell'oro, Il Mediterraneo, un paradiso unico, a cui si affiancano le riflessioni sul decorativo e l'ornamento, il fascino delle linee moresche, le languide figure femminili in veste di odalische in Arabesco e decorazione fino alla sintesi perfetta di Lusso, calma e voluttà e del "disegno del piacere", di cui scrive il filosofo Jean-Luc Nancy.

Nasce così spontaneamente il dialogo con diversi autori che hanno lavorato sulle qualità interiori della pittura, inseguendo la poetica: Henri Manguin, André Derain, Albert Marquet, Maurice de Vlaminck, Raoul Dufy e Pierre Bonnard. Ricerche e produzioni distinte creano tuttavia un racconto corale: dall'amicizia tra Derain e Matisse, in viaggio sulla costa mediterranea della Francia nell'estate del 1905, alla centralità di alcuni luoghi, come Nizza, Arles, Saint-Tropez, quest'ultima divenuta icona dell'arte e della cultura del Novecento.

L'esposizione si chiude con l'ultima rivoluzionaria fase creativa di Matisse. Dal colore alla forma prende avvio dalla produzione dei papiers découpés, fogli di carta colorata ritagliati e incollati nei quali il Maestro francese porta al massimo la sintesi dell'espressione. Dagli epigoni di area veneziana, come Renato Borsato o Saverio Barbaro, alle figurine di Chris Ofili e fino alle composizioni di Marinella Senatore, la dignità del decorativo, dell'ornamento, del disegno e della stilizzazione della figura emerge nell'ultima sezione della mostra come il lascito forse più importante che Matisse fa all'età contemporanea. (Comunicato stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)




Berthe Morisot
"Pittrice impressionista"


16 ottobre 2024 - 09 marzo 2025
GAM Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea - Torino
www.gamtorino.it

Nell'anno internazionalmente dedicato all'Impressionismo, la mostra che celebra la storia e il percorso artistico dell'unica donna tra i fondatori del movimento impressionista. Grande interprete della Nouvelle Peinture, Berthe Morisot ha avuto un ruolo importante nella storia del movimento partecipando a sette delle otto mostre impressioniste che si sono tenute dal 1874 al 1886 (unica assenza nel 1879 per la nascita della figlia). Nel 1874 Berthe sposa Eugène Manet, fratello di Édouard, entrando di diritto nella famiglia. Indipendentemente dalla presenza di Manet, il più importante artista del suo tempo, Morisot continua a vivere intensamente la propria vicenda creativa, legandosi in modo diretto al gruppo.

Attraverso una selezione di opere, tra celebri dipinti e incisioni, provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche - tra cui, oltre al Musée Marmottan Monet di Parigi, il Musée d'Orsay di Parigi, il Musée des Beaux-Arts di Pau, il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Musée d'Ixelles di Bruxelles, l'Institut National d'Histoire de l'Art (INHA) di Parigi - e importanti collezioni private, la mostra ripercorre la vita e la carriera di Berthe Morisot, dai suoi esordi connessi al sodalizio artistico e umano con Édouard Manet, fino alla piena adesione alla poetica impressionista.

Il percorso espositivo si sviluppa in sezioni tematiche dedicate ai principali soggetti protagonisti della produzione di Morisot - luoghi all'aperto, interni animati da figure colte in situazioni di intimità o nel brillio della vita sociale, paesaggi marini, famiglia, case e giardini - e racconta il suo stile leggero, talvolta sorprendentemente ellittico e moderno. La luce, protagonista indiscussa della sua produzione, avvolge e irradia attraverso pennellate brillanti la superficie delle opere, raggiungendo la massima espressione nelle scene en plein air, sempre caratterizzate da atmosfere vibranti e cromaticamente intense.

L'esposizione è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, a cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, istituzione che vanta la più grande raccolta di opere di Berthe Morisot da cui provengono importanti dipinti e con la consulenza scientifica di Sylvie Patry, tra i maggiori esperti internazionali di Morisot.

La mostra illustra il legame di Morisot con la poetica del movimento e fa emergere il suo personalissimo timbro nel cogliere la labilità dell'attimo, a simbolo della fragilità dell'esistenza, capace di rappresentare con grazia gli elementi della natura e della realtà. L'allestimento della mostra accoglie anche un display, appositamente ideato per il percorso espositivo, di Stefano Arienti, artista italiano tra i più riconosciuti, che crea un confronto con Morisot e i valori del linguaggio impressionista, a cura di Chiara Bertola, Direttrice della GAM. (Comunicato stampa)




Donna, Musa, Artista
Ritratti di Cesare Tallone tra Otto e Novecento


14 settembre 2024 - 12 gennaio 2025
Museo Villa Bassi Rathgeb - Abano Terme (Padova)

Cesare Tallone (1853-1919) artista di grande successo, ritrattista della Regina Margherita e fondatore di una delle prime scuole di pittura femminili, è il protagonista della mostra a cura di Raffaele Campion, Silvia Capponi, Elena Lissoni e Barbara Maria Savy. La mostra nasce da un lavoro di studio e di approfondimento sulla collezione permanente del Museo e in particolare sul nucleo di opere di Cesare Tallone, dando particolare rilievo alla produzione ritrattistica femminile dell'artista, che racconta il ruolo delle donne nella società italiana tra fine Ottocento e inizio Novecento. Presenta alcuni dei ritratti della famiglia Tallone, tra cui quello della moglie dell'artista, la poetessa Eleonora Tango, e dei figli Guido e Irene, raffigurati dal vero nelle vesti di pastorelli, ciociare, massaie, e talvolta in immagini dal sapore intimo e sognante.

L'indagine condotta dal team curatoriale sulle immagini di famiglia dell'artista, tra dipinti di genere, ritratti e fotografie, ha reso possibile avviare anche una riflessione sulla rappresentazione e autorappresentazione delle donne nella società italiana tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. In questo contesto, libero e aperto, prendono vita alcuni ritratti femminili dell'artista che restituiscono un caleidoscopio di immagini emblematiche di una società in trasformazione, dal Doppio ritratto femminile (1887) a quello dell'attrice Lina Cavalieri (1905 circa), icona di stile che campeggia anche nel manifesto Campari presente in mostra insieme ad altri della Collezione Salce di Treviso, fino allo "scandaloso" Nudo femminile (1913 circa). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Opera a tela e crilico di cm 120x140 denominata Quadro (manifestazione) realizzata da Giuliano Mauri nel 1970 Spazio Giuliano Mauri
11 maggio (inaugurazione) - 31 dicembre 2024
Scuderie di Palazzo Barni - Lodi
www.giulianomauri.com

Annunciato lo scorso primo marzo alla stampa, lo Spazio Giuliano Mauri apre al pubblico con una mostra che ripercorre ogni fase della vita artistica dell'artista - dagli anni '60 fino alla sua scomparsa nel 2009. Questo luogo permanente dedicato al "Poeta della Natura" occupa le scuderie del seicentesco Palazzo Barni nel centro di Lodi, in corso Vittorio Emanuele, a cinque minuti dalla stazione ferroviaria.

La prima esposizione per presentare l'artista a 360 gradi, dalle prime opere in vetro e neon, ai quadri di stampo militante che raccontano la cronaca del tempo, con l'Azione alla Palazzina Liberty (1976) di Milano con Dario Fo e le "Tele" che porta alla Biennale di Venezia nel 1976. Una sezione lignea, con le maquette preparatorie alle opere di Art In Nature, scritti, disegni, fotografie e video introducono il visitatore a installazioni monumentali come L'Albero dei cento nidi (1992, Lodi), Osservatori Estimativi (2001, Gorlitz-Zgorzelec, Germania-Polonia), La Casa della Memoria (1997, St. Louis, Missouri, USA) la Voliera per Umani (Monza, 2006), fino alle Cattedrali Vegetali di Arte Sella (2001) e del Parco dello Orobie (2009).

Dal 2025 lo Spazio sarà organizzato in due sezioni, una permanente con le opere principali dell'artista e una in movimento, dove, attraverso una programmazione studiata, verranno presentate mostre tematiche e di approfondimento dedicate alla vita e all'arte di Mauri, restituendo il suo pensiero e la sua filosofia, più che mai attuali. Un grande traguardo per l'Associazione Giuliano Mauri, a 15 anni dalla scomparsa dell'artista, nata per volontà degli eredi nel 2016 e divenuta APS Giuliano Mauri ETS nel 2021 con l'obiettivo di rendere pubblico e fruibile l'archivio, che fino a questo momento è rimasto privato e aperto solo su appuntamento. Il fondo è composto da oltre 1000 opere che raccontano, nella loro unicità, l'intero percorso artistico di Mauri: quadri, disegni, progetti, neon, vetri, tele di canapa grezza, fotografie, video, maquette e prototipi di opere realizzate nell'ambiente. Segue poi l'archivio cartaceo, composto da riviste, pubblicazioni, lettere, testi, tesi di laurea.

Visitatori, studenti, critici e studiosi avranno la possibilità di conoscere le opere e il pensiero di Giuliano Mauri, in modo diverso rispetto a quanto fatto sin d'ora: approfondendo la sua arte e la sua poetica naturale, attraverso la visione diretta delle sue opere, partecipando a workshop, visite guidate, videoproiezioni ecc. Lo Spazio Giuliano Mauri è pensato quindi come luogo di racconto, di studio, di didattica, di restauro e di memoria, legati alla relazione uomo-natura attraverso la sua arte. La sua superfice di 130 metri quadrati è abbastanza grande da permettere di presentare in maniera esaustiva la sua opera e il suo pensiero, e nello stesso tempo sostenibile dall'Associazione. (Estratto da comunicato stampa Alessandra Pozzi)

Immagine:
Giuliano Mauri, Quadro (manifestazione), 1970, tela e crilico, cm 120x140




Fotografia con carta cotone certificata in formati di cm 50x70 e 60x90 denominata Sicilia - Scala dei Turchi realizzata da Claudio Argentiero realizzata nel 2017 Claudio Argentiero
"Paesaggi"


Barbara Frigerio Gallery - Milano
www.barbarafrigeriogallery.com/artisti/claudio-argentiero

Alcune fotografie di Claudio Argentiero, personalità attiva da più di trent'anni nel mondo della fotografia, tra progetti personali e curatela di mostre. Da sempre interessato alla documentazione del territorio e ai mutamenti avvenuti nel tempo, legati al decadimento dell'industria manifatturiera e alla trasformazione del paesaggio. Nelle sue corde l'interesse per il territorio che non fa clamore, ambito da indagare e rivelare attraverso sguardi personali che riportano il quotidiano alla poetica delle piccole cose. (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagine:
Claudio Argentiero, Sicilia - Scala dei Turchi, 2017, carta cotone certificata, formati cm 50x70 e 60x90




Premiazione URBAN Photo Awards 2023 I vincitori della 14. edizione di URBAN Photo Awards 2023
www.urbanphotoawards.com

La fotografa russa Natalya Saprunova con lo scatto Going to save themselves from the abnormal heat è la Vincitrice Assoluta di URBAN Photo Awards 2023, scelta dal presidente della giuria Alec Soth tra i primi classificati delle quattro categorie Streets, People, Spaces and Creative della sezione Foto Singole. La Vincitrice è stato annunciata e premiato dal vivo durante la cerimonia degli URBAN Photo Awards, sabato 28 ottobre presso l'Auditorium del Museo Revoltella di Trieste, nell'ambito della decima edizione del Festival Internazionale di Fotografia Urbana Trieste Photo Days 2023. Secondo Alec Soth, "lo scatto di Natalya è l'esempio perfetto di come la ricerca della perfezione tecnica diventi un ostacolo quando si tratta di giudicare l'arte".

Il vincitore della sezione Projects & Portfolios è The Post-industrial Rust Belt, del fotografo americano Andrew Borowiec. Il progetto di Andrew racconta il degrado e la desolazione della ruggine post-industriale in America, il territorio che fu il cuore industriale americano e che si estende dallo stato di New York alle sponde del lago Michigan, a ovest e negli Appalachi a sud del fiume Ohio, in costante declino dagli anni '80. The Post-industrial Rust Belt è stato scelto da Jérôme Sessini, che ha dichiarato: "Ho scelto il lavoro di Andrew perché mi sembra il lavoro più riuscito, tecnicamente e giornalisticamente. Vedo l'impegno del fotografo, la sua giusta distanza e il suo rifiuto dei soliti espedienti per cercare di sedurre il pubblico".

Kadir van Lohuizen, giurato designato della sezione URBAN Book Award, ha premiato CAFUNÉ del fotografo spagnolo Rafael Fabrés. Il nuovo premio URBAN Press Award è stato vinto dall'autore polacco Krzysztof Bednarski con il suo progetto Parisian Night Stories. Il vincitore del premio URBAN Press Award sarà selezionato e pubblicato dalla migliore stampa specializzata nel campo della fotografia. Il vincitore riceverà un premio internazionale e importanti opportunità di branding e promozione. Il fotografo tedesco Martin Wacker è il vincitore del Premio Speciale Icons of Architecture offerto da Matrix4Design, con la foto Bierpinsel. Premiati anche gli autori selezionati per le mostre-premio al Civico Museo Sartorio (Alain Schroeder, Andrea Bettancini, Giovanni Sacco e Martina D'Agresta) e al Museo di Parenzo in Croazia (Francesco Aglieri Rinella).

Il 2023 è stato anche anno di novità e ampliamento per URBAN Photo Awards che vede la nascita di URBAN Photo Arena, la nuova sezione dedicata ai giovani talenti della fotografia under 35. URBAN Photo Arena è l'evoluzione di Trieste Photo Young e ha come obiettivo scoprire, supportare e premiare i giovani fotografi, offrendo loro un prestigioso spazio espositivo durante il festival internazionale Trieste Photo Days. Il vincitore di questa prima edizione di URBAN Photo Arena è il fotografo francese Romain Miot con la sua foto Becoming an Adult. (Comunicato stampa)




Locandina della rassegna fotografica URBAN Photo Awards Martin Wacker vince il premio speciale "Icons of Architecture"
www.urbanphotoawards.com

Il fotografo tedesco Martin Wacker, con il suo scatto Bierpinsel, è il vincitore del premio speciale "Icons of Architecture" 2023, promosso per il quarto anno di fila da URBAN Photo Awards in partnership con il magazine digitale di architettura e design Matrix4Design. Il premio è un'evoluzione del precedente "New Buildings", ed è dedicato agli iconici edifici capolavori d'architettura che hanno cambiato il volto delle grandi città.

Ecco le parole del fondatore di Matrix4Design Andrea Boni, nel motivare la scelta per la foto vincitrice: "Abbiamo scelto di premiare lo scatto che più degli altri ci ha disorientato, mettendo alla prova la nostra capacità di individuare e capire prospettive, orientamenti e angoli di luce. L'autore ha radicalmente reinterpretato il punto di vista sull'edificio, "spegnendo" i colori che oggi lo identificano e riportandolo alle sue originarie tonalità di chiaro e scuro."

Martin Wacker verrà premiato insieme agli altri vincitori degli URBAN Photo Awards sabato 28 ottobre 2023 durante la Cerimonia di Pemiazione del Trieste Photo Days festitval. Nel frattempo, la mostra collettiva dei 10 finalisti sarà visitabile fino al 24 ottobre 2023 presso lo Showroom CRISTINA Brera a Milano. In mostra le foto di: Claudia Alberti, David Boam, Dorota Yamadag, Ingrid Gielen, Maria Cristina Pasotti, Maria Grazia Castiglione, Martin Wacker, Simone Cioci, Vincent Belin, Wael ElHammamy. Linaugurazione può essere rivisto sul canale youtube di Matrix4Design. (Comunicato stampa)




Il restauro di 342 lettere autografe di Michelangelo Buonarroti
www.casabuonarroti.it

Nessuno tra gli artisti del Rinascimento ci è tanto noto e familiare come Michelangelo. Sappiamo cosa mangiava, come si curava, quanto spendeva per gli abiti. ma possiamo anche seguirlo nei suoi momenti di meditazione, nei suoi slanci di generosità, nei suoi accessi d'ira, nelle sue paure. Tutto questo è stato possibile grazie alla spiccata attitudine di Michelangelo alla conservazione, quasi maniacale, di ogni documento che riguardasse la sua quotidianità: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa.

L'enorme mole di carte da lui raccolte nel corso della lunga vita fu devotamente custodita dai suoi discendenti, andando a costituire il nucleo fondamentale dell'archivio familiare, che lungo i secoli si accrebbe con documenti di altri membri, fino ad arrivare alla notevole consistenza di 169 volumi e oltre 25.000 carte. Una delle sezioni più preziose dell'archivio è indubbiamente costituita dalle lettere di sua mano, sia minute di lettere inviate ai personaggi più vari del suo tempo (da papa Clemente VII alla regina di Francia Caterina de' Medici, dalla poetessa Vittoria Colonna allo storico Benedetto Varchi, dal pittore Sebastiano del Piombo a Giorgio Vasari).

Considerando l'importanza e la fragilità di queste carte, l'Associazione degli Amici della Casa Buonarroti - nelle persone di Elisabetta Archi e Antonio Paolucci - hanno pensato di sottoporre un progetto di restauro all'Ente Cambiano scpa, che con grande slancio l'ha accolta e sostenuta con generosa e lungimirante sensibilità. Nell'occasione si potranno vedere le carte restaurate che poi verranno riposizionate e custodite nell'Archivio di Casa Buonarroti. L'Archivio Buonarroti consta di 169 volumi tutti manoscritti, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia dei Buonarroti dagli antenati di Michelangelo fino all'ultimo discendente diretto della famiglia che nel 1859 decise di lasciare la Casa e il patrimonio raccolto al suo interno alla città di Firenze. (Estratto da comunicato ufficio stampa Fondazione Casa Buonarroti - CSC Sigma)




Fotografia che ritrae la scultrice Regina Cassolo Bracchi Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it

Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.

Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.

Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».

Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.

Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.

Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Locandina di presentazione del catalogo interattivo della mostra Materie Prime Artisti italiani contemporanei tra terra e luce Materie Prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce
Catalogo interattivo e multimediale


www.ferrarinarte.it/antologie/senigallia/materie_prime.html

Dopo il successo nel 2019 alla Rocca Roveresca di Senigallia (Ancona) con l'esposizione "Materie prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce", a cura di Giorgio Bonomi, Francesco Tedeschi e Matteo Galbiati, e la presentazione del catalogo Silvana Editoriale al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito di un incontro moderato da Gianluigi Colin, la Galleria FerrarinArte di Legnago (Verona) rilascia una nuova edizione del volume, completamente interattiva e multimediale, per rivivere la straordinaria esperienza della mostra attraverso le parole degli artisti e dei curatori.

Il libro, sfogliabile liberamente e gratuitamente online, si arricchisce con contenuti inediti, videointerviste e approfondimenti dedicati alla poetica dei quindici artisti coinvolti - Carlo Bernardini, Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Franco Mazzucchelli, Nunzio, Paola Pezzi, Pino Pinelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino, Paolo Scirpa, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini e Grazia Varisco - appartenenti a diverse generazioni, ma accomunati da curricula di altissimo livello e dal lavoro condotto con e sulla materia. (Estratto da comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)




Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


La notizia che nei giorni scorsi, presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali


Locandina del concerto di fine anno 2024 a Matera Concerto di fine anno
30 dicembre 2024, ore 20.30
Auditorium Raffaele Gervasio - Matera
orchestrasinfonicamatera.it

Giuseppe Gibboni, che interpreterà l'accesa fantasia melodica del Concerto per violino e orchestra in Re maggiore op.35 di Cajkovskij, e i valzer e le operette di Strauss per il Concerto di fine anno, ultimo appuntamento della stagione sinfonica 2024 dell'Orchestra Sinfonica di Matera. Il programma di sala scelto dal direttore artistico Saverio Vizziello è più di un saluto al pubblico dall'Orchestra Sinfonica di Matera, si preannuncia come uno dei più interessanti concerti del 2024.

A dirigere l'Orchestra Sinfonica di Matera sarà il Maestro Giovanni Minafra, docente titolare di cattedra al Conservatorio di musica "Egidio Romualdo Duni" di Matera, da oltre 20 anni è un affermato direttore d'Orchestra con al suo attivo più di millecinquecento concerti in Italia e all'estero. Sul palco, ospite d'eccezione, il virtuoso del violino Giuseppe Gibboni. Allievo di Salvatore Accardo, Gibboni, nato in provincia di Salerno nel 2001, ha vinto il Premio Paganini nel 2021.

Sarà il violino solista Gibboni ad aprire la serata, eseguendo il Concerto per violino e orchestra in Re maggiore op.35 di Cajkovskij. La difficoltà tecnica di questo concerto, che con passi spettacolari lo rende tra i più difficili esistenti per lo strumento ad arco, offre al solista ampia occasione di far valere le sue capacità di virtuoso. Nella seconda parte del programma l'Orchestra Sinfonica di Matera è protagonista assoluta con tre celeberrimi brani di Johann Strauss: il valzer Il bel Danubio blu, il brano per orchestra d'archi Pizzicato Polka e infine l'operetta Il pipistrello. Musiche che rimandano immediatamente all'eleganza della corte viennese di fine Ottocento e della Belle Epoque e che da decenni sono le note che inaugurano l'arrivo del nuovo anno.

"Con il Concerto di fine anno vogliamo fare gli auguri in musica al pubblico dell'Orchestra Sinfonica di Matera - afferma la presidente della Fondazione Orchestra Sinfonica di Matera, Gianna Racamato - con questa serata concludiamo la stagione sinfonica 2024 e anche il primo triennio di attività dell'Orchestra. Un traguardo importante nel percorso che stiamo seguendo per ottenere il riconoscimento di Istituzione concertistico-orchestrale (ICO), un traguardo raggiunto grazie alla sensibilità degli enti locali, dal Comune alla Provincia di Matera e alla Regione Basilicata e del Conservatorio Duni di Matera, che sostengono l'Orchestra, oltre che dal Ministero della Cultura che ha ammesso l'Orchestra al percorso per il riconoscimento quale ICO Istituzione Concertistica Orchestrale e la sostiene attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus)". (Comunicato stampa Sissi Ruggi)




L'Associazione Siciliana Amici della Musica compie 100 anni
Presentate la Stagioni concertistiche 2024/2025


Le Stagioni concertistiche aprono le celebrazioni del primo secolo di attività. La stagione serale 2024/2025 sarà composta da 12 concerti ospitati al Politeama Garibaldi: primo appuntamento domenica 17 novembre 2024 con il pianista russo Arcadi Volodos. La stagione pomeridiana cambia giorno e si sposta alla domenica alle 17.15 al Politeama Garibaldi: sei concerti da novembre ad aprile dedicati principalmente al grande repertorio per pianoforte.

Fra gli artisti coinvolti Sergio Cammariere e il suo quartetto jazz, i pianisti Francesco Libetta e Arsenij Mun, Federico Maria Sardelli e il suo ensemble Modo Antiquo, il pianista cubano Omar Sosa, il jazz italiano di Nicky Nicolai e Stefano Di Battista e il coro gospel Florida Fellowship Super Choir. In corso la campagna abbonamenti: fino al 30 settembre sono attivi i rinnovi, dal 1° al 30 ottobre si potranno sottoscrivere i nuovi. Dal 4 novembre aperta la vendita dei singoli biglietti

L'Associazione Siciliana Amici della Musica, fondata nel 1925 da Vito Trasselli-Varvaro, guarda al raggiungimento dei suoi primi 100 anni di attività con grande ottimismo: l'ultima stagione, quella del 2023/2024, ha infatti registrato un aumento generale delle presenze del 42% rispetto la precedente, con particolare successo per i concerti serali che hanno visto raddoppiare i biglietti venduti (da 2.604 a 5.223) e crescere di oltre il 60% gli abbonati, di cui un terzo sono under 40.

È da questo successo che è stata ideata dalla Direttrice artistica Donatella Sollima, in concerto con la Presidente Milena Mangalaviti, la Stagione serale 2024/2025, la numero 92, che amplia la propria offerta portando a dodici il numero dei concerti che si terranno di lunedì alle 20.45 al Politeama Garibaldi e rinnova la proposta pomeridiana con una rassegna di sei concerti che si terranno la domenica alle 17.15 sempre al Politeama Garibaldi.

«L'Associazione Siciliana Amici della Musica - dichiara la Presidente Milena Mangalaviti - è oggi più solida che mai: ha rafforzato le proprie finanze, ha ingaggiato professionalità di alto livello, così da poter consolidare, ampliando e rinnovando, il proprio pubblico che torna a riempire il Politeama Garibaldi. I risultati dell'ultima stagione ci danno grande fiducia e ci hanno permesso di costruire un'offerta ampia che si rivolge ad un pubblico sempre più eterogeneo. Le due stagioni che si susseguiranno nel il 2025, anno delle celebrazioni del nostro centenario, segneranno una svolta nella storia dell'Associazione che si avvicina a chiudere il primo secolo di vita per iniziarne uno nuovo che vogliamo inaugurare anche con delle novità.

Se questa prospettiva entusiasmante è oggi possibile, oltre al merito della dedizione di tutto lo staff e all'affetto del pubblico, è anche grazie al supporto delle Istituzioni, dal Comune di Palermo, in primis, alla Regione Siciliana e al Ministero della Cultura, nonché alle collaborazioni con tante istituzioni del territorio. Sempre di più vogliamo essere un punto di rifermento non solo per Palermo, ma per tutta la Sicilia, onorando così la volontà del fondatore, Vito Trasselli-Varvaro, che cento anni fa ebbe la luminosa idea di creare un'Associazione dalla prospettiva regionale».

L'Anteprima della Stagione concertistica serale 2024/2025 sarà il 14 ottobre 2024 e avrà come protagonista il cantautore Sergio Cammariere e il suo quartetto jazz. Il concerto è quasi tutto esaurito e restano in vendita gli ultimi posti. L'inaugurazione sarà affidata al russo Arcadi Volodos (eccezionalmente di domenica, 17 novembre 2024), vera leggenda degli 88 tasti che sarà per la prima volta a Palermo. Si proseguirà con il duo formato dal violinista e violista Michael Baremboim e dalla pianista Nathalia Pegarkova (25 novembre) e con il recital dell'esperto di musica del Novecento per tastiera "Made in USA" Emanuele Arciuli (9 dicembre). Appuntamento natalizio lunedì 23 dicembre con la tradizione del gospel afroamericano interpretata dal Florida Fellowship Super Choir.

Il 13 gennaio, primo concerto del 2025, sarà protagonista il pianista salentino Francesco Libetta che proporrà un programma dedicato anche alle musiche di Ezio Bosso. Per il Giorno della memoria, il 27 gennaio, il duo formato dal clarinettista Francesco Paolo Scola e dal pianista Fausto Quintabà sconfinerà nel repertorio klezmer della mitteleuropa. Appuntamento con il repertorio barocco il 10 febbraio con un reading concerto tratto dal libro "L'affare Vivaldi" edito da Sellerio, grazie al quale il pubblico sarà accompagnato alla scoperta delle musiche del compositore veneziano con Federico Maria Sardelli - il più grande conoscitore al mondo di Vivaldi - e la sua orchestra Modo Antiquo.

Imperdibile appuntamento con il jazz internazionale lunedì 24 febbraio con i pianisti cubani Omar Sosa e Marialy Pacheco. Marzo sarà invece il mese dei giovani talenti della tastiera: con il vincitore del Premio Busoni 2023 Arseni Mun (10 marzo) e la quattordicenne austriaca Sunny Ritter (24 marzo). Il 7 aprile si terrà il concerto del quartetto spagnolo Cuarteto Iberia, formato da giovani musicisti under 30 e promosso dalla piattaforma europea MERITA, con il quale si esibirà la danzatrice Yuriko Nishihara, segnando così il ritorno della danza agli Amici della Musica. Ultimo appuntamento (14 aprile) con il jazz italiano di Nicky Nicolai e il quartetto del sassofonista Stefano Di Battista che con il concerto "Mille Note Blue" eseguiranno la rielaborazione dei brani più celebri del repertorio italiano degli anni Sessanta e Settanta.

La Stagione pomeridiana 2024/2025 cambia il suo giorno abituale: dal lunedì i concerti si terranno la domenica. Una rassegna composta da sei appuntamenti, ospitati tutti alle 17.15 al Politeama Garibaldi, e dedicata principalmente alle grandi pagine del repertorio pianistico: dalle sonate "Al chiaro di luna" e "Appassionata" di Beethoven, alle Variazioni Goldberg di Bach, dalle pagine di Chopin e Liszt a quelle di Scarlatti e Schubert. E ancora le sonate per violoncello e pianoforte di Shostakovich e Rachmaninov, il concerto di Natale (15 dicembre) con il Coro di Voci bianche del Conservatorio "A. Scarlatti" di Palermo che sarà presente anche con il suo Ensemble per il concerto di Carnevale con Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns (16 febbraio). Fra gli artisti coinvolti la pianista Violetta Egorova (10 novembre), il violoncellista Christian Barraco con la pianista Irene Inzerillo (19 gennaio), il pianista russo Mikhail Kambarov (16 marzo) e la pianista statunitense Nina Tichman (13 aprile).

Per sottoscrivere i nuovi abbonamenti sarà possibile farlo dal 1° al 31 ottobre 2024: da quest'anno si potrà acquistare sul sito www.amicidellamusicapalermo.it e online sarà possibile utilizzare la Carta Docente. Dal 4 novembre 2024 inizierà la vendita dei biglietti per i singoli concerti. Riconfermata l'iniziativa per gli under 40 che prevede l'abbonamento alla Stagione serale con il costo speciale di 40€ (più prevendita). Il Box Office convenzionato è alla libreria Moltimondi in via Mariano Stabile n. 233. Tutti i biglietti e gli abbonamenti sono venduti sul circuito TicketOne. (Comunicato stampa)




Locandina del film documentario Maria Cristina Carlini Il coraggio della grandezza "Maria Cristina Carlini. Il coraggio della grandezza"
di Pino Farinotti e Tiziano Sossi


Il docufilm è stato proiettato il 18 ottobre 2024 al MEET Digital Culture Center a Milano

Un docufilm di Pino Farinotti e Tiziano Sossi che vede come protagonista l'artista Maria Cristina Carlini, scultrice di fama internazionale. La sua vita, il suo fare arte, i suoi più intimi pensieri. Il MEET Digital Culture Center, luogo di diffusione della cultura, particolarmente dedicato a quella digitale, ospita la proiezione del docufilm con la convinzione che l'arte non segua schemi tecnologici e che l'incontro con artisti che hanno il coraggio di innovare sia una fertilizzazione necessaria per innovarsi. Per l'occasione, a partire dalle 18.30 e a seguito della visione è possibile ammirare le sculture monumentali più significative dell'artista proiettate sulle pareti in modalità immersiva.

La sinossi del film racconta il percorso artistico di Maria Cristina Carlini dagli studi umanistici, alla svolta verso il mondo della scultura, mai più abbandonato. Vengono illustrate le tappe e le evoluzioni della sua arte, i materiali utilizzati, le sculture più rappresentative, quelle che hanno girato il mondo e quelle che si sono fermate in permanenza in sedi istituzionali o in luoghi di forte rilevanza artistico-culturale. Nel suo cammino emerge una maturazione sia come donna sia nell'approccio alla scultura guidata da una passione travolgente e unica, che tutt'ora l'accompagna e che si concretizza nel luogo a lei caro per eccellenza, il suo studio in via Savona a Milano.

L'avvincente e corale narrazione si articola con l'introduzione di Pino Farinotti e i preziosi interventi e racconti di personalità fra cui lo storico dell'arte Flaminio Gualdoni, la curatrice e docente Rossella Farinotti, Paola Albini della Fondazione Albini, Bruto Pomodoro dell'Archivio Giò Pomodoro, Giovanni De Santis della DNA produzioni, l'architetto Ivan Rizzi e di persone a lei vicine come il figlio Pietro Guidobono Cavalchini e la compagna di studi Carla Anghileri. Parole, immagini e musica trovano il loro perfetto equilibrio nel film della durata di 60 minuti, dove emerge con forza la necessità dell'artista di emozionare, di suscitare nelle persone una sensazione, un moto dell'animo.

Racconta Pino Farinotti "L'idea del titolo Il coraggio della grandezza nasce dalla visione dell'opera Croce, in acciaio corten, cui si avvinghia un legno d'ulivo contorto che può alludere a una persona, a un serpente, a un simbolo. Il significato di una croce l'ho ritenuto importante e così ho chiesto alla Carlini se fosse credente. Mi ha risposto con un monosillabo: no. Ho voluto sapere di più... ma non hai neppure una parte di dubbio? Al momento no. Eppure le ho detto in quell'opera è presente, forte, il trascendente. Certo mi ha risposto, ma non è detto che al trascendente occorra una divinità".

Un concetto che esprime una forte spiritualità e libertà di fondo della sua arte, della sua cultura e del suo pensiero. Il confronto con la grandezza, con la materia, con l'idea di un'opera è una ricerca costante per Maria Cristina Carlini che quotidianamente e consapevolmente affronta questa sfida con coraggio.

La scultrice Maria Cristina Carlini inizia il suo percorso artistico con la lavorazione della ceramica nei primi anni Settanta a Palo Alto in California, per poi esprimersi con l'utilizzo di diversi materiali quali il grès, il ferro, l'acciaio corten e legno di recupero. Realizza sculture monumentali, dalle quali si sente maggiormente rappresentata, e opere di medie e piccole dimensioni. Espone in numerose mostre personali e collettive in diverse sedi pubbliche e private nazionali e internazionali, ottenendo premi e onorificenze. Alcune sculture monumentali sono collocate in permanenza in Europa, America e Asia. Numerose pubblicazioni hanno punteggiato l'attività artistica della scultrice. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)




"La Bocca dell'Anima", regia di Giuseppe Carleo
Il film uscirà nelle sale italiane e negli USA


Il film "La Bocca dell'Anima", esordio al lungometraggio di finzione del regista palermitano Giuseppe Carleo, prodotto da Favorita Film in associazione con El Deseo, con il contributo del MiC - DG Cinema e Audiovisivo e della Regione Siciliana - Sicilia Film Commission è stato presentato in anteprima mondiale al 70° Taormina Film Festival il 18 Luglio presso il Palazzo dei Congressi di Taormina.

L'anteprima mondiale verrà seguita dall'uscita in sala prevista per il 26 Settembre prossimo dal distributore Artex Film, che è anche il distributore internazionale dell'opera, già presentata all'American Film Market di Santa Monica (California, USA) lo scorso Novembre dove si è garantita una prima vendita internazionale grazie ad un accordo firmato da Artex con la nordamericana Capital Motion Pictures che distribuirà il film negli Stati Uniti, in Canada e negli UK con il titolo internazionale The Healer.

Ispirato ad una storia vera e ambientato nella Sicilia rurale del Secondo Dopoguerra, "La Bocca dell'Anima" racconta l'oscuro trauma che cova nell'anima di Giovanni Velasques. Tornato nel suo paese natale, un piccolo villaggio arroccato fra le aspre montagne di una inusuale Sicilia innevata, Giovanni incontra una vecchia maara che, per liberarlo da quel dolore, lo inizia all'arte della magia. Il film, dal piglio antropologico, scava nella memoria siciliana, esaltando il linguaggio della magia popolare e raccontando per la prima volta il percorso attraverso cui un uomo diventa mago...

Il film è stato voluto fortemente dal Direttore Artistico del TFF Marco Müller, in accordo con il comitato selezionatore, che ha dichiarato in occasione della conferenza stampa di presentazione del Festival "chi di voi si ricorda il lavoro straordinario dell'antropologa siciliana Elsa Guggino, non potrà non amare "La Bocca dell'Anima" il film di Giuseppe Carleo che prova a scavare in quella parte della memoria siciliana". Sono proprio i testi dell'antropologa Elsa Guggino, La magia in Sicilia e Il corpo è fatto di sillabe, che fanno da spunto alle indagini del regista e sceneggiatore Giuseppe Carleo e del co-sceneggiatore Carlo Cannella che con l'antropologa hanno dialogato nel percorso di costruzione del film.

Con un cast siciliano di eccellenza, il film vede come protagonista accanto all'attore italo-iraniano Maziar Firouzi (Giovanni Velasques), Marilù Pipitone nel ruolo della moglie, Serena Barone ("Le Sorelle Macaluso", "Baarìa") che interpreta la maga, Maurizio Bologna ("Màkari", "Il commissario Montalbano") nel ruolo del prete antagonista del mago, e altri volti noti al teatro siciliano e volti nuovi al grande schermo, abilmente esaltati dal regista. Il film ha visto inoltre coinvolte maestranze locali ed ex allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia dove Giuseppe Carleo ha studiato recitazione prima e regia del documentario dopo, tra cui il direttore della fotografia Leone Orfeo, la scenografa Laura Inglese, il montatore Riccardo Cannella, il fonico di presa diretta Andrea Sileo, la sound designer Silvia Orengo, il fonico di mix Carlo Purpura e il produttore delegato Elio Cecchin.

Il film è stato prodotto da Tancredi Vinci, Rita Vinci e Giuseppe Carleo per Favorita Film in associazione con El Deseo, con il contributo del Ministero della Cultura - Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e della Regione Siciliana - Sicilia Film Commission, realizzato nell'ambito del Patto per lo Sviluppo della Regione Siciliana (Patto per il Sud) FSC 2014-2020. (Estratto da comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Panorama di Salina da una terrazza sul mare SalinaDocFest 2024
18a edizione, 12-15 settembre 2024
Isola di Salina (Sicilia)
www.salinadocfest.it

Un festival in continuo movimento, che si appresta a diventare maggiorenne, dal 12 al 15 settembre 2024, con una anteprima l'11 settembre. La Libertà e Come essere liberi? I temi portanti della diciottesima edizione, anche nello spettacolo di Giovanni Calcagno, Il Polifemo innamorato. La proiezione in anteprima regionale e premiazione di Kripton, di Francesco Munzi. La trasformazione dell'Associazione in Fondazione. La partecipazione agli Stati generali del Cinema a Siracusa, il 14 aprile.

Anche il SalinaDocFest parteciperà agli Stati generali del Cinema, in corso, con appuntamenti istituzionali e formativi, al Castello di Maniace di Siracusa. La fondatrice e direttrice artistica del Salina Doc Fest, Giovanna Taviani, interverrà - domani, domenica 14 aprile alle ore 11:30 al panel "Sic(ilia) et simpliciter", per discutere dell'isola che c'è, e si vede: i festival cinematografici in Sicilia, tra immaginario territoriale e sostenibilità ambientale, ma anche di un sistema festivaliero siciliano eco-sostenibile. I principali direttori di festival siciliani rifletteranno su identità isolana e apertura al mondo. Il SalinaDocFest ha iniziato nel 2024 le operazioni necessarie alla trasformazione dell'Associazione in Fondazione, per dare una struttura giuridica permanente e duratura nel tempo a un Festival ormai diventato un punto di riferimento internazionale per chi crede nel cinema del reale e in un turismo culturale destagionalizzato. Una Fondazione di cinema per il cinema.

La fondatrice e direttrice artistica del Festival, Giovanna Taviani, dopo 17 anni di Presidenza dell'Associazione, in sintonia con gli altri componenti del Direttivo espressione del territorio eoliano, ha individuato nella figura di Giulia Giuffre, Group Marketing Director e Sustainability Ambassador del Gruppo Irritec - main eco partner del festival, azienda siciliana leader negli impianti di irrigazione a goccia - la nuova Presidente del Salinadocfest che in questo modo si fa sempre più green e mirata alla salvaguardia del mondo ambientale. E' stata quindi proposta la presidenza a Giulia Giuffrè, che ha accettato, con vice presidente Gaetano Calà (esperto in politiche migratorie).

Libertà è il tema che porta il SalinaDocFest alla sua maggiore età: 18 anni di cinema sull'isola di Salina. "Ci sembra questo il modo migliore di festeggiare - sottolinea Giovanna Taviani - un festival attento ai film di registe e registi e alle opere di autrici e autori che indagano la nostra realtà con spirito critico e voglia di condivisione. Donne e Libertà, Libertà della scuola, Ambiente e Libertà: sono queste le tre assi attorno a cui ruoterà il Concorso internazionale di documentari e la selezione dei film in programma nel cartellone del Festival, accompagnati dagli autori che rifletteranno insieme a noi sul tema della libertà nelle sue diverse declinazioni: libertà di scelta, di pensiero, di credo, di abolizione di confini fisici e mentali. Come essere liberi? È la domanda che ci facciamo insieme ai protagonisti dei film che presenteremo come eventi speciali en plein air al pubblico di Salina".

Il SalinaDocFest si focalizza anche sul mondo giovanile e della scuola, con il Focus The Best Of "Giovani", rassegna di documentari dedicati al disagio psichico di chi vive oggi la difficile età dell'adolescenza. In post pandemia si è rilevato un aumento del 30% dei casi psichiatrici fra gli adolescenti: la malattia mentale è il loro modo estremo di reagire liberamente a una società escludente e ostile. Lo sa bene Dimitri, uno dei protagonisti del film Kripton, di Francesco Munzi, il "ragazzo dai pensieri veloci" in cura in una struttura psichiatrica per adolescenti, nella periferia romana. Il film sarà proiettato al SalinaDocFest nella sera di anteprima del festival, "Aspettando SDF", l'11 settembre, in anteprima siciliana in piazza a Rinella (Piazzetta Anna Magnani, set del film Vulcano) e al regista verrà assegnato il Premio Speciale SDF. Una Giuria d'eccezione per il SalinaDocFest 2024 che vede, tra gli altri, la regista iraniana Firouzeh Khosrovani, da anni vicino al festival e lo scorso anno vincitrice del Premio Irritec.

Durante la stessa serata, a Punta Megna, lo spettacolo Il ciclope Innamorato, cunto musicato di e con Giovanni Calcagno, già interprete de Il Polifemo innamorato e del doc Cuntami di Giovanna Taviani, Nastro d'Argento al Miglior Docufilm. Il concetto dell'essere liberi di amare, in contatto con il tema del festival, nella storia del ciclope dell'Etna innamorato di Galatea. Uno spettacolo ispirato dalle liriche di due poeti classici di cultura greca e latina che si sono occupati per diverse ragioni dell'impossibile amore di Polifemo e Galatea. Una riflessione sulle conseguenze dell'amore, così diverse e antitetiche.

Il SalinaDocFest è realizzato nell'ambito del Patto per lo Sviluppo della Regione Siciliana (Patto per il Sud) FSC 2014-2020 Regione Sicilia, Sicilia Film Commission, MIC, Agenzia per la coesione territoriale, Sensi Contemporanei. Con il sostegno di MIC e SIAE - Società Italiana degli Autori ed Editori. Con il patrocinio di Comune di Santa Marina Salina, Comune di Malfa e Comune di Leni. Con il sostegno del Comune di Messina e della Provincia di Messina. Main Partner: Irritec s.r.l. (main Eco partner), Omi-Fer s.r.l. Special Technical Partner: Media Fenix Group e Salina Isola Verde. Comitato Scientifico: Francesco D'Ayala, Agostino Ferrente, Fabio Ferzetti, Enrico Magrelli, Emiliano Morreale, Anna Maria Pasetti, Silvia Scola, Lidia Tilotta.

Comitato d'Onore: Cristina Comencini, Romano Luperini, Giorgio e Mario Palumbo, Bruno Torri. Tra i sostenitori del festival, la direzione artistica ricorda con affetto Andrea Purgatori: Presidente del Consiglio di Sorveglianza SIAE e membro del comitato scientifico del SalinaDocFest, era stato più volte a Salina, protagonista di tanti dibattiti, entrato nell'anima dell'isola e dei salinari. (Comunicato ufficio stampa Reggi&Spizzichino Communication)




Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


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Ad Atene gli autori europei a confronto sui temi della Déclaration des Cinéastes

Si è tenuto ad Atene nei giorni scorsi il quarto incontro Déclaration des cinéastes. Organizzato dagli autori greci e ciprioti con l'obiettivo di diffondere il manifesto a tutela dei diritti morali ed economici dei registi, degli sceneggiatori e degli autori delle musiche per i film, già presentato ai Festival di Cannes, Venezia e San Sebastian. La gremita sala del Serafio che ha visto la partecipazione attenta di centinaia di cretivi greci dell'audiovisivo ha accolto calorosamente l'intervento in video conferenza da Parigi di Costa Gavras che ha ribadito con forza la necessità di salvaguardare i diritti morali dell'opera e la giusta remunerazione.

Sono seguiti gli interventi in presenza di Radu Mihaileanu (ARP), Marine Francen (SRF), Francesco Ranieri Martinotti (ANAC), Athena Xenidou (DGCY) e Gavriil Tzafkas (Autors Guild Danimarca). Tra i temi trattati centrale è stata la recente approvazione a Bruxelles dell' AI Act ritenuto un buon punto di partenza per la regolamentazione dell'intelligenza artificiale nel settore audiovisivo. A margine dell'iniziativa si è svolto anche un incontro con il Ministro greco della Cultura Christos Dimas, che ha condiviso i principi contenuti nella Déclaration des Cinéastes e ha dichiarato che sulle questioni dell' AI il governo greco s'impegnerà a Bruxelles a difendere i diritti degli autori e la loro creatività.

Per l'Italia hanno aderito all'incontro di Atene: ANAC, 100 AUTORI e WGI.

Per la Grecia e Cipro: AFO (Athens Film Office), National Centre of Audiovisual Media and Communication, GFC (Greek Film Centre), Directors Guild of Cyprus, WIFT GR (Women in Film & Television Greece), CIPA (Film in Cyprus). Per la Francia: SRF (The Society of Film Directors) ARP (Civil Society of Authors, Directors and Producers, France). Per la Spagna: ACCION (Film Directors Association), oltre a FERA (Federation of European Screen Directors). (Comunicato reggi&spizzichino)

- Déclaration des cinéastes
www.la-srf.fr/article/lire-et-signer-la-d%C3%A9claration-des-cin%C3%A9astes




FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Fermoimmagine dal film La scuola allievi Fiat Tutti in classe!
www.youtube.com/playlist?list=PL15B-32H5GlJRTfrCCc-ZlSRBJ0DRvP1K

Rassegna online di materiali d'archivio organizzata dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea che è parte della Cineteca Nazionale. La playlist Tutti in classe, disponibile sul canale Youtube CinemaimpresaTV, racconta la scuola grazie ai tanti punti di vista offerti dai film conservati a Ivrea: dalle rigide scuole per allievi Fiat degli anni Sessanta, ai comunicati pubblicitari che invitano a l'acquisto di prodotti scolastici a prezzi popolari o di raffinate macchine da scrivere Olivetti.

"Tutti in classe" termina con La scoperta della logica, diretto da Franco Taviani per Olivetti, il film descrive un esperimento didattico volto a insegnare agli alunni delle classi elementari la matematica con il sussidio del gioco e dell'osservazione del mondo reale, per arrivare a comprendere quali sono le tappe che portano i bambini alla scoperta della logica. Insomma, uno sguardo sulla scuola dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta per ricordare il periodo della vita di ognuno in cui l'ansia per un compito in classe era il problema più grande che potevi avere. (Estratto da comunicato ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia)

___ Programma

- Seconda D (Basilio Franchina, 1951, 12')
- Giorno di scuola (Giorgio Ferroni, 1954, 10')
- La scuola allievi Fiat Giovanni Agnelli (Stefano Canzio, 1962, 14')
- Olivetti, Lettera 32 (Aristide Bosio, 1965, 1')
- Mi ricordo... I primi giorni di scuola (ca. 1965/1972, 1')
- Vieni alla Standa e guarda il prezzo (ca. 1970-1979, 1')
- La scuola comincia alla Standa (1977, 2')
- La scoperta della logica (Franco Taviani, 1970, 13')




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri


Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Locandina della presentazione del libro Croce e il fascismo Croce e il fascismo
di Mino Franzinelli, Laterza 2024

Il libro è stato presentato il 29 novembre 2024 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini (Firenze)
www.fondazionerossisalvemini.eu

Per vent'anni Benedetto Croce fu l'unica voce libera del nostro Paese. L'unico intellettuale a cui il regime fascista, per il suo prestigio e il suo carisma, concedeva una certa libertà di espressione. Da solo, attraverso i suoi libri, la sua rivista e le sue relazioni, riuscì a tenere accesa la fiamma della speranza in tanti giovani. Un racconto che ripropone l'eterna battaglia tra libertà e asservimento della cultura. Benedetto Croce non è stato soltanto uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento ma ha svolto una funzione fondamentale durante il Ventennio fascista, impedendo al regime di ottenere una egemonia assoluta sulla cultura del nostro Paese.

Con un taglio originale, questo libro, oltre a seguire l'atteggiamento di Croce dinanzi al fascismo - accolto con simpatia, poi combattuto con tenacia e inventiva -, ricostruisce non soltanto la biografia del filosofo nel ventennio più tormentato del Novecento, ma ricollega lo studioso liberale ai protagonisti della cultura italiana ed europea, da Thomas Mann a Stefan Zweig.

Con una ricca documentazione inedita, Franzinelli illustra l'offensiva degli squadristi e la 'macchina del fango' scatenata contro il filosofo dissidente. Emerge il ruolo di Croce nella formazione di giovani che - da Giorgio Amendola a Vittorio Foa, da Leone Ginzburg a Piero Gobetti - lo presero quale riferimento in momenti decisivi della loro esistenza. Una particolare attenzione è dedicata alla battaglia di Croce contro il razzismo: era nota la sua contrarietà alla persecuzione degli ebrei, ma ora emergono la continuità e la profondità del suo impegno, che non trova pari in nessun altro intellettuale italiano. (Comunicato stampa Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)

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Articoli di Ninni Radicini




Immagini libere
Lugano nelle foto di Alfio Tommasini


Il libro è stato presentato il 20 novembre 2024 all'ex Asilo Ciani di Lugano
www.biennaleimmagine.com

ll libro, curato dall'Ufficio comunicazione della Città di Lugano, raccoglie alcune delle fotografie di Alfio Tommasini che raccontano il progetto dell'elaborazione del Piano direttore della Città di Lugano. Queste immagini mostrano una città diversa, vista dallo sguardo sensibile e a tratti ironico del fotografo. (Comunicato Associazione Biennale dell'immagine)




Copertina del volume Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità pubblicato da Juliet Editrice ad ottobre 2024 con progetto grafico di Piero Scheriani Roberto Vidali a Lubiana in una foto di Elisabetta Bacci a maggio 2023 Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità
di Roberto Vidali, postfazione: Gabriele Perretta, pagg 206, Juliet Editrice, settembre 2024, extra issue Juliet n 219 / ottobre, pubblicazione con apparati iconografici, progetto grafico di Piero Scheriani
www.juliet-artmagazine.com

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della scrittura proteiforme che l'autore ha iniziato a praticare fin dal 1975, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità e all'esondazione immaginifica. Questo fascicolo si basa su collage di testi pubblicati nell'arco di tempo che va dal 1985 al 2023, tutti rielaborati e rivisitati, in modo da poter dare una veste organica e una cornice di riferimento ad argomenti e spunti che altrimenti sarebbero stati visti come dei frammenti privi di alcun fondamento di attualità. L'aspetto più curioso di questa pubblicazione è che raccoglie un insieme di cento testi dedicati ad altrettanti artisti e che all'epoca sono stati (in parte) pubblicati con i più diversi pseudonimi.

A ben vedere il risultato non è per nulla filologico, dal momento che asseconda quella modalità di approccio che vede la forza della parola in gara con la potenzialità espressiva di qualsiasi immagine e la sua perenne possibilità di essere rielaborata. La stessa scelta di ricomporre i singoli testi senza la separazione in capoversi e privandoli delle originarie note a piè di pagina rende la scrittura compressa e soffocata. Questa scelta non è stata dettata da un vuoto manierismo, quanto dalla semplice volontà di rappresentare la concatenazione delle frasi come una valanga irrefrenabile.

L'insieme di questa narrazione trae origine, in massima parte, da una selezione di articoli stampati, a partire dal 1985, sulle pagine della rivista "Juliet". Altri scritti, inseriti in questa silloge, sono stati divulgati sul sito juliet-artmagazine.com. Solo uno di questi è stato recuperato da un catalogo, un altro è stato pubblicato sul sito olimpiainscena.it e l'ultimo della sequenza, peraltro, è inedito. Infine, per continuare questo gioco di ombre, in questo cumulo di parole addensate ne sono state inserite alcune che non furono camuffate da uno pseudonimo, giusto per aprirsi all'idea che, forse, finanche la firma di Roberto Vidali, messa ad architrave di tutto questo progetto la si possa far apparire come un puro gioco della fantasia. A ben vedere la questione trova una porta aperta. Il resto, quello che rimane in disparte, è il silenzio.

Roberto Vidali (Capodistria, 1953), sotto il segno del Sagittario; dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012, "Tutto intorno a noi" del 2021 e "Tre bacche di rovo", datato 2022. Nel 2024 ha dedicato la cura di un catalogo al lavoro di Aldo Damioli. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Copertina dell'extra issue firmato da Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, ott 2024
2. Lubiana, Cukrarna, maggio 2023, Roberto Vidali in una foto di Elisabetta Bacci

___ Altre pubblicazioni Juliet editrice presentate nella newsletter Kritik

Aldo Damioli | "Venezia New York"
testo di Roberto Vidali, gennaio 2024
Presentazione

Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun
Presentazione

Poligoni platonici
di Carlo Fontana, gennaio 2023
Presentazione

"Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, dicembre 2022
Presentazione




"Trieste è un'isola"
Francesco De Filippo, ed. Castelvecchi, €17.50


Il libro è stato presentato il 13 giugno 2024
Ufficio di collegamento della Regione FVG - Bruxelles

Trieste, una città lacerata dai conflitti e dalle travagliate vicende del confine orientale nel Novecento, secondo il giornalista e scrittore Francesco De Filippo, è un'isola della mente, ovviamente non della geografia: un posto unico, che si riconosce in codici specifici, a partire dal dialetto, linguaggio usato universalmente da ogni strato sociale, e tradizioni che assumono quasi il ruolo di rituali civili, che servono per comunicare un'identità fortissima, uno scudo che si è formato dopo un lungo periodo segnato da un senso di continua minaccia di invasione.

Quest'isola inoltre "galleggia" sul non detto ma non rimosso, su vicende del passato che rimangono rilevanti ma non emergono quasi mai nel discorso pubblico. Sono alcune delle riflessioni che sono emerse nel corso della presentazione del volume all'Ufficio di collegamento della Regione Friuli Venezia Giulia a Bruxelles, in cui l'autore ha dialogato con Marianna Accerboni, curatrice della mostra "L'arte triestina al femminile nel '900", visitabile all'Istituto italiano di Cultura di Bruxelles e nell'ambito della quale si è svolta la presentazione della spy story di De Filippo.

Insomma, per tutte queste caratteristiche, una città, o meglio, un'isola da scoprire, svelare lentamente con l'oculatezza dedicata a un oggetto antico e prezioso. Un'isola bifronte: da un lato isceralmente attaccata al passato, dall'altro proiettata nel futuro con una imprenditoria illuminata e un numero altissimo di enti di ricerca scientifica, all'avanguardia.

"Ho scelto lo stile poliziesco perché mi ha permesso di accompagnare il lettore nella scoperta non solo della trama del libro ma anche della città stessa", ha specificato De Filippo. Trama che porta il lettore tra Trieste, Napoli - la città d'origine dello scrittore e del suo personaggio principale, Vincenzo Tagliente, di cui si leggono "le prime e involontarie indagini" - e gli Stati Uniti d'America. Ma tutto parte dal campo profughi di Padriciano, a pochi chilometri dal centro del capoluogo giuliano, dove migliaia di esuli istriano-dalmati sono transitati. Il libro racconta come la catena di violenze e ingiustizie operate dai regimi totalitari si sono ripercosse sulla gente comune.

Ma lo fa "mescolando al dramma il sorriso come nella migliore tradizione partenopea", come ha sottilmente ricordato Accerboni che, introducendo l'autore, ha sottolineato l'intreccio del pathos del racconto poliziesco alla tragicità di eventi storici epocali come l'esodo di 350.000 istriani e le foibe - che segnarono la città nel difficile periodo del dopoguerra. Più altri "momenti di divertissement d'ispirazione quasi teatrale com'è nella cultura partenopea, cui l'autore appartiene". All'incontro erano presenti intellettuali e artisti italiani, belgi e francesi e anche Enrico Tibuzzi, responsabile della sede del Belgio dell'Agenzia Ansa, e Italo Rubino, vicepresidente del Circolo di Bruxelles dell'Associazione Giuliani nel Mondo.

Francesco de Filippo (Napoli, 1960), è stato inviato all'estero per Il Sole 24 Ore ed è responsabile dell'Agenzia Ansa per il Friuli Venezia. È autore di oltre venti libri, tra romanzi, saggi e varia, diversi dei quali tradotti in Francia, Germania e Repubblica Ceca. Il romanzo d'esordio, Una storia anche d'amore (Rizzoli, 2001), ha vinto il premio Cypraea, è entrato in cinquina per il Premio Berto ed è stato finalista al Premio Arezzo. Il successivo, L'affondatore di gommoni (Mondadori, 2004), è stato pubblicato nella Repubblica Ceca e in Francia, dove è stato selezionato per il Supercampiello Europa e per il prestigioso premio Polar. Nel 2001 ha vinto il Premio Paris Noir con il romanzo L'Offense (Métailié). Numerosi suoi racconti sonostati pubblicati su quotidiani e periodici (la Repubblica, Carta, Il manifesto) e compaiono in varie antologie. Fra le sue ultime opere Filosofia per i prossimi umani (con Maria Frega - Giunti, 2020), e per Castelvecchi La nuova via della seta (2019), No vax: il grande sogno negato (2022) e i romanzi Le visioni di Johanna (2019), Prima sterminammo gli uccelli... (2020).

Il progetto espositivo è promosso e sostenuto da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Associazione Foemina APS di Trieste e realizzato in coproduzione con Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, con il patrocinio del Comune di Trieste,  media partner  Il Piccolo, quotidiano di Trieste, e con l'organizzazione di Associazione Giuliani nel Mondo e Circolo AGM di Bruxelles, Ente Friuli nel Mondo e Fogolâr Furlan di Bruxelles e il contributo di Fondazione CRTrieste, Ciaccio Arte - Big Broker Insurance Group (Milano), Francesco Katalan casa di spedizioni S.r.l. (Muggia, Trieste), Azienda Agricola Zidarich (Trieste), Rotary Club Trieste Alto Adriatico, Biesse Forniture elettriche Studio Luce, Videoest Trieste, Grafica Goriziana. (Ufficio stampa per l'Italia Studio Pierrepi - Alessandra Canella)




Copertina del libro Valeria D'Obici Dizionario di una attrice Valeria D'Obici
Dizionario di un'attrice "sui generis"

di Francesco Foschini con Stefano Careddu, Falsopiano 2023

Il volume è stato presentato il 9 maggio 2024 a Nonostante Marras (Milano)
www.antoniomarras.com

A presentare il libro dialogano con Francesco Foschini, autore del volume, Rocco Moccagatta, docente IULM e critico, e la protagonista Valeria D'Obici.

Scheda libro: "Se quel giorno del 1966 fossi andata all'appuntamento con Lucio Battisti, che voleva formare un gruppo musicale tutto al femminile, alle ore 17.30 all'ex Trianon di Milano, forse avrei fatto la cantante e non l'attrice... ma questo non lo saprò mai, perché gli diedi buca". "A un certo punto della mia vita ho deciso di diventare attrice, non che prima di quel momento non ci avessi mai pensato: da bambina mi piaceva prendere parte alle recite scolastiche, poi scrivevo e interpretavo delle scenette umoristiche, inventavo spettacolini con le mie compagne di classe... Ma la cosa fondamentale era poter esprimere le emozioni che avevo dentro. Quindi, se avessi suonato bene uno strumento musicale, tipo il pianoforte, non so se avrei fatto l'attrice, perché mi sarei sfogata suonando".

Con una prefazione di Rocco Moccagatta. Francesco Foschini è critico cinematografico e programmatore. Ha preso parte a progetti redazionali promossi da Milano Film Network e da La Biennale di Venezia. Collabora, e ha collaborato, con "Alias/il manifesto", "duels.it", "Film Tv", "Taxidrivers", "Sentieri selvaggi", Festival MIX Milano. Stefano Careddu è videomaker, montatore e organizzatore di eventi. Collabora con alcune riviste online di informazione cinematografica e, dal 2017, dirige l'Alessandria Film Festival e altre rassegne cinematografiche nel Monferrato. (Comunicato stampa ufficio stampa Maria Bonmassar)




Dipinto in acrilico su tela di cm 80x100 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022 Copertina della pubblicazione Venezia New York Dipinto in acrilico su tela di cm 60x60 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022, un surfista nel mare davanti alla metropoli statunitense Aldo Damioli
"Venezia New York"

testo di Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, gen 2024, 72 pp, 150 x 210 mm

www.juliet-artmagazine.com

Juliet Editrice ha concluso la realizzazione di una pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, l'autore conosciuto a livello internazionale per il ciclo pittorico "Venezia New York" e che a Trieste, ancora più di vent'anni fa, era stato proposto dallo Studio Arte 3, in primo luogo da Mariagrazia Avidano Bonzano e in seguito dal figlio Paolo Bonzano. Il testo che accompagna la pubblicazione è firmato da Roberto Vidali, direttore editoriale della rivista Juliet. Il progetto grafico è di Piero Scheriani.

Il testo di Roberto Vidali, intitolato "Paesaggi elettivi", è incentrato sul ruolo che questo autore ha avuto nella pittura del nuovo millennio e sui rapporti che il suo processo ha con la storia dell'arte. In particolare il testo si sofferma sulle possibili (e insolite) connessioni con la pittura di Botticelli, Canaletto e Guardi. Un lavoro di meticolosa esecuzione, giocato sul dettaglio e sulla forma, sulla prospettiva e sul capriccio, da intendersi come spunti capaci di fornire il pretesto all'invenzione e all'evasione. Il ciò vale a dire che queste opere non parlano di puro realismo, ma di fantasia, di invenzione, di pretesti per dimostrare come la pittura possa essere falsificazione, narrazione fantasiosa, montaggio di parti incongrue e che per essere moderna deve essere anche concettuale.

E la pittura di Damioli è concettuale proprio perché nel titolo evoca (o indica) qualcosa che non c'è o che non viene rappresentato: per esempio nelle sue tele la città di Venezia (pur indicata nel titolo) è solo evocata per confronto con la città di New York o con altra città (sia questa Parigi o Pechino) giusto per dare l'impressione che se di tanto si può parlare, tutto non può (o non deve) essere mostrato. Questa poetica pittorica va contro la durezza ideologica e materica propugnata da Joseph Beuys o in avversione a quei postulati delle neoavanguardie che hanno condotto alla disseminazione del linguaggio oltre che alla sottrazione della centralità dell'esperienza estetica. E questo perché se Damioli, riguardo alla sua pittura cerca un confronto o deve pensare a un autore dei nostri giorni non pensa a Cattelan, ma a Sean Landers, non pensa a Damien Hirst, ma a John Currin.

Damioli, che ha esordito ancora negli anni Novanta con la Galleria di Guido Carbone a Torino, ha poi intessuto per anni rapporti di collaborazione con la mitica Galleria del Milione di Milano e con Santo Ficara di Firenze, il tutto giocando di sponda e in rapporto di collaborazione con critici come Edoardo Di Mauro, Elena Pontiggia e Luca Beatrice. Ricordiamo, infine, che il lavoro di Aldo Damioli, incentrato sul ciclo "Venezia New York", fu presentato anche in una mostra che si tenne nel foyer del Teatro Verdi di Trieste, ancora nel 2012. (Comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 80x100
2. Copertina della pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, Juliet Editrice, gen 2024
3. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 60x60




Locandina della presentazione del libro Cannoli Siciliani scritto da Roberta Corradin Cannoli Siciliani
Mare, amore e altre cose buone
di Roberta Corradin, Giunti editore, p. 320, euro 18,00


Il libro è stato presentato il 10 novembre 2023 presso Lo Spazio Pistoia - Libreria Bacaro

Mare, sole, amore: la Sicilia d'estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l'isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po' arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent'anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto.

Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un'opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d'amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.

Classe 1964, Roberta Corradin ha scritto Ho fatto un pan pepato... Ricette di cucina emotiva (Zelig 1995), Un attimo, sono nuda (Piemme 1999), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi 2008), La repubblica del maiale (Chiarelettere 2013), Piovono mandorle (Piemme 2019). Traduce dal francese e dall'inglese le fortunate serie di Katherine Pancol e Richard Osman. Ha avuto il privilegio di vivere in luoghi affascinanti, tra cui Parigi, New York, Cambridge, la Sicilia sudorientale, dove ambienta i suoi libri. Su Instagram @rocorradin per conoscere i suoi nuovi progetti in Sicilia e per visitare e soggiornare con lei nelle location del libro. (Comunicato stampa)




Gaetano Rapisardi. Architetto 1893-1988
a cura di Clementina Barucci e Marco Falsetti, Campisano Editore, Roma 2022

* Il libro è stato presentato il 16 ottobre 2023 all'Accademia Nazionale di San Luca - Roma
www.accademiasanluca.it

Il volume si propone di far luce sull'opera del progettista siciliano ricostruendone un profilo quanto più possibile esaustivo, al fine di colmare una pagina rimasta troppo a lungo incompleta. Noto soprattutto per gli edifici della Sapienza - le Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza - e per il grande complesso della piazza e della basilica del Don Bosco al Tuscolano degli anni Cinquanta, Gaetano Rapisardi è ricordato nella storiografia perlopiù come fidato collaboratore di Marcello Piacentini.

Tale inquadramento, a nostro avviso riduttivo, dimentica (e talvolta omette) la complessità dell'opera rapisardiana nonché l'interessante sfida tipologica che ha visto l'architetto confrontarsi con una eccezionale varietà di temi, specialmente nel periodo del dopoguerra quando Rapisardi, insieme al fratello Ernesto (spesso coautore delle opere), interrompe la collaborazione con il Maestro (mantenendo comunque rapporti molto cordiali). Si è cercato di restituire, attraverso questo studio, tutto il complesso del suo lavoro, che annovera oltre 150 opere conosciute ad oggi, alcune delle quali solo mediante riferimenti contenuti in carteggi o documenti d'archivio.

I progetti e le realizzazioni di Rapisardi interessano un arco temporale molto ampio, che va dall'inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta, e che copre dunque oltre un cinquantennio di attività professionale. A fronte di una instancabile opera di disegno, di progettazione e di cantiere non si registra, sfortunatamente, un'altrettanta intensa produzione teorica (se si eccettua qualche relazione di progetto) alla qual cosa si deve l'equivoca interpretazione della sua opera.

Rapisardi fu infatti, per quanto ci è dato di sapere dalle rare testimonianze dirette raccolte, dedito soprattutto all'attività progettuale e di disegno, assorbito al punto dal non trovare il tempo di sistematizzare questa sua opera all'interno di un corpus teorico, il che non implica naturalmente che tali realizzazioni mancassero di "spessore critico", come è stato talvolta ingiustamente sotteso. Il volume è pubblicato con il supporto del Dipartimento di Storia disegno e restauro dell'architettura dell'Università di Roma "Sapienza". (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Piero Gobetti L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023


Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli
www.fondazionerossisalvemini.eu

Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

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David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

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- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





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