Filippo Marignoli: Vertigo
Catalogo a cura di Enrico Mascelloni, ed. SilvanaEditoriale, pagg.127 + CD
Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese - Roma (16 settembre - 21 novembre 2010)
www.silvanaeditoriale.it - Ufficio Stampa Scarlett Matassi
Filippo Marignoli (Perugia 1926 - Seattle 1995) fu, per educazione e per vocazione, il più cosmopolita tra gli artisti italiani attivi nel dopoguerra, un artista fuori dagli schemi tanto nel linguaggio che nella carriera. L'origine aristocratica, il matrimonio con una celebrata bellezza degli anni '50, la principessa Kapiolani Kawananakoa delle Isole Hawaii, lo introdussero a esperienze internazionali negate alla maggior parte dei suoi coetanei italiani, consentendogli di soddisfare la sua naturale irrequietezza in un nomadismo artistico speso tra Roma, New York, Honolulu e Parigi. I suoi primi lavori, all'insegna di una pittura di materia e di gesto, si collocano alla fine degli anni '50. Si tratta di tele per lo più di grande formato che lo fecero reputare uno dei migliori interpreti della nuova arte italiana.
Tuttavia, proprio al grande successo iniziale si deve un pregiudizio critico che, in Italia, circoscrive il ricordo del pittore umbro alla sola stagione dell'Informale. In realtà le opere successive sono particolarmente originali e, nella sorprendente fase conclusiva della sua ricerca, Marignoli riesce in una impresa ambita da ogni artista moderno: inventare qualcosa di assolutamente nuovo.Trasferitosi a Parigi nel 1974, inizia da subito una fervida collaborazione con una delle più importanti galleriste europee del dopoguerra, la leggendaria Denise Renè. I dipinti del periodo francese sono orizzonti talmente verticalizzati da richiedere il ricorso a inconsueti formati molto lunghi e stretti. La critica più aggiornata ne parla come dei primi paesaggi radicalmente verticali della pittura contemporanea, in un unicum di originalità, la rappresentazione in pittura della sensazione della vertigine.
«Vertigo è l'atto pittorico che trasforma lo spazio in un abisso; che costringe lo sguardo a misurarsi con la verticalità assoluta. E' lo sguardo a inabissarsi, perché l'opera, come ogni opera pittorica resta immobile. Filippo Marignoli, nei suoi ultimi lavori, che si protraggono per quindici anni, riesce in una impresa ambita da ogni artista "moderno": inventare qualcosa mai vista prima. E come ogni artista degno di tal nome lo fa senza averlo programmato, recuperando gli stimoli del suo noviziato "informel" da Sargantini, le suggestioni dei suoi anni americani, le spigolosità analitiche che passavano attraverso le mostre della sua galleria parigina (Denise Renè). Filippo Marignoli si sposta, viaggia e costruisce isole di linguaggio abbastanza compatte.
Questa mostra romana al Museo Carlo Biliotti si dispone su quattro "isole": gli anni tra Roma e Spoleto all'insegna di una pittura di materia e di gesto; New York e Honolulu in cui fa i conti con la nuova arte americana; ancora Roma con una ricerca sul paesaggio appartata e lirica; infine Parigi dove crea i "Paesaggi verticali", che in qualche caso diventano non meno abissali "Paesaggi orizzontali". A nessuno sfuggiranno le coerenze di fondo che si trasportano in ogni isola come bagaglio ricorrente: soprattutto il Paesaggio non come genere ma come nodo ossessivo intorno al quale si snoda ogni linguaggio: il "far grande", quasi un recupero della monumentalità pittorica italiana, che lo pone in sintonia con le superfici altrettanto estese dell'arte americana e che darà un carattere di spazio abissale anche ai "Paesaggi verticali" di dimensioni più ridotte. La vertigine ha a che fare con l'amore non meno che con l'arte: è lo sguardo che s'inabissa insieme al corpo, nello sguardo e nel corpo amato. Non a caso Hitchcock chiamò il film che ha avuto un ruolo nel titolo di questa mostra La donna che visse due volte.»
(Estratto da Vertigo, di Enrico Mascelloni)
«La felicità di Marignoli sta nel fatto che il suo lavoro, nonostante un'apparenza edonistica, non è reazionario in alcuni dei suoi aspetti. Il salto creativo nel buio è sempre dietro l'angolo. L'avanzare del mondo di Beckett è possibile persino sotto cieli sereni, e tuttavia Marignoli trova delle aperture nel drammatico balzo di quelle linee verticali che negli anni Settanta definiscono il suo lavoro. Ognuna è un salto emotivo, a volte più definito di altre. La bellezza delle superfici di Marignoli ha a che fare con l'individualità delle scelte cromatiche e con un sentimento di celebrazione. A partire dalla superficie e prima del salto c'è quel margine che ci conduce a Richard Serra , a Robert Morris e a Carl Andre.» (Estratto da Su Filippo Marignoli, un mondo nuovo, di David Gothard)
«Scorrendo la vita di Filippo Marignoli emerge l'impressione di un uomo che ebbe la capacità di lasciarsi condurre dalla Coincidenza e che riuscì a trasformarla, nel tempo in una sorta di esemplare percorso artistico; a programmarlo non ci si riuscirebbe.» (Luca Bradamante)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Copertina del catalogo della mostra Vertigo di Filippo Marignoli
2. Filippo Marignoli, Ecran, acrilico su tela cm.135x165, Parigi 1980
3. Filippo Marignoli, (dipinto senza titolo), olio su tela cm.53x60, 1949
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