Idoli di carta
di Giusva Branca
ed. Laruffa, pagg.106, 2006
Recensione di Ninni Radicini
Questo è un libro di uomini e di calcio. Undici ritratti di calciatori lavoratori, artigiani, sognatori e di un grande allenatore, che, differenti per generazione, ruolo, origine, hanno condiviso un tratto di storia della Reggina. Ogni capitolo è una rievocazione individuale di momenti rimasti nella propria memoria, oltre che in quella della squadra, adesso che hanno smesso di giocare, più o meno da tempo, tra i professionisti. Forse a qualcuno i loro nomi diranno poco. A Reggio Calabria invece li ricordano tutti, perché protagonisti di alcune importanti stagioni calcistiche, anche quando non concluse con il raggiungimento del traguardo atteso. Per un calciatore, essere amato dal pubblico è la più grande gratificazione che possa ottenere e loro hanno avuto l'opportunità di provare questa sensazione. Non è quindi casuale che, a distanza di anni, ricordino l'eccezionalità di quella esperienza calcistica e, ancora di più, della loro vita quotidiana a Reggio Calabria.
Si comincia dal portiere, da Piero Persico, il cui nome è legato alla partita con il Modena giocata nel 1966, risultata decisiva, purtroppo in senso negativo. La Reggina sembrava attraversare una congiuntura favorevole. Allenata da Tommaso Maestrelli, l'anno prima era stata promossa in B e ora si trovava in corsa per la serie A. Quella non era l'ultima partita del campionato, ma si giocava in casa ed era da vincere o quantomeno da non perdere. Invece accadde una disavventura durante un'azione di gioco che si concluse con un gol decisivo degli avversari. Una disavventura la cui dinamica desta ancora sorpresa, al punto da considerarla non replicabile. Di origine bergamasca, Persico rimase a Reggio fino a fine carriera, e proseguì poi come allenatore dei portieri (tra cui Zenga e Tacconi). In particolare fu sulla panchina degli amaranto nel 1970, anno cruciale nella storia della città.
Nella squadra che giocò contro il Modena c'era anche Roberto Rigotto. Ala destra classica, di origine veneta, ricorda il doppio impatto che visse prima accettando il trasferimento a Reggio poi constatando l'affetto del pubblico. Ricorda molto bene anche una partita del gennaio '66 contro il Novara: segnò una tripletta, tra cui un gol di testa dalle modalità quantomeno eccentriche. Stopper di quell'undici reggino era Luciano Gallusi, mantovano ma fermatosi in città anche dopo aver concluso la carriera. In un'amichevole contro la Juventus di Sivori marcò il gigante gallese Charles (che non segnò).
La partita contro gli emiliani non fu l'unica occasione in cui la Reggina dovette fermarsi a un passo dal traguardo ambito. Avvenne anche nel giugno 1989 nello spareggio contro la Cremonese valido per il passaggio in A. Si concluse ai rigori e quando una finale si conclude così è sempre un dramma per chi perde. Tra i rigoristi reggini c'era Giuseppe Bagnato, terzino destro, che fino ad allora aveva evitato di recarsi sul dischetto degli undici metri dopo averne sbagliato uno alcuni anni prima.
Come lui, è reggino anche Antonio Bumbaca, in squadra dal 1953 al '63. Quando iniziò a pensare di fare il calciatore si era nel periodo drammatico del Secondo dopoguerra. In campo era un jolly, ovvero in grado di giocare in tutti i ruoli. Un po' come chi pratica il decathlon nell'atletica leggera. Nel calcio di oggi questa capacità tecnica è stata rimossa dalla iperspecializzazione, eppure in almeno una occasione Bumbaca - che fu nella squadra promossa in C nel '56 - ricorda come si dimostrò decisiva.
Tra gli undici del libro, ve ne sono due che hanno segnato la storia calcistica della Reggina negli anni '70. Pierantonio Bortot, veneto, era entrato nelle giovanili del Torino all'inizio degli anni '70. Di lì a poco, i granata di Pulici, Graziani e Sala, allenati da Radice, avrebbero vinto lo scudetto. Quell'anno però lui era a Cremona, da cui passò al Catania e un paio di stagioni dopo alla Reggina. Rimane nella memoria il suo gol decisivo nella partita del dicembre 1979 contro il Siracusa, giocata sotto un uragano nei minuti conclusivi, e l'incontro con Franco Scoglio, che incise positivamente sulla sua carriera.
Più personale il ricordo della circostanza in cui si arrivò all'ingaggio dell'allenatore per la nuova stagione, nel giorno del suo matrimonio. A convincere il presidente furono infatti lui e Elvi Pianca, suo corregionale. Pianca era il regista che ci si aspetta. Giocatore eclettico, in campo e fuori. Nel 1974 arriva alla Reggina dal Varese. Oggi anch'egli sente la distanza tra il suo calcio e quello attuale, a cui preferisce la semplicità dell'esistenza. Che abbia lasciato il segno nella memoria dei tifosi lo dimostra l'invito a partecipare al ricevimento organizzato al comune di Milano per la squadra della Reggina da poco promossa in serie A. Nel '79 passò all'Udinese. Era l'occasione della vita. Ma la difficoltà incontrata nell'ambientarsi non gli permise di ottenere quanto immaginato. Concluse la carriera all'Akragas, chiamato da Franco Scoglio.
Un altro calciatore veneto ha incrociato la storia della Reggina e a Reggio è rimasto a vivere. Massimo Mariotto si era ritrovato molto giovane nella Fiorentina allenata da De Sisti, con accanto, Oriali, Socrates, Antognoni e un quasi coetaneo Roberto Baggio. In Calabria arrivò dopo un "equivoco". Un giorno l'allenatore Bigon gli disse che ci si trasferiva entrambi a Reggio. Lui, Mariotto, al momento pensò Reggio Emilia, che già gli sembrava abbastanza lontana da casa. Gioca con la maglia amaranto dal 1986 al 1995 e tra i ricordi, a parte la delusione dello spareggio dell'89, c'è il gol segnato nella partita di esordio del campionato di serie B contro l'Udinese, squadra da cui sarà ingaggiato a inizio anni '90, quando era allenata da Bigon. Per tornare poi a Reggio Calabria nel '95.
La storia recente della Reggina ha un paio di date memorabili entrambe nel 1999: 13 giugno; 29 agosto. La prima è il giorno della promozione in serie A. La partita decisiva si giocò al "Delle Alpi" di Torino. Nello stesso stadio, il 29 agosto gli amaranto esordirono in campionato contro la Juventus di Zidane e Del Piero uscendo imbattuti (come poi anche contro il Milan). La domenica mattina, nell'albergo in cui era si trovava la squadra, tra i tanti tifosi si fece strada un signore che così si presentò: "Vi aspettavo in serie A da una vita... Volevo solo ringraziarvi. Il mio nome è Jules Korostelev".
Chissà quanti in quel momento si ricordarono subito di lui. Eppure Korostelev è nella storia della Reggina e del calcio italiano. Arrivò a Torino nel 1946 dalla Cecoslovacchia insieme a Vycpalek. Ingaggiato dalla Juventus passò all'Atalanta e poi alla Reggina, in serie C per due stagioni. Nella prima segnò 17 gol su 34 partite, che però non bastarono per la promozione. Anni dopo tornò alla Juve da collaboratore dell'amico Vycpalek. Sulla qualità del lavoro che svolsero, basti ricordare che furono loro a portare in bianconero i calciatori poi nell'Italia campione del mondo del 1982.
C'è chi considera il calcio una componente irrinunciabile della propria esistenza, al punto che pur avendo concluso tra professionisti prosegue nelle categorie dilettantistiche. E' il caso di Maurizio Poli, pisano, terzino sinistro. Poco importa il nome della squadra che si affronta, l'importante è stare in campo. Uomo squadra anche nel rapporto con i tifosi per un decennio (1990-2000), è nel gruppo della promozione in A insieme a Simone Giacchetta, la cui carriera calcistica si è sostanzialmente svolta con la Reggina, tanto da essere al secondo posto per il numero di presenze. In forma d'intervista ricorda tra l'altro due momenti differenti: il periodo critico all'inizio degli anni '90 e la gioia per la serie A.
L'ultimo capitolo è dedicato all'allenatore Tommaso Maestrelli. Nei ricordi dei calciatori emergono le sue caratteristiche di grande professionista, in grado di coniugare la capacità di capire gli individui e quella di farli coesistere e finalizzare il lavoro collettivo. Dopo gli anni con la Reggina (1964-68) fu poi protagonista di un triennio memorabile con la Lazio, nella prima metà degli anni '70, culminato con lo scudetto. Ebbe anche la possibilità di allenare la nazionale ma scomparve nel 1976 a seguito di una grave malattia.
Esiste una dimensione del mondo calcistico pressoché inesplorata. Forse perché talmente popolata da rendere arduo ogni tentativo di razionalizzarne la complessità. Oppure perché il calcio, sempre più spettacolo televisivo, è ormai così distante dallo scenario che questo libro descrive da non considerarlo nemmeno una sua prospettiva. O forse perché il calcio dei ricchi rifugge dalla realtà, che non è quella a cui è forzatamente ancorato ma è quella della quotidianità di persone che, per una parte della propria esistenza, hanno coabitato in quello stesso mondo, seppure intravedendone il luccichio solo da lontano.
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