Lena

di Maricla Di Dio Morgano, Laruffa Editore, pag.78, 2006

Recensione di Ninni Radicini

Copertina di Lena, romanzo di Maricla Di Dio Morgano La stanza di una casa, in una città lontana dalla terra d'origine, può diventare il palcoscenico della recita di una vita già trascorsa. Come per Lena e per la sua "amica" Bastiana. Ogni sabato le loro esistenze hanno un sussulto e per qualche ora, una di fronte all'altra, davanti a una finestra su un panorama estraneo, rievocano momenti e persone. Situazioni, alcune drammatiche altre appassionate, dalle quali emergono due personalità molto differenti, come le loro fisionomie. Lena estranea lo era già nel luogo in cui era nata e aveva vissuto, guardata con curiosità e sospetto per quella sua figura apparentemente non riconducibile alla tipicità femminile locale. Un confronto, a tratti sadico altre volte comprensivo, tra individui che ripercorrono un mondo ormai tramontato, mentre intorno scorre una vita di cui non fanno più parte. Così quel loro dialogo diventa una recita per illudersi di esistere, ben sapendo che tutto si risolverà in poco più di una consolazione, destinata a protrarsi solo per quelle poche ore di ricordi.

Lena ricorda il dramma che visse da ragazzina, il matrimonio con un uomo che rispettava ma non amava, il tradimento senza rimpianto, talmente intenso nella sua descrizione da apparire desiderio e immaginazione. Bastiana ripete quanto avvenne nei giorni della scomparsa di due suoi figli in tenerissima età, il conseguente pessimo rapporto con il marito, la scelta (secondo Lena, la stupidità) di non far nulla per cambiare quella vita. Fino a quando, per un paio di volte, Bastiana non si presentò al solito incontro e Lena chiese alla figlia (figlia del precedente matrimonio del marito) il motivo di quell'assenza...

Vicende che si svolgono nella città di Xibet. E' questo il nome originario di Calascibetta, comune siciliano in provincia di Enna. Deriva da quello della montagna dove il conte normanno Ruggero d'Altavilla fondò un castello dopo aver sconfitto i saraceni. Eppure a parte il nome, forse non casualmente poco noto, queste storie avrebbero potuto svolgersi in qualunque luogo della provincia italiana, tra gli anni Trenta e gli anni iniziali del Secondo dopoguerra. Anni di povertà, di gente che viveva della terra e quando ciò non era sufficiente significava fame e morte, a meno che non scegliesse di scendere a compromessi con se stessi.

La caratterizzazione antropologica dei personaggi permette al racconto di collocarsi sia nell'ambito del Verismo originario di Giovanni Verga, Federico de Roberto, Luigi Capuana, sia nella sua evoluzione neorealista della metà del Novecento, che ha tra i massimi autori Ignazio Silone. Dei personaggi sono infatti narrati nei dettagli i drammi conseguenti alla povertà vissuta. Ma tale condizione non è poi confermata come irredimibile, seppure non siano pienamente integrate nel luogo in cui si sono ritrovate per scelte altrui, effetto della seconda grande ondata migratoria che stravolse persone e culture del Sud dell'Italia negli anni del "miracolo" economico. Il personaggio di Lena, a differenza di quello di Bastiana, appare come una individualità inconciliabile con il presente - con qualunque suo presente - decisa a non rinunciare al suo passato, narrandolo in continuazione anche solo a se stessa.

Le due protagoniste del libro sanno che loro per gli altri quasi ormai non esistono. Sono soltanto figure terrene che si materializzano ogni giorno, poco più significative di quelle che Lena distesa nel suo letto vede formarsi sul tetto della stanza. Come i personaggi del teatro di Harold Pinter isolati da tutto e consapevoli che l'unica prova della loro presenza è il confronto spietato con chi gli sta di fronte. Alla fine uno dei due perderà ma per l'altro non sarà una vittoria. Anche per lui, rimasto solo, è una sconfitta, percepita solo un istante dopo.



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