Te lo do io lo sport!
di Simone Urbani Grecchi e Dino Meneghin
prefazione di Giorgio Tosatti, ed. Libreria dello Sport, pagg.155, 2006
Recensione di Ninni Radicini
«Che ne dite allora di smettere di guardare sempre e solo la televisione, uscire di casa e fare un po' di sport?»
Fare sport per migliorarsi come individuo. Non solo per gli immediati benefici fisiologici ma anche come percorso per apprendere una cultura fondata sulla capacità di interpretare i propri limiti e le proprie qualità, sul rispetto delle regole e degli avversari, sull'autocontrollo, sul valore del rapporto con gli altri. In Italia purtroppo il numero di praticanti, di coloro che anche solo a livello amatoriale si dedicano ad una attività sportiva, non è molto elevato. Meno di una persona su quattro fa sport almeno due volte alla settimana. Siamo comunque in ottima compagnia perché questa tendenza si riscontra in tutti i paesi industrializzati.
A ciò si aggiunge la progressiva diminuzione di attività lavorative in cui è necessario un consistente impegno muscolare, la sedentarietà e le cattive abitudini alimentari. Il compito di instradare verso la cultura e la pratica dello sport spetterebbe alle famiglie e ancora di più alle scuole. Spesso però gli orari di svolgimento delle ore di educazione fisica e le limitazioni delle strutture non agevolano il compito. Inoltre ci si trova di fronte a una gestione degli impianti sportivi spesso orientata soltanto verso i grandi avvenimenti invece che al quotidiano utilizzo da parte dei cittadini.
Un incentivo dovrebbe arrivare dai mass media, dove invece, in alcuni, si nota una rappresentazione dello sport come esclusiva per superman, evidenziando gesti tecnici e atletici, peraltro spesso artificiosi, che meravigliano lo spettatore ma, al tempo stesso, lo portano a crearsi un modello errato ed estraneo alla realtà. A disincentivare molti possibili praticanti è anche la diffusione di una pseudo cultura dell'agonismo fondato sul risultato a tutti i costi. Lo sport invece è un'attività essenziale della nostra esistenza. E' un ottimo terreno su cui far crescere gli individui e dotarli di quelle prerogative civiche essenziali per costruire una società progredita. Lo sport, ad esempio quello di squadra, forma l'atleta anche come cittadino perché in un gruppo è necessario mettere le proprie qualità, opportunamente evidenziate e sviluppate dall'allenatore, al servizio degli altri, della collettività.
Da sempre, ha avuto un valore simbolico notevole. In Grecia, le Olimpiadi erano un momento eccezionale che fermava le guerre e serviva come verifica della saldezza del mondo ellenico, poiché vi partecipavano sia gli atleti della Grecia sia quelli provenienti da terre che rientravano nell'area ellenica come, ad esempio relativamente all'Italia, la Magna Grecia (il Sud) e la Sicilia. Nel capitolo "Sport e lavoro", gli autori dimostrano che molti dei concetti validi nel mondo dello sport valgono anche nel lavoro e quindi la pratica sportiva permette di acquisire una serie di capacità che poi possono essere applicate nell'ambito delle professioni. Essere consapevole delle proprie caratteristiche, dei propri limiti e degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Non e' casuale che, negli ultimi anni, alcune aziende abbiano ingaggiato allenatori, di varie discipline sportive, per tenere corsi sulla gestione dei gruppi. Lo sport forma anche nel rispetto verso gli altri.
In tutte le competizioni, sia individuali sia di squadra, l'atleta non solo deve attenersi a regole prestabilite ma anche a quelle non scritte che, se violate, spesso si ritorcono contro. Bisogna sempre avere cura di non offendere la sensibilità altrui. Questo è uno dei fondamenti dello sport e della vita di tutti i giorni. Alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 il "Dream Team", la nazionale statunitense di basket, nonostante la manifesta superiorità nei confronti di tutte le altre squadre, non si lasciò mai andare a numeri da fenomeni. Massimo rispetto per chi ci sta di fronte, soprattutto quando è in condizioni di inferiorità o di debolezza. In questo senso un sportivo diventa anche un esempio di cittadino. Lo è perché, soprattutto negli sport di squadra, sviluppa il concetto di appartenenza, non in senso becero, bensì come condivisione di un comune insieme di valori e di storia.
La cultura sportiva non può essere fondata sulla persecuzione della vittoria a tutti costi. Le cronache recenti sono sature di esempi in tal senso. E' invece importante imparare dalle sconfitte, capirne i motivi. Partecipare alla competizione e accettare che altri siano in grado di sviluppare meglio di noi certe qualità, ci permette modificare il nostro accostamento alla disciplina e aggiornare la tattica. Michael Jordan, considerato il più grande giocatore di pallacanestro della storia, ha vinto con la sua squadra, i Chicago Bulls, sei titoli Nba dal '91 al '98. Prima però inanellò una serie di sconfitte nei play off dall'85 al '90. Lo stesso vale in un contesto aziendale in cui vari professionisti vogliano ottenere una promozione.
Una giusta interpretazione della sconfitta ha una utilità anche sociale perché contribuisce alla lettura che lo spettatore (il tifoso) da' alla gara. L'atleta deve evitare di usare toni sopra le righe davanti alle telecamere e in campo, deve usare moderazione e sviluppare un discorso più analitico che passionale, per spostare l'attenzione di chi gli sta di fronte verso il contenuto della gara. Non è raro invece che ciò non si verifichi proprio nello sport più seguito - il calcio - a differenza di altri dove c'è maggiore attenzione alla cultura sportiva e il risultato, certo importante come in ogni disciplina agonistica, non è vissuto in modo ossessivo. Basterebbe ricordare la finale del campionato di basket della stagione 2004/2005 a Milano.
Il canestro decisivo per la vittoria della partita e del titolo fu segnato dalla squadra ospite a tre decimi di secondo dalla fine e convalidato dopo che gli arbitri visionarono le immagini televisive. Non accadde alcun incidente, né tra le squadre né tra i tifosi. Lo sport è vita, è rafforzamento della propria personalità, è alto senso della moralità. Quello che oggi purtroppo è in cima alle cronache non ha nulla a che fare con lo sport, perchè lo sport non può avere nulla a che fare con il business, con il doping e con tutte le miserie umane che lo stanno devastando. Oggi è più che mai necessaria la massima chiarezza da parte di chi racconta lo sport, di chi fa la cronaca degli avvenimenti sportivi. Come è possibile che si continuino a fare paragoni tra "campioni" e "fenomeni" di oggi con quelli del passato?
La distanza tra loro è abissale e per fortuna, a livello percettivo, la differenza tra le immagini di quegli sportivi e quelle degli attuali danno allo spettatore, anche a quello che magari in buona fede crede a questi accostamenti, il senso chiaro di aver di fronte due mondi differenti. Quelli di oggi sono sempre più, o ormai quasi esclusivamente, "campioni" di carta, attenti alle telecamere. Un obbrobrio verso i grandi, i veri grandi campioni, del passato che in tutte le discipline oggi al centro di scandali, hanno lasciato un segno indelebile del loro passaggio. Quelli che oggi hanno distorto il significato dello sport - tra chi lo pratica e tra chi lo racconta - rendono un pessimo servizio non solo allo sport ma allo sviluppo di una società che ha più che mai bisogno di alti riferimenti morali e di serietà.
In questo libro gli autori dimostrano che lo sport, vissuto secondo regole e principi di lealtà e correttezza verso se stessi e verso gli altri, contribuisce a formare cittadini onesti, uniti in una comunità di valori sani. Simone Urbani Grecchi, dirigente d'azienda, appassionato e praticante di vari sport, e Dino Meneghin, il più grande giocatore italiano di pallacanestro, sono garanzia di alto livello di competenza. Il libro, in formato tascabile, si presta ad una lettura scorrevole. Un ottimo strumento propedeutico per coloro che si avvicinano all'attività sportiva e per coloro che già la praticano e vogliono saperne di più.
Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini
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