Atlante americano

di Giuseppe Antonio Borgese
a cura di Ambra Meda, ed. Vallecchi, pag.269, ottobre 2007

Recensione di Ninni Radicini

Copertina del libro Atlante americano di Giuseppe Antonio Borgese Parlare o scrivere dell'America, ovvero degli Stati Uniti, è motivo di opinioni opposte, a volte inconciliabili. Oggi come ieri sembra che nulla sia cambiato da quando all'inizio del Novecento la sua immagine - la mentalità, i costumi, la cultura - diventarono oggetto di valutazioni utilizzate con precise finalità propagandistiche, sia in senso positivo sia negativo. In Italia questa contrapposizione ebbe il primo momento di massima tensione durante il Ventennio, in particolare nel corso degli anni '30, quando la statalizzazione del fascismo diede al regime l'opportunità di trasformarsi da fenomeno politico in realtà culturale, potendo così presentarsi nel contesto internazionale con specificità da contrapporre a quelle di altri paesi.

Caratterizzato dall'esaltazione della ruralità, dell'autarchia, dei caratteri della Roma imperiale, il fascismo non poteva non entrare in contrasto con il sistema americano, le cui componenti - per l'immaginario collettivo e in particolare per l'opposizione antifascista - apparivano l'esatto opposto: modernismo, produzione di massa, orientamento pressoché fideistico verso lo sviluppo tecnologico. Oltre alle due caratteristiche più distanti dal fascismo e per ciò stesso le più esaltanti da affermare: la democrazia e la libertà d'espressione.

Ma non è raro che la classe intellettuale di entrambi gli schieramenti tenda all'apologia o alla denigrazione in modo preconcetto. Tra i non molti a non poter essere collocati nell'uno o nell'altro gruppo vi è Giuseppe Antonio Borgese, che non partecipa a questo confronto sostanzialmente improduttivo e sceglie di descrivere gli Stati Uniti nella loro quotidianità, nei costumi, nella lingua, nella cucina, nella urbanistica, in una molteplicità di manifestazioni della loro cultura, lasciando sia il lettore a trarre giudizi di merito e fare confronti. Lo fa' attraverso una serie di articoli realizzati per il Corriere della Sera tra il 1931 e il '34. E' bene precisare subito che all'origine di Atlante americano vi è sia l'idea dell'autore di radunarli in un testo sia le vicissitudini editoriali che per certi lo rendono leggendario.

Non solo, ma questi scritti non furono premeditati perché la sua permanenza negli Usa doveva essere di soli sei mesi, il tempo di svolgere una serie di conferenze in ambito universitario. Invece finì per rimanervi fino al 1948, insegnando all'Università di Berkeley (1931-32), allo Smith College di Northampton (1932-36) e all'Università di Chicago. A risultare determinante fu l'impossibilità di tornare in Italia. Borgese infatti nel '31 rifiutò di sottoscrivere il giuramento al partito fascista (uno dei pochissimi docenti universitari dell'epoca) e dall'America spedì un paio di lettere a Mussolini, spiegando che un giuramento è un atto di libertà e non si può esservi costretti.

Questa scelta si rivelò determinante in occasione dell'idea di pubblicare il libro sull'America. Nonostante gli articoli non avessero nulla di politico (nel senso comune del termine), le trattative prima con Mondadori, il suo editore di riferimento, poi con Guanda non portarono a nulla. Tranne la controversa stampa non ufficiale di un numero molto limitato di copie da parte del secondo editore, a beneficio di una ristrettissima cerchia di personalità della cultura. Il pubblico potrà leggerlo solo nel 1946.

L'America descritta è quella del proibizionismo, generato da una convergenza di interessi tra gli agricoltori del Sud e gli industriale del Nord; quella che vuole uscire dalla crisi del '29; quella di Roosevelt e della questione razziale; dei 15 milioni di immigrati arrivati nei precedenti quarant'anni e collocati ad Ellis Island, limbo dove si incrociano coloro che chiedono di entrare e quelli che non sono stati ammessi e devono tornare indietro. E' l'America in cui si afferma l'idea della classe media come garanzia di stabilità sociale, e della cinematografia, presto trasformata in industria e considerata la principale forma d'arte nazionale.

Il primo contatto dopo il viaggio è New York. Gli appare come "la più moderna tra le città moderne", dove tutto quanto appartiene all'infelicità umana è rimosso e accorpato in spazi prestabiliti, la miseria non è mai stracciona e il lusso non è esibito ma usato e in parte ritornato alla comunità con opere assistenziali e di utilità collettiva. Già qui le sue osservazioni non hanno nulla di simile a quelle - pro o contro - che in genere si contrappongono. Borgese infatti interpreta la modernità di questa metropoli come post-modernità, tanto da non paragonarla a quelle europee - Parigi, Londra - quando alla versione futuristica di una città medievale fortificata, con gli edifici delle società d'affari a posto dei castelli e delle torri, e la scelta di "chiudersi" sviluppandosi in altezza pur avendo una a disposizione uno spazio sterminato in larghezza.

A rafforzare la tesi, la sottolineatura che la linea ferroviaria verso la California - il collegamento che attraversa e unisce il territorio statunitense - comincia dal Middle West, da Chicago, città in cui non c'è più l'influsso dell'Europa e non c'è ancora quello del West. Il West - spiega Borgese con acutezza - non va però inteso nella sua traduzione letterale di "Occidente". West è in realtà Oriente (quello asiatico cino-giapponese) e Sud (quello messicano-ispanico). E' in California che si trovano le nuove colonne d'Ercole e la sua conquista da parte degli americani anglosassoni dell'Est rappresenta la conferma del temperamento del migrante e della curiosità verso l'"oltre".

Pionieri e avventurieri di ogni tipo vi arrivarono ognuno per conto proprio, si fermarono davanti all'oceano e in pochi anni stravolsero la conformazione sociale, prevenendo l'arrivo ugualmente di massa da Cina e Giappone. Dei loro predecessori lasciarono però i nomi delle città (San Francisco, Los Angeles, Sacramento). In California, è ospite di una famiglia italo-americana originaria di Lucca e ha l'opportunità di conoscere l'Università di Berkeley, dove riscontra differenze tra gli studenti europei e quelli locali, la mancanza di formalità nel loro rapporto con i professori e l'orientamento degli studi verso la formazione del miglior cittadino medio possibile. Proprio in questa università, negli anni '60, nascerà il movimento studentesco e la contestazione giovanile.

Dalla costa occidentale torna a New York imbarcandosi su un piroscafo, notando che a differenza delle più lussuose imbarcazioni europee, quella americane cercano l'efficienza, a parte lo "sfarzo" dell'uso abnorme di energia elettrica. Mentre costeggia il Messico, incrociano una nave da carico partita da Amburgo e diretta a Los Angeles. A bordo, tra i passeggeri, c'è Albert Einstein. Borgese considera gli Stati Uniti la più grande isola del pianeta, dato che confina con due oceani, e due stati, uno dei quali il Canada può essere considerato suo fratello gemello e l'altro, il Messico, è visto in funzione della distanza che la separa dal canale di Panama. Luogo del rispetto della privacy, della capacità di affrontare le crisi senza nasconderle e con una forza reattiva notevole. Nota quanto la religione cristiana nelle feste consacrate sia stata declinata verso il paganesimo, nonostante le origini dei fondatori fossero puritane.

Oltre alla religione, a essere articolata fra conservazione e innovazione è la lingua. Quella americana infatti non è riducibile a una versione dell'inglese con l'innesto di uno slang, perché più di quella britannica tende a valorizzare le caratteristiche originare, aumentando l'importanza dell'intensità della parola. Un pò come - dice Borgese - smontare mattone dopo mattone un edificio e con gli stessi costruirne un altro disponendoli in modo più efficiente. Efficienza e velocità si ritrovano anche della cucina statunitense, dove il cibo è considerato innanzitutto fonte di energia funzionale alla vita dinamica, piuttosto che piacere da apprezzare. Caratteristica riconducibile alle origini, quando i primi coloni dovettero adattarsi a mangiare quanto trovavano (non sempre genuino), e alla rapida emancipazione femminile che ha ridotto il tempo da dedicare alla preparazione del cibi.

Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952), giornalista, romanziere, critico letterario, nato in Sicilia e formatosi negli studi a Firenze, ha nella storia della letteratura italiana almeno due motivi di rilevanza. Il primo è nella qualità dell'osservazione della realtà non vincolata a ideologie o schieramenti. Il secondo è di aver avuto un ruolo decisivo nella formazione di Leonardo Sciascia, per la capacità di spiegare le cose attraverso la descrizione degli ambienti e delle persone e per la sua figura - rarissima - di intellettuale "contro" per scelta etica e non per ideologia.

Nonostante gli anni trascorsi dalla loro scrittura e i cambiamenti nella società statunitense, dopo aver letto le cronache pubblicate in questo libro appare chiara la monotonia di talune immagini standard dell'America, alcune della quali Borgese fa risalire a elaborazioni critiche prodotte in certe sfere sociali elitarie degli Usa poi interpretate in modo riduttivo dagli europei. La sua è un'analisi gramsciana della società statunitense e presagisce la svolta storica che da lì a pochi anni darà all'America un ruolo guida sull'Europa, di fronte a cui però - sottolinea - dovrà riconoscere i limiti della propria personalità e frenare ogni egoismo. Lo fa attraverso lo studio di un popolo prima che di uno stato, proponendo al lettore una serie di constatazioni efficaci sia per la ricerca sociologica sia nella narrazione.



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