Mario Alimede | Mostre e Libri
Esa Bianchi | Mario Alimede. "Senza limiti - Senza tempo"
Il segno emozionato. Raccolta di opere incisorie di Mario Alimede
Mario Alimede: Tracce per la vetta
Mario Alimede. Opere recenti
Mario Alimede | Paolo Vivian. "Il riposo inquieto tra la Terra e il Mondo"
Mario Alimede. Pagine sparse di un libro immaginato
Mario Alimede. Opere pittoriche
Mario Alimede (mostra a Pordenone)
Mario Alimede (mostra a Capodistria, Isola d'Istria)
Mario Alimede (mostra a Cordenons)
Libro: Diciassette passi. Poesie e opere grafiche
Libro: Racconti effimeri
Esa Bianchi | Mario Alimede
"Senza limiti - Senza tempo"
28 ottobre - 26 novembre 2023
Galleria d'Arte "La Loggia" - Udine
Non è la prima volta che Esa Bianchi e Mario Alimede espongono assieme o collaborano progetti comuni. Artisti di lunga data hanno vissuto gli anni dell'impegno, del cambiamento di costume, del progresso tecnologico, dello scavo psicanalitico, restando comunque fedeli ad un proprio modulo compositivo e ad una tradizione che viene dai grandi maestri veneziani e mitteleuropei. Sempre sensibili ed attenti agli eventi culturali, oltre che ricchi della propria esperienza ne sono diventati protagonisti sia per ispirazione che per mestiere, non rinunciando mai ad una esplorazione personale della realtà, mai fine a se stessa. In questo modo si rende possibile la continua contemporaneità di un'opera che, se pur nata in un contesto, diviene di volta in volta altro, icona di un sentire e di una sintesi che come per magia diventano un'equazione o un algoritmo giusti.
Dunque il tempo, lo spazio, le tecniche espressive sono la materia prima, mentre l'esito finale va oltre, uscendo dalla storia e liberandosene, per immettersi nell'eclettismo del nostro tempo a rappresentare il principio che sta alla base dell'intenzione dell'artista e della sua ispirazione. La nostra è un'epoca la quale più che mai si esprime per immagini, le più disparate; nella piattaforma dei motori di ricerca queste corrono incessantemente senza filtri di sorta. È una conquista che permette anche all'artista di comparire fuori dai luoghi canonici e dialogare con tutti attraverso il suo linguaggio.
Installazioni, video, gigantografie sono solo alcune delle provocazioni visive presenti nell'arte. Eppure il luogo classico dell'esposizione, cioè la galleria, ha ancora una sua valenza e permette il contatto e la visione comune di un'opera, qualsiasi essa sia. Anche alla Loggia i nostri due artisti dunque, seppur con alchimie diverse hanno modo di confrontarsi con il proprio tempo e territorio, essendone parte attiva. Afro scriveva "...non ho paura della parola sogno, non ho paura della parola lirica e emozione... io spero che nella mia pittura circoli un presentimento, una speranza, come di un'alba..."
Anche Mario ed Esa credono nel proprio sogno ed hanno scelto ostinatamente un linguaggio per raccontarlo. Alchimie fatte di equilibri di segni che precipitano sono presenti nelle rappresentazioni di Alimede, come se la verità fosse sempre insufficiente a portare in superficie la "melanconia" che è del cavaliere che va a cercare il suo Graal. Realtà sospese, sottolineate e circoscritte corrispondono ad una formazione apparentemente ingegneristica o grafica, aperte invece al colorismo diffuso di una materia da rappresentare poco prima che si disfi, come nelle linee delle archeologie industriali.
Ne consegue un effetto di antico e contemporaneo insieme, come il negativo di una vecchia pellicola fotografica. Di rimando magie di colore sono quelle di Esa Bianchi, a volte sussurrate, altre urlate, nelle quali, come in una canzone di Paolo Conte, il ritmo parte adagio, uno swing, per animarsi di toni sempre più caldi, farsi andante con moto, perseguire un flusso di coscienza fatto di vibrazioni. Piani di colore vengono improvvisamente interrotti da richiami per lasciare spazio a dettagli significanti. Come in una metamorfosi la realtà può divenire sequenza di un film, scena di teatro, dalla cui luce di palcoscenico emergono emozioni sotto forma di architetture impreviste. Sia in Mario che Esa i materiali diventano pretesti e strumenti per ottenere l'essenza delle cose, volumi legati da un principio dinamico di trasformazione. Anche alla galleria la Loggia possiamo percorrere "senza tempo e senza limiti" alcune tappe del viaggio di ricerca di due artisti pordenonesi, il lento viaggio di meditazione che può portare ad una meta non scontata. (Mariangela Modolo)
Il segno emozionato
Raccolta di opere incisorie di Mario Alimede
21 agosto - 27 settembre 2020
Museo Civico d'Arte (Palazzo Ricchieri) - Pordenone
Locandina della mostra
«È mia opinione che l'attività calcografica, per Mario Alimede, non sia laterale o complementare rispetto alla pittura, ma sia invece uno strumento espressivo altrettanto importante, e in grado di raggiungere risultati estetici che hanno forza non inferiore a quella del dipingere. Sono perciò lieto che egli abbia deciso di dedicare questa mostra presso il Museo Civico di Pordenone proprio a questo settore della sua attività, e con un numero di opere probante, in grado di far conoscere ad un pubblico più vasto ed avvertito un ambito di lavoro che ha alle spalle decenni di impegno, e un numero considerevole di lastre realizzate.
Chiunque visiterà la mostra vedrà subito che l'artista adopera, per ottenere i suoi risultati, due mezzi espressivi essenziali, la traccia e il segno, usati in combinazioni varie anche cromaticamente, e volti ad ottenere un impatto visivo di chiara sostanza emozionale, talora di qualità nettamente drammatica, più raramente di dimensione lirica anche se - ci pare - di un lirismo mai del tutto appagato da se stesso. Mi riferisco, quando parlo di lirismo, a certe incisioni di dimensione piccola o media, in cui Alimede allude a paesaggi, a vegetazioni, a monti che tagliano l'orizzonte con ripidi versanti, ma mi riferisco anche a tavole dove traccia e segno, pur non alludendo ad alcuna riconoscibile figurazione, si dispongono in scansioni più limpide e ferme, quasi che l'esplorazione della punta sulla lastra di metallo venga suggerita dalla ricerca di una più riposata spazialità.
Il segno, certo, mantiene sempre una sorta di sollecitudine, si allarga e si addensa non soltanto - io credo - per esigenze ritmiche, ma anche perché vuol essere comunque un traslato d'esistenza, una vibrazione, non una descrizione. E tuttavia rimane innegabile che, nell'arte di Alimede, questi momenti lirici non solo sono presenti, ma emergono anche in una loro precisa visualità, in ciò aiutati da una sapienza cromatica che sa usare in modo tonalmente molto raffinato le diverse gradazioni chiaroscurali. Se poi ci si vuol riferire alla drammaticità dell'arte di Alimede, cioè ad una visione della realtà ben consapevole delle contraddizioni e delle tragedie che l'attraversano - a livello soggettivo come a livello sociale - è sufficiente, all'inizio, riferirsi a come appare in queste tavole, quando appare, la figura umana.
Essa è allusa, sopraffatta, stravolta. Non ha alcuna centralità. In una piccola, limpida incisione tenuta su registro visibilmente figurativo ci sono delle case, alberi, una ciminiera con il fumo e sulla destra una figura che fa, anch'essa, paesaggio, che appare del tutto assorbita nel contesto. In una bella xilografia in bianco e nero figure indistinte fanno folla, la citazione espressionista appare d'obbligo, sono figure-massa, dispersi attimi d'esistenza. Altre si distinguono a fatica, confuse in un assieparsi di segni che quasi ne mettono in dubbio l'esistenza, e se per una volta la figura appare centrale, assume tuttavia una centralità enigmatica, quasi aliena, più creatura d'incubo che di quotidiana realtà.
Questa stessa drammaticità si ripete in molte tavole, anche di dimensione notevole, in cui tutto il discorso espressivo è poggiato, come si diceva, su traccia e segno, senza alcun riferimento antropomorfo. La contrapposizione decisa di un nero naturalistico - nel suo fingere di essere quasi un'erba di campo - e di un rosso biologico, strinato, bruciato, massa che incombe dall'alto, è l'evidente metafora di un accadimento drammatico, minaccioso; un bianconero dinamico crea, mediante segni e strisce che attraversano lo spazio, un movimento aperto, convulso, spalancato in ogni direzione; un astratto palcoscenico è attraversato da una sorta di balletto di forme, una specie di strana, notturna messa in scena; la stessa immagine, trattata con diverse cromie, assume invece un'aria più distaccata e preziosa, e tuttavia sempre densa di domanda; una figura curvilinea percorsa da segni sembra cranio o medusa, comunque presenza inquietante.
La densità stessa del segno, la sua forza visiva bastano a volte a creare atmosfere sospese, in apprensione, come ad esempio nella piccola incisione dove sembra che un volto sia stato cancellato da un assieparsi violento di segni, o come là dove sembra che il segno si accanisca a rendere non percepibile la figura. E così via così via, altri esempi si potrebbero fare. Si tratta di un'arte che non lascia spazio a edonismi di maniera, di un'arte che persuade.» (Il segno emozionato, di Giancarlo Pauletto)
Mario Alimede: Tracce per la vetta
06 luglio (inaugurazione ore 18.00) - 31 agosto 2019
Centro Visite del Parco Naturale Dolomiti Friulane - Claut (Pordenone)
«Montagna e poesia. Se ci penso è la stessa cosa, difficile distinguere. La montagna è poesia che sta lì, che da sempre è poesia. La poesia è leggerezza che si fa montagna. Semplicemente speculari. Certo, detta così ha quell'alone di retorica che sembra fatto per stupire piuttosto che per dire qualcosa di vero. Eppure a lavorarci intorno poesia e montagna hanno tanto in comune. E non parlo del paesaggio "poetico" o dell'atmosfera "poetica" che facilmente la montagna ci regala (uno scorcio, un'alba, un silenzio), ma di una identità più profonda. La verticalità, intanto. La montagna è di cime e precipizi, è il regno della vertigine, in cui ogni gesto non può per definizione restare allo stesso livello.
Le parole della poesia non stanno allo stesso livello, affondano o si verticalizzano. La poesia sale, sembra destinata ad elevare ogni discorso, o a sprofondarlo negli abissi, laddove la prosa, o il parlato quotidiano giocano sul piano di una orizzontalità che volutamente non si stacca dal qui e ora. La montagna è pietra: più si sale più l'inessenziale dell'humus, della scoria, dell'organico si perde in nitidezza di cristallo, minerale. La poesia è così: mira ad una concretezza inattaccabile, definitiva, in cui non c'è nulla di troppo, nulla di superfluo. La montagna è fatica: nessuno ti regala la cima, e non è un camminare banale, mai. Significa provare strade, sentieri, magari mai battuti prima, significa avere uno sguardo diritto al cielo, ma il piede conosce quali passi fare quale appiglio tiene, quale cede. I polmoni hanno il respiro giusto che nasce dall'esperienza.
La poesia neanche lei si regala, checchè ne dica qualcuno che ancora pensa ai versi come un fluire libero e improvvisato. La poesia è ricerca pericolosa, faticosa, che sembra camminare leggera ma solo perché ha imparato con lentezza il passo giusto. La montagna è per pochi. Non perché sia elitaria, aristocratica ma perché pretende una dedizione e una ascesi fatta di umiltà, esperienza, rigore. La poesia è uguale: per tutti, certo, ma a patto che leggano, leggano e lentamente entrino in un mondo nuovo. Cioè per pochi, purtroppo. La montagna è silenzio. È il silenzio delle cime, delle cordate sospese sull'abisso, dello stupore attonito che ti prende quando guardi il mondo dall'alto, o la cima dal basso. La poesia è silenzio. Strano, la poesia parla, ma parla nel silenzio. E infine (ma cerchi il lettore, troverà altro), infine la montagna è bianca.
L'alpinista si vergogna quasi di quei solchi che lascia dietro di sé, segni del suo passaggio sulla coltre perfetta: li coprirà la neve fra poco, restituirà l'assoluto biancore ma l'uomo quando attraversa le cose o i suoi stessi sentimenti non ha la leggerezza delle farfalle, deve incidere, toccare, scrivere. Come un foglio, che la poesia timidamente segna di alfabeti, di parole, rispettando il bianco che sta a destra quasi per una forma di riguardo. Come se scrivere non fosse dire, un dire attivo, ma un'imbarazzante seppure necessaria intrusione nella verità che sta lì, da sempre, prima di noi.
Premessa lunga, forse troppo, a dire di questa operazione difficile che Mario Alimede tenta con i due strumenti che conosce: le parole poetiche e la composizione grafica. Le parole hanno la leggerezza e la profondità delle lunghe passeggiate di montagna, in cui a tratti la fatica scompare quando si è presi dalla contemplazione, in cui tutto pare aria, mentre altre volte si ha la consapevolezza perfetta di guardare oltre, di poggiare finalmente sul duro, di sprofondare nella verità delle cose.
Spesso senza che vi sia differenza, come accade anche nei versi più riusciti, dove verità e leggerezza, facilità apparente e profondità conquistata a fatica diventano una cosa sola. Da questa alchimia alcune perle, di una semplicità e forza che non so rinunciare a raccoglierne, come un cestino di mirtilli da offrire alla tua attenzione, lettore. "Sono una pietra, / chiamatemi anche sasso", scrive Alimede prestando la sua voce alla montagna: è la dichiarazione quasi ovvia, imbarazzante nella sua tautologia che ci porta nel cuore stesso della pietra, nel suo destino inorganico e freddo eppure capace di entrare in empatia con chi ci passa sopra. Immedesimarsi in una pietra, parlare come una pietra è un po' la meta ultima di ogni scalata, di ogni passeggiata sulla montagna.
"Alla fine, le zolle / di magma ribollente / hanno trovato quiete": anche questo è un modo vivo di entrare nello spirito della cima, di vivere nel nostro breve tempo umano, magari nel tempo di una passeggiata, lo scorrere lentissimo delle epoche geologiche. Anche il nostro magma ribollente, quello che abbiamo dentro, trova quiete qui, fra le cime immobili. E come non fermarsi stupiti davanti a quel pianto delle montagne che apre la piccola raccolta? Quando le moli enormi e apparentemente inerti di granito sembrano versare lacrime, e tali sono i rivoli, i torrenti. Un pianto forse sul mondo, un pianto delle cose per citare un grande poeta sensibile ai mali del mondo come Virgilio.
"Anche le montagne / a volte piangono, / rivoli di cristallo / sulle gote di roccia". Ma c'è anche l'eco del grande notturno di Alcmane, pochi versi dopo "quando intorno è silenzio / e tutto tace. / Dormono anche le chiome, / strette le une alle altre". Perché la montagna ha questa incredibile capacità di parlare agli uomini, di entrare in empatia con il nostro sentire, o meglio la capacità di tirarci più vicino al cuore delle cose, là dove tutto si spoglia dei dettagli inutili. Allora si aprono prospettive nuove, "in questo paradiso / di luce verticale", dove le cose riprendono un ordine perpendicolare, un assetto eterno, che riporta all'origine di tutto. Un' esperienza che è in qualche modo iniziatica, che ha dei padri, degli antenati leggendari, come quel Julius Kugy ricordato in un testo, che aprì tante vie sulle nostre montagne all'inizio del secolo scorso, oppure: "I vecchi, pelle di cartone", che quelle vette "un tempo le hanno salite, / avevano gambe alate".
Perché la montagna fa anche questo, soprattutto questo: costruisce umanità, un'umanità particolare che fa la sfida e sa la misura del rischio, che espone la vita alla roccia e all'intemperia perché ne sa il valore. C'è chi lassù cerca Dio, chi lo incontra, chi cerca se stesso e sa che solo per un attimo, forse, si troverà, nel silenzio supremo della vetta: comunque sia una cosa troverà, chiunque, anche il più disincantato; il "Vertice verticale, / assolata solitudine", che è vertice di sé e del mondo, qualsiasi cosa questo voglia dire. La poesia. Ecco, la poesia in tutto questo, là dove la narrazione può essere solo aneddotica, al limite minuziosa ma fatta di altimetrie, resoconto utile ma esangue, la poesia prova a restituire l'altezza.
Si fa montagna essa stessa, quasi un'architettura di parole su cui porre la parola magica che riassume, condensa, verticalizza, come la cima "circondata di blu", dove "tutto il mondo tace, / naufrago nella quiete". Vi è la capacità nel poeta Alimede di tirar fuori dal discorso, come da una miniera si cava a fatica un minerale perfetto, quello che considero da sempre il vero ingrediente del fare poetico, il nesso di parole che restituisca il senso giusto delle cose, piccolo miracolo della sintassi e del lessico. Fra i tanti passi che mi piacerebbe citare ne scelgo alcuni in cui, quasi ad ogni verso, è una piccola sorpresa di parole che suonano come nuove e inedite: "Solo vette increspate, / gravide di cielo, / spalti della fatica. / Ora ebbri di noi / come Narciso, / saliamo verso l'alto / bozzoli di paure."
E allora è una gioia, anche per chi rimane qui in pianura, seguire testo dopo testo la salita del poeta, liberarsi passo dopo passo delle cose e concludere la fatica e la lettura sussurrando con le sue parole: Io resterò seduto / lo sguardo all'orizzonte. Le immagini ci raccontano la stessa storia, con parole mute. La sapienza grafica di Mario Alimede ha la capacità, in pochi tratti decisi e forti, di restituirci le masse, la regalità delle cime. È una fisicità e una materialità che sembrano davvero entrate nei polpastrelli dell'artista scalata dopo scalata, come se la forza che le dita imprimono sulla roccia riuscisse a tradursi in precisione, potenza di segno.
È incredibile come poche linee scure restituiscano un versante, raccontino una fatica, una durezza di pietra, come due tracce bianche tornino a essere un ghiacciaio mentre la trasparenza di certi azzurri ritaglia dietro un cielo e il reticolo confuso in primo piano racconta di prati. Poesia anche qui, muta come dicevo, senza bisogno di parole. Lo stesso bisogno di essenzialità, di quella verità che solo la montagna ci insegna, senza orpelli, senza aggettivi o dettagli inutili. Sul piano pittorico è un percorso che conduce a un incrocio di importanza enorme, a un confine delicato: là dove realismo e astrattismo non si distinguono più perché la realtà ha perso tutti i dettagli, si è fatta essenziale, e la forma geometrica, l'emozione, si incarna in profili veri. Dove per dire il tutto basta il minimo, dove il pennello e il colore valgono più di ogni fotografia perché attingono al cuore delle cose.» (Le scalate della poesia, di Paolo Venti)
Mario Alimede
Opere recenti
termina l'11 maggio 2019
Palazzo Colossis - Meduno (Pordenone)
«Artista colto, attento, rigoroso, alla ricerca di sintesi e perfezione, binomio quasi mai raggiungibile perché "divino", ambizione costante, tuttavia, di chi, come Mario Alimede, guarda al Bello. Incardinare questo artista dentro schemi o paradigmi è pressochè impossibile in quanto la versatilità della sua arte spazia tra temi, tecniche e messaggi molto vari, diversi, affrontati con un talento che li rende efficaci, impattanti, carichi di una forza che induce qualsiasi fruitore a scavarne il senso, non sempre coglibile d'acchito. Ma è questo l'aspetto intrigante della sua arte, che è il non detto, il nascosto, il simbolico, il surreale.
Il tratto stilistico è assolutamente disinvolto ma soprattutto libero e ciò nella pittura come nella grafica e nella scultura, dentro una narrazione che l'artista traduce persino in musica e poesia così che le sue opere assumono sapore lirico. E ogni tanto, in quelle tele in cui Alimede compie i suoi viaggi in cerca dell'essenza, appare un corpo, timidamente tratteggiato, o un volto, quasi sempre femminile, ad interrompere volute e geometrie e a riportarci alla realtà, quella da cui l'artista sempre parte con l'intento di restituirci in tutta la sua complessità: un reale, però, che non implode mai, che, al contrario, esplode con l'energia di segni e di colori che si incontrano e si scontrano dialogando in una pòlemos che è vero senso della vita.
E quei segni, scomposti o allineati, quei colori, vigorosi o sfumati, quasi allusivi, spesso ci riportano ad un amore ancestrale dell'artista, quello per l'ambiente montano in cui affondano le sue origini. E allora sì che, in tale alta dimensione, troviamo il significato profondo del linguaggio di Alimede, che assapora la conquista dopo la fatica, sempre pronto a lasciarsi trascinare dalle ispirazioni in territori inesplorati, all'inseguimento di "sogni con puerili certezze" nell'intreccio di "canestri di vento".» (Presentazione della Prof.ssa Annamaria Poggioli)
Locandina della mostra
Mario Alimede | Paolo Vivian
Il riposo inquieto tra la Terra e il Mondo
termina il 23 marzo 2016
Galleria Civica G. Craffonara - Riva del Garda
www.paolovivian.it
Paolo Vivian e Mario Alimede, artisti diversi per formazione e per ispirazione, concorrono in ogni caso dai loro lidi particolari e su navi che corrispondono loro nell'intimo sentire, all'incontro tra la fisicità e la durezza della Terra con la soggettività e la coscienza di sé che è il Mondo. Percorrono da anni con evidente e coinvolgente passione, la loro strada, quella della scultura eroica e metamitologica Paolo Vivian, quella di una tenace vena pittorica postespressionista Mario Alimede. In tutti e due le tracce del reale persistono ed urgono in molteplici dimensioni e in tutti e due però l'invenzione artistica forza ogni limite facilmente prevedibile per dare vita ad una sorta di luogo di sosta, ad un vero e proprio riposo della mente, che pur non cessa dal suo ruminare pensieri e suggestioni nella visione.
Ecco allora le forme primigenie del legno di Vivian, tese ad immergersi nel fuoco delle origini e delle ascensioni. Ecco dall'altra la ricchezza cromatica della ricerca, iconica ed aniconica ad un tempo, di Alimede che cerca di contenere in un abbraccio drammatico la complessità del vissuto. Il gesto di Vivian, il gesto di Alimede non trovano certo approdo, porto definitivo, il riposo che l'arte concede è comunque inquieto, nel contempo heimlich ed unheimlich, confortevole e perturbante, ma è possibile grazie all'invenzione artistica. Ancora meglio grazie alla forza che l'esperienza creativa esprime o nel tragitto fortemente simbolico di Paolo Vivian o nel conflitto tra segno e colore, inevitabile metafora esistenziale, di Mario Alimede. (Mario Cossali)
Mario Alimede (Riva del Garda - Trento, 1949), pittore e incisore, Alimede, lontano da facili riferimenti categoriali, ha esposto, dal 1971, in numerose mostre personali e rassegne artistiche collettive in Italia e all'estero. Ha frequentato corsi di calcografia contemporanea presso la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia, con Nicola Sene e Riccardo Licata. E' stato Consigliere provinciale del Centro Friulano Arti Plastiche (UD). L'utilizzo del personal computer e delle sue nuove possibilità espressive, lo fa aderire nel 1998 al gruppo M.A.R.T. per esplorare in quegli anni, con l'arte digitale, primi sul territorio friulano, nuove frontiere artistiche.
Su incarico di enti pubblici, ha attuato, progetti di allestimento per mostre ed eventi culturali. Ha inoltre diretto corsi di disegno e di incisione e, come curatore artistico, ha realizzato progetti di sensibilizzazione creativa all'interno di strutture riabilitative psichiatriche, organizzando eventi collettivi, coinvolgendo artisti del territorio friulano. E' socio del Club dell'Incisione Venezia Viva e membro del GISM, Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, Accademia di Arte e Cultura Alpina. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.
Paolo Vivian (Serso di Pergine - Trento, 1962) opera nel campo della scultura ed installazione. Le sue opere sono state presentate nel programma di Vilnius - Capitale Europea della Cultura 2009; in occasione delle celebrazioni del 100° anniversario dalla fondazione della città di Differdange, Lussemburgo; "L'angolo degli eroi", Muecsarnok (Kunsthalle), Budapest; "Art&Nature" a Drenthe, sotto l'egida della Regina olandese; "Off-ON" progetto di scultura, Amburgo; "Exi(s)t", Bulart gallery, Varna e "Shape Shifters", progetto internazionale a cura di Raul Zamudio (Usa); Museo della Porziuncola, Assisi; Abbazia di Novacella, Varna (Bolzano); "Mitologia del legno", Spazio Klien e Castello Ivano e Borgo Valsugana (Trento); Galleria "Actus Magnus", Vilnius; Palazzo Ducale, Genova; Contempo - festival internazionale dell`arte contemporanea, Varna, Bulgaria. Nel 2014 è artista dell'anno e il comune di Pergine Valsugana gli dedica una mostra antologica con catalogo.
Conta inoltre più di 15 mostre personali in Italia, Bulgaria e Lituania. Ha vinto molti premi internazionali in Italia e all'estero. Le sue sculture monumentali fanno parte di collezioni pubbliche nei Paesi Bassi, Lussemburgo, Italia, Germania, Polonia, Austria, Francia, Bulgaria. E' presentato da galleria Bulart (Bulgaria/Belgio). (Comunicato stampa)
Mario Alimede
Pagine sparse di un libro immaginato
termina il 30 giugno 2015
Biblioteca Civica di Pordenone
Sempre pronto a nuove sfide artistiche, Mario Alimede presenta la sua ultima fatica, Pagine sparse di un libro immaginato, dedicata alla terra friulana, dove vive e lavora da molti anni, proponendo 17 opere su carta, ispirate dalla lettura di frammenti letterari di scrittori e poeti che hanno descritto luoghi e vicende del Friuli. Per la stesura di questo "libro" Alimede ha realizzato immagini su temi all'apparenza slegati tra loro, raggiungendo pienamente lo scopo di esaltare l'anima di questo territorio. Si tratta di lavori inediti di grandi dimensioni, sparsi senza un ordine prestabilito, ciascuno frutto di una genesi autonoma, di lettura non facile, come in fondo tutta la produzione di Alimede.
Scorrendoli nell'insieme, infatti, a esclusione della "pagina" pasoliniana con le due evidenti ciminiere e pochi altri dettagli, non si trovano elementi realistici, ma tutto è simbolico. L'artista si addentra in una dimensione che oltrepassa l'ambito del sensibile fino a raggiunge il livello dove il reale si dissolve e non vigono più le categorie logico-scientifiche, ma domina la pura intuizione. Le opere sembrano frutto di un viaggio dell'anima, sospinta dalla necessità creativa in uno spazio sovrasensibile dove l'artista-poeta percepisce visioni di una realtà immaginale, che, al rientro dalla sua temporanea esperienza, riproduce con un linguaggio espressivo necessariamente simbolico.
Si palesano, allora, enigmatiche composizioni in cui, e questa è l'essenza dell'estetica di Alimede, la traccia grafica predomina nettamente sulle contrastanti masse cromatiche con esiti di grande forza espressiva, in cui ricorrono inconfondibili tratti stilistici, testimoni della collaudata grammatica artistica dell'autore. Il quale si esprime assai bene anche con la parola, al punto da trarre legittimamente ispirazione da una sua intensa poesia dedicata alla Montagna, tema da lui molto sentito e proposto in altre due pagine del "libro", per un'opera che rivela la sua raffinata e profonda sensibilità. Alla fine si avverte che questo "libro immaginato" non è concluso e che Alimede, nel suo incessante sforzo di ricerca, vuole indicare nuovi approdi, nuove pagine che ciascuno di noi può immaginare nella libertà del proprio spirito creativo. (Carlo Scaramuzza)
Mario Alimede. Opere pittoriche
termina il 30 aprile 2015
Teatro Comunale Pier Paolo Pasolini - Casarsa della Delizia (Pordenone)
L'iniziativa è la nuova tappa del progetto "Arteatro", curata dal maestro Giuseppe Onesti, che vuole impreziosire gli spazi espositivi del teatro comunale con le opere più significative degli artisti del territorio. Mario Alimede (Riva del Garda - Trento, 1949) espone dal 1970. Dal 1968 e in anni successivi frequenta corsi di grafica sperimentale e grafica contemporanea alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia. Aderisce nel 1998 al gruppo M.A.R.T. per esplorare in quegli anni con l'arte digitale, primi sul territorio friulano, nuove frontiere artistiche. E' socio del Club dell'Incisione Venezia Viva. Ha realizzato, su incarico di strutture pubbliche, progetti di allestimento per mostre ed eventi culturali.
Ha diretto corsi di disegno e d'incisione e, in qualità di curatore artistico, ha realizzato progetti di sensibilizzazione creativa all'interno di strutture riabilitative psichiatriche, organizzando eventi collettivi e coinvolgendo artisti del territorio friulano.E' membro del GISM, Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, Accademia di Arte e Cultura Alpina. Nel 2007 pubblica Diciassette passi, una plaquette con una raccolta di sue poesie e incisioni per la mostra omonima e nel 2011 il catalogo di poesie e opere La montagna parallela. Nel 2014 pubblica il suo primo libro di narrativa Racconti effimeri, (Ed. L'Omino Rosso). Alimede ha esposto in numerose mostre personali e rassegne artistiche collettive in Italia e all'estero. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.
Mario Alimede
09 ottobre - 11 novembre 2010
Galleria la roggia - Pordenone
(...) A guardare il lavoro svolto nel corso degli anni da Mario Alimede, la sensazione è proprio quella di un uomo in perenne sfida con se stesso, che al suo lavoro creativo affida innanzitutto il compito di raccontarsi momento per momento, con tutti i dubbi e le convinzioni, le contraddizioni e le coerenze, le certezze e i ripensamenti, insomma con tutta la possibile varietà di emozioni di cui è capace chi osservi la realtà con occhio non distaccato. La conseguenza è inevitabilmente una produzione in cui lo stimolo primo è il bisogno di dire, piuttosto che la ricerca di modi e mezzi espressivi e i materiali sono la testimonianza di un disagio più che la proposta di certezze.
Ne è prova immediata il modo aggressivo di affrontare la composizione: da un lato, una sorta di "automatismo" della pittura crea spazi e profondità in cui si accampano oggetti e situazioni che possono essere indifferentemente allusivi o simbolici, realistici o di pura astrazione, compositiva o cromatica; dall'altro lato, un bisogno quasi istintuale di riassumere nello spazio circoscritto della tela tutte le idee, con tutti i mezzi, dalla pittura alla scultura, dal disegno alla poesia. Ne nascono composizioni di grande ricchezza ed intensità, che richiedono una lettura attenta e appassionata per consentire di coglierne tutte le implicazioni, spesso addirittura al limite dell'eccesso di materiali accorpati e, quindi, della difficoltà di evincere tutti gli elementi concorrenti.
Anche la varietà di approcci segnala il nomadismo tra le tecniche alla ricerca della definizione di una personale idea: molto spesso in breve spazio di tempo (talora anche contemporaneamente) gli approcci poveristici si muovono in sintonia con la pittura colta, le elaborazioni sul linguaggio della pittura si allineano al fianco di scenari verosimili, quasi realistici. Anche le costruzioni tridimensionali rispondono a questo bisogno di dare la stura a vulcaniche intenzioni di comunicare tutto e immediatamente: dal recupero dei materiali di rifiuto a quello dell'immaginario popolare, dalle elaborazioni dell'espressionismo alla ripresa di temi della favolistica, il percorso si snoda senza obblighi direzionali, tutto invenzioni e scarti, entusiasmi e riprese.
Di più, il linguaggio verbale inserito allude piuttosto ad un uso alternativo della parola, più che relazionarsi alla poesia verbale o a quella visiva (almeno quella definita); i pensieri, le riflessioni, gli aforismi, i lampi segnati nell'opera appartengono al nomadismo generale, senza presunzioni o intenti di didascalismo. La produzione risulta alla fine intrigante e problematica, frutto di una ricerca illimitata su individuo e comunicazione, piuttosto che su appartenenze a categorie o scuole, se non si vuole dare il marchio di "scuola" anche alla libertà assoluta di vagare nel patrimonio personale e collettivo per offrire in lettura pagine di se stesso e di noi tutti. (Estratto da Arte come principio di libertà, di Enzo di Grazia)
Mario Alimede
termina lo 06 febbraio 2009
Galleria Squart di Janez Matelic (Capodistria) / Galleria Insula (Isola d'Istria)
Due mostre di grafica, con 40 opere, a cura di Dejan Mehmedovic e Enzo di Grazia.
Mario Alimede
termina il 20 dicembre 2008
Centro Culturale - Cordenons (Pordenone)
Graffi. Quelli mi si fissano negli occhi per primi, osservando le più recenti opere grafiche e su carta di Mario Alimede: graffi che incidono - la lastra di zinco, la matrice lignea od il foglio -, ma insieme rimangono sospesi in una sola delle molte dimensioni che lo sguardo penetra in successione. Nelle altre, ectoplasmi, frammenti di tessuto e di giornale, singulti di scrittura... Tutto è segno e costruisce spazio. Uno spazio senza più riferimenti prospettici a un mondo reale, eppure ancora aderente ad esso, come se da lì comunque si diramassero, alla stregua di sottili e vibratili terminazioni nervose, le sue ambigue, fragili direttrici visive.
Il segno talora squarcia in dissonanza, con violenza gestuale, altrove crea delle trame di ritmo lieve sul fondo, che non si concede mai a determinare una fine dello sguardo: fatto emergere per sottrazione d'inchiostro nel procedimento di stampa, il più delle volte esso ottiene dalla matrice xilografica o in plexiglas uno spessore impalpabile che lo rende terreno soffice, cedevole. Su una simile base non si può strutturare un volume definito, ma al più gangli traslucidi che paiono essersi depositati per strati opalescenti, nella lenta misura di un tempo che non è quello del reale quotidiano.
Così la materia concreta, che pure è punto di partenza nel confronto diretto con la lastra - di metallo, legno o derivato plastico -, supera il proprio status creando le premesse per l'accesso a una sfera d'espressione rarefatta, in cui sapienti e calibrate impaginazioni pittoriche sostituiscono la propria sostanza mentale a quella corporea di oggetti e figure. Astrazione, certo; in cui la forma resta tuttavia - paradossalmente - irrinunciabile. Seppure condotta a un'essenza poco più che globulare, essa perdura nel progetto visivo, come se il procedere del percorso fantastico ed il mestiere stesso ne richiedessero l'intima coscienza.
Tutto avviene ormai, si è detto, fuori da ogni riscontro narrativo, eppure permane - forse nell'assestarsi compositivo dell'opera, in cui ogni frammento pare trovare la propria collocazione con irreale naturalezza - uno spessore onirico: "La persistenza prende forma / nei suoi contorni (...) quasi l'inizio / di una trama e si smemora nel sonno". (Nelo Risi, Nè il giorno nè l'ora, Milano 2008). Quanto basta ad allontanare la brezza gelida dell'astrazione concettuale e a dare il senso dello scorrere del tempo; anzi, di un suo sciabordio... "Nell'indistinto / nel flusso riflusso di un futuro / in ciò che non è ancora / tenebra nella sua latenza" (ibidem) (Presentazione di Fulvio Dell'Agnese)
Libri
Diciassette passi
Poesie e opere grafiche
di Mario Alimede
ed. L'Omino Rosso, pag.39, 2007
Chi conosce il segno acuminato e rigoroso di Mario Alimede, sa che da un tonalità dominante bianca e grigia scaturiscono i bagliori dei colori: il verde, il giallo, il rosso. E difatti, nella stupenda poesia alla madre:
"Dall'alto, sulla tela / sussulti di rosso scarlatto / esitano e poi colano". Proprio così, "sussulti". L'emozione non si sovrappone, scaturisce dal profondo. C'è un ruvido "di iuta" nelle liriche di Alimede (la trama aspra del vivere, del soffrire) e nello stesso tempo una levigata essenziale compostezza. Illuminanti appaiono queste poesie per ripercorrere il processo creativo, che "nel bianco silenzio / della terra di nessuno" apre "un varco". Così il colori-semi vengono finalmente sgranati (…) nella lotta della vita contro i "livori di morte". Colori interiori, mai decorativi; colori metaforici, evocativi (…).
Colori della memoria, come lo scarlatto ricordato sopra che riportava i gerani materni. E' un movimento che dal torbido, dall'indistinto, dall'ombra conduce alla luce del colore. Un movimento sinuoso come quello della Drava. Ma a questo travaglio, a questa erranza per così dire orizzontale, un altro movimento succede, nella pittura come nella poesia, un movimento verticale, uno slancio. "Soprattutto gli strumenti del volo sembrano i più adatti a questo processo", scriveva nella sua bella prefazione al catalogo Alimede. Opere recenti Alessandra Santin.
E continuava: "Ali e linee aeree, rotte sull'aria e sull'acqua indicano la consapevolezza che la dimensione poetica non poggia su basi granitiche, non consente passi definitivi". Il poeta-pittore si rivela dunque "fragile alieno", "polline sospeso". Suo compito è, con un bellissimo ossimoro, intrecciare "canestri di vento". Quel vento rabbioso su cui "volano, gravide, ardite, / le vele di Argo" (si noti la serie fitta di allitterazioni: e questa è poesia). Vele che veleggiano verso la terra di Utopia. Perchè l'ambito di questa poesia non èp mai solo privato, mai solo esistenziale, bensì resistenziale. Resistenza all'opacità, al voyerismo del dolore che si fa spettacolo, al "silenzio rumoroso" che si circonda per dirla con Marco Paolini, alla "brodaglia", al "girone infernale" dei "programmi d'assalto", alla neolingua massmediatica. (...)
Ho conosciuto Mario Alimede in occasione di un lavoro tra i poeti del Gruppo Majakovskij e i pittori, promosso da Enzo Di Grazia circa un anno fa. Ci siamo scambiati con grande spontaneità i nostri fantasmi e le nostre inquietudini. In punta di piedi, tra mille ritrosie mi ha chiesto un parere sulle sue poesie. Le ho trovate vere e interessanti, l'ho incoraggiato a farle conoscere: quando la comunicazione è onesta, quando non è retorica nè lenocinio, è giusto che circoli. Non è forse per questo che ci ostiniamo, non è forse per questo che esistiamo? (Estratto dalla prefazione di Silvio Ornella)
Le cose che facciamo
(2003)
Le cose che facciamo,
nello scorrere grigio
dei nostri timori,
riflettono luci lontane,
riverberi celati
di storie passate.
Ti guardo,
attraversandoti,
giù, fino in fondo
e sei sempre con me
a tenermi la mano.
Che bello vivere
Senza pesare il tempo,
alzando la testa
da passi fatti in fretta,
stupidamente.
Racconti effimeri
di Mario Alimede
ed. L'Omino rosso, pagg. 104, 2014
Questi racconti brevi si accendono come una fiamma e nello spazio della loro durata effimera appunto, affascinano e coinvolgono, poi quasi repentinamente si spengono in un finale mai scontato; il lettore, per ritrovare quell'emozione, deve necessariamente passare al racconto successivo e poi a quello dopo e a quello dopo ancora. Proprio nella brevità sta la loro forza e intensità; la trama in un attimo vira cambiando direzione e la narrazione si conclude in un altro modo rispetto a quello che il lettore si aspetta, lasciandolo divertito e sorpreso. C'è il sapore delle favole antiche unito al linguaggio pulito e misurato dei racconti di Gianni Rodari. I racconti vivono dentro il tempo della narrazione e non è importante sapere quando si svolgano le vicende, perché la realtà è sospesa nella lettura ed è proprio bello godersela così.
Anche il dove dell'ambientazione potrebbe essere collocato ovunque: una città, un paese, una casa o una soffitta; i luoghi assumono la caratteristica di uno sfondo adatto a contenere i fatti che assumono maggiore rilevanza rispetto al contesto in cui avvengono. Qui si muovono i personaggi che tratteggiati con tocco leggero, hanno la consistenza del simbolo di ciò che via via rappresentano: l'avidità, l'insoddisfazione, la noia ma anche la tranquillità, il divertimento e la sorpresa. Ma non c'è nessuna morale da insegnare, solo qualche suggerimento dettato dall'esperienza. Il ritmo calmo e sicuro fa scorrere piacevolmente la lettura e la narrazione fluisce semplice e spontanea dalla penna dello scrittore. Tutto ciò rende la raccolta adatta ad un pubblico vario e di ogni età che ritroverà un po' della magia delle storie del passato raccontate di sera attorno al fuoco. (L'Editore De L'Omino Rosso)
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