Un uomo, una storia
La Ville en haut de la Colline, di J.J. Varoujean

di Daniela Baldassarra
ed. Prospettiva, 2005

Presentazione e intervista di Ninni Radicini all'autrice

Copertina del libro Un uomo una storia di Daniela Baldassarra La storia personale e collettiva è un tratto incancellabile nella esistenza di ogni uomo. Si può cambiare vita, luogo, esteriorità ma tutto quanto abbiamo vissuto e quanto hanno vissuto i nostri avi continuerà a essere presente nella nostra mente e in ogni nostra attività. Continuerà a esistere, anche se intorno c'è il silenzio. Come i versi sopravvivono alla morte del poeta, la memoria supera la volontà di elusione volgarmente finalizzata all'interesse materiale. Inutile pretendere di violare l'unica fortezza eternamente inviolabile. Jean-Jacques Varoujean ha difeso la memoria e lo ha fatto con la parola, dimostrando che la leggerezza di un segno può contrastare il ciclope della distruzione. Perchè il "Grande Male" (Metz Yeghern), in ogni tempo, è quello sofferto da uomini e donne ridotti a pietre di una strada da asfaltare.

Jean-Jacques Varoujean (Varoujean Ouzounian, 1927-2005) è nato in Francia, a Marsiglia, da genitori armeni scampati al Genocidio compiuto dai turchi tra il 1915 e il 1923. Negli anni '50 lavora come direttore di scena e assistente regista di Pierre Fresnay e di Francois Perier, poi giornalista, dall'inizio degli anni '60 alla metà dei '70, quindi come autore di opere teatrali.

Qual'è la trama di La ville en haut de la colline?

Malgrado il titolo a prima vista enigmatico, la lista dei personaggi che ripropone i nomi di alcune figure mitiche e il luogo in cui si sviluppa l'azione non lasciano alcun dubbio circa il tema di quest'opera. Siamo di fronte a una delle numerose Orestiadi contemporanee ispirate alle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide. Finita la guerra, un giovane soldato torna a Planitza, dove venti anni prima è nato da genitori a lui sconosciuti. Una indefinibile forza lo spinge a scalare la collina per raggiungere la città e ricercare una verità nascosta.

Perchè il Governatore ha ordinato agli abitanti di cambiare nome? E perchè questi hanno allora deciso di chiamare il Governatore Egisto e la sua compagna Clitennestra? Oreste (è il nome che viene dato al soldato per entrare nella città) si addentra nella scoperta di un mondo a prima vista stravagante, assurdo, apparentemente felice ma costruito su un crimine commesso dieci anni addietro. Da quel terribile momento, Planitza è sprofondata nel buio, i testimoni hanno ricevuto l'ordine di dimenticare e coloro che ricordano sono considerati pazzi. Oreste andrà in fondo alla sua spietata ricerca: abbatterà il muro della follia che protegge Planitza, scaverà nelle memorie e costringerà l'assassino di suo padre a scontrarsi con la menzogna, da lui considerata sino ad allora una forma perfetta di felicità.

L'ermetismo del testo è una caratteristica anche delle altre opere di Jean Jacques Varoujean?

Sì, la sua produzione è sempre ermetica. Tutta la sua opera, e anche la sua passata attività giornalistica, sono completamente ossessionate dal Genocidio e dalla scomparsa intollerabile di questa verità. Spesso il crimine evocato non ' quello inflitto all'Armenia, ma uno qualsiasi dei tanti terribili drammi che hanno segnato la nostra storia.

Come in La ville en haut de la colline, fino a qualche anno fa la tragedia del Genocidio era spesso sullo sfondo delle opere artistiche degli autori armeni, come ad esempio nella cinematografia di Atom Egoyan prima di Ararat, film del 2002 in cui il "Grande Male" (Metz Yeghern) è trattato in modo diretto. Vi sono testi di Varoujean in cui c'è una rappresentazione immediata del Genocidio o della seguente diaspora del suo popolo?

Il Genocidio non appare mai in maniera esplicita nelle opere teatrali di Varoujean. è sempre tra le righe. Un lettore/spettatore che si ferma al "testo in sè" senza conoscere il metatesto, non ritrova assolutamente tutte le implicazioni storiche ed emotive riguardanti il tema dell'Armenia, se non fosse per qualche vago, impercettibile riferimento. Però Varoujean, oltre a opere teatrali, ha scritto anche tre "libricini" che non hanno nè la forma di un dramma teatrale, nè di un romanzo, nè di un saggio. Sono una sorta di sospiri dell'anima, simbolicamente chiamati "Tentativi" ("Si c'est rond" Tentative I; "C'est pas carrè" Tentative II; "2015" Tentative III) in cui l'autore "tenta"di spiegare perchè il mondo è malato, gettando luce sul Genocidio. Quello che non fa mai nei suoi testi teatrali.

Per motivi di realpolitik, il Genocidio armeno è stato per molti anni eluso. Di recente invece, anche grazie allo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, è arrivato a fasce di opinione pubblica, nella fattispecie italiana, che prima, in totale buona fede, lo ignoravano. Su questo argomento quali sensazioni ha riscontrato in coloro con cui è entrata in contatto durante il lavoro di ricerca e scrittura del suo libro?

All'inizio (anno 2000) mi sono scontrata con un'assoluta non-conoscenza del fatto. Negli ultimi tempi però, forse perchè ho scavato più a fondo, ho notato che qualche voce si è levata: un film qua, un libro là, una trasmissione ogni tanto, notturna s'intende, perchè in prima serata c'è Maria De Filippi (!). E comunque, una volta a conoscenza dell'evento, tutti, professori, giornalisti, hanno dimostrato molto interesse e molta sensibilità. Varoujean sarebbe stato felice di tutto questo.



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